Il Parco
nazionale del
Gran Paradiso è
il parco
nazionale più
vecchio
d'Italia,
istituito il 3
dicembre del 1922,
situato a
cavallo delle
regioni Valle
d'Aosta e Piemonte,
attorno al massiccio
del Gran
Paradiso,
gestito dall'Ente
Parco Nazionale
Gran Paradiso,
con sede a Torino.
Esteso per una
superficie di
71.043,79 ettari,
su un terreno
prevalentemente
montuoso, dal
lato francese
confina con il Parco
nazionale della
Vanoise.
La
storia del Parco
nazionale del
Gran Paradiso è
strettamente
legata alla
salvaguardia del
suo animale
simbolo: lo
stambecco (Capra
ibex).
Questo ungulato,
un tempo
largamente
diffuso a quote
elevate, oltre
il limite del
bosco, su tutto
l'arco alpino è
stato oggetto di
caccia
indiscriminata
per secoli. I
motivi per cui
lo stambecco era
una preda così
ambita dai
cacciatori erano
i più
disparati, tra
cui la
succulenza della
sua carne. Nei
primi anni del
XIX secolo, una
donna di Gressoney-Saint-Jean,
di cognome
Zumstein, scoprì
che nei valloni
che discendono
dal massiccio
del Gran
Paradiso ne
sopravviveva una
colonia di circa
cento esemplari.
Il
21 settembre 1821 il re
di Sardegna Carlo
Felice emanò
le Regie
patenti con
le quali
ordinava: «Rimane
fin d'ora
proibita in
qualsivoglia
parte de' regni
domini la caccia
degli stambecchi».
Questo decreto,
che salvò lo
stambecco
dall'estinzione,
non fu ispirato
da valori di
protezionismo
ambientale, non
contemplati
nella mentalità
dell'epoca, bensì
da mere
speculazioni
venatorie. La
rarità di
questi esemplari
ne rendeva la
caccia un lusso
che il sovrano
concedeva solo a
se stesso.
Nel 1850,
il giovane re Vittorio
Emanuele II,
incuriosito dai
racconti del
fratello
Fernando, che
durante una
visita alle miniere
di Cogne era
stato a caccia,
volle percorrere
di persona le valli
valdostane. Partì
dalla valle
di Champorcher,
valicò a
cavallo la Fenêtre
de Champorcher e
raggiunse Cogne;
lungo questo
tragitto, uccise
sei camosci ed
uno stambecco.
Il re rimase
colpito dalla
abbondanza di fauna e
decise di
costituire in
quelle valli una Riserva
reale di caccia.
Furono
necessari alcuni
anni affinché i
funzionari di Casa
Savoia riuscissero
a stipulare
centinaia di
contratti con
cui i valligiani
e i comuni
cedettero al
sovrano
l'utilizzo
esclusivo dei
diritti venatori
relativi alla
caccia al
camoscio ed ai
volatili, poiché
la caccia allo
stambecco era
vietata ai
valligiani già
da un
trentennio, ed
in alcuni casi
persino dei
diritti di pesca
e di pascolo. I
montanari non
poterono più
portare ovini,
bovini e caprini
sui pascoli
d'alta quota,
che furono
riservati alla
selvaggina.
Nasce
ufficialmente,
nel 1856, la
Riserva Reale di
Caccia del Gran
Paradiso, il cui
territorio era
più ampio
dell'attuale
parco nazionale;
infatti
comprendeva
anche alcuni
comuni
valdostani
(Champorcher, Champdepraz, Fénis, Valgrisenche e Brissogne)
che in seguito
non furono
inseriti entro i
confini
dell'area
protetta. I
valligiani, dopo
i primi
malumori,
cedettero
volentieri i
loro diritti al
sovrano,
comprendendo che
la presenza dei
sovrani in
quelle valli
avrebbe portato
benessere per la
popolazione
locale. Re
Vittorio promise
che avrebbe
fatto "trottare
i quattrini sui
sentieri del Gran
Paradiso".
Fu
istituito un
corpo di
vigilanza
composto di
circa cinquanta
addetti
denominati Reali
Cacciatori
Guardie, furono
restaurate
chiese, argini e
case comunali,
costruiti
casotti per i
guardaparco e
case di caccia
più grandi
utilizzando
manovalanza
locale.
