Rocca Imperiale (Borgo)
(Cosenza)
  
 
  


A metà dell'arco che circoscrive il Golfo di Taranto, 4 km circa distante dal mare e su di un colle dei contrafforti appenninici che si protendono al lido a dare inizio all'antica pianura Siritide, sorge Rocca Imperiale (non ci si meravigli se trattando di Rocca e della sua storia fino ai primi decenni dell'800 si farà riferimento prevalentemente alla Basilicata; giacché, essendo terra di confine, fino al 1816 ha sempre fatto parte della Lucania e ha sempre avuto rapporti frequenti con i centri limitrofi di tale regione).

Il suo abitato, edificato sulla convessità orientale del pendio, a meno di 200 metri di altitudine, ha le case disposte a gradinata ai piedi della fortezza che gli diede il nome e, ristretto com'è su un'area pressoché inampliabile, con i suoi viottoli, le ripide salite di accesso alla sommità, il campanile vetusto e la severa mole delle costruzioni militari, conserva l'aspetto di un borgo medievale ingentilito dal progresso, ma non sostanzialmente mutato da qual era nei secoli decorsi.

A destra e alle spalle, con vario susseguirsi di declivi, di ondulazioni e di avvallamenti, si elevano i monti; ma sfuma a sinistra l'orizzonte sulle alture salentine ingemmate di ville e d'incolati e, nello spazio interposto, sul piano ammantato di verde, ecco delinearsi le zone archeologiche di Siri, Eraclea, Pandosia e Metaponto, culle della prima civiltà Italica. Al tempo delle “polis” questo fertilissimo lembo della Magna Grecia veniva posto da Archiloco e da Erodoto come termine di paragone alle più desiderabili contrade del globo; poi le lotte per l'egemonia locale, fra i centri Italioti, e l'invidia di favolose ricchezze, vi apportarono quei lutti e quelle distruzioni che le guerre di Pirro, di Annibale, di Spartaco e dei Goti resero definitive e irrimediabili. Sparirono così le tracce delle “città – stato” ioniche e achee e, uniche superstiti di un'era remota e fastosa, rimasero le colonne del tempio metapontino dei Dioscuri.

Nascita del paese - Unica via di comunicazione tra le Puglie e la Calabria, sul versante ionico, era, ancora nel 1200, la via costiera ionica citata dalla Tabula Peutingeriana che, partendo da Reggio Calabria e costeggiando il mare, andava a congiungersi a Brindisi con l'Appia che proveniva da Capua.

D'altra parte la Calabria era allora parte integrante della Sicilia, e se i baroni siciliani, sempre contrari alla monarchia per le limitazioni imposte alle loro prerogative, si fossero ribellati, attraverso questa arteria stradale avrebbero potuto tentare l'invasione del resto dello Stato. Appare dunque evidente l'importanza militare del luogo e Federico II volle erigervi un castello che al fine principale difensivo unisse il compito di dare asilo alla Corte negli spostamenti e nelle partite venatorie alle quali il territorio era adattissimo.

L'intensa e frenetica attività edificatoria messa in atto in quel ventennio da Federico II suscitò preoccupazione tali che il giustiziere Tomaso De Gaeta, in una lettera indirizzata all'Imperatore, non poté risparmiargli un rimprovero: "È vero che l'imperatore non deve fidarsi così tanto della pace da non prepararsi alla guerra, ma non è necessario che Vostra Maestà costruisca fortezze così in alto, fortifichi le cime di ripide colline, sbarri i pendii dei monti con mura e li circondi di torri: anche senza fortificazioni la salvezza del re sarà assicurata dalle opere benefiche e dalla mitezza" (Kehr, 1905, pp. 55 s.).

Lo Statum de Reparatione Castrorum, il cosiddetto 'Statuto sulla riparazione dei castelli', costituisce l'accertamento giuridico delle comunità e delle signorie feudali ed enti ecclesiastici, secondo le consuetudini, che dovevano provvedere alla riparazione e manutenzione di quei castelli, domus regie e centri abitati. 

