Alle pendici di
quell’Aspromonte raccontato da Corrado Alvaro sorge Polistena, cittadina che
si affaccia sulla piana di Gioia Tauro e il cui centro urbano settecentesco è
tra i più interessanti dell'intera provincia di Reggio Calabria,
con i suoi
giardini, i numerosi palazzi nobiliari, le chiese monumentali, tuttora
conservati in perfetto equilibrio architettonico con il centro urbano più
recente.
Polistena ha
conservato intatte molte delle tradizioni del passato, arrivate ad oggi con la
stessa carica di sacralità e cultura.
Sebbene non
rientri nei confini amministrativi del Parco Nazionale d'Aspromonte, Polistena
è comunque inserita in un'area di eccellente valenza naturalistica nella quale
elemento di grande importanza paesaggistica e territoriale è proprio il
massiccio montuoso dell'Aspromonte, così come le colline che digradano verso il
mare, ondulate e a macchia mediterranea.
Il toponimo Polistena deriva forse dal greco, ed è associazione di
due termini polis (città) e tena (forte) o tenon (fortezza). Si
pensa anche che derivi sempre dal greco ma dalla parola polùstenos (molto
stretto). Polistena, posizionata fin dai tempi storici in una verdeggiante
piana, è altresì situata al centro dell'istmo più breve tra le città magno-greche di Locri e
Medma (Rosarno),
e fu una stazione di passaggio per i locresi che dovevano raggiungere Rosarno. I
ritrovamenti archeologici (che sono nel museo
di Polistena), evidenziano una forte frequentazione del territorio e
ipotizzano la presenza di un qualche aggiornamento urbano prima e dopo l'epoca
della colonizzazione della Magna
Grecia. Nel territorio sono stati rinvenuti anche oggetti di epoca neolitica,
mentre altri ritrovamenti di epoca più recente hanno permesso di identificare
la presenza di insediamenti romani.
I primi
documenti che attestano l'esistenza di Polistena con il nome attuale risalgono
però al XIII secolo, quando un villaggio con questo nome viene nominato in
occasione di una cessione di alcuni terreni a favore del monastero di Santa
Maria di Campoforano. Siamo nel 1266,
ma probabilmente la città con il nome Polistena esisteva ancora da prima, cioè
almeno dal 1221 come
attestato in un rescritto di Papa Onorio III inerente allo stato di decadenza di
alcuni monasteri basiliani della Calabria Meridionale, tra cui ben 3 di
Polistena.
Nel 1291 Polistena
viene concessa in feudo ad Aldobrandino di Firenze da Carlo
II , nel 1875 si
ritrovano nel fondo (Fra Giacinto), delle moneta d'oro del diametro di 21
millimetri, che appartenevano alla Repubblica
Fiorentina. Nel medioevo fu
sede di numerosi casati, fra cui quello dei Milano
Franco d'Aragona e poi Riario
Sforza.
Nel 1921 l'archeologo Paolo
Orsi incaricò il Vincenzo
De Cristo (di Cittanova) per eseguire alcuni scavi sul sito di Altanum
(che va da Cinquefrondi-Polistena-San
Giorgio Morgeto).
Melicucco,
dal 1816 e fino al 1936 è stata frazione di Polistena. Il podestà era Giuseppe
Lombardi ed il monsignore Luigi
Guido, arciprete.
Il 5 febbraio 1783, Polistena
fu rasa al suolo dal terremoto che
interessò l'Italia
meridionale, le vittime furono 2.261 su 4.600 abitanti circa. Tutti gli
edifici crollarono, con l'eccezione della chiesetta di Sant'Anna dove vennero
sepolte le vittime del sisma.
Polistena fu
ricostruita completamente su un'altura più a nord su progetto dell'architetto
napoletano Pompeo
Schiantarelli. Fu realizzato un particolare impianto urbanistico che
vide situarsi nella parte alta palazzi con imponenti frontespizi e portali in
pietra granitica locale, mentre le fasce meno abbienti ripopolarono il vecchio
sito ricostruito sulle muraglie.
Polistena prima
del terremoto era una tranquilla cittadina, il palazzo dei Milano (nel palazzo
si trovava un teatro), feudatari di San
Giorgio Morgeto e Polistena, era a nord del fiume Jerapotamo che
tagliava in due Polistena. Intorno al palazzo del Marchese, si trovavano le case
delle altre famiglie nobili tra cui, Lombardi, Rodinò, Rovere, Sergio e altri
ancora. Dall'altra parte del fiume, a sud, gli artigiani e i contadini.
Il terremoto
del 16 novembre 1894 interessò la Calabria meridionale, con
epicentro molto simile al sisma del 1783 (zona di San
Procopio) ma fortunatamente con conseguenze meno gravi vista la minor
entità della scossa. I morti totali furono circa 100 (contro le oltre 30.000
vittime del 1783) e comunque svariati furono i danni materiali.
A Polìstena la
scossa delle 6:15 non provocò danni, quella più forte fu quella delle ore
18:50, che creò gravi lesioni soprattutto agli interni degli edifici. Ci furono
fratture negli archi della chiesa
del Rosario, e dalla costruzione alta 38 metri si distaccò la facciata.
Da segnalare che i danni maggiori si ebbero nella parte alta della città (zona
Evoli) piuttosto che nella zona bassa (detta Arco), e su un totale di 2.850 case
furono 378 quelle danneggiate, 18 delle quali inabitabili, 5 crollarono
parzialmente e 54 invece in modo lieve e furono restaurate. Nessun danno
particolare alle persone, e dal censimento del 1881 all'epoca
gli abitanti di Polistena erano 8.400.