Tuttavia,
l'opera più
importante che
cambiò il volto
delle valli
valdostane e canavesane fu
la fittissima
rete di
mulattiere
selciate fatte
costruire per
collegare i
paesi con le
case di caccia,
coprendo una
distanza di
oltre 300 km.
Queste strade
furono
progettate per
permettere al re
ed al suo
seguito di
spostarsi
comodamente a
cavallo
all'interno
della riserva.
La maggior parte
di esse è ancor
oggi
percorribile.
Superano dei
ripidi versanti
con
innumerevoli,
ampissimi
tornanti
mantenendo
sempre una lieve
e costante
pendenza. Si
snodano in buona
parte oltre i
duemila metri ed
in taluni casi
superano i
tremila (Col du
Loson 3296
m e Colle
della Porta 3002
m). I punti più
impervi sono
stati superati
scavando il
tracciato nella
roccia. La
carreggiata è
lastricata di
pietre,
sostenuta da
muri a secco
costruiti con
notevole perizia
e presenta una
larghezza
variabile da un
metro ad un
metro e mezzo.
Il
tratto meglio
conservato si
trova in Valle
Orco; dal Colle
del Nivolet,
dopo un primo
tratto a mezza
costa, la
mulattiera reale
scavalca i colli
della Terra e
della Porta,
tocca la casa di
caccia del Gran
Piano
(recuperata di
recente come
rifugio) per poi
scendere al
paese di Noasca.
Re
Vittorio si
recava nella
riserva del Gran
Paradiso di
solito nel mese
di agosto e vi
si fermava da
due a quattro
settimane. I
giornali e le
pubblicazioni
dell'epoca erano
esaltate per il
carattere
bonario del re,
che conversa e
discute con
grande affabilità,
in lingua
piemontese, con
la popolazione
locale e lo
descrivono come
un baldo
cavaliere ed un
fucile
infallibile. In
realtà le
campagne di
caccia erano
organizzate in
modo che il re
potesse fare il
tiro a segno
sulle prede
stando
comodamente ad
aspettare in una
delle poste di
avvistamento
costruite lungo
i sentieri.
Il
seguito del re
era composto da
circa 250
uomini,
ingaggiati tra
gli abitanti
delle valli, che
svolgevano le
mansioni di
battitori e
portatori. Per
questi ultimi,
la caccia
cominciava già
nella notte. Si
recavano nei
luoghi
frequentati
dalla
selvaggina,
formavano un
enorme cerchio
attorno agli
animali e poi
con urla e spari
li spaventavano
in modo da
spingerli verso
la conca dove il
re era in attesa
dietro una
vedetta
semicircolare di
pietre. Soltanto
il sovrano
poteva sparare
agli ungulati;
alle sue spalle
stava il
"grand
veneur" che
aveva l'ordine
di dare il colpo
di grazia agli
esemplari feriti
o sfuggiti al
tiro del re.
Oggetto della
caccia erano i
maschi di
stambecco e
camoscio adulti.
Ne venivano
abbattuti
diverse decine
al giorno. La
scelta di
risparmiare le
femmine ed i
cuccioli favorì
l'aumento del
numero degli
ungulati e le
cacce reali
divennero di
anno in anno più
abbondanti.
Il
giorno dopo la
caccia, il re ed
il suo seguito
si trasferivano
alla successiva
casa di caccia.
La domenica era
di riposo per i
battitori e, dai
paesi, qualche
prete saliva a
celebrare la
messa
all'aperto. Il
percorso
maggiormente
battuto dal re
durante i suoi
tours del Gran
Paradiso era
il seguente:
partiva da
Champorcher,
valicava la Fenêtre
de Champorcher (2828
m), scendeva a
Cogne,
raggiungeva
Valsavarenche
passando dal Col
du Loson (3296
m), saliva al
Colle del
Nivolet (2612 m)
e da qui si
inoltrava nel
territorio
canavesano
passando sopra Ceresole
Reale per
poi scendere
fino al paese di
Noasca (1058 m)
lungo il vallone
di Ciamosseretto
(come dice il
nome,
ricchissimo di
camosci). Le
case di caccia
maggiormente
utilizzate
furono quelle di
Dondena (2186
m), del Lauson
(2584 m, oggi rifugio
Vittorio Sella), di
Orvieille e del
Gran Piano di
Noasca (anche
quest'ultima
recentemente
recuperata come
rifugio).