Nel caso della "Rocca Imperiialis" l'imperatore stabilì che ben ventisette località dovevano provvedere a inviare uomini e mezzi: 1 Nocara, 2 Canna, 3 Anglona, 4 Tursi, 5 Favale, 6 Presinace, (8 Rodiani) 9 Senise, 10 Chiaromonte, (11 Rubi), 12 Episcopia, 13 Battifarano, (14 Noge), 15 Castronuovo, 16 Colobraro, 17 Agromonte, 18 Latronico, (19 Solucii), 20 Santa Anania, 21 Armentano, 22 San Quirico, 23 Valsinni, 24 Castelsaraceno, 25 Farace, (26 Tigani), (x) (27 Pulsandrane). (in parentesi le incerte o sconosciute). 

Le suddette località sono collocate in un fascio che si allarga a ventaglio in una sola direzione, che si estende a molti chilometri in linea d'aria (venti e oltre), distanza che sul terreno doveva aumentare notevolmente, superando dislivelli e attraversando fiumi. La spiegazione di questo fenomeno va senz'altro individuata attraverso una serie di ricerche sistematiche, per quanto i documenti lo consentano, sull'intersecarsi e sovrapporsi di terre e di diritti demaniali e feudali". Queste scelte potrebbero essere dovute anche a una "logica politica", cioè alla volontà, da parte di Federico II, di "evitare che una struttura castellare, con la sua guarnigione e il suo castellano, potesse raccordarsi troppo strettamente alle comunità di quel territorio, sino a diventare pericoloso centro di aggregazione di interessi comuni".

Poiché gli apprestamenti necessari a una grande opera in muratura non si improvvisano, sull'altura che dinanzi era brulla o macchinosa, l'Imperatore, molto tempo prima dell'inizio dei lavori architettonici, dovette inviare operai per i movimenti di terra e la cottura della calce; i quali operai si stabilirono “in situ” formando così il primo nucleo del nuovo abitato. Essi stessi, e i villici poi, cominciarono a distinguere il luogo con l'appellativo dialettale di Ri-carcari o Li-carcari, che fu presto dimenticato e sostituito, e castello ultimato, con nome di Rocca Imperiale.

Il termine Ri-carcari, esaminato alla luce della fonetica locale, è un chiaro nome composto da Ri + carcari o Li + carcari equivalente a “Le fornaci”, le quali dovettero essere in gran numero apprestate per la calce e i mattoni prima di iniziare la costruzione della fortezza.

Il villaggio, formato dagli operai e da pochi altri individui che erano andati a porvi dimora con la famiglia per la sicurezza, dopo oltre due lustri era ancora insignificante, per cui Federico II, che da principio non aveva inteso dar vita a un nuovo incolato, decise di inviarvi una colonia nel 1239.

Sebbene manchino attestazioni probatorie esplicite, la nascita di Rocca, paese e castello, deve quindi attribuirsi a Federico II di Svevia e fra gli antenati degli odierni Rocchesi sono da annoverare degli abitatori medievali della cittadina (a Sud-Ovest) di Castrovillari, con la quale conservano tuttora una stretta parentela linguistica.   

Monumenti e luoghi d'interesse

Come monumenti e luoghi storico-religiosi sono presenti: nel Paese/Centro il Castello, il Monastero e cinque chiese di cui una in quest’ultimo, nella Marina una chiesa, il vecchio granaio/magazzino e una torre, questi ultimi due vicini e collocati nella zona subferroviaria antecedente al lungomare, mentre nelle campagne una settima chiesa.

Come luoghi d’interesse, la maggior parte presenti nella frazione della Marina, ci sono la piazza Giovanni XXIII, la piazza Arena, le gallerie ferroviarie percorribili a piedi, il lungomare cittadino e la villa comunale, antistante a quest’ultimo. Nella zona medio-alta del Paese, rispettivamente difronte alla chiesa madre e a sud del castello, sono collocati la Piazza Monumento e l’anfiteatro.