Il Terremoto
della Calabria del 1905 fu un grande sisma che colpì principalmente
la Calabria Centrale con 557 vittime, 2.615 feriti e gravissime distruzioni
materiali. Le conseguenze di tale sisma a Polìstena furono fortunatamente più
limitate essendo distante da Nicastro,
zona dell'epicentro, e non furono registrati danni alle persone; tuttavia ci
furono importanti danni materiali. Furono demolite 6 case, puntellate 33 e
riparate 196. Il muro laterale destro della chiesa di San Francesco minacciò di
crollare. Danneggiate anche altre 5 chiese tra le quali quella della Trinità fu
chiusa al culto.
Il terremoto
del 28 dicembre 1908. Non era ancora scomparsa l'eco drammatica del terremoto
del 1905 che un altro evento funesto colpì la regione, cioè il
sisma del 28 dicembre 1908. Esso interessò la Sicilia Orientale e la Calabria
Meridionale e, sotto le macerie delle immani distruzioni che si ebbero
soprattutto a Reggio e Messina, perirono almeno 80.000 persone.
Anche Polìstena,
pur lontana oltre 70 km dall'epicentro (Stretto di Messina), fu segnata dal
tragico evento, registrando 6 morti, 30 feriti, e moltissimi edifici danneggiati
e anche completamente distrutti; su 2.257 case che componevano la località 52
crollarono, 53 risultarono gravemente lesionate e in 204 si registrarono lievi
danni.
Tra le chiese,
già provate dalla scossa del 1905, i danni maggiori si ebbero alla Chiesa della
Trinità con il crollo del tetto, alla Chiesa dell'Immacolata con il crollo
parziale della facciata, e al Duomo di Santa Marina Vergine che, a causa degli
ingenti danni subiti nell'intero edificio, fu sul punto di venire abbattuto,
anche se poi venne restaurato radicalmente 20 anni dopo. Molti sfollati
furono alloggiati in provvisorie baracche di legno, posizionate in zone
periferiche della città, e una di queste zone è oggi sede della villa
principale della città, Villa Italia, i cui alberi furono impiantati negli anni
'30. La ricostruzione degli edifici distrutti e le riparazioni di quelli
danneggiati, in ogni caso, furono piuttosto veloci, e Polìstena si riprese in
breve tempo dal tragico evento.
Duomo
di Santa Marina Vergine
Il duomo
di Polistena noto anche come "chiesa matrice" è la principale
chiesa di Polistena ed
è dedicata a santa
Marina, patrona della città.
L'attuale
chiesa risale al 1786 poiché
la chiesa originale è stata distrutta nel terremoto
del 1783. Un successivo terremoto, quello del 1908,
provocò danni così gravi all'intero edificio sacro che fu sul punto di venire
abbattuto, ma poi fu invece recuperato con un massiccio restauro tra il 1930 e
il 1932, e la restituzione al culto dei cittadini.
La chiesa
presenta una facciata semplice ma imponente su disegni di Francesco Jerace con
un alto campanile e nella parte superiore si conserva una scultura di santa
Marina Vergine. L'interno è invece a tre navate, più altre due cappelle
dedicate al Santissimo Sacramento e a san Rocco.
L'altare
centrale è in marmi policromi, e al centro è posizionata la nicchia lignea
(ebanista Francesco Formica) al cui interno è conservata la statua sempre
lignea di santa
Marina (opera di Vincenzo Zaffiro nel 1835). Sopra il coro ancora in
legno, progettato dagli ebanisti polistenesi Giuseppe e Giovanni Silipo (1893),
vi sono altre due raffigurazioni di santa
Marina, con due tele laterali del pittore Diego Grillo che descrivono
momenti della vita di Santa
Marina[10]; infine al di sopra della nicchia, vi è una tela absidale del
pittore polistenese Ugo Borgese che raffigura i quattro evangelisti con
al centro Gesù (1962).
L'opera più
importante presente nella parte destra del transetto è senza dubbio la pala
marmorea della Deposizione, altorilievo cinquecentesco proveniente
dalle macerie dell'antica Chiesa Madre, e collocato nella attuale chiesa nel
1822. La Pala, secondo Francesco
Jerace è opera di Giovanni
Merliani da Nola, secondo altri di Giovanni
Antonio Montorsoli e bottega. Sopra la pala marmorea è collocato un
quadro dell'Eucaristia del pittore Brunetto Aloi del 1840. Dalla parte sinistra
del transetto invece vi è un altare in stucchi e una Madonna
del Carmelo e al di sopra di esso una tela della Deposizione, donata
dalla pittrice Perla Panetta nel 2014.
La Cappella di
San Rocco è posizionata dalla parte opposta della precedente cappella, in fondo
alla navata sinistra, ed è caratterizzata dalla presenza di una nicchia molto
simile a quella dell'altare centrale, che contiene all'interno una pregevole
statua sempre lignea di san
Rocco, opera di Fortunato Morani nato 1773 ad inizio '800. Della
statua di San Rocco in casa di Francesco Morani a Polistena si conserva ancora,
il bozzetto originale; ai lati della statua di san Rocco vi sono altre due
statue, quella in cartapesta di san
Biagio del Morani e quella di san Felice, mentre in altre due
piccole nicchie laterali sono custodite rispettivamente la statua dell'Immacolata,
e una reliquia di santa Marina, precisamente una costola, che si trova in un
reliquiario d'argento e che viene portata in processione durante la festa
insieme alla statua. Tale reliquia arrivò a Polìstena nel 1870 per
intercessione del vescovo polistenese Domenico Maria Valensise.
Posta oltre la
parte destra del transetto, la Cappella del Santissimo Sacramento conserva
l'altare omonimo, opera dello scultore Francesco
Jerace (1893), che è sovrastato da una tela (metri 4 x 2)
raffigurante l'Ultima cena anch'essa di Jerace e
dipinta nel 1904 (a devozione del padre Fortunato).
Nella navata
centrale si ammira in tutta la sua magnificenza il soffitto a cassettoni dorati,
opera dei fratelli polistenesi Pasquale e Francesco Mancuso, con al centro
la Resurrezione di Lazzaro, grandiosa tela realizzata agli inizi del 1900
da Carmelo Zimatore di Pizzo
Calabro. Sempre nella navata centrale si trovano alcuni medaglioni in
carboncino che raffigurano dei santi, eseguiti dal polistenese Giuseppe Grio, e
il fonte battesimale recuperato dall'antica chiesa, con base marmorea del 1782 e
con intaglio ligneo sulla parte superiore eseguito da scultori locali.