Anche
i successori di Re
Vittorio, Umberto
I e Vittorio
Emanuele III,
intrapresero
lunghe campagne
venatorie nella
riserva.
L'ultima caccia
reale si svolse
nel 1913.
Vittorio
Emanuele III, più
colto e meno
affabile con i
valligiani del
nonno, cambiò
orientamento e
decise, nel
1919, di cedere
allo Stato i
territori del
Gran Paradiso di
sua proprietà
con i relativi
diritti,
indicando come
condizione che
si prendesse in
considerazione
l'idea di
istituire un
parco nazionale
per la
protezione della
flora e della
fauna alpina.
Il
3 dicembre 1922 re Vittorio
Emanuele III,
nei primi giorni
del governo Mussolini,
firmava il
decreto legge
che istituiva il
Parco Nazionale
del Gran
Paradiso.
L'articolo 1 del
decreto sancisce
che la finalità
del parco è
quella di "conservare
la fauna e la
flora e di
preservare le
speciali
formazioni
geologiche,
nonché la
bellezza del
paesaggio".
L'articolo 4
sancisce che la
gestione è
affidata alla Commissione
Reale del Parco
Nazionale del
Gran Paradiso.
Seguono una
serie di norme:
nel perimetro
del parco sono
vietate la
caccia e la
pesca, l'accesso
con cani, armi
ed ordigni che
servano a tali
scopi, la
Commissione può
sospendere e
regolare il
pascolo in
alcune località.
Il servizio di
vigilanza venne
affidato al
Corpo Reale
delle foreste
che reintegrò
tutti i guardaparco della
vecchia riserva
che ne fecero
richiesta.
Vennero poi gli
anni bui del
parco.
Nel 1933 fu
abolita con
regio decreto la
Commissione
Reale e la
gestione del
parco passò al
ministero
(fascista) per
l'Agricoltura e
Foreste. La
sorveglianza,
affidata alla
Milizia
Nazionale
Forestale,
divenne una
sorta di
servizio
punitivo:
venivano mandati
dei malfattori o
degli
antagonistici
politici, spesso
non abituati
alla rigidità
della montagna,
ad espiare le
proprie pene
(una specie di
"piccola Siberia"
italiana). La
vigilanza perse
d'efficacia,
riprese il
bracconaggio e a
volte fu persino
ordinato ai
guardaparco di
uccidere
esemplari di
stambecchi e di
camosci della
miglior specie
per farne dono
alle autorità
militari.
Durante la
guerra, data
l'assoluta
scarsità di
viveri, il
bracconaggio si
rese necessario
anche per la
popolazione
locale, con lo
scopo di
sopravvivere.

Tornata
la pace gli
stambecchi erano
ridotti ad
appena 400 capi.
Il 5 agosto 1947,
con decreto
legislativo del
Capo provvisorio
dello Stato Enrico
De Nicola, venne
istituito l'Ente
Parco Nazionale
Gran Paradiso con
un consiglio di
amministrazione
composto da 13
elementi ed un
corpo di guardie
giurate alle sue
dirette
dipendenze. Fu
nominato
direttore
soprintendente
(lo sarà sino
al 1969) il
prof. Renzo
Videsott che
l'anno
successivo, nel
1948, vi
costituirà nel castello
di Sarre la
prima
associazione
ambientalista
italiana, la Federazione
Nazionale Pro
Natura.
Terminava così
il lungo
percorso di
passaggio,
durato quasi un
trentennio,
dalla riserva di
caccia al parco
nazionale.
Negli
anni duemila il
Parco nazionale
è riconosciuto
anche come sito
di interesse
comunitario e fa
parte
dell'Important
Bird Area "Gran
Paradiso".
Nel 2006 è
stato insignito
del Diploma
europeo delle
aree protette,
rinnovato nel
2012 insieme al Parco
nazionale della
Vanoise.
Nel
2007, il
Consiglio
direttivo
dell'Ente Parco,
con
deliberazione n.
