A
metà dell'arco che circoscrive il Golfo
di Taranto, 4 km circa
distante dal mare e su di un colle dei contrafforti appenninici che si
protendono al lido a dare inizio all'antica pianura Siritide, sorge Rocca
Imperiale (non ci si meravigli se trattando di Rocca e della sua storia fino ai
primi decenni dell'800 si farà riferimento prevalentemente alla Basilicata;
giacché, essendo terra di confine, fino al 1816 ha sempre fatto parte della
Lucania e ha sempre avuto rapporti frequenti con i centri limitrofi di tale
regione).
Il
suo abitato, edificato sulla convessità orientale del pendio, a meno di 200
metri di altitudine, ha le case disposte a gradinata ai piedi della fortezza che
gli diede il nome e, ristretto com'è su un'area pressoché inampliabile, con i
suoi viottoli, le ripide salite di accesso alla sommità, il campanile vetusto e
la severa mole delle costruzioni militari, conserva l'aspetto di un borgo
medievale ingentilito dal progresso, ma non sostanzialmente mutato da qual era
nei secoli decorsi.
A
destra e alle spalle, con vario susseguirsi di declivi, di ondulazioni e di
avvallamenti, si elevano i monti; ma sfuma a sinistra l'orizzonte sulle alture
salentine ingemmate di ville e d'incolati e, nello spazio interposto, sul piano
ammantato di verde, ecco delinearsi le zone archeologiche di Siri, Eraclea, Pandosia e
Metaponto, culle della prima civiltà Italica. Al tempo delle “polis”
questo fertilissimo lembo della Magna
Grecia veniva posto da Archiloco e
da Erodoto come
termine di paragone alle più desiderabili contrade del globo; poi le lotte per
l'egemonia locale, fra i centri Italioti, e l'invidia di favolose ricchezze, vi
apportarono quei lutti e quelle distruzioni che le guerre
di Pirro, di Annibale, di
Spartaco e dei Goti resero definitive e irrimediabili. Sparirono così le tracce
delle “città – stato” ioniche e achee e, uniche superstiti di un'era
remota e fastosa, rimasero le colonne del tempio metapontino dei Dioscuri.

Nascita
del paese
- Unica
via di comunicazione tra le Puglie e
la Calabria, sul versante ionico, era, ancora nel 1200, la via costiera
ionica citata dalla Tabula
Peutingeriana che, partendo da Reggio
Calabria e costeggiando
il mare, andava a congiungersi a Brindisi con l'Appia che proveniva da Capua.
D'altra
parte la Calabria era allora parte integrante della Sicilia, e se i baroni
siciliani, sempre contrari alla monarchia per le limitazioni imposte alle loro
prerogative, si fossero ribellati, attraverso questa arteria stradale avrebbero
potuto tentare l'invasione del resto dello Stato. Appare dunque evidente
l'importanza militare del luogo e Federico
II volle erigervi un
castello che al fine principale difensivo unisse il compito di dare asilo alla
Corte negli spostamenti e nelle partite venatorie alle quali il territorio era
adattissimo.
L'intensa
e frenetica attività edificatoria messa in atto in quel ventennio da Federico
II suscitò preoccupazione tali che il giustiziere Tomaso De Gaeta, in una
lettera indirizzata all'Imperatore, non poté risparmiargli un rimprovero:
"È vero che l'imperatore non deve fidarsi così tanto della pace da non
prepararsi alla guerra, ma non è necessario che Vostra Maestà costruisca
fortezze così in alto, fortifichi le cime di ripide colline, sbarri i pendii
dei monti con mura e li circondi di torri: anche senza fortificazioni la
salvezza del re sarà assicurata dalle opere benefiche e dalla mitezza"
(Kehr, 1905, pp. 55 s.).
Lo
Statum de Reparatione Castrorum, il cosiddetto 'Statuto sulla riparazione dei
castelli', costituisce l'accertamento giuridico delle comunità e delle signorie
feudali ed enti ecclesiastici, secondo le consuetudini, che dovevano provvedere
alla riparazione e manutenzione di quei castelli, domus regie e centri
abitati.