All'ingresso
della navata sinistra si nota un dipinto raffigurante il martirio di sant'Andrea,
sempre opera dell'artista Zimatore; da qui in poi è un susseguirsi di statue,
tra cui quelle lignee di san
Nicola e dell'Addolorata,
opere eseguite la prima da Francesco Morani la seconda da Vincenzo Morani (padre
e poi figlio) da un crocifisso con ai lati i busti lignei, scolpiti dall'artista
napoletano Gennaro Franzese, di santa
Chiara e di santa
Veneranda, quest'ultima già appartenuta alla chiesetta di Santa
Veneranda, anch'essa andata in rovina con il terremoto del 1783; e infine vi è
l'altare di san
Michele con annessa statua lignea. E per ultimo altare e Madonna del
Carmine scolpita da Fortunato Morani nato nel 1773 ed altare in stucchi eseguito
dal figlio Francesco intorno al 1831 a devozione della Signora Pavia. Come da
dicitura scritta sotto la base, che si sta deteriorando e scomparendo.
Percorrendo la
navata di destra, si nota una pala d'altare raffigurante l'Immacolata con S.
Marina ed altri santi (attribuita al Colloca); l'altare e la statua di santa
Rita, la statua di Maria
Ausiliatrice e infine quella del Sacro
Cuore di Gesù (con annesso altare marmoreo del 1935).
Sono inoltre
presenti un confessionale che porta scolpita la data del 1783, dei preziosi
paramenti sacri, un archivio parrocchiale con registri che datano a partire dal
1586, e le vetrate dell'artista polistenese Giuseppe Niglia.
Santuario
di Maria Santissima dell'Itria
Il santuario
di Maria
Santissima dell'Itria, fino al 1997 chiesa della Trinità, sorge
oltre piazzetta Bellavista, non lontano da piazza della Repubblica, centro della
città ed è una delle più antiche di tutta Polistena.
Dell'originale
edificio si hanno notizie già dal 1541, quando
fu aggregato alla Basilica Lateranense di Roma, poi esso fu raso al suolo
dal disastroso terremoto del 1783. Ricostruita poco dopo, la chiesa, a
navata unica, esternamente si presenta con facciata a due piani con
due ordini di colonne granitiche (opera di Raffaele Rovere, capo-mastro
polistenese dell'800), per la muratura perimetrale, mentre la facciata fu
realizzata partendo dai disegni di Francesco Morani (1804). Le colonne
granitiche furono invece montate dal padre di Francesco Jerace.
Vi sono inoltre un portale in pietra e una vistosa cupola di piastrelle
maiolicate policrome.
La
cripta conserva i resti di numerosi illustri cittadini legati alla
Confraternita; nella navata di sinistra, sotto il gruppo statuario della
Deposizione, è visibile la sepoltura di Donna Ottavia Valensise Fazzari (S.
Giorgio M. 1829 - Polistena 1861), moglie prematuramente scomparsa del musicista
Michele Valensise (1822-1890) e molto amata in paese per le sue numerose opere
caritatevoli.
All'interno
si conservavano una serie di "tesori", alcuni dei quali però andarono
distrutti o seriamente danneggiati a causa dell'incendio del 22 maggio 1988, causato
da un probabile corto circuito partito dal soffitto in legno a cassettoni (opera
dell'ebanista polistenese Francesco Mancuso nei primi anni del Novecento,
è stato ricostruito ex novo nel restauro della chiesa), per poi propagarsi alle
altre strutture.
Malgrado
i lavori di ripristino conclusi nel 1996, la chiesa oggi si presenta
rimaneggiata; tuttavia all'interno si conservano varie opere, tra cui: una
piccola icona posta
sull'altare maggiore raffigurante la Santissima Trinità, ed è copia in
dimensioni ridotte del quadro originale del pittore locale Giovan Battista
Valensise (1824-1859),
rubato dalla chiesa tanti anni fa; l'altare maggiore in marmi policromi fu
ricostruito nel 1871 per volontà dell'Arcivescovo Domenico Maria Valensise
(1832-1916) e proviene dall'antico convento dei Domenicani, distrutto nel
terremoto del 1783.
L'altare
ha subito importanti danni nell'incendio del 1988 ed è stato restituito allo
splendore originario dopo un lungo e difficoltoso restauro.
Continuando
la descrizione delle opere d'arte della chiesa, da segnalare un quadro di
Brunetto Aloi del 1852 rappresentante
la Madonna dell'Itria, attualmente non custodito in chiesa, così come una
tempera su tavola della fine del XVI secolo sempre raffigurante la Madonna
dell'Itria, e di ignoto "madonnaro" locale; un imponente gruppo
statuario ligneo della Madonna dell'Itria, opera dell'artista serrese Vincenzo
Scrivo del 1798, e che fu eroicamente strappato alle fiamme del suddetto
incendio da alcuni giovani polistenesi, ancor prima dell'intervento dei vigili
del fuoco (tale gruppo statuario viene portato trionfalmente in processione la
seconda domenica di luglio per l'omonima festa); un altro imponente gruppo
statuario in legno e cartapesta raffigurante la Deposizione (in
dialetto "Schiovata"), in cui la scultura del crocefisso è opera di
Francesco Morani mentre le altre statue in cartapesta furono modellate da
Vincenzo Morani, e un tempo la "Schiovata" veniva fatta uscire il venerdì
santo (la processione non si svolge più già da parecchi decenni per
problemi organizzativi); un artistico pergamo in ferro battuto del
1885 (opera dell'artista polistenese Francesco Tripodi); le statue di san
Giovanni Battista (con annesso altare in stucchi di Francesco Morani fatto
a devozione del padre di Francesco Jerace nel 1859, alla base è annessa targa
che lo dimostra), santa Lucia, san Raffaele e san Francesco
d'Assisi, scolpito sempre dal Morani nel 1854. Infine dopo l'incendio sono stati
installati sulle mura perimetrali (in gran parte rivestite anch'esse di marmi
policromi) dei quadri con i momenti della Via Crucis.