16 del 27 luglio
2007, ha
stabilito una
modifica dei
confini del
parco, dandone
comunicazione al
Ministero
dell'Ambiente e
per la Tutela
del Territorio e
del Mare il 30
ottobre 2007.
Per Decreto del
Presidente della
Repubblica 27
maggio 2009,
pubblicato sulla
Gazzetta
Ufficiale n. 235
del 9 ottobre
2009, il parco
è stato quindi
riperimetrato,
con una
riduzione della
superficie
complessiva
totale pari allo
0,07 per cento
del territorio.
Il Presidente
della Repubblica
ha comunque
ritenuto
positivo
l'intervento
perché la
selezione delle
aree periferiche
da includere nel
parco è stata
compiuta in base
alla loro
valenza
naturalistica,
per esempio sono
state cedute
aree fortemente
antropizzate e
incluse aree
maggiormente
naturali, mentre
per il nuovo
perimetro del
parco è stata
data la priorità
alla presenza
dei confini
naturali per
permetterne una
gestione più
razionale del
territorio.
Nel 2014 il
Gran Paradiso è
entrato a far
parte della Green
List mondiale
delle aree
protette,
istituito dal Consiglio
d'Europa. Il
Gran Paradiso è
unico parco
italiano ad aver
ottenuto questo
riconoscimento. Ciò
viene
riconfermato nel 2017 e
nel 2021.

GEOGRAFIA
FISICA - Il Gran
Paradiso è
l'unico
massiccio
montuoso
culminante a
oltre 4000 metri
interamente in
territorio
italiano. Il
parco è
interessato da
cinque valli
principali: Val
di Rhêmes, Val
di Cogne,
Valsavarenche,
Valle dell'Orco
e Val Soana; in
particolare, ne
delimitano
approssimativamente
i confini la Val
di Cogne a
nord, la Val
di Rhêmes a
ovest, Valle
Orco a sud
e la Val
Soana a
est. La fascia
che va dai tre
ai 4000 m è
ammantata di 59
candidi
ghiacciai, più
estesi sul lato
valdostano, di
cui almeno 29
sono
costantemente
monitorati dai
guardaparco. Si
tratta di
ghiacciai
perenni ma
relativamente
recenti
essendosi
formati durante
la "piccola
glaciazione"
del secolo XVII.
Dalla
cima più alta
(4061 m) parte
la dorsale che
divide Cogne da Valsavarenche la
quale, scendendo
verso Aosta,
si impenna nelle
due vette
dell'Herbétet (3778
m) e della Grivola (3969
m). Sul versante
piemontese si
stagliano verso
il cielo il Ciarforon (3642
m), la Tresenta (3609
m), la Becca
di Monciair (3544
m). Queste
montagne sono
facilmente
individuabili,
da un occhio
esperto, anche
dalla pianura
torinese. Il
Ciarforon è una
delle vette più
singolari delle Alpi:
sul versante
aostano è
ricoperto da
un'enorme
calotta
ghiacciata; dal
Piemonte la sua
parete sud
precipita quasi
verticale sulla
sottostante
vallata e il
vicino
Ghiacciaio di
Noaschetta.
La Torre
del Gran San
Pietro (3692
m) e i Becchi
della
Tribolazione (3360
circa) si
trovano
nell'alto
vallone di
Piantonetto; il
punto di
osservazione
privilegiato è
il rifugio
Pontese al
Pian delle
Muande di
Teleccio. Dalla Punta
di Galisia (3346
m), un monte
sulla cui sommità
si incontrano i
confini di
Piemonte, Valle
d'Aosta e Francia,
si stacca in
direzione
sud-est un
crinale fatto di
cime
frastagliate e
appuntite che
culminano
nell'imponente
bastionata
rocciosa delle
tre Levanne (3600
m circa): sono
le dentate
e scintillanti
vette che
ispirarono l'ode
"Piemonte"
al poeta Giosuè
Carducci che
nel 1890 ebbe
modo di venire
da queste parti
mentre
presiedeva gli
esami di maturità
a Cuorgnè.