Castello Svevo

Il castello svevo/aragonese è un castello quadrilatero fornito di otto torri, cinto da mura merlate e dotato di un fossato.

Costruito tra il 1225 e il 1240 circa, è una delle principali attrazioni del comune.

Si possono individuare tre fasi nella costruzione del castello di Rocca Imperiale.

Il castello originario, databile al XIII secolo, era probabilmente di dimensioni molto più modeste rispetto a quelle attuali. La fondazione è attribuita a Federico II di Svevia, dal quale prende nome l’abitato di Rocca Imperiale, il quale avrebbe fatto costruire il castello come tanti altri per rafforzare il suo potere sul territorio ma anche come sosta nei suoi ripetuti viaggi da e per la Sicilia, .

Della struttura originaria restano poche tracce: una torre avente sezione costante, il portale d'ingresso, una finestra ogivale di arenaria che dà sulla costa scoscesa a ovest e alcune feritoie. Non risultano tentativi passati di ricerche per individuarne il nucleo originale che probabilmente era molto più piccolo con una sola torre quadrata al centro.

Le dimensioni e molto dell’aspetto attuale derivano invece dal grande ampliamento e rafforzamento fatto nel 1487 da Alfonso II d’Aragona. A questo periodo risalgono il cassero, il maschio poligonale e le diverse torri (precisamente otto, delle quali cinque a pianta circolare). 

Con la parte a ovest ben protetta dal profondo e praticamente invalicabile burrone, il lavoro dei capimastri (gli architetti dell’epoca) Saccomanno di Portanova e Carlo Quaranta di Cava, si concentrò sugli altri lati con la costruzione delle strutture che sono ancora oggi esistenti: un cassero, il maschio centrale, le torri, il muro di cinta con il fossato, profondo otto metri ma poco largo, nonché i due ponti levatoi. 

L’aggressore che avesse superato le mura esterne del paese e che fosse riuscito a superare anche la cinta muraria del castello, si sarebbe trovato ingabbiato nel fossato, troppo poco largo per poter manovrare ed esposto al tiro impietoso degli assediati. Il progetto dimostrò la sua validità almeno in un caso del quale abbiamo conoscenza: quando nel 1644 (tra il 29 giugno e il 1º luglio) i Turchi assaltarono il paese, molti degli abitanti si salvarono all’interno del castello che non fu espugnato.

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All’interno oltre a tutti gli accorgimenti per rendere l'edificio in grado di resistere ad un lungo assedio con ampi depositi di olio e grano e ben cinque cisterne d'acqua, sono presenti scuderiecasematte, sotterranei, corridoi intercomunicanti e trombe per l'aerazione nelle torri. Di almeno una delle gallerie ora interrate si riconosce l’accesso e si dice che ve ne fosse una, ora non rintracciabile, di uscita segreta all'esterno che sbucava a grande distanza nel vallone a est e attraverso la quale gli assediati avrebbero potuto tentare l’estrema fuga.

Vi erano numerosi locali sotterranei uno dei quali adibito a galera e la “sala dei supplizi” così chiamata per la presenza al centro del soffitto di un anello di ferro che si suppone fosse usato per dare i “tratti di corda” ai prigionieri e forse per le impiccagioni.

A tutto questo complesso architettonico erano poi collegate le mura del paese che svolgendosi dal “Murorotto” dove si notano i resti di una torre quattrocentesca, raggiungevano “la Croce” e “l'Ospedale” fino al dirupo di “Scalella”.

Le terze ed ultime modifiche ed aggiunte furono quelle fatte nel 1700 dai duchi Crivelli, ultimi feudatari del borgo di Rocca Imperiale, che vollero fare della fortezza una residenza consona allo stile del tempo e della propria posizione. Sono queste tutte le stanze del piano superiore con finestrature regolari che ben si distinguono dal resto delle precedenti strutture.