Tra
le opere distrutte, da menzionare il coro in
legno, non più ricostruito, e soprattutto la grande pala d'altare del
messinese Natale Carta, raffigurante sempre la Madonna dell'Itria, sostituita da
una parete bianca al cui centro è stato posto un grande Crocefisso in legno e
cartapesta con le braccia del Cristo mobili, restaurato nel 2015, che fino ad
alcuni decenni fa veniva usato durante la funzione liturgica dell'agonia il
Venerdì Santo.
Chiesa
di Sant'Anna
La chiesa
di Sant'Anna è la più antica chiesa di Polistena. Fu infatti l'unico
edificio a resistere al terremoto del 1783 che rase al suolo l'intera
città. Come scrive Domenico Valensise, infatti, la chiesa non solo resistette
al terremoto ma rimase anche aperta al culto e accolse le ceneri dei polistenesi
periti nel flagello.
I
cadaveri, infatti, vennero trasportati nel largo antistante la Chiesa della SS.
Trinità, dove vennero bruciati e le ceneri, una volta raccolte, vennero
tumulate nella Cappella. A memoria di tale fatto fu posta un'iscrizione
cancellata dall'umidità e dal tempo, su cui si può ancora leggere la parola EXSTINCTOS.
La chiesa sorge al di sotto di piazzale Trinità, vicino al santuario
di Maria Santissima dell'Itria.
L'ultima
sepoltura effettuata nella chiesa di S. Anna, fu di 71 morti nel 1877, al pari
di altre chiese di Polistena più importanti questa chiesa funse da vero e
proprio cimitero.
Chiesa
della Madonna della Catena
La chiesa
della Madonna della Catena chiamata
semplicemente Chiesa della Catena sorge nella parte bassa della
città, ai confini con i comuni di San
Giorgio Morgeto e Cittanova.
La chiesa, che possiede una singola navata, venne fondata nel 1894 ed
eretta nel 1895 da
Giuseppe Nicastro, per ricordare l'antica chiesa che sorgeva in quel punto.
Ancora oggi continua a essere meta di numerosi pellegrinaggi, specialmente
durante le festività. Maria Santissima della Catena, cui è dedicata la chiesa,
viene solennemente festeggiata la terza domenica dopo Pasqua, protettrice delle
partorienti e dei carcerati.
Chiesa
dell'Immacolata Concezione
Essa
faceva parte dell'antico convento degli Osservanti, operante a Polistena prima
del terribile terremoto
del 1783 che tutto
distrusse. Dopo il terremoto, la chiesa fu ricostruita in modeste dimensioni
assieme al convento il quale però venne definitivamente soppresso nel 1809. Del
convento resta la testimonianza di una massiccia porta lignea all'interno della
chiesa.
La chiesa fu poi ampliata a cavallo tra il XIX e XX secolo da parte di artigiani
e operai polistenesi (i Rovere, Formica, Calcopietro) in occasione del
cinquantenario del dogma dell'Immacolata Concezione (1854), e un'epigrafe in
latino incisa su una pregevole lastra di marmo e conservata nella chiesa, fu
dettata dall'Arcivescovo Domenico M.Valensise (1832-1916) a testimonianza delle
origini della chiesa stessa..
L'edificio sacro subì gravi danni a seguito di un altro evento funesto, il
terremoto del 1908, in
cui ci fu il crollo parziale della facciata, ma fu prontamente restaurato pochi
anni dopo.
Divenuta parrocchia autonoma nel 1961, la chiesa è infine andata incontro ad
ulteriori lavori di restauro. Altri lavori di abbellimento negli anni '90 del XX
secolo e nel primo decennio del XXI secolo.
Ha
una facciata semplice ma imponente, da cui primeggia una grande cupola rivestita
in rame che si scorge anche da parecchi km di distanza. Sul finire del primo
decennio del XXI secolo, è stato aggiunto un alto campanile staccato
dall'edificio centrale. Prima di esso, la chiesa ne possedeva uno di
piccolissime dimensioni posto a fianco del timpano che, nel corso del tempo e
dei vari restauri, fu eliminato e il suono delle campane veniva riprodotto
mediante altoparlanti.
La
chiesa presenta un'unica e ampia navata che si presenta allo stato grezzo, con
un interessante tetto con travi in legno a vista, mentre le zone del coro,
dell'abside, del transetto e della cupola sono rifinite con stucchi e
decorazioni cromatiche di stile composito, grazie ai lavori eseguiti negli anni
'60 del '900 dal polistenese Antonio Ursida (nome d'arte "Pepè") su
disegni del prof. Michelangelo Parlato. La parte più pregevole senza dubbio è
l'altare centrale in marmi policromi, opera degli artisti napoletani Varvella e
Fluoreano (1771),
ed è adornato da tre statue marmoree di diversa provenienza: quella centrale
(altezza 1,88 m) raffigura l'Immacolata,
quelle laterali (altezza 1,60 m circa per entrambe) rappresentano
rispettivamente Santa Caterina e Santa
Lucia; quest'ultima
statua è attribuita a Pietro
Bernini.
Il
transetto è caratterizzato da due altari laterali in cui, entro altrettante
nicchie lignee, fanno bella mostra le statue anch'esse di legno di Sant'Antonio
(che viene solennemente festeggiato il 13 giugno), di origini settecentesche, e
quella dell'Immacolata Concezione, opera del 1833 del serrese Vincenzo Zaffiro,
che viene portata in processione l'8 dicembre. Adiacente all'altare di
Sant'Antonio, c'è una nicchia in cui è custodita la statua di San
Francesco da Paola raffigurato
nell'atto della preghiera. Dall'altra parte del transetto, vicino invece
all'altare dell'Immacolata, è stata costruita all'inizio del secondo decennio
del XXI secolo una grande cappella laterale, ben decorata e rifinita, usata tra
le altre cose per allestire l'Altare
della Reposizione la
sera del Giovedì
Santo.