La Granta
Parey (3387
m) è la
montagna simbolo
della Val
di Rhêmes:
segna il punto
più occidentale
del parco. Le
vette del
settore
orientale del
parco sono più
basse; tra di
esse spiccano la Punta
Lavina (3308
m) e la Rosa
dei Banchi (3164
m). Quest'ultima
è molto
frequentata
dagli
escursionisti
per l'aereo
panorama che
offre verso la
Valle Soana e la
Valle di
Champorcher. Le
cime del parco
nazionale fanno
parte ovviamente
delle Alpi
Graie.
GEOMORFOLOGIA
- La
geomorfologia
dell'area è
stata modellata
dalla espansione
dei ghiacciai,
che durante le
glaciazioni
quaternarie
ricoprivano
tutta l'area, e
ancor oggi nelle
aree circostanti
i ghiacciai sono
visibili tipici
aspetti di
ambiente periglaciale.
Nella valle di
Ceresole Reale
sono presenti
delle marmitte
dei giganti. Il
limite delle
nevi perenni è
posto a circa
3000 metri
d'altitudine. In
Valle Soana, a
Piata di Lazin,
sono presenti i
caratteristici
"cerchi di
pietra" (patterned
groud)
modellati dal
gelo.

VALLI
E COMUNI
Valle
d'Aosta:
-
Valle di Cogne (versante
sinistro
orografico): Cogne, Aymavilles
-
Valsavarenche (entrambi
i versanti): Valsavarenche, Introd, Villeneuve
-
Val di Rhêmes (versante
destro
orografico): Rhêmes-Notre-Dame, Rhêmes-Saint-Georges
Piemonte (Provincia
di Torino):
-
Valle dell'Orco (versante
sinistro +
versante destro
sino alla
Levanna
orientale): Ceresole
Reale, Noasca, Locana, Ribordone (solo
la parte alta
del vallone)
-
Val Soana (valloni
di Forzo,
Campiglia e
settore destro
del vallone di
Piamprato): Valprato
Soana, Ronco
Canavese
IDROGRAFIA
- Il
territorio del
parco ricade a
sud nel bacino
idrografico dell'Orco e
a nord in quello
della Dora
Baltea.
I
laghi più
grandi e
suggestivi del
parco si trovano
nella zona
circostante il Colle
del Nivolet. Dai
due Laghi
del Nivolet,
antistanti il
rifugio Savoia
nell'omonimo
pianoro, nasce
il torrente Savara che,
dopo aver
percorso la
valle cui dà il
nome
(Valsavarenche),
confluisce nella Dora
Baltea nei
pressi di Aosta.
Superato il
gradino erboso
che sta sopra il
rifugio ci
addentriamo nei
piani di Rosset
dove scorgiamo i
laghi naturali
più
spettacolari
dell'intera area
protetta: il Lago
Leità dalla
particolare
forma allungata
e il Lago
Rosset con
il suo
caratteristico
isolotto. Questi
ultimi
costituiscono la
sorgente del torrente
Orco che
scorre verso il Piemonte e
sfocia nel Po
vicino a Chivasso.
Poco distante
dai piani di
Rosset vi sono i Lacs
des trois becs (tre
grandi e due
piccoli) e
proseguendo
ancora un po' il Lago
Nero (o
Lago Leynir). La
"regione
dei grandi
laghi" è
il cuore del
parco nazionale:
dalle sponde di
questi specchi
d'acqua il colpo
d'occhio spazia
su tutte le
principali vette
del Gran
Paradiso e
delle Levanne.
In Val
di Rhêmes troviamo
il piacevole Lago
Pellaud: è
ubicato
all'interno di
un bel lariceto
ad una quota
relativamente
bassa (1811 m).
In Val
di Cogne vi
sono due
interessanti
laghetti: il Lago
Lauson (Valnontey)
ed il Lago
Loie (2356
m, vallone di
Bardoney).
Sul
versante
indritto della Valle
Orco, lungo il
tracciato della
mulattiera
reale, poco
sotto il Colle
della Terra, tra
le morene
troviamo il Lago
Lillet. Data
l'altitudine
(2765 m) questo
lago, tranne che
per un breve
periodo estivo,
rimane sempre
gelato. Nei suoi
paraggi si
possono
incontrare,
nella stagione
propizia,
branchi di
stambecche,
cuccioli e
caprettini di
pochi mesi. Il
Lago Lillet è
raggiunto anche
da un ripido
sentiero che
sale dalla
borgata Mua di
Ceresole.