Nel
caso della "Rocca Imperiialis" l'imperatore stabilì che ben
ventisette località dovevano provvedere a inviare uomini e mezzi: 1 Nocara, 2
Canna, 3 Anglona, 4 Tursi, 5 Favale, 6 Presinace, (8 Rodiani) 9 Senise, 10
Chiaromonte, (11 Rubi), 12 Episcopia, 13 Battifarano, (14 Noge), 15 Castronuovo,
16 Colobraro, 17 Agromonte, 18 Latronico, (19 Solucii), 20 Santa Anania, 21
Armentano, 22 San Quirico, 23 Valsinni, 24 Castelsaraceno, 25 Farace, (26
Tigani), (x) (27 Pulsandrane). (in parentesi le incerte o sconosciute).
Le
suddette località sono collocate in un fascio che si allarga a ventaglio in una
sola direzione, che si estende a molti chilometri in linea d'aria (venti e
oltre), distanza che sul terreno doveva aumentare notevolmente, superando
dislivelli e attraversando fiumi. La spiegazione di questo fenomeno va
senz'altro individuata attraverso una serie di ricerche sistematiche, per quanto
i documenti lo consentano, sull'intersecarsi e sovrapporsi di terre e di diritti
demaniali e feudali". Queste scelte potrebbero essere dovute anche a una
"logica politica", cioè alla volontà, da parte di Federico II, di
"evitare che una struttura castellare, con la sua guarnigione e il suo
castellano, potesse raccordarsi troppo strettamente alle comunità di quel
territorio, sino a diventare pericoloso centro di aggregazione di interessi
comuni".
Poiché
gli apprestamenti necessari a una grande opera in muratura non si improvvisano,
sull'altura che dinanzi era brulla o macchinosa, l'Imperatore, molto tempo prima
dell'inizio dei lavori architettonici, dovette inviare operai per i movimenti di
terra e la cottura della calce; i quali operai si stabilirono “in situ”
formando così il primo nucleo del nuovo abitato. Essi stessi, e i villici poi,
cominciarono a distinguere il luogo con l'appellativo dialettale di Ri-carcari o Li-carcari,
che fu presto dimenticato e sostituito, e castello ultimato, con nome di Rocca
Imperiale.
Il
termine Ri-carcari, esaminato alla luce della fonetica locale,
è un chiaro nome composto da Ri + carcari o Li + carcari equivalente a “Le
fornaci”, le quali dovettero essere in gran numero apprestate per la calce e i
mattoni prima di iniziare la costruzione della fortezza.
Il
villaggio, formato dagli operai e da pochi altri individui che erano andati a
porvi dimora con la famiglia per la sicurezza, dopo oltre due lustri era ancora
insignificante, per cui Federico II, che da principio non aveva inteso dar vita
a un nuovo incolato, decise di inviarvi una colonia nel 1239.
Sebbene
manchino attestazioni probatorie esplicite, la nascita di Rocca, paese e
castello, deve quindi attribuirsi a Federico
II di Svevia e fra gli antenati degli odierni Rocchesi sono da annoverare degli
abitatori medievali della cittadina (a Sud-Ovest) di Castrovillari,
con la quale conservano tuttora una stretta parentela linguistica.
Monumenti
e luoghi d'interesse
Come
monumenti e luoghi storico-religiosi sono presenti: nel Paese/Centro il
Castello, il Monastero e cinque chiese di cui una in quest’ultimo, nella
Marina una chiesa, il vecchio granaio/magazzino e una torre,
questi ultimi due vicini e collocati nella zona subferroviaria antecedente al
lungomare, mentre nelle campagne una settima chiesa.
Come
luoghi d’interesse, la maggior parte presenti nella frazione della Marina, ci
sono la piazza Giovanni
XXIII, la piazza Arena, le gallerie ferroviarie percorribili a piedi, il lungomare cittadino
e la villa comunale, antistante a quest’ultimo. Nella zona medio-alta del
Paese, rispettivamente difronte alla chiesa madre e a sud del castello, sono
collocati la Piazza Monumento e l’anfiteatro.