Lungo
l'unica navata e il resto del transetto, si conservano inoltre numerosissime
statue devozionali in legno o cartapesta tra cui: san
Diego (scolpita da
Francesco Morani nel 1854), san
Giuseppe, sant'Espedito, san
Pio X, santa
Lucia, san
Pio da Pietrelcina, san
Pasquale, il Crocifisso (autore
Francesco Morani), e il gruppo della Pietà,
scolpito dalla ditta statuaria Malecore di Lecce nel
1905 e restaurato esattamente un secolo dopo, nel 2005; la Pietà viene portata
in solenne processione durante il tardo pomeriggio del Venerdì
Santo.
Infine, sono degni di nota i grandi quadri in mosaico artistico che raffigurano
le stazioni della Via
Crucis, aggiunti negli
anni '90 del '900.
Chiesa
di Maria Santissima del Rosario
La
Chiesa del Rosario è
un monumento edificato tra il 1852 e il 1862, ad eccezione del coro completato
nel 1890. Sorge laddove un tempo si trovava la chiesetta di San
Giuseppe (l'attuale sagrestia),
grazie alle maestranze locali della famiglia Rovere e dei
Morani prima
del terremoto del 1783 che distrusse ogni cosa, la chiesa del Rosario
apparteneva al Convento dei Domenicani.
L'esterno
della chiesa si presenta con due campanili e ordini di colonne, e vi sono
quattro nicchie che ospitano altrettante statue di santi aggiunte nei primi anni
del XXI secolo. L'interno è composto da tre navate con stucchi e altorilievi
neoclassici dei Morani. Si
conservano inoltre dipinti di Marino
Tigani, Carignani e
Scerbo, e gruppi dei Misteri di Luigi
Prenestino, portati in
processione la sera del venerdì
santo.
Ebbene
che si dica che tutti gli stucchi interni sono lavoro di Francesco MORANI ed
figli Fortunato e Vincenzo lavori che ebbero inizio il 22 Giugno 1873 come da
libro dei giorni lavorativi e disegni che ancora si conservano in casa Morani
dall'erede Francesco Morani.
L'altare
centrale, realizzato nel 1909 da Salvatore Grasso di Vibo Valentia,
è in marmo e presenta una nicchia centrale che custodisce la statua
ottocentesca della Madonna
del Rosario, la quale
proviene dal Convento dei Domenicani distrutto dal terremoto del 1783. La
statua è acroxila, dal momento che soltanto il volto e le mani sono lignee,
mentre il corpo ha un telaio imbottito di canapa, ricoperto da un vestito rosso
e un mantello bianco, ricamati entrambi con fili d'oro. In
alto è presente un quadro del pittore Marino Tigani che raffigura la Madonna
del Rosario di
Pompei con san
Domenico. Infine ai
lati dei gradini dell'abside vi sono le statue lignee dei santi
Cosma e Damiano, noti
anche come "santi medici", scolpite nel XIX secolo da Francesco
Morani.
Alzando
lo sguardo verso il soffitto, si ammira un enorme dipinto raffigurante la Battaglia
di Lepanto di Roberto
Carignani; si nota poi
sulla sinistra la statua di san Gaetano, mentre a destra vi è il pulpito
marmoreo; tutt'intorno, ci sono le 21 vetrate che raffigurano la vita di Gesù e
che sono state eseguite dalla ditta "Fontana" di Milano negli
anni '30 su disegni di Marino
Tigani.
All'ingresso,
nella navata di sinistra, troviamo un medaglione che raffigura santa
Caterina da Siena,
opera di Marino Tigani. Subito dopo, si trova il fonte battesimale progettato
dall'architetto Luigi
Giffone con il
Cristo di Michelangelo
Parlato (1966);
proseguendo nella navata, ci sono dei pregevoli altari decorati che custodiscono
diverse statue: la statua di san
Domenico di Guzman, le
statue dell'Addolorata e
del Cristo Morto,
e infine quella di santa Teresa.
Speculare
a quella sinistra, la navata destra presenta una serie di statue e altari,
preceduti da un medaglione d'ingresso (sempre dipinto dal Tigani) raffigurante
san Domenico di Guzmán. Proseguendo, si trovano: il gruppo statuario della
Madonna del Rosario di Pompei, la statua di san Vincenzo e San Luigi scolpite da
Francesco Morani, un quadro raffigurante san Raffaele e Tobia (di
Antonio Cammarere, copia di uno più antico rubato dalla chiesa nel secolo
scorso), e la statua di san
Luigi Gonzaga di
Francesco Morani.
Nella
parte sinistra del transetto troviamo la statua di san
Giuseppe, ancora opera
dei Morani (Francesco e figlio Fortunato scolpirono nel 1856).Nel transetto di
destra Sacro
Cuore di Gesù. Al
centro del transetto vediamo il
tamburo della cupola, e
sono presenti degli altorilievi raffiguranti quattro Santi: san Raimondo, san
Domenico, Sant’Agostino e san
Pietro da Verona,
mentre sono altrettanto degni di particolare nota i quattro evangelisti in
stucco di Francesco Morani posti nelle vele della volta centrale.
Chiesa
di San Francesco di Paola
Edificata
nella ricostruzione della città di Polistena, interessata dal terremoto
della Calabria meridionale del 1783,
la chiesa fu ultimata nel 1841 e
presenta un'unica navata.
Nello
spazio antistante la chiesa, nel 1836 e
in piena fase di ricostruzione della chiesa, fu posizionata una croce litica
risalente al 1739,
testimonianza dell'antico convento dei Paolotti sopraccitato che prima del
terremoto era situato in una zona del paese diversa da quella dove oggi si trova
l'edificio sacro.