Uno
degli angoli
meno conosciuti
del parco è il Lago
di Dres (2073
m). Si trova sul
versante inverso
della Valle
Orco, quasi
all'estremo
confine
meridionale del
PNGP. È uno dei
pochi punti del
lato piemontese
dove si può
scorgere la
vetta ed il
ghiacciaio del Gran
Paradiso far
capolino oltre
le alte cime
canavesane.
Nel
Vallone di
Forzo, in Val
Soana, è
situato il Lago
Lasin (2104
m); al centro di
una conca
selvaggia è
caratteristico
per la grossa
isola che occupa
la parte
nord-orientale
dello specchio
d'acqua.
È
interessante
ricordare che la
città di Torino dipende,
per
l'approvvigionamento
idroelettrico,
dai paesi
canavesani di Ceresole
Reale e Locana.
In Valle Orco ci
sono ben sei
invasi
artificiali
gestiti da Iride
S.p.A.: tre si
trovano lungo la
strada che
conduce al Colle
del Nivolet (Lago
di Ceresole, Lago
Serrù, Lago
Agnel), altri
tre nei valloni
laterali del
versante solatìo
(Piantonetto,
Valsoera, Eugio).

CASCATE
E AMBIENTE - Data
la forte
acclività che
caratterizza i
valloni del Gran
Paradiso va da sé
che i torrenti
che li solcano
originino lungo
il loro
impetuoso fluire
numerose cascate
che
ingentiliscono
l'aspro
paesaggio del
parco. Le più
spettacolari
sono quelle di Lillaz,
frazione di Cogne.
Anche sul
versante
piemontese vi
sono alcune
pittoresche
cascate
facilmente
osservabili dai
turisti: quella
sovrastante
l'abitato di
Noasca oppure
quella formata
dal torrente di
Nel all'altezza
della borgata
Chiapili di
sotto. Nei
pressi delle
baite di
Chiapili di
sopra, la
borgata più
alta di Ceresole
Reale, altre due
fragorose
cascate fanno
bella mostra di
sé.
Come
previsto dalla
Legge quadro
sulle aree
protette, il
territorio del
parco è
suddiviso
secondo diversi
gradi di
protezione: riserva
integrale, riserve
generali
orientate, aree
di protezione, aree
di promozione
economica e
sociale.
Nella
parte più bassa
del parco, come
livello
altimetrico,
sono presenti
boschi di
larici,
praterie, boschi
di latifoglie
composti da pioppo
tremulo, nocciolo, ciliegio selvatico, acero
montano, quercia, castagno, frassino, betulla, sorbo
degli
uccellatori. Le faggete,
in una fascia
tra gli 800 e i
1200 m, si
trovano soltanto
sul versante
piemontese tra
Noasca,
Campiglia e
Locana. Tra i
1500 e i 2000 m
vi sono le
foreste di
aghifoglie. Il
pino cembro è
largamente
diffuso in Val
di Rhemês
mentre l'abete
bianco si trova
solo in Val di
Cogne presso
Vieyes,
Sylvenoire e
Chevril. In
tutte le valli
troviamo il
sempreverde
abete rosso ed
il larice.
Quest'ultimo è
l'unica conifera
d'Europa che
perde gli aghi
nel periodo
invernale. I
boschi di larice
sono molto
luminosi e
permettono lo
sviluppo di un
folto sottobosco
composto da rododendri, mirtilli, lamponi, gerani dei
boschi, fragole
di bosco. In
generale, peccete, lariceti e pinete coprono
circa il 6% del
territorio del
parco. Impossibile
elencare la
sterminata
varietà di
fiori che da
marzo ad agosto
ravvivano con i
loro colori i
diversi ambienti
del parco. Ci
limiteremo ad
alcuni esempi.
Il giglio
martagone tipico
del bosco, e il
giglio di San
Giovanni che
sboccia nei
prati,
fioriscono
all'inizio
dell'estate. Il
velenosissimo
aconito si trova
lungo i corsi
d'acqua. Tra la
fascia più alta
dei boschi e i
2200 m vi sono
distese di rododendri con
i loro
caratteristici
fiori a
campanula color
ciclamino.