Dopo i Crivelli, abolito il feudalesimo, il castello andò incontro ad un progressivo decadimento passando attraverso vari proprietari fino al completo abbandono che lo rese preda di vandalismi e cava di materiale edile di recupero.

Solo negli anni più recenti vari interventi di ristrutturazione, finanziati con fondi pubblici, hanno reso possibile la stabilizzazione della grande struttura ed il suo mantenimento.

Chiese

La prima chiesa di Rocca Imperiale sorse, come attesta il campanile, col nascere dell'abitato, al tempo dell'imperatore Federico II di Svevia, nel secolo XIII (1239), ed è la Chiesa di Santa Maria in Cielo Assunta, attuale chiesa madre. Non ci sono notizie di cappelle nell'abitato, ma, annessa all'ospedale, doveva esserci, già nel secolo XIV, quella del Crocifisso. 

Con l'andare del tempo ne sorsero diverse: prime fra tutte quella di San Giovanni, quattrocentesca; poi, in ordine cronologico, furono edificate quella delle Cesine, in campagna; quella della Madonna del Rosario o di San Francesco da Paola, del Carmine, di San Biagio e, in ultimo, quella della Croce (all'ingresso del paese) e dell'Immacolata (addossata alla matrice) al posto del monumento dei caduti della grande guerra.

Nel '700 si menzionano come diroccate le chiesette della SS. Annunziata e di S. Giovanni nelle contrade omonime. Non è escluso che ve ne fosse una a S. Elia, attorno al 1100, officiata dai monaci basiliani, di rito greco.

Chiesa di Santa Maria in Cielo Assunta (Chiesa Madre)

La chiesa di Santa Maria in Cielo Assunta (nome completo: Chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria), detta anche Chiesa dell’Assunzione B.V.M. o raramente Chiesa A.B.V.M., è la chiesa madre di Rocca Imperiale, collocata nel suo centro storico.

La prima chiesa di Rocca Imperiale sorse, come attesta il campanile, col nascere dell'abitato, al tempo dell'imperatore Federico II di Svevia nel secolo XIII (1239). Piccola, di stile romanico puro, l'ingresso principale a nord e uno secondario sul lato opposto, occupava l'area dell'attuale sagrato ed aveva a destra la sagrestia. Davanti era uno spiazzo o una larga via da cui erano visibili le grandi incisioni paleografiche sotto la cornice apicale della torre campanaria, e nell'interno forse una sola navata e nudo era il presbiterio con l'altare maggiore. 

Loculi tombali dei sacerdoti e delle principali famiglie si aprivano sul pavimento e una cripta più giù, probabilmente in comune con quella dell'ospedale eretto dai Cavalieri Gerosolimitani nel secolo XIII, serviva per le deposizioni dei fedeli, che in caso di epidemie venivano sepolti attorno al tempio. Questo era dedicato, come lo è tuttora la parrocchia, a Santa Maria in Cielo Assunta e fu arricchito nei primi anni del Trecento di un protiro a soggetta su archi ad ogiva, di bifore a colonne tortili di marmo, ora deposte nel giardino Gavazzi, di un ampio rosone, di una statua, la cui testa è murata all'angolo del corso Vittorio Emanuele, di fronte alla casa Fortunato, e di affreschi, i resti dei quali si notano sotto un archetto del protiro attualmente incorporato nel pronao della nuova Chiesa. 

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Il 30 giugno del 1644 la chiesa venne incendiata dai Turchi, sbarcati per conquistare la città,ma poi venne ristrutturata. 