Castello
Svevo
Il castello
svevo/aragonese è
un castello quadrilatero fornito di otto torri, cinto da mura merlate e
dotato di un fossato.
Costruito
tra il 1225 e il 1240 circa,
è una delle principali attrazioni del comune.
Si
possono individuare tre fasi nella costruzione del castello di Rocca Imperiale.
Il
castello originario, databile al XIII
secolo, era probabilmente di
dimensioni molto più modeste rispetto a quelle attuali. La fondazione è
attribuita a Federico
II di Svevia, dal quale
prende nome l’abitato di Rocca Imperiale, il quale avrebbe fatto costruire il
castello come tanti altri per rafforzare il suo potere sul territorio ma anche
come sosta nei suoi ripetuti viaggi da e per la Sicilia,
.
Della
struttura originaria restano poche tracce: una torre avente sezione costante, il
portale d'ingresso, una
finestra ogivale di
arenaria che dà sulla costa scoscesa a ovest e alcune feritoie. Non risultano
tentativi passati di ricerche per individuarne il nucleo originale che
probabilmente era molto più piccolo con una sola torre quadrata al centro.
Le
dimensioni e molto dell’aspetto attuale derivano invece dal grande ampliamento
e rafforzamento fatto nel 1487 da Alfonso
II d’Aragona. A questo
periodo risalgono il cassero, il maschio poligonale e le diverse torri (precisamente otto, delle quali cinque a
pianta circolare).
Con
la parte a ovest ben protetta dal profondo e praticamente invalicabile burrone,
il lavoro dei capimastri (gli architetti dell’epoca) Saccomanno di Portanova e
Carlo Quaranta di Cava, si concentrò sugli altri lati con la costruzione delle
strutture che sono ancora oggi esistenti: un cassero, il maschio centrale, le
torri, il muro di cinta con il fossato, profondo otto metri ma
poco largo, nonché i due ponti levatoi.
L’aggressore
che avesse superato le mura esterne del paese e che fosse riuscito a superare
anche la cinta muraria del castello, si sarebbe trovato ingabbiato nel fossato,
troppo poco largo per poter manovrare ed esposto al tiro impietoso degli
assediati. Il progetto dimostrò la sua validità almeno in un caso del quale
abbiamo conoscenza: quando nel 1644 (tra il 29 giugno e il 1º luglio) i Turchi assaltarono il paese, molti degli abitanti si salvarono all’interno
del castello che non fu espugnato.

All’interno
oltre a tutti gli accorgimenti per rendere l'edificio in grado di resistere ad
un lungo assedio con ampi depositi di olio e grano e ben cinque cisterne
d'acqua, sono presenti scuderie, casematte, sotterranei, corridoi intercomunicanti e trombe per l'aerazione nelle
torri. Di almeno una delle gallerie ora interrate si riconosce l’accesso e si
dice che ve ne fosse una, ora non rintracciabile, di uscita segreta all'esterno
che sbucava a grande distanza nel vallone a est e attraverso la quale gli
assediati avrebbero potuto tentare l’estrema fuga.
Vi
erano numerosi locali sotterranei uno dei quali adibito a galera e la “sala
dei supplizi” così chiamata per la presenza al centro del soffitto di un
anello di ferro che si suppone fosse usato per dare i “tratti di corda” ai
prigionieri e forse per le impiccagioni.
A
tutto questo complesso architettonico erano poi collegate le mura del paese che
svolgendosi dal “Murorotto” dove si notano i resti di una torre
quattrocentesca, raggiungevano “la Croce” e “l'Ospedale” fino al dirupo
di “Scalella”.
Le
terze ed ultime modifiche ed aggiunte furono quelle fatte nel 1700 dai duchi
Crivelli, ultimi feudatari del borgo di Rocca Imperiale, che vollero fare della
fortezza una residenza consona allo stile del tempo e della propria posizione.
Sono queste tutte le stanze del piano superiore con finestrature regolari che
ben si distinguono dal resto delle precedenti strutture.
Dopo
i Crivelli, abolito il feudalesimo, il castello andò incontro ad un progressivo
decadimento passando attraverso vari proprietari fino al completo abbandono che
lo rese preda di vandalismi e cava di materiale edile di recupero.
Solo
negli anni più recenti vari interventi di ristrutturazione, finanziati con
fondi pubblici, hanno reso possibile la stabilizzazione della grande struttura
ed il suo mantenimento.
Chiese
La
prima chiesa di Rocca Imperiale sorse, come attesta il campanile, col nascere
dell'abitato, al tempo dell'imperatore Federico
II di Svevia, nel secolo XIII (1239), ed è la Chiesa
di Santa Maria in Cielo Assunta,
attuale chiesa madre. Non ci sono notizie di cappelle nell'abitato, ma, annessa
all'ospedale, doveva esserci, già nel secolo
XIV, quella del
Crocifisso.
Con
l'andare del tempo ne sorsero diverse: prime fra tutte quella di San Giovanni,
quattrocentesca; poi, in ordine cronologico, furono edificate quella delle
Cesine, in campagna; quella della Madonna del Rosario o di San Francesco da
Paola, del Carmine, di San
Biagio e, in ultimo,
quella della Croce (all'ingresso del paese) e dell'Immacolata (addossata alla
matrice) al posto del monumento dei caduti della grande guerra.
Nel '700 si
menzionano come diroccate le chiesette della SS.
Annunziata e di S.
Giovanni nelle contrade
omonime. Non è escluso che ve ne fosse una a S.
Elia, attorno al 1100,
officiata dai monaci
basiliani, di rito greco.
Chiesa
di Santa Maria in Cielo Assunta (Chiesa Madre)
La chiesa
di Santa Maria in Cielo Assunta (nome completo: Chiesa
dell’Assunzione della Beata Vergine Maria), detta anche Chiesa
dell’Assunzione B.V.M. o raramente Chiesa A.B.V.M., è la chiesa
madre di Rocca
Imperiale, collocata nel suo
centro storico.
La
prima chiesa di Rocca
Imperiale sorse, come
attesta il campanile, col nascere dell'abitato, al tempo dell'imperatore Federico
II di Svevia nel secolo
XIII (1239). Piccola, di stile
romanico puro,
l'ingresso principale a nord e uno secondario sul lato opposto, occupava l'area
dell'attuale sagrato ed aveva a destra la sagrestia.
Davanti era uno spiazzo o una larga via da cui erano visibili le grandi
incisioni paleografiche sotto la cornice apicale della torre campanaria, e
nell'interno forse una sola navata e nudo era il presbiterio con l'altare
maggiore.
Loculi
tombali dei sacerdoti e delle principali famiglie si aprivano sul pavimento e
una cripta più giù, probabilmente in comune con quella dell'ospedale eretto
dai Cavalieri
Gerosolimitani nel secolo
XIII, serviva per le
deposizioni dei fedeli, che in caso di epidemie venivano sepolti attorno al
tempio. Questo era dedicato, come lo è tuttora la parrocchia, a Santa Maria in
Cielo Assunta e fu arricchito nei primi anni del Trecento di un protiro a
soggetta su archi ad ogiva, di bifore a colonne tortili di marmo, ora deposte
nel giardino Gavazzi, di un ampio rosone, di una statua, la cui testa è murata
all'angolo del corso Vittorio Emanuele, di fronte alla casa Fortunato, e di
affreschi, i resti dei quali si notano sotto un archetto del protiro attualmente
incorporato nel pronao della nuova Chiesa.

Il
30 giugno del 1644 la chiesa venne incendiata dai Turchi, sbarcati per
conquistare la città,ma poi venne ristrutturata.
Dal
2 luglio successivo si porta l'icona della Madonna della Nova in processione
dalla Chiesa Madre alla sua chiesa, il Santuario in Cesine. All'ottava di
Pasqua, si riporta in Chiesa Madre. Il 30 marzo del 1691 dal crocifisso della
chiesa, sgorgò sangue e acqua. Nel XVIII secolo, la chiesa fu ristrutturata dal
Duca Crivelli che la ampliò e la rese un monumento di bellezza storica e
artistica. Tutt'oggi, infatti, la chiesa è visitata da turisti e gente di
passaggio.
Chiesa
della Visitazione della Beata Vergine Maria
Detta Chiesa
della Visitazione B.V.M. o raramente Chiesa V.B.V.M., fu
istituita nel 1964 e venne retta nei primi anni dal parroco del paese Don
Francesco Guarino; successivamente, dal Natale del 1967 fino all'agosto del
1984, venne affidata ai Padri Stimmatini per poi passare, a settembre del
medesimo anno, al parroco Don Mario Nuzzi. Prima della presente costruzione
moderna, che passò in mano a Don Pasquale Zippari nel 2016, era adibito a
chiesa un capannone di fortuna; il 4 agosto 2001 fu finalmente inaugurata
l'attuale opera architettonica i cui lavori sono stati seguiti in un primo
momento dall'architetto Affuso, il cui progetto originario è stato
completamente stravolto, e successivamente dall'architetto Forace. La struttura
esterna ha l'aspetto di una nave orientata al porto, a testimonianza che la
Chiesa è la nave che deve condurre al cielo i fedeli. La struttura interna ha
forma di anfiteatro per dare la possibilità ai fedeli di avere una corretta ed
equa visione delle celebrazioni liturgiche; la volta, in legno lamellare, crea
figure geometriche che le danno un senso di dinamismo e mobilità, vista in
tutta la sua profondità sembra una navicella spaziale elevata verso il Cielo.
La
struttura presenta poi al suo interno alcune opere d'arte: Il Tabernacolo,
(architetto Antonio De Prosperis) è stato completamente realizzato in loco
intagliando a mano libera le tessere (pregiati materiali provenienti da Murano)
che compongono il Mosaico. Quest'opera crea per mezzo della luce dei giochi di
irraggiamento; al centro della porta vi è un cuore in bronzo argentato a
testimonianza dell'amore di Dio. Esaminata poi accuratamente, la raggiera del
mosaico crea grattacieli e casupole, testimonianza del fatto che la Luce di Dio
deve illuminare sia le grandi città sia i piccoli paesi.
Il
Paliotto dell'altare, anch'esso in bronzo, raffigura l'istituzione dell'eucaristia (Salvo).
Dietro di esso un presbiterio (arch.
Forace), in marmo con sedia per chi presiede le celebrazioni, raffigura il Colle
del Calvario sul quale si erge il Cristo Crocefisso, 2,15 m di bronzo,
realizzato dal Cagni.
A
ridosso dell'altare troviamo un ambone,
realizzato anch'esso dal Salvo, a forma di biga e
raffigurante i simboli dei quattro
Evangelisti: l'aquila, il
leone, il bue e l'angelo. In prossimità dell'ambone vi è il Battistero, con la
base in bronzo a tuttotondo raffigurante una colomba (simbolo dello Spirito
Santo) che sostiene una
grossa "coppa in marmo" dalle stesse tonalità cromatiche dell'altare,
sormontata da un coperchio, anch'esso in bronzo, recante alle estremità un
bassorilievo raffigurante San
Giovanni Battista. Tutte le
opere sono state realizzate con il contributo dei fedeli e di persone amiche.
Monastero
Nel Registrum
Ballarum, al numero XIII, troviamo il "diploma" con cui i Frati
Minori Francescani dell'Osservanza
Regolare della provincia di Basilicata furono autorizzati a costruire in Rocca
Imperiale un Monasterium
seu Conventum…cum Dormitorio, Refectorio, Officinis, Campana, Campanili,
aliusque ad id necessariis (27 giugno 1562).
È questa la data in cui fu autorizzata la costruzione del convento; avuta dunque l'autorizzazione, si ritiene che i frati si siano dati subito
da fare e abbiano messo mano senza indugi alla fabbrica. Verosimilmente fu
costruito dapprima qualche locale per alloggiarvi i frati che dovevano
soprintendere all'opera e subito dopo cominciarono i lavori di costruzione della
chiesa, che si presume fosse già pronta per il culto, ma non del tutto
ultimata, nel 1583 (questa data si legge a piè della colonna che sorregge
l'acquasantiera). Contemporaneamente fu costruito anche il convento nelle sue
parti essenziali e funzionali.
Il
prof. G. Fiore fa riferimento ad una data – 1617 – anticamente leggibile sul portone d'ingresso della chiesa;
pertanto è da ritenere che prima della data sopra indicata, si accedesse alla
chiesa mediante una porticina provvisoria in attesa del completamento dei
lavori.
Ci
vollero dunque circa 21 anni perché la chiesa fosse aperta ai fedeli e altri 34
per ultimarla. La cosa non deve sorprendere se si tiene conto che i Frati erano
Francescani e per di più Osservanti e che vivevano perciò di questua. Chiunque
poi visiti la chiesa constaterà che si tratta non di una delle solite chiesette
e cappelle disseminate un po' dappertutto ma di una chiesa delle dimensioni
piuttosto notevoli e arricchita di coro, sacrestia e una cupola relativamente
grande.
La
struttura, che a noi oggi sembra complessa, in realtà non si discosta dal
modello classico del'’architettura francescana: come tutti i conventi
dell'epoca, era dotata di chiostro con cisterna, porticato, celle, Chiesa. È da
notare invece la semplicità delle linee e il tentativo di qualche bravo frate
nel rendere bello e artistico qualche dettaglio: le cornici interne ed esterne
della cupola, i capitelli dei pilastri della cisterna, ecc. e rilevante è anche
il grande impegno e amore, nonché il senso artistico, dell'artista che ha
scolpito il portone di ingresso della chiesa arricchendolo di formelle con
figure allegoriche.
Per
circa 40 anni in seguito alla sua costruzione il convento rimase abbandonato a sé
stesso senza un minimo di custodia e il suo deterioramento fu inevitabile,
tramutandosi anche in ricovero per pecore. Da qui in seguito le vicissitudini
che lo concernano sono numerosissime.
Museo
delle Cere
Ospitato
all'interno dell'antico Monastero dei “Frati Osservanti” , il museo offre
una sensazionale e suggestiva atmosfera grazie alla compresenza di elementi di
misticità, vetustà e alla combinazione spettacolare tra il sacro e il profano.
Numerosi sono i personaggi, qui rappresentati con ricercata e acuta
verosimiglianza a quelli che sono stati gli uomini simbolo del Novecento, che
hanno contribuito a dare luce e spessore economico, artistico, culturale,
politico, religioso e sociale al nostro Bel Paese e all'intero genere umano.
Da Federico
II di Svevia a De Gasperi,
da Mussolini a Che
Guevara, da Madre
Teresa di Calcutta a Rita Levi
Montalcini, da Giuseppe
Verdi a Totò (principe
Antonio de Curtis), tutti a grandezza umana con occhi di cristallo e capelli
veri adornati da un vestiario più che reale, rappresentativo del nostro
immaginario collettivo.
Non
mancano poi personaggi popolari che con le loro gesta hanno dato splendore e
fama a tutta la comunità come ad esempio il pluridecorato milite Francesco
Mesce: chiamato alle armi il 15 marzo 1920 e destinato al 63º
Reggimento fanteria "Cagliari" a
Torino, fu trasferito sul fronte francese, dove prese parte ai combattimenti
dell'avanzata italiana nei territori francesi. Rimpatriato, si imbarcò per la
Grecia, dove ricoprì l'incarico di artificiere nel Genio Artificieri e, dopo
aver ricevuto la medaglia sul Fronte Greco-Albanese il 18 agosto 1943, gli fu
concessa una licenza straordinaria. Ritiratosi a Rocca fu invitato, viste le sue
capacità, a far brillare delle mine sotterrate dai tedeschi in ritirata dalla
Sicilia. Nel tentativo di far brillare gli ordigni per tutelare la popolazione
Rocchese rimase ucciso dallo scoppio di una seconda mina nascosta sotto la
prima.
Tra
le pareti di quello che un tempo fu luogo di preghiera e di culto, completamente
immersi nelle vestigia del già di per sé sensazionale Monumento, si respira
un'aria trascendentale con le statue che evocano un contatto quasi umano.
 
Tradizioni
e folclore
Culto
della Madonna della Nova - Si
festeggia il 1° e 2 luglio di ogni anno. Secondo la tradizione la cappella/il santuario
delle Cesine, sotto il titolo di Santa Maria della Nova (attualmente inclusa
tra i santuari designati dall'autorità ecclesiastica nei quali è possibile
lucrare le indulgenze giubilari), è stata edificata per volontà di un principe
pellegrino che dopo essere naufragato sulle nostre coste, si ritirò sull'altura
antistante l'approdo a farvi penitenza di ringraziamento. Si racconta che il
ritratto del principe figurasse sulle pareti della vecchia chiesetta, ma questa
immagine è sparita nel corso dei secoli, com'è svanita l'immagine della
Madonna s cui il principe si era rivolto. Il dipinto della Visitazione che si
venera ora, infatti, non è quello originario, né è originario il tempio che
subì almeno tre trasformazioni.
L'episodio
citato dovette accadere non prima del 1400, infatti l'istituzione della festa
liturgica della Visitazione risale al 1389 per decreto di Papa
Urbano VI, promulgato dal
successore Bonifacio
IX. Il Giubileo, che suscitò
intenso fervore di pellegrinaggi, fu indetto nei primi anni del XV secolo, per
cui il naufragio potrebbe essere avvenuto in quell'epoca. Nulla sappiamo circa
la celebrazione delle feste dell'epoca, ma si può ritenere per certo che la
solennità del 2 luglio divenne patronale subito dopo l'incursione turca del
1644.
Il
29 giugno di quell'anno, comparve una grande flotta turca, forte di 50 galee;
sbarcati sulla spiaggia da due a tremila armati, gli invasori circondarono le
mura della cittadina mentre gli abitanti dormivano. Questi, svegliati di
soprassalto e ritenendo impossibile ogni difesa, si rifugiarono nel castello.
Durante l'assedio, i turchi non riuscirono a impadronirsi della roccaforte,
diedero fuoco a molti edifici tra cui la Chiesa Madre di cui rimase indistrutto
il campanile. In questa circostanza il popolo, raccolto nel castello, dal quale
si scorgeva di lontano la chiesetta della Nova, fece voto di solennizzare in
perpetuo la data se fosse stato liberato dal pericolo e se avesse subito il
danno minimo. E la grazia, venuta il giorno successivo, fu ritenuta dagli
scampati come un segno della protezione divina, di cui bisognava mantenere
sempre vivi la riconoscenza e il ricordo attraverso le generazioni future. In
seguito, per la fiducia riposta nella Madre di Dio, sorse l'uso di andare a
rilevare la sacra effigie la domenica in albis per riportarla in sede con pompa
il 2 luglio.
Eccezionalmente,
e negli anni di straordinaria siccità, era consuetudine recarsi in processione
a invocare la grazia della pioggia alla cappella e si portava la sacra immagine
in paese per una novena propiziatoria.
Attualmente
si svolge tre volte la festa in onore della Madonna: l’Ottava di Pasqua,
ovvero il suo sabato successivo, il primo duo di giorni di luglio e i giorni
antecedenti a Ferragosto. La prima volta si porta in processione la sacra icona
dal Santuario alla Chiesa Madre e la si festeggia il giorno dopo, congiuntamente
a San Francesco da Paola. La seconda volta, la sera del 1º luglio, si onora la
santa nelle vie del Centro Storico (ove si svolge come ad aprile) e l’indomani
all’alba la si riporta al santuario. La terza volta, invece, nella frazione
della Marina, il duplicato dell’icona viene onorato nelle strade della
cittadina il 13 agosto, mentre nel giorno precedente e in quello successivo
vengono celebrati i riti civili.

Il
Limone di Rocca Imperiale
Il territorio
di Rocca Imperiale gode di un microclima ideale alla coltivazione di
piante da frutto e in particolare del limone, con inverni miti e
temperature mai inferiori a 0°C. Vanta, perciò, la produzione limonicola più
importante di tutta la provincia di Cosenza e dell'alto Ionio. Si tratta di
una vera e propria “Oasi”, un ambiente che sicuramente influenza in modo
positivo le caratteristiche del prodotto.
Il Limone
IGP, coltivato da secoli nel territorio di Rocca Imperiale, è
noto nel comprensorio col nome di “Antico o Nostrano di Rocca Imperiale”. Il
frutto del limone, di colore giallo intenso, possiede un profumo
straordinario che si contraddistingue da altri limoni. I risultati delle analisi
hanno evidenziato un alto contenuto in limonene e preziose essenze
naturali di oli essenziali di particolare aroma. Nell’arco dell’annata, il Limone
di Rocca Imperiale produce ben tre tipi di frutti derivati da altrettanti
fioriture: Primofiore (raccolti da maggio a luglio), o Maiolino (raccolti
da maggio a luglio) e Verdello ( raccolti da agosto a ottobre).

Marina
di Rocca Imperiale
Bagnata
dalle acque del mare Ionio, per 7 km di spiaggia alternata da scogli,
ciottoli e fine sabbia dorata, verso il confine lucano, la marina di Rocca
Imperiale, distante appena 4 km dal centro storico, si pone come meta per
la balneazione, beneficiando di strutture balneari d'ogni tipo.
Di
importante rilevanza storica l'imponente magazzino, fatto costruire nel XVIII
secolo (1731) dal duca Fabio Crivelli, a testimonianza dell'importanza marittima
e commerciale di Rocca Imperiale, e la Torre di Guardia del XVI secolo
(1563-69).
Le
zone archeologiche di Monte Soprano, Masseria Saliva, Timpone Ronzino, Murge
Santa Caterina (in questo luogo si presume, da alcuni resti in muratura e dal
rinvenimento di cocci di vasellame e altri oggetti, la presenza di un antico
presidio con funzione di avamposto per la difesa del Castello) rappresentano un
museo a cielo aperto nel panorama dell'antica Siritide.
In
contrada Cesine, a poca profondità dalla superficie, sono stati rinvenuti
ruderi di fabbriche a condutture laterizie, le quali ultime sembra vengano da
Ciglio dei Vagni, con sbocco in una cisterna (tullianum) di malta durissima,
accanto a cui era possibile notare la vasca di un trapetum. In
grande quantità, con i lavori agricoli di aratura, appaiono tombe di diverse età
e di diverso tipo. Alcune a inumazione, formate da una lastra di tufo poggiante
su altre due più piccole, poste in senso verticale, manifestano la loro
derivazione dal tipo dolmenico; altre, a incinerazione, contengono oggettini
vari anche in oro (anellini, spille) e altre ancora sono costituite da urne
cinerarie decorate a rilievo racchiuse in rozzi sarcofaghi.
Di
maggiore attenzione fu il ritrovamento di una punta di lancia di bronzo, una
bottiglia di sagoma egiziana, qualche statuetta fittile acefala,
lucerne, urne e vasetti vari rinvenuti nei pressi di una duplice deposizione di
cadaveri, col capo su origliere di pietra, praticata sotto il pavimento di una
capanna rettangolare, con uno dei lati più brevi absidato di tipo orientale,
che subito si disfece.
All'estremità
nord del lungomare di Rocca Imperiale Marina esiste un ampio parco pubblico
attrezzato. I costumi, il patrimonio architettonico e storico, la civiltà, il
clima, la qualità delle acque marine, la ricchezza della collina e della
montagna retrostante, la posizione geografica tra il parco
nazionale del Pollino, la piana
di Sibari e
l'area del Metapontino, costituiscono per Rocca Imperiale un richiamo turistico
fra gli itinerari della regione Calabria.

Fonte:
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