Oltre
i 2500 m tra le
rocce trovano il
loro habitat la sassifraga,
l'androsace
alpina,
l'artemisia, il cerastio e
il ranuncolo dei
ghiacci. Anche
la stella
alpina e il genepì si
trovano a queste
altezze ma sono
rarissimi. Le torbiere e
le zone umide
sono colonizzate
dall'erioforo i
cui candidi
batuffoli
preannunciano la
fine
dell'estate.

FAUNA
- L'animale
simbolo del
parco è lo stambecco presente
in circa 2700
unità
(censimento di
settembre 2011).
Il maschio
adulto può
pesare dai 90 ai
120 kg
mentre le corna
possono arrivare
anche a 100 cm.
La femmina, più
piccola, ha
delle corna più
lisce lunghe
appena 30 cm.
I branchi sono
composti da soli
maschi oppure da
femmine e
cuccioli. I
maschi anziani
vivono
isolati.
Il
periodo degli
amori coincide
con i mesi di
novembre e
dicembre; in
questo periodo
gli stambecchi
maschi che hanno
raggiunto la
piena maturità
sessuale si
battono tra di
loro squarciando
il silenzio dei
valloni con
l'inconfondibile
rumore delle
cornate udibile
anche dal
fondovalle. La
femmina rimane
fertile per
pochi giorni. La
gravidanza dura
sei mesi. A
primavera
inoltrata, la
stambecca si
ritira su
qualche cengia
isolata dove darà
alla luce
(maggio, giugno)
un piccolo,
talvolta
due.
Lo
stambecco ha un
carattere mite
ed
imperturbabile e
si lascia
facilmente
osservare
dall'uomo.

Il camoscio,
invece, è
diffidente,
elegante nei
suoi balzi,
veloce e
scattante. Di
dimensioni
minori (massimo
45–50 kg),
se ne contano
oltre 8000
esemplari. Le
sue corna, non
imponenti come
quelle dello
stambecco, sono
sottili e
leggermente
uncinate. Questo
ungulato non è
più in pericolo
di estinzione in
quanto
l'assoluta
mancanza di predatori naturali
ne ha favorito
la crescita
numerica e
l'eccessiva
colonizzazione
del territorio
(durante
l'inverno
scendono a valle
danneggiando il
sottobosco,
attraversano le
strade
asfaltate,
arrivano a
cercare il cibo
a pochi metri
dalle case)
tanto da rendere
necessarie, a
volte, delle
azioni di caccia
selettiva per
ridurne il
numero.
Il
parco, in
passato, non era
un ecosistema
equilibrato e
completo. I
predatori
naturali erano
del tutto
assenti: l'orso e
il lupo estinti
da secoli, gli
altri erano
perseguitati ai
tempi della
riserva. Il
compito delle
Reali Cacciatori
Guardie era
quello di
proteggere la
selvaggina non
solo dai
bracconieri ma
anche dagli
animali ritenuti
nocivi e il re
ricompensava con
laute mance
l'abbattimento
di una lince,
di un gipeto,
di una volpe o
di un'aquila. Si
giunse così,
all'incirca nel
1912-13,
all'estinzione
della lince
europea e del
gipeto.

Oggi,
grazie a
sorveglianza e
attività di
conservazione,
si contano 27
coppie di aquila
reale
(censimento
2013),
raggiungendo una
delle densità
maggiori di
coppie di aquile
reali sulle
Alpi mentre
molto presente
resta la volpe.
Circa trent'anni
or sono si
sperimentarono
le tecniche per
la
reintroduzione
della lince.
Inoltre, è
stato anche
reintrodotto il
gipeto, che ora
può contare di
circa 7
individui. Dal
2011 il gipeto
ha iniziato a
nidificare di
nuovo nel Parco,
anche se senza
successo nel
primo anno. Nel
2012 la
nidificazione si
è ripetuta per
due coppie ed è
andata a buon
fine in entrambi
i casi,
coll'allevamento
di un giovane
per ciascun
nido.