Dal 2 luglio successivo si porta l'icona della Madonna della Nova in processione dalla Chiesa Madre alla sua chiesa, il Santuario in Cesine. All'ottava di Pasqua, si riporta in Chiesa Madre. Il 30 marzo del 1691 dal crocifisso della chiesa, sgorgò sangue e acqua. Nel XVIII secolo, la chiesa fu ristrutturata dal Duca Crivelli che la ampliò e la rese un monumento di bellezza storica e artistica. Tutt'oggi, infatti, la chiesa è visitata da turisti e gente di passaggio.

Chiesa della Visitazione della Beata Vergine Maria

Detta Chiesa della Visitazione B.V.M. o raramente Chiesa V.B.V.M., fu istituita nel 1964 e venne retta nei primi anni dal parroco del paese Don Francesco Guarino; successivamente, dal Natale del 1967 fino all'agosto del 1984, venne affidata ai Padri Stimmatini per poi passare, a settembre del medesimo anno, al parroco Don Mario Nuzzi. Prima della presente costruzione moderna, che passò in mano a Don Pasquale Zippari nel 2016, era adibito a chiesa un capannone di fortuna; il 4 agosto 2001 fu finalmente inaugurata l'attuale opera architettonica i cui lavori sono stati seguiti in un primo momento dall'architetto Affuso, il cui progetto originario è stato completamente stravolto, e successivamente dall'architetto Forace. La struttura esterna ha l'aspetto di una nave orientata al porto, a testimonianza che la Chiesa è la nave che deve condurre al cielo i fedeli. La struttura interna ha forma di anfiteatro per dare la possibilità ai fedeli di avere una corretta ed equa visione delle celebrazioni liturgiche; la volta, in legno lamellare, crea figure geometriche che le danno un senso di dinamismo e mobilità, vista in tutta la sua profondità sembra una navicella spaziale elevata verso il Cielo.

La struttura presenta poi al suo interno alcune opere d'arte: Il Tabernacolo, (architetto Antonio De Prosperis) è stato completamente realizzato in loco intagliando a mano libera le tessere (pregiati materiali provenienti da Murano) che compongono il Mosaico. Quest'opera crea per mezzo della luce dei giochi di irraggiamento; al centro della porta vi è un cuore in bronzo argentato a testimonianza dell'amore di Dio. Esaminata poi accuratamente, la raggiera del mosaico crea grattacieli e casupole, testimonianza del fatto che la Luce di Dio deve illuminare sia le grandi città sia i piccoli paesi.

Il Paliotto dell'altare, anch'esso in bronzo, raffigura l'istituzione dell'eucaristia (Salvo). Dietro di esso un presbiterio (arch. Forace), in marmo con sedia per chi presiede le celebrazioni, raffigura il Colle del Calvario sul quale si erge il Cristo Crocefisso, 2,15 m di bronzo, realizzato dal Cagni.

A ridosso dell'altare troviamo un ambone, realizzato anch'esso dal Salvo, a forma di biga e raffigurante i simboli dei quattro Evangelisti: l'aquila, il leone, il bue e l'angelo. In prossimità dell'ambone vi è il Battistero, con la base in bronzo a tuttotondo raffigurante una colomba (simbolo dello Spirito Santo) che sostiene una grossa "coppa in marmo" dalle stesse tonalità cromatiche dell'altare, sormontata da un coperchio, anch'esso in bronzo, recante alle estremità un bassorilievo raffigurante San Giovanni Battista. Tutte le opere sono state realizzate con il contributo dei fedeli e di persone amiche.

Monastero

Nel Registrum Ballarum, al numero XIII, troviamo il "diploma" con cui i Frati Minori Francescani dell'Osservanza Regolare della provincia di Basilicata furono autorizzati a costruire in Rocca Imperiale un Monasterium seu Conventum…cum Dormitorio, Refectorio, Officinis, Campana, Campanili, aliusque ad id necessariis (27 giugno 1562). 