Il
canonico don Antonio Pascale curò la restaurazione della chiesa, ribenedetta e
inaugurata da Mons.Vincenzo
De Chiara (Vescovo
di Mileto), il 14 aprile 1955.
I restauri alla Facciata della chiesa su progetto dell'Architetto Ing. Luigi
Giffone, con una
qualificata e ben distinta Ditta Edilizia di Cittanova.
La
facciata, che si sviluppa verticalmente, è affiancata da due torri campanarie a
base quadrata. Due nicchie ricavate ai lati del portale d'ingresso - sovrastato
da una finestra che funge anche da punto di luce per l'interno - ospitano due
statue in terracotta che raffigurano sant'Antonio
da Padova e san
Francesco d'Assisi,
eseguite dallo scultore Fortunato Morani nato il 1828.
All'interno,
l'altare maggiore è di probabili origini settecentesche e custodisce una statua
dello stesso periodo e di ignoto autore di San Francesco di Paola. Un'altra
statua dell'Ottocento, attribuita invece a Francesco Morani nato il 1804, è
riposta in un grande stipo in noce e viene portata in processione la seconda
domenica dopo Pasqua per l'omonima festa. L'altare è sovrastato da una tela
dipinta da Ugo Borgese nella seconda metà del Novecento, che raffigura San
Francesco in barca mentre attraversa lo stretto di Messina. Sono custodite nella
chiesa ulteriori statue lignee devozionali, tra le quali la Madonna
del Carmelo, la
riproduzione della grotta della Madonna
di Lourdes e santa
Fara (queste
ultime due statue sono poste sui loro rispettivi altari laterali del transetto).
Vi è poi vicino all'ingresso una tela ottocentesca dipinta da R. P. Seraphini
Torquato, nella quale è rappresentata la Deposizione.
Si conserva una lapide con iscrizioni (1730) già appartenuta al Convento dei
Paolotti operante a Polistena fino al 1866, ed infine la chiesa è stata
arricchita alla fine degli anni '50 del Novecento di un pulpito in marmo,
decorato da Michelangelo Parlato.
Gli stucchi,
eseguiti dai Morani nel
1855, furono danneggiati da infiltrazioni d'acqua e furono copiati dagli stessi
stucchi esistenti, sostituiti poi negli anni cinquanta del Novecento da Salvatore
Angilletta nel
corso di un radicale restauro.
Chiesa
della Santissima Annunziata
La
chiesa della Santissima Annunziata è una chiesa di modeste dimensioni, sorta
nel 1729 per
volere dell'arciprete D. Giuseppe Rovere dentro la vecchia Polistena. Dopo il
terremoto del 1783,
che la distrusse, venne ricostruita da D. Nicola Jerace, ed è stata restaurata
tra il 2013 e
il 2014 e
riaperta solennemente al culto dopo un lungo periodo di abbandono.
Si conserva
una scultura Annunciazione, Angelo in legno scolpito da Fortunato Morani e
immagine della Madonna in cartapesta con testa mani e piedi di legno scolpita
dal figlio Francesco.
Chiesa
del Palazzo Valensise
La
cappella Gentilizia di Palazzo Valensise è collocata appunto all'interno del
giardino di palazzo Valensise. Fu ampliata nella seconda metà dell'Ottocento da
mons. Domenico Maria Valensise, sopra quello che restava della chiesa del
Rosario, interna all'antico Convento dei Domenicani.
Si conserva al suo interno
il Cristo Risorto scultura di Francesco e Giovanni Morani eseguita nel 1856.
Chiesa
di Santa Maria degli Angeli
La
chiesa di Santa Maria degli Angeli sorge all'interno di Palazzo Riario Sforza,
già Palazzo Milano, il quale si affaccia a sua volta su piazza del Popolo.
Casa
Morani
Dopo
il terremoto del
1908, nasce a Polistena l'orfanotrofio maschile e femminile.Costruita
sulle fondamenta della precedente distrutta dal terremoto del 1783, in questa
dimora vi abitò per primo Fortunato Morano.
Dopo
la morte di Fortunato, che avvenne il 28 aprile 1836, la casa rimase alla moglie
e ai figli: sarà il figlio Francesco Morani nato il 1804, non come viene
additato incerta la sua nascita, anzi la sua nascita è scritta nei registri di
nascita della Chiesa Santa Marina di Polistena con scrittura personalizzata, ad
acquistarla definitivamente nel 1856 la casa che prima la deteneva
.
Monsignore
Morabito dopo il sisma decise che bisognava fare qualcosa per i tanti orfani che
il terremoto aveva procurato. All'inizio gli orfani vennero ospitati nei carri
merci delle ferrovie, solo dopo l'arrivo dei Frati
Maristi nel 1911,
vennero ospitati nelle baracche di legno.
Nel 1934 arrivarono
a Polistena i Frati
Concezionisti (I
figli dell’Immacolata Concezione), ancora oggi portano avanti l'opera,
cominciata dal Beato Luigi
Maria Monti.
Nel 1960 l'orfanotrofio
si trasforma, e viene chiamato Istituto di San
Giuseppe. Il 19 novembre 1984,
nasce la Comunità Luigi Monti, che si rinnova sia nel metodo educativo sia
nella struttura. Una speranza per tante famiglie e ragazzi in difficoltà.
All'epoca
che furono ricostruiti i nuovi locali, nel fare le fondamenta, è venuto fuori
un grande masso di granito che, in seguito, fu scolpito dallo scultore Francesco
Morani; l'opera rappresenta un "Padre che abbraccia l'orfano".
Oggi
è di proprietà di Francesco Morani pronipote e a sua volta dagli eredi di
questa famiglia di artisti Polistenesi.
Palazzi
nobiliari
Tutti
gli antichi palazzi presenti a Polistena, sono successivi al terremoto del 1783.