Il lupo,
in aumento in
Italia,
risalendo
l'Appennino, è
tornato a farsi
vedere nel Parco
negli ultimi
anni e conta
oggi 6-7
esemplari, si
tratta di un
branco familiare
di 5-6 esemplari
tra la
Valsavarenche,
la Val di
Rhêmes e
la Valgrisenche ed
un lupo
solitario in Val
di Cogne. Nel
2017 è stata
accertata la
formazione di un
branco in Valsavarenche,
con sei
cuccioli.
Un
altro mammifero
molto diffuso
nel parco è la marmotta (se
ne contano circa
6000 unità).
Vive in tane
sotterranee con
diversi cunicoli
come vie
d'uscita.
Predilige le
praterie e le
aree
pianeggianti, in
particolare
nella Val
di Rhêmes e
nella Valsavarenche.
È un roditore e
ai primi freddi
cade in un
profondo letargo
che dura quasi
sei mesi.
Inconfondibile
il suo verso: un
fischio che la
marmotta
"sentinella"
emette,
drizzandosi in
verticale,
quando avvista
un pericolo o un
animale estraneo
al suo ambiente
seguito dal
repentino fuggi
fuggi degli
altri componenti
del branco.
Fanno
parte della
fauna del Gran
Paradiso anche
numerose specie
di volatili: poiane, picchi, cince, pernici
bianche,
gracchi,
sparvieri,
astori,
allocchi,
civette.
Tra
i rettili ricordiamo
la vipera comune
(Vipera aspis,
tipica delle
zone asciutte, e
tra gli anfibi la salamandre.
Nei boschi di
aghifoglie
capita talvolta
di rinvenire dei
mucchi di aghi
di conifere alti
anche mezzo
metro: sono i
nidi della Formica
rufa.
Santuario
di Prascondù
Il santuario
di Prascondù è
un santuario intitolato
alla Madonna
di Loreto. È
situato a 1321
metri s.l.m. e
si trova in
comune di
Ribordone, in
provincia di
Torino. È
uno dei luoghi
di culto più
noti del Canavese ed
è la
tradizionale
meta di devoti e
visitatori, in
particolare
durante la festa
del santuario
che si svolge
ogni anno il 27
agosto. Rappresenta
la più
importante
espressione
dell'architettura religiosa
presente nel
territorio del Parco
nazionale del
Gran Paradiso.
In piemontese Prascondù sta
a significare
"prato
nascosto",
che a sua volta
deriva
probabilmente
dal fatto che la
conca dove sorge
il santuario non
è visibile
dalla parte
bassa della
vallata di
Ribordone.
La
costruzione del
santuario è
dovuta al fatto
che, secondo la
tradizione, il
27 agosto 1619 Giovannino
Berardi, un
giovane di
Ribordone che
l'anno
precedente aveva
perso la parola,
ebbe una visione
della Madonna.
Questa disse al
giovane che per
riacquistare la
parola egli
avrebbe dovuto
compiere un
pellegrinaggio a Loreto ottemperando
ad un voto fatto
in precedenza
dal padre. Il
pellegrinaggio
venne completato
e sulla strada
del ritorno a
Ribordone il
ragazzo
riacquistò
effettivamente
l'uso della voce
nei pressi di un pilone
votivo.
I
ribordonesi
venuti a
conoscenza del miracolo iniziarono
la costruzione
di una cappella
presso il luogo
dell'apparizione.
Questo primo
edificio di
culto fu
distrutto da una valanga e
in seguito
ricostruito in
una posizione più
sicura; nel 1659 venne
solennemente
consacrato.
Seguirono poi
numerosi
ampliamenti e
ristrutturazioni
che portarono
all'odierno
complesso di
edifici.
La
principale
ricorrenza che
si celebra al
santuario è
quella dedicata
al fatto
miracoloso alla
base della sua
costruzione, che
si commemora il
27 agosto.
Gli
edifici del
complesso
religioso
ospitano anche
il Museo
della religiosità
popolare, una
struttura
espositiva
multimediale
creata del Parco
Nazionale del
Gran Paradiso.
La visita è
gratuita e
comprende una
serie di
audiovisivi
dedicati alle
forme di
espressione
religiosa che
nel corso del
tempo si sono
manifestate
nella zona
circostante al
santuario.

Fonte:
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