È questa la data in cui fu autorizzata la costruzione del convento; avuta dunque l'autorizzazione, si ritiene che i frati si siano dati subito da fare e abbiano messo mano senza indugi alla fabbrica. Verosimilmente fu costruito dapprima qualche locale per alloggiarvi i frati che dovevano soprintendere all'opera e subito dopo cominciarono i lavori di costruzione della chiesa, che si presume fosse già pronta per il culto, ma non del tutto ultimata, nel 1583 (questa data si legge a piè della colonna che sorregge l'acquasantiera). Contemporaneamente fu costruito anche il convento nelle sue parti essenziali e funzionali.

Il prof. G. Fiore fa riferimento ad una data – 1617 – anticamente leggibile sul portone d'ingresso della chiesa; pertanto è da ritenere che prima della data sopra indicata, si accedesse alla chiesa mediante una porticina provvisoria in attesa del completamento dei lavori.

Ci vollero dunque circa 21 anni perché la chiesa fosse aperta ai fedeli e altri 34 per ultimarla. La cosa non deve sorprendere se si tiene conto che i Frati erano Francescani e per di più Osservanti e che vivevano perciò di questua. Chiunque poi visiti la chiesa constaterà che si tratta non di una delle solite chiesette e cappelle disseminate un po' dappertutto ma di una chiesa delle dimensioni piuttosto notevoli e arricchita di coro, sacrestia e una cupola relativamente grande.

La struttura, che a noi oggi sembra complessa, in realtà non si discosta dal modello classico del'’architettura francescana: come tutti i conventi dell'epoca, era dotata di chiostro con cisterna, porticato, celle, Chiesa. È da notare invece la semplicità delle linee e il tentativo di qualche bravo frate nel rendere bello e artistico qualche dettaglio: le cornici interne ed esterne della cupola, i capitelli dei pilastri della cisterna, ecc. e rilevante è anche il grande impegno e amore, nonché il senso artistico, dell'artista che ha scolpito il portone di ingresso della chiesa arricchendolo di formelle con figure allegoriche.

Per circa 40 anni in seguito alla sua costruzione il convento rimase abbandonato a sé stesso senza un minimo di custodia e il suo deterioramento fu inevitabile, tramutandosi anche in ricovero per pecore. Da qui in seguito le vicissitudini che lo concernano sono numerosissime.

Museo delle Cere

Ospitato all'interno dell'antico Monastero dei “Frati Osservanti” , il museo offre una sensazionale e suggestiva atmosfera grazie alla compresenza di elementi di misticità, vetustà e alla combinazione spettacolare tra il sacro e il profano. Numerosi sono i personaggi, qui rappresentati con ricercata e acuta verosimiglianza a quelli che sono stati gli uomini simbolo del Novecento, che hanno contribuito a dare luce e spessore economico, artistico, culturale, politico, religioso e sociale al nostro Bel Paese e all'intero genere umano.

Da Federico II di Svevia a De Gasperi, da Mussolini a Che Guevara, da Madre Teresa di Calcutta a Rita Levi Montalcini, da Giuseppe Verdi a Totò (principe Antonio de Curtis), tutti a grandezza umana con occhi di cristallo e capelli veri adornati da un vestiario più che reale, rappresentativo del nostro immaginario collettivo.

Non mancano poi personaggi popolari che con le loro gesta hanno dato splendore e fama a tutta la comunità come ad esempio il pluridecorato milite Francesco Mesce: chiamato alle armi il 15 marzo 1920 e destinato al 63º Reggimento fanteria "Cagliari" a Torino, fu trasferito sul fronte francese, dove prese parte ai combattimenti dell'avanzata italiana nei territori francesi. Rimpatriato, si imbarcò per la Grecia, dove ricoprì l'incarico di artificiere nel Genio Artificieri e, dopo aver ricevuto la medaglia sul Fronte Greco-Albanese il 18 agosto 1943, gli fu concessa una licenza straordinaria. Ritiratosi a Rocca fu invitato, viste le sue capacità, a far brillare delle mine sotterrate dai tedeschi in ritirata dalla Sicilia. Nel tentativo di far brillare gli ordigni per tutelare la popolazione Rocchese rimase ucciso dallo scoppio di una seconda mina nascosta sotto la prima.