I più importanti sono:
-
Palazzo Riario Sforza, già palazzo Milano.
-
Palazzo Avati - Subito dopo il terremoto del 1783, che
distrusse la città di Polistena, il marchese Vincenzo Avati, discendente da una
famiglia spagnola, e la famiglia dei Milano decisero di ricostruire la
città sulla collina antistante al luogo in cui si ergeva l'antica Polistena.
Fu, in questa zona denominata Evoli, che vennero ricostruiti i primi edifici
come per esempio la chiesa matrice, il palazzo dei Milano e il palazzo Sigillò.
Fu
nel 1785 che iniziarono i lavori per il palazzo Avati con i mattoni provenienti
dalle città vicine di Anoia, Maropati e Galatro. I lavori terminarono nel 1790
e diedero alla luce una struttura di tre piani.
Nel
1908 il terzo piano venne demolito e sostituito da un tetto dando all'edificio
l'aspetto che presenta tutt'oggi.
Fino
al 1988 il palazzo è stato abitato dalla famiglia Avati, che poi lo vendette
alla Banca Popolare di Polistena Soc. Coop. A.r.l.; in seguito la Banca Popolare
di Polistena si è trasformata in Banca Regionale Calabrese ed è stata
acquistata dalla Banca Antoniana Popolare Veneta. Attualmente il palazzo è di
proprietà della società Il Marchese s.r.l.
Negli
anni novanta la struttura dell'edificio, che è in muratura ordinaria, è stata
rinforzata durante la ristrutturazione, sempre durante questa ristrutturazione
sono state aggiunte nuove scale ed ascensori nelle due ali laterali e un caveau sotterraneo.
Nel
2008 la Banca Antoniana ha accorpato la sua filiale in una sola ala mentre
l'altra è stata adibita ad uffici. Oggi
l'ala di via Orefici è occupata dalla filiale della Banca Monte dei Paschi di
Siena.
Dall'unico
accesso, quello centrale, si accede a un portico a cupole che divide l'edificio
in due distinte ali; dal porticato si accede anche all'ampio giardino di circa
1.120 m². Va ricordata
anche la presenza di una cappella con annesso campanile del 1770.
Originariamente,
prima della vendita alla banca, il piano interrato era destinato alla sicurezza. Oggi
nel piano interrato troviamo il caveau, realizzato negli anni 90, un
locale per operazioni riguardanti il caveau e alcuni depositi.
Al
piano terra, nell'ala centrale, si trovavano le cisterne per contenere l'olio di
oliva prodotto dall'Azienda Agricola del Marchese Avati, ai lati dell'ingresso
che conduce anche al giardino vi erano due uffici, che ospitavano la direzione
dell'azienda, e altre due stanze più grandi, una su ogni lato, di forma
quadrata che contenevano i prodotti agricoli pronti per essere commercializzati.
L'ala di via Orefice, che ospitava le scale per il piano superiore, ospitava
numerosi garage e depositi e l'ala di via Croce ospitava invece, oltre alla
scala di accesso ai piani superiori, le cucine e le stanze nella quale viveva la
servitù.
Oggi,
al piano terra, nell'ala di via Orefice, troviamo una sala d'attesa per il
pubblico e uno sportello nel quale posso lavorare quattro operatori, sempre su
questo piano troviamo le scale e l'ascensore che conducono al piano superiore e
al caveau sotterraneo. Ricordiamo anche al presenza degli uffici della
direzione della Banca. Sempre al piano terra troviamo la centrale dell'Enel
e quella per la climatizzazione e pompaggio dell'acqua. Nell'ala di via
Croce troviamo invece una grande sala di ricevimento, un'altra sala d'attesa per
il pubblico, nove stanze destinate ad uffici e le scale e l'ascensore che
portano al piano superiore e a quello sotterraneo.
Al
primo piano, nell'ala centrale sorgevano le sale di ricevimento e di festa del
marchese. L'ala di via Orefice ospitava invece le stanze e i bagni destinati
agli ospiti e l'ala di via Croce le stanze e i bagni nei quali soggiornava il
marchese. Oggi, al primo piano,
nell'ala di via Orefice troviamo due grandi sale destinate ad archivi della
filiale della Banca, mentre nell'ala
di via Croce troviamo due semplici vani.
Sul
secondo piano non si sa molto, esso era infatti previsto nel progetto
originario, ed era stato anche costruito come testimoniano al cune foto degli
inizi del 1900, tuttavia nel 1908 esso venne demolito in quanto si è bruciato,
sostituito da un semplice tetto.
Il
palazzo ospita un ampio giardino di circa 1.120 m². Al
giardino si può accedere o dall'ingresso centrale o da un cancello su via Croce
all'altezza dell'incrocio con via San Francesco d'Assisi. Il
giardino ricco di specie pregiate ed esotiche è cinto da un alto muro, ed
ospita al suo interno un pergolato in legno sostenuto da alcune colonne in
pietra. Sempre nel giardino è
presente una riproduzione in bronzo della Fortuna di Giuseppe Renda, la cui vera
opera è situata all'interno del palazzo.
Per
ciò che riguarda la facciata, quella principale che affaccia su piazza del
Popolo presenta caratteristiche tipiche del 1700, mentre le facciate su via
Croce e via Orefice sono semplici e lineari.
Proprio
nella facciata di piazza del Popolo ricordiamo il portale d'ingresso, composto
da uno arco a tutto sesto decorato con pietre lavorate a punta o a ricciolo. La
chiave di volta è invece una raffigurazione antropomorfa realizzata dai
fratelli Rovere che hanno realizzato anche i capitelli sotto i balconi.
All'interno
i pavimenti sono, al piano terra in marmo mentre al primo piano sono di legno di
rovere sistemato a lisca di pesce, in altre zone invece sono in ceramica di
primissima qualità, le scale sono invece in marmo.
Sempre
all'interno del palazzo si possono ammirare varie opere in gesso di Giuseppe
Renda tra le quali ricordiamo soprattutto La Fortuna ma anche Ondina e La prima
bellezza. Come già detto in giardino si trova anche una copia in bronzo della
Fortuna
-
Palazzo Amendolea-Cavatore è un
palazzo storico costruito nel 1793.
Nel
1783 Polistena, insieme a gran parte dei centri della Calabria meridionale,
venne quasi totalmente distrutta dal terremoto del 5 febbraio. Dopo il
sisma, la città venne completamente ricostruita su progetto dell'architetto
napoletano Pompeo Schiantarelli, realizzando un impianto urbanistico
costituito in parte da case unifamiliari a schiera ed in parte dai palazzotti
con corte interna destinati all'alta borghesia. Tra
questi ultimi vi fu proprio il palazzo Amendolea-Cavatore, già Rodinò-Lidonnici.
Il
palazzo è uno dei primi costruiti dopo il terremoto del 1783. La facciata
principale si distingue dalle secondarie per la presenza di un portale centrale
di accesso ai piani nobili. Il portale in pietra è contraddistinto da un
arco a sistema a doppie paraste con architrave e cornice molto sporgente che fa
da base continua al balcone soprastante. Questo
portale è l'unico che presenti, incisa nel concio in chiave, la data di
costruzione del palazzo (1793); il palazzo è di forma regolare, con una corte
interna molto curata con doppio ordine di arcate sul corpo scale.
Dal
pianerottolo intermedio delle scale, simmetriche a doppia rampa, si accede ad un
grande giardino. La corte centrale, le scale di accesso ai piani superiori, gli
archi ribassati, le pareti dei corpi che si affacciano sul cortile e che
contengono le rampe delle scale, mantengono elementi e modi di reminiscenza
classica e caratteri di un tardo barocco filtrato attraverso esempi siciliani;
ciò vale per le cornici mistilinee che in questo palazzo racchiudono le
bucature dei piani superiori. La pavimentazione dell'androne, della corte e del
pianerottolo è realizzata con ciottoli di fiume allettati su un letto di malta.
Il primo piano o nobile, un tempo abitato da un'unica famiglia (Rodinò-Lidonnici),
dopo diviso in due abitazioni (Amendolea-Cavatore) mentre oggi di proprietà
delle famiglie Furci e Cavatore.
Oggi,
gli spazi idoneamente restaurati per accogliere mostre, esposizioni, conferenze
ed eventi interattivi utili anche ai fini didattici, permettono al Palazzo di
essere considerato un luogo di cultura per la comunità. Fulcro del complesso è
la corte recentemente restaurata che con i suoi spazi espositivi polivalenti,
permettono al Palazzo di tornare a partecipare a manifestazioni culturali di
altissimo livello.
I
recenti restauri dell’androne, della corte e del corpo scala hanno riportato
all'antico splendore questi ambienti.
-
Palazzo Giffone
-
Villa Giulia, del Barone Rodinò
-
Palazzo Pecora
-
Palazzo Valensise
-
Palazzo Lidonnici
-
Palazzo Sigillò
-
Palazzo Sofrè, Montiglia (oggi Ammendolea)
-
Palazzo Tigani-Regitano era un palazzo storico
costruito dopo il terremoto del 1783.
Nel
1783 Polistena, insieme a gran parte dei centri della Calabria meridionale,
venne quasi totalmente distrutta dal terremoto del 5 febbraio. Dopo il
sisma, la città venne completamente ricostruita su progetto dell'architetto
napoletano Pompeo Schiantarelli, realizzando un impianto urbanistico
costituito in parte da case unifamiliari a schiera ed in parte dai palazzotti
con corte interna destinati all'alta borghesia. La famiglia
dei Milano decisero di ricostruire la città sulla collina antistante al
luogo in cui si ergeva l'antica Polistena. Fu, in questa zona denominata Evoli,
che vennero ricostruiti i primi edifici come per esempio la chiesa matrice, il
palazzo dei Milano e il palazzo Sigillò.
Il
palazzo viene costruito dopo il terremoto del 1783 da don Francesco Tigani
Giudice del circondario di Galatro e vice Marchese (governatore) di Anoia,
coniugato con la sig. Caterina Regitano. Nel passato nell’edificio scaturirono
numerose iniziative sia amministrative che culturali. Il Tigani nel 1779,
era governatore delle terre di Anoia. La famiglia Regitano costruisce a Mammola la
chiesa di San Giuseppe fondata nel 1730. Nel 1832 il figlio di don Francesco, il
Dottor Fisico don Giovanni sposa donna Francesca Guerrisi nipote del
Dottore Domenico Guerrisi e
Donna Rosa Lombardi, il matrimonio viene celebrato nella chiesa di Santa
Marina Vergine di Polistena, dall’Arciprete Michelangelo Guerrisi.
Il
palazzo viene abbattuto negli anni ottanta del novecento, perché pericolante e
a rischio di crollo, le mura perimetrali del piano terra sono state conservate,
con dovuti rinforzi, poiché contiene in esso lo splendido portale, che con buon
senso è stato risparmiato. Un tempo presso il palazzo sito in Largo dei fiori o
Piazzetta di Tigani, i fratelli Francesco e Michele Tigani (1833-1873) entrambi
sacerdoti, fondarono una scuola superiore. Michele fu amministratore pubblico,
poeta e patriota, fu anche sindaco di Polistena dal 1865-1866. Nel
1906 il nome della via Piazzetta Tigani diventa ”Piazza Fratelli Tigani”, il
Podestà Edoardo Sigillò su progetto dell’architetto il sig. Giuseppe
Prenestino, abbellisce ”Piazza Tigani” e il giardino di ”Piazza Tigani”
.
Museo
Direttamente
collegato allaBiblioteca Comunale, il Museo di Polistena conserva
al suo interno importanti reperti di varie epoche, opere d'arte e una ricca
sezione etnografica che dà il senso del valore dato dalla comunità alle