La Bovesìa,
nota anche come area grecofona, è un'area geografica della città
metropolitana di Reggio Calabria, ellenofona,
localizzata attorno ai monti
di Bova.
La zona è
culla secolare della minoranza linguistica ellenofona di Calabria.
Il versante Jonico meridionale dell'Aspromonte custodisce
infatti immutate le tracce della sua antica natura di crocevia sul bacino
del Mediterraneo. Quest'area ha assunto per molti secoli il ruolo di vera
e propria isola e roccaforte culturale per una serie di motivi come la precarietà
storica dei collegamenti ed un entroterra particolarmente impervio.
Qui il greco è
stato una lingua viva fino alla Seconda guerra mondiale. Oggi è parlato
soltanto in una manciata di paesi dell'interno: Bova, Gallicianò, Condofuri e
Roghudi; e solo da pochi anziani.
Fu un grande
glottologo e filologo tedesco, Gerhard Rholfs (1892-1986), il primo a studiare e
a valorizzare il grecanico calabrese. La sua ipotesi era che fosse la stessa
lingua parlata dagli antichi coloni della Magna Grecia, sopravvissuta attraverso
i millenni. Ma secondo altri studiosi è un idioma greco medievale portato in
Calabria dai bizantini tra il IX e il XV secolo. Di certo è un patrimonio
linguistico preziosissimo e varie associazioni culturali si adoperano per non
disperderlo.
L'isola
ellenofona si estende oggi principalmente lungo la vallata della grande fiumara
dell'Amendolea. I paesi sorgono a circa 15 km dalla costa,
generalmente tutti su monti un tempo di difficile accesso e solcati da burroni,
quindi dominati dal versante sud dell'Aspromonte.
La vallata
dell'Amendolea comprende Amendolea, Gallicianò, Roghudi, Chorìo di Roghudi, Roccaforte,
e in più i nuovi insediamenti migratori di quelli di San
Giorgio Extra, Modena, Arangea e Sbarre a Reggio,
e quello di Melito
Porto Salvo (dove è tornata a rivivere la nuova Roghudi) segnano i
confini attuali della grecità calabrese, residuo di ciò che fino a qualche
secolo fa costituiva la maggior parte dei paesi dell'attuale provincia reggina.
Il dissesto
idro-geologico e la marginalità territoriale, la forte emigrazione,
l'incomprensione umana che non ha reso completamente realizzabile l'opera delle
amministrazioni ed una natura ostile hanno giocato un ruolo fondamentale nella
progressiva sparizione degli ultimi greci di Calabria.
L'area
comprende il territorio dei seguenti undici comuni più altri piccoli centri
(Condofuri Marina, Gallicianò,
Palizzi Maruba, Pentedattilo) che fanno parte di questi comuni: Bagaladi,
Bova, Bova Marina, Brancaleone, Condofuri, Melito di Porto Salvo, Palizzi,
Roccaforte del Greco, Roghudi, San Lorenzo, Staiti.
La cucina
tradizionale dell'Aspromonte greco
è fondamentalmente una cucina di pastori e contadini, spartana, di montagna, ma
non per questo priva di sapore e di gustose sorprese.
Tra i piatti
tipici della cucina arcaica grecanica troviamo la lestopitta e
la pitta 'rrustuta,
le cordelle, i maccaruni,
i ricchi'e previti, i tagghiulini, la curcudìa, le ngute.
Accanto alla
farina di grano per
il pane è
in uso anche quella di segale,
di ghianda o
di castagna e
varie altre farine minori; per le paste invece
il grano talvolta si mescola all'orzo,
alla segale o
al granoturco.
Fra le carni
gli elementi cardine sono senza dubbio la capra,
la pecora e il maiale.
L'allevamento e la trasformazione del maiale nella tradizione hanno ancora oggi
un'importanza fondamentale nella diffusa consuetudine dell'allevamento
domestico, quindi la salumeria locale ne contempla tutti i possibili derivati:
salsicce e sopressate, capicolli,
carne in salamoia, sanguinaccio.
Ancora oggi, il sacrificio dell'utile animale si accompagna con una festa
familiare, la frittolata.
Il formaggio più
importante nella tradizione locale è il pecorino,
in genere di latte misto ovino e caprino; eccellenti sono le ricotte prodotte
nella zona, soprattutto tra l'Epifania e Pasqua.
La Bovesìa,
come tutta la provincia
di Reggio Calabria si caratterizza anche per il microclima
particolarmente dolce, unico al mondo che consente la coltura del bergamotto.
Lungo i letti delle fiumare e
sulle colline, tra le altre coltivazioni si stagliano i campi profumati di
questo meraviglioso agrume, soprannominato l'"Oro Verde", dal quale si
estrae l'essenza base naturale della più raffinata produzione profumiera
mondiale.
Bova
Bova,
chiamata colloquialmente Bova Superiore per distinguerla dalla limitrofa Bova
Marina, è un comune
italiano di 400 abitanti della città
metropolitana di Reggio Calabria,
ed inserito nel circuito de I
borghi più belli d'Italia.
Il piccolo
paese è considerato capitale culturale della Bovesia,
quindi della cultura greca di Calabria,
la cui comunità conta complessivamente circa 13 000 abitanti, dislocati
nei comuni dell'area
grecanica.
Quasi tutte le
contrade sono caratterizzate da nomi di derivazione greca: Luppari - Cavalli -
Brigha - Bucissà - Caloghiero - Milì - San Giovanni - Campo, Polemo - Aio -
Leo- Manduddhuru, verceu ecc.
Il paese di
Bova è arroccato sul versante orientale dell'Aspromonte a 820 m s.l.m. ed
occupa una superficie territoriale comunale di 46,94 km². L'accesso
all'alto Aspromonte è assicurato passando per Bova che si raggiunge percorrendo
i 9 km che lo separano da Bova Marina grazie ad una nuovissima strada a
scorrimento veloce.

Bova ha origini
molto antiche come testimoniano rinvenimenti di armi silicee dell'epoca
neolitica, ritrovate numerose nel territorio. Anche dentro l'abitato, nel
perimetro del castello, furono rinvenute schegge di ossidiana, attestanti il
commercio primitivo che gli abitanti delle isole
Eolie intrattenevano con i popoli vicini a partire dal IV
millennio a.C. Pertanto le rocche del castello ospitarono
sicuramente un insediamento umano di età preistorica. E ancora i numerosi
frammenti vascolari, con disegni a meandro, ad impasto lucido nero, di fattura
certamente greca, del primo periodo di colonizzazione, comprovano l'antica
esistenza di abitazioni nella zona del castello e documentano i vari
insediamenti umani nel corso dei secoli.
Tra le
popolazioni preistoriche che abitavano le rocche e le caverne di Bova vi furono
gli Ausoni,
dediti soprattutto alla pastorizia, che furono poi assoggettati dai coloni
greci.
Nei secoli VIII - VI
a.C., nell'ambito del vasto movimento migratorio dalla Grecia verso
occidente, sorsero lungo la fascia costiera ionica della Calabria numerose
colonie greche, l'abitato di Delia (o Deri) fu posto allora in contrada
"San Pasquale", presso la foce di quel torrente.
Secondo la
leggenda Bova fu fondata da una regina armena che, sbarcata lungo la costa,
sarebbe risalita verso l'interno e fissato la sua residenza sulla cima del colle
di Bova, presumibilmente entro le rocche dell'antico castello.
In età greca
Bova subì le sorti della politica nelle vicende storiche di conquiste e di
guerre tra Reggio, Locri e Siracusa,
e fu infine sottoposta alla tirannide di quest'ultima.
Con la vittoria
di Roma sui Cartaginesi le
terre dei locresi furono sottomesse dai romani, Bova comunque poté godere della
cittadinanza romana, ma la tranquillità durò poco; infatti essendo il paese
troppo esposto verso il mare vicino a Capo
Spartivento, subì le frequenti incursioni barbariche.

Nel 440 infatti
i Vandali sbarcarono
sulle coste lucane e bruzie devastando e saccheggiando le città marittime; dopo
aver occupato la Sicilia organizzarono
scorrerie in Calabria e
gli abitanti del litorale per sfuggire alle devastazioni si rifugiarono sui
monti, in luoghi più sicuri ed inespugnabili. Fu questo quindi il motivo che
spinse gli abitanti di Delia a fondare la città di Bova.
Dal IX
secolo Bova era continuamente assediata dai Saraceni:
i pirati, provenienti dalla Sicilia,
erano giunti intorno all'anno 829 dall'Africa e
dalla Spagna,
approdavano a Capo Spartivento e spesso, per avversità atmosferiche, erano
costretti a fermarsi; non trovando alcuna resistenza saccheggiavano e
devastavano il territorio di Bova.
Uno dei più
disastrosi assalti saraceni fu quello 953,
anno in cui Bova subì per ordine diretto dell'Emiro di
Sicilia Hassan Ibu-Alì l'attacco di sorpresa e la strage di molti abitanti,
mentre i più furono mandati schiavi in Africa.
E ancora nel 1075 gli Arabi,
sbarcando alla marina di Bruzzano,
occuparono parte della Calabria ed
anche Bova fu sottoposta a stretto assedio.
In città si
accedeva attraverso due porte turrite, porta Ajo Marini e l'altra
ubicata nei pressi della cattedrale. L'acropoli della città di Bova era
costituita dall'antica cattedrale, il Palazzo Vescovile e le case delle famiglie
più ricche e nobili, fuori le mura esistevano i due borghi: Borgo di Rao e
Borgo Sant'Antonio, con tre torri difensive poste una di seguito all'altra, solo
di una delle quali oggi restano i ruderi.
Con la
dominazione normanna Bova entrò nel periodo feudale. All'età laico-normanna
seguì il feudalesimo ecclesiastico-svevo e Bova fu infeudata all'Arcivescovo di Reggio,
che la tenne con il titolo di Conte fino
al 1806,
anno dell'eversione della feudalità.
Bova fu
antichissima sede vescovile: il primo vescovo sarebbe stato ordinato nel I
secolo da Santo
Stefano di Nicea, vescovo di Reggio,
e seguì il rito greco introdotto in Calabria dai
monaci basiliani fino al 1572,
anno in cui l'arcivescovo Cipriota Stauriano impose il rito latino.
Nel 1577 una
tremenda pestilenza colpì il paese: era approdato alla marina un naviglio
carico di merci e una donna acquistò dei drappi preziosi, che espose alla
finestra per la festa del Corpus
Domini, ma che purtroppo erano tessuti infetti da peste. A causa del
caldo, il morbo si diffuse e colpì molti cittadini, la notizia dell'epidemia si
sparse subito nei paesi vicini e Bova fu isolata, il commercio di ogni genere
fermo; tale isolamento originò anche una forte carestia e la morte di
moltissimi abitanti.
Nel corso del XVI
secolo si ebbe un risveglio dell'attività predatrice dei turchi
contro l'Italia
meridionale e ne derivò la necessità di apprestarsi alla
difesa; fu infatti realizzata una linea di torri di guardia lungo tutto il
litorale calabrese; nel territorio costiero di Bova esisteva già a quel tempo
la Torre di "San Giovanni d'Avalos" posta sul Capo Crisafi, furono
quindi costruite Torre Vivo, completamente smantellata nel 1700,
e Torre Varata.
Si ha notizia
di molte incursioni turchesche nel territorio di Bova, nel 1572 alla marina
di Bova si erano rifugiate due tartane cristiane per sfuggire
all'inseguimento di un naviglio turco, l'equipaggio chiese aiuto ai bovesi e il
governatore della città, alla guida di un numeroso stuolo di cittadini, scese
alla marina. La battaglia durò molte ore e i turchi rimasero uccisi sulla
spiaggia ed il piccolo esercito bovese riuscì a mettere in fuga le loro navi.
Il terremoto
del 1783 provocò
a Bova notevoli danni valutati per cinquantamila ducati.
Nel gennaio 1799 nacque
la Repubblica
napoletana, ma non tutto lo stato napoletano ne fece parte, infatti
l'estrema provincia di Reggio,
Bova compresa, rimase sotto il governo dei Borboni.
Nel febbraio 1799 il cardinale
Ruffo sbarcò in Calabria alla
riconquista del regno e fu agevole in tale zona l'organizzazione delle bande che
accorrevano ai suoi ordini. Uno dei primi paesi che rispose al suo appello fu
Bova, dove si costituì una grossa banda
di Sanfedisti che mosse verso Reggio incorporandosi
alle truppe del cardinale.
Oltre alle
catastrofi naturali, Bova subì nel 1943,
durante l'ultimo
conflitto mondiale un grave bombardamento da parte degli
angloamericani, che danneggiò notevolmente le strutture abitative; nella strage
morirono ventisei cittadini bovesi.
Secondo la
leggenda una regina Armena avrebbe
guidato le sue genti sul monte Vùa. Dal nome latinizzato, Bova, detto così
perché luogo adatto al ricovero dei buoi, derivò lo stemma rappresentante il
bue, cui in epoca cristiana, fu aggiunta la figura della Madonna col Bambino in
braccio.
MONUMENTI E
LUOGHI D'INTERESSE -
L’arrivo a Bova
lascia tutti di stucco. Nello slargo antistante la piazza principale, si eleva a
simbolo dell’emigrazione, una locomotiva
740 Ansaldo Breda, del 1911, la vaporiera più rappresentativa delle
Ferrovie dello Stato.
Poco distante,
lo sguardo cade sull’imponente Palazzo
dei Nesci Sant’Agata, con il suo arco merlato, costruito nel 1822.
Sulla piazza principale si staglia il Municipio, costruito nei primi del
Novecento sulle fondamenta di Palazzo
Marzano, del quale rimane solo l’adiacente cappella di famiglia,
dedicata all’Immacolata, attualmente adibita ad ufficio turistico.
Alle spalle si
erge il santuario
di San Leo, patrono del borgo: San Leo, monaco italo greco, vissuto
nel XII secolo nei pressi di Africo Vecchio. Le sue reliquie sono custodite in
urna in argento, commissionata a Napoli nel 1855, da Antonino Marzano. La
cassa in argento è sovrastata da un bellissimo busto in argento raffigurante il
santo, realizzato da un argentiere messinese nel 1635. Sull’Altare, consacrato
nel 1755, si colloca la statua in marmo di San Leo, reggente in mano una scure e
una palla di pece, attributi iconografici che ricordano il suo lavoro di picaro
svolto a scopi caritatevoli. Realizzata nel 1582, è considerata il
capolavoro di Rinaldo Bonanno anche se alcuni non escludono una partecipazione
del padre di Gian Lorenzo Bernini: Pietro. Secondo altre ipotesi la scultura si
deve invece a Michelangelo Naccherino, artista fiorentino, attivo nel Regno di
Napoli nella seconda metà del Cinquecento.
Alle spalle
della chiesa si trova una delle Porte
del Parco Nazionale dell’Aspromonte, all’interno del quale un
originale allestimento regala una suggestiva sintesi della cultura tradizionale
grecanica. Proseguendo lungo mille gradinate si giunge alla rocca che domina il
paese, a 950 metri d’altitudine.

Antico
forte d’età bizantina, fu ristrutturato in età Normanna e
Angioina, periodo a cui si possono oggi attribuire i pochi resti superstiti
delle murature perimetrali.
Ai piedi della
fortezza s’innalza la Cattedrale
dell’Isodia, titolo bizantino della Madonna presentata da
Sant’Anna al Tempio. Nel 1572, in questa chiesa il vescovo cipriota, Giulio
Stavriano, abolì il rito bizantino, decretando la compiuta latinizzazione
dell’estremo Sud della Penisola. Seguendo il profilo delle rupi che
abbracciano Bova si scorge l’ultima delle torri che dal tempo degli Angiò
(XIII-XIV sec.) cingono la città.
Il quartiere
denominato Pirgoli,
(in greco torri) era un tempo la giudecca di Bova. La sua porta meridionale
venne inclusa nell’arco che unì le due ali del Palazzo
dei Mesiano Mazzacuva, ricostruito dopo il terremoto del
1783.
Interessante è
anche la chiesa di San Rocco, edificata, all’ingresso antico del paese,
dopo la peste che colpì il borgo nel 1577. L’edificio terminato probabilmente
nel 1622, anno in cui un’iscrizione ricorda realizzato il portale principale,
conserva al suo interno la statua lignea ottocentesca di San Rocco.
Il
borgo ospita inoltre due importanti musei: il Museo
della Lingua Grecanica dedicato a Gerhard Rohlfs, noto linguista
tedesco che rese nota al mondo intero le antiche origini di questo idioma, e il Museo
Civico di Paleontologia e Scienze Naturali dell’Aspromonte,
entrambi siti all’ingresso della cittadina. Nell’antico quartiere Rao, nelle
vicinanze della Piazza comunale si trova invece il Museo
all’aperto della Civiltà Contadina, inaugurato solo di recente
grazie al contributo di Saverio Micheletta, emigrato bovese che ha voluto
immortalare i ricordi della sua infanzia attraverso cimeli della vita
agropastorale della sua terra.
Bova
è uno dei pochi paesi nel quale ancora permangono antichissimi usi e costumi. L’artigianato
ha radici davvero lontane e qui una delle sue massime espressioni è la
tessitura popolare. Lana, lino, cotone e ginestra fornivano alle tessitrici gli
elementi ricavati in maniera naturale, che poi venivano lavorati con il telaio a
mano per produrre tessuti che, cuciti a gruppi di tre, formavano le coperte
vutane. I disegni più comuni risalgono proprio all’epoca bizantina: il
“mattunarico”, il “telizio”, la “greca”, il “greco”, le
“muddare”.
L’altro
versante artigianale storico del luogo è quello della lavorazione del legno.
Originariamente gli oggetti in legno finemente intarsiati erano frutto del
lavoro dei pastori: telai, stampi per dolci (plumia), cucchiai (mistre) e
soprattutto le musulupare, stampi per l’antico formaggio aspromontano “musulupu”.
La cucina locale richiama i sapori e i colori di quella squisitamente
mediterranea, ma la sua origine è decisamente grecanica.
Caratterizzata
dagli elementi della tradizione agro-pastorale, la cucina ha alla sua base latte
di capra, pomodoro, olio di oliva, che costituiscono gli ingredienti di
prelibatezze come i maccarruni
cu sucu da crapa, i cordeddi
al sugo, i tagghiarini
con i ceci, i ricchi
di previti con il pomodoro, la carne
di capra alla vutana. Molto ricercati da queste parti i salumi
(salsiccia, capocollo, soppressata), i formaggi, tra cui le ricotte
e i musulupi (un formaggio fresco che si consuma nel
periodo pasquale) e i dolci della festività, come i pretali della
tradizione natalizia, le ‘nghute della
tradizione pasquale, le scaddateddi,
ciambelle con il buco e semi di cumino. Da gustare anche la lestopitta,
una frittella di farina e acqua, fritta nell’olio da mangiare calda.
Sentiero della
Civiltà Contadina -
Il Sentiero
della Civiltà Contadina è un museo all'aperto nel comune di Bova, capitale
dell'area grecanica della Calabria, ideato e realizzato da Saverio Micheletta.
È un percorso che si snoda nei vicoli dell'antico borgo dove sono stati
installati i principali strumenti di lavoro della cultura contadina: macine di
mulino ad acqua e a trazione manuale, torchi e presse di frantoio, abbeveratoi
per animali, palmenti per pigiare l'uva, torchi per estrarre l'essenza di
bergamotto e molti altri oggetti appartenenti all'antica civiltà agricola.
I
lavori di costruzione del museo sono durati circa un anno: dall'idea iniziale
del luglio 2014, ai lavori di recupero degli strumenti, al loro restauro e
installazione nel paese, fino all'inaugurazione dell'agosto 2015. Oltre alla
determinazione di Saverio Micheletta, il Sentiero ha visto la luce anche grazie
ai tanti concittadini che hanno messo a disposizione molti degli oggetti
installati, attrezzi abbandonati ormai da decenni nelle loro campagne.
Il
Sentiero della Civiltà Contadina è un viaggio nella storia personale di un
uomo e, allo stesso tempo, nella cultura collettiva di un territorio. È la
valorizzazione di un antico borgo che ha resistito nei secoli alle invasioni di
popolazioni straniere, alle calamità naturali, agli stravolgimenti della
modernità e che continua con fierezza e orgoglio a rappresentare un'eccellenza
della Calabria e dell'intero Paese.
Il Castello
Normanno dell’antico borgo, in parte scavato nella
roccia, risale al secolo XI e sorge sulla cima del Monte Rotondo a circa 827 m
s.l.m., in posizione egemone sulla sottostante vallata.
Le
poche tracce che rimangono della struttura originaria non sono sufficienti per
ricostruire lo sviluppo planimetrico della pianta e nemmeno per datare e
riconoscere le successive fasi costruttive di tutto l’impianto.
Le
fonti descrivono un imponente castello fondato in epoca normanna e potenziato
nel 1494 dagli Aragonesi. Dai pochi elementi, tuttavia, si può affermare che il
castello fu progettato e costruito su vari piani di elevazione le cui fondazioni
poggiavano direttamente sulla roccia. Gli ambienti ancora esistenti si trovavano
su tre livelli: al piano inferiore “un salone” al quale si accedeva
attraverso un “corridoio”; al piano superiore le due stanze e ancora più in
alto una piccola cappella con pianta rettangolare e coperta con volta a
botte e affrescata, di cui restano ancora le tracce.
I
muri interni hanno lo spessore di oltre 60 cm. mentre quelli esterni ricavati
dallo scavo della roccia, misurano 1.50 m. Tali muri, presentano delle caditoie.
Al
Castello si addossavano le mura di cinta della città di cui faceva parte la
Torre Parcopia ancora oggi esistente. La Torre, costruita nel X secolo, è posta
ad ovest rispetto all’abitato e al castello e presenta una forma
unicircolare con anello basamentale più ampio di diametro, in pietra e mattoni.
La parte superiore invece è stata costruita con una muratura mista fatta di
pietre e cotto.
Intorno
al castello sono nate anche diverse leggende locali. Su di un macigno, tra le
rovine del maniero, è ancora visibile l’orma del piede di una donna che la
leggenda vuole sia appartenuto alla Contessa Matilde di Canossa la quale aveva
ricevuto il castello dal Pontefice Gregorio VII. Se l’orma corrispondeva con
quella di una fanciulla quest’ultima avrebbe scoperto di discendere dalla
famiglia della Contessa.
Un’altra
leggenda parla dell'”Orma della Regina”. Secondo la leggenda, se il piede di
una fanciulla avesse combaciato perfettamente con quello della Regina la roccia
si sarebbe aperta facendo scoprire a quest’ultima il tesoro custodito.
Da
Reggio Calabria il sito è raggiungibile in circa 52 km.

Bova Marina
Compreso tra Capo Crisafi, il San Giovanni d’Avalos e l’Amendolea,
Bova Marina nasce in tempi relativamente recenti staccandosi dalla più interna
Bova.
L’antico scalo di Bova, detto in
greco Yalo tu Vùa, Marina di Bova, crebbe come entità urbana a sé stante alla
fine dell’Ottocento sulla baia di Capo San Giovanni D’Avalos, il più
elegante promontorio dello Jonio.
Il borgo di Bova Marina sorse infatti alla fine dell’Ottocento per volere
del vescovo di Bova Mons. Dalmazio D’Andrea, il quale comperò una grande
vastità di terreni, lungo gli argini del torrente Sideroni per donarli ai più
poveri. Ne commemora il ricorda la lapide affissa sulla facciata della chiesa
dell’Immacolata di Bova Marina, fondata dallo stesso vescovo. Bova Marina
crebbe quindi in concomitanza all’urbanizzazione della costa jonica,
determinata da una serie di fattori vantaggiosi, come ad esempio la costruzione
della ferrovia, della statale 106 e dalla crescente redditività derivante dalle
colture nelle pianure alluvionali, progressivamente bonificate e non più preda
delle invasioni turchesche che minacciarono i litorali fino ai primi ai del XIX
secolo.
Ancora nel Settecento l’attuale piana dove in seguito crebbe la
cittadina costiera era chiamata semplicemente pianura piccola, per distinguerla
dalla grande valle di San Pasquale che invece veniva chiamata pianura grande. Il
piccolo borgo di pescatori divenne nel 1910 un comune a se stante,
progressivamente abitato dai cittadini di Bova, i quali trovarono sempre più
vantaggioso vivere dei proventi della coltivazione dei bergamotteti e in seguito
anche dai gelsomini.
Jalò tu Vùa è
un territorio ricco di storia e anche uno dei più preziosi siti archeologici
della Bovesìa. Vanta infatti uno straordinario prestigio grazie ai ritrovamenti
di carattere archeologico venuti alla luce in località Deri, nella vallata del
San Pasquale,
dopo le ricognizioni effettuate da Liliana Costamagna tra il 1983 e il 1987.
Il
sito, oltre a recare tracce di un insediamento del periodo protostorico,
databile al X sec. a.C., conserva i ruderi di una villa romana, di un
acquedotto e di alcune tombe, e il basamento di una struttura databile al IV
sec. d.C., identificata come sinagoga soprattutto per la presenza di un
pavimento musivo recante simboli della tradizione iconografica ebraica, la
menorah, lo shoffar, il cedro e la foglia di palma. Essa sarebbe la più antica
in Occidente dopo quella di Ostia Antica.
La sinagoga sorgeva in una località interessata da altre strutture, e si
ipotizza pertanto l’esistenza di un piccolo villaggio in prossimità della
zona costiera, che anticamente collegava Reggio con le altre località del
litorale jonico.
Tale sito è identificabile con l’antica Scyle, indicata, con diverse
varianti, negli antichi Itineraria; ciò sarebbe confermato dalla presenza del
toponimo Scillàca in contrada Deri.
Numerosi sono gli insediamenti preistorici ritrovati (circa 70) attorno al
centro di Bova Marina, in particolare del neolitico, dell’età del rame e del
bronzo. Il più antico, in località Umbro, a 200 m di altezza slm nei pressi
del nuovo asse viario che congiunge Bova Marina a Bova, fu abitato inizialmente
dalla prima metà del VI millennio a.C. fino al 4000 a.C., e in seguito durante
l’età del Rame. Tra i ritrovamenti più caratteristici sono da segnalare una
deposizione rituale di contenitori ceramici, forse da collegarsi all’abbandono
del sito, e probabili strutture abitative risalenti al VI millennio a.C. Gli
scavi, inoltre, hanno restituito tipici campioni di cultura materiale neolitica:
ceramiche decorate a impressione, utensili in pietra scheggiata, asce in pietra,
strumenti litici di ossidiana e selce, recipienti non decorati e vasi decorati.

Bova Marina offre al turista interessato a conoscere gli aspetti culturali
più antichi dei luoghi, l’importante itinerario del Parco archeologico
Archeoderi, in contrada San Pasquale,
dove è possibile visitare tutta l’area attorno alla sinagoga e, all’interno
dell’Antiquarium, diversi reperti appartenenti all’età neolitica, del
bronzo, magnogreca e bizantina, oltre al prezioso mosaico ebraico.
Inoltre, risalendo la vallata si possono visitare i ruderi
della chiesetta bizantina della Panaghia, uno degli innumerevoli
luoghi dell’itinerario di culto dei santi italogreci d’età bizantina, che
ricorda nella sua struttura circolare il battistero di Santa Severina e la
Cattolica di Stilo.
Ed ancora, a testimoniare il culto bizantino, si può visitare, in località
Apambelo su una piccola collinetta che si alza tra gli uliveti e le distese di
ginestra, i ruderi di un altro tesoro bizantino, la chiesetta di San Niceto databile al X secolo.
A Bova Marina ha la propria sede
l'I.R.S.S.E.C. (Istituto
Regionale Superiore Studi Elleno Calabri) al cui interno si può oggi
ripercorrere, dopo una recente inaugurazione, l’itinerario delle tradizioni
artigianali visitando il Museo della Civiltà Contadina, che arricchisce quindi
l’offerta culturale della cittadina.
Operano inoltre, a tutela della lingua e della cultura dei Greci di
Calabria, due delle principali associazioni del territorio, Odisseas e Jalò tu
Vùa.
Molto suggestivo il sito di Capo San Giovanni d’Avalos
o “Ten arcan tou Boòs”, la punta di Bova, come indica un documento
bizantino dell’XI secolo. Sulla cresta dell’elegante promontorio, dedicato
dai greci ad Ercole si trovano oggi monumenti simbolo della storia di questa
costa grecanica: una torre cavallara del Cinquecento, una chiesetta
settecentesca, voluta da una famiglia di nobili benefattori, i Marzano, e una
massiccia statua in bronzo della Madonna del Mare, portata
qui in elicottero nel 1962. La devozione alla Vergine, celebrata la prima
settimana di Agosto, con una suggestiva processione sul mare, si lega alla
presenza della chiesa intitolata alla Madonna del Porto Salvo, rimasta in piedi
alla base del promontorio fino a quando, alla fine del Seicento, una violenta
mareggiata ne cancellò il ricordo. La dedica alla Madonna del Porto Salvo è da
connettere al ruolo di scalo sottovento che da secoli ha caratterizzato Capo San
Giovanni d’Avalos. La stessa statio di Skile identificata in località San
Pasquale, così come i resti archeologici scoperti nell’area di Tripepi, nella
periferia orientale di Bova Marina, erano infatti connessi anche alla presenza
di uno scalo commerciale marittimo, altre che alla presenza delle fiumare del
Sideroni e del San Pasquale.

Fonte:
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