Tra le pareti di quello che un tempo fu luogo di preghiera e di culto, completamente immersi nelle vestigia del già di per sé sensazionale Monumento, si respira un'aria trascendentale con le statue che evocano un contatto quasi umano. 

Tradizioni e folclore

Culto della Madonna della Nova - Si festeggia il 1° e 2 luglio di ogni anno. Secondo la tradizione la cappella/il santuario delle Cesine, sotto il titolo di Santa Maria della Nova (attualmente inclusa tra i santuari designati dall'autorità ecclesiastica nei quali è possibile lucrare le indulgenze giubilari), è stata edificata per volontà di un principe pellegrino che dopo essere naufragato sulle nostre coste, si ritirò sull'altura antistante l'approdo a farvi penitenza di ringraziamento. Si racconta che il ritratto del principe figurasse sulle pareti della vecchia chiesetta, ma questa immagine è sparita nel corso dei secoli, com'è svanita l'immagine della Madonna s cui il principe si era rivolto. Il dipinto della Visitazione che si venera ora, infatti, non è quello originario, né è originario il tempio che subì almeno tre trasformazioni.

L'episodio citato dovette accadere non prima del 1400, infatti l'istituzione della festa liturgica della Visitazione risale al 1389 per decreto di Papa Urbano VI, promulgato dal successore Bonifacio IX. Il Giubileo, che suscitò intenso fervore di pellegrinaggi, fu indetto nei primi anni del XV secolo, per cui il naufragio potrebbe essere avvenuto in quell'epoca. Nulla sappiamo circa la celebrazione delle feste dell'epoca, ma si può ritenere per certo che la solennità del 2 luglio divenne patronale subito dopo l'incursione turca del 1644.

Il 29 giugno di quell'anno, comparve una grande flotta turca, forte di 50 galee; sbarcati sulla spiaggia da due a tremila armati, gli invasori circondarono le mura della cittadina mentre gli abitanti dormivano. Questi, svegliati di soprassalto e ritenendo impossibile ogni difesa, si rifugiarono nel castello. Durante l'assedio, i turchi non riuscirono a impadronirsi della roccaforte, diedero fuoco a molti edifici tra cui la Chiesa Madre di cui rimase indistrutto il campanile. In questa circostanza il popolo, raccolto nel castello, dal quale si scorgeva di lontano la chiesetta della Nova, fece voto di solennizzare in perpetuo la data se fosse stato liberato dal pericolo e se avesse subito il danno minimo. E la grazia, venuta il giorno successivo, fu ritenuta dagli scampati come un segno della protezione divina, di cui bisognava mantenere sempre vivi la riconoscenza e il ricordo attraverso le generazioni future. In seguito, per la fiducia riposta nella Madre di Dio, sorse l'uso di andare a rilevare la sacra effigie la domenica in albis per riportarla in sede con pompa il 2 luglio.

Eccezionalmente, e negli anni di straordinaria siccità, era consuetudine recarsi in processione a invocare la grazia della pioggia alla cappella e si portava la sacra immagine in paese per una novena propiziatoria.

Attualmente si svolge tre volte la festa in onore della Madonna: l’Ottava di Pasqua, ovvero il suo sabato successivo, il primo duo di giorni di luglio e i giorni antecedenti a Ferragosto. La prima volta si porta in processione la sacra icona dal Santuario alla Chiesa Madre e la si festeggia il giorno dopo, congiuntamente a San Francesco da Paola. La seconda volta, la sera del 1º luglio, si onora la santa nelle vie del Centro Storico (ove si svolge come ad aprile) e l’indomani all’alba la si riporta al santuario. La terza volta, invece, nella frazione della Marina, il duplicato dell’icona viene onorato nelle strade della cittadina il 13 agosto, mentre nel giorno precedente e in quello successivo vengono celebrati i riti civili.

Il Limone di Rocca Imperiale

Il territorio di Rocca Imperiale gode di un microclima ideale alla coltivazione di piante da frutto e in particolare del limone, con inverni miti e temperature mai inferiori a 0°C. Vanta, perciò, la produzione limonicola più importante di tutta la provincia di Cosenza e dell'alto Ionio. Si tratta di una vera e propria “Oasi”, un ambiente che sicuramente influenza in modo positivo le caratteristiche del prodotto.

Il Limone IGP, coltivato da secoli nel territorio di Rocca Imperiale, è noto nel comprensorio col nome di “Antico o Nostrano di Rocca Imperiale”. Il frutto del limone, di colore giallo intenso, possiede un profumo straordinario che si contraddistingue da altri limoni. I risultati delle analisi hanno evidenziato un alto contenuto in limonene e preziose essenze naturali di oli essenziali di particolare aroma. Nell’arco dell’annata, il Limone di Rocca Imperiale produce ben tre tipi di frutti derivati da altrettanti fioriture: Primofiore (raccolti da maggio a luglio), o Maiolino (raccolti da maggio a luglio) e Verdello ( raccolti da agosto a ottobre).

Marina di Rocca Imperiale

Bagnata dalle acque del mare Ionio, per 7 km di spiaggia alternata da scogli, ciottoli e fine sabbia dorata, verso il confine lucano, la marina di Rocca Imperiale, distante appena 4 km dal centro storico, si pone come meta per la balneazione, beneficiando di strutture balneari d'ogni tipo.

Di importante rilevanza storica l'imponente magazzino, fatto costruire nel XVIII secolo (1731) dal duca Fabio Crivelli, a testimonianza dell'importanza marittima e commerciale di Rocca Imperiale, e la Torre di Guardia del XVI secolo (1563-69).

Le zone archeologiche di Monte Soprano, Masseria Saliva, Timpone Ronzino, Murge Santa Caterina (in questo luogo si presume, da alcuni resti in muratura e dal rinvenimento di cocci di vasellame e altri oggetti, la presenza di un antico presidio con funzione di avamposto per la difesa del Castello) rappresentano un museo a cielo aperto nel panorama dell'antica Siritide.

In contrada Cesine, a poca profondità dalla superficie, sono stati rinvenuti ruderi di fabbriche a condutture laterizie, le quali ultime sembra vengano da Ciglio dei Vagni, con sbocco in una cisterna (tullianum) di malta durissima, accanto a cui era possibile notare la vasca di un trapetum. In grande quantità, con i lavori agricoli di aratura, appaiono tombe di diverse età e di diverso tipo. Alcune a inumazione, formate da una lastra di tufo poggiante su altre due più piccole, poste in senso verticale, manifestano la loro derivazione dal tipo dolmenico; altre, a incinerazione, contengono oggettini vari anche in oro (anellini, spille) e altre ancora sono costituite da urne cinerarie decorate a rilievo racchiuse in rozzi sarcofaghi.

Di maggiore attenzione fu il ritrovamento di una punta di lancia di bronzo, una bottiglia di sagoma egiziana, qualche statuetta fittile acefala, lucerne, urne e vasetti vari rinvenuti nei pressi di una duplice deposizione di cadaveri, col capo su origliere di pietra, praticata sotto il pavimento di una capanna rettangolare, con uno dei lati più brevi absidato di tipo orientale, che subito si disfece.

All'estremità nord del lungomare di Rocca Imperiale Marina esiste un ampio parco pubblico attrezzato. I costumi, il patrimonio architettonico e storico, la civiltà, il clima, la qualità delle acque marine, la ricchezza della collina e della montagna retrostante, la posizione geografica tra il parco nazionale del Pollino, la piana di Sibari e l'area del Metapontino, costituiscono per Rocca Imperiale un richiamo turistico fra gli itinerari della regione Calabria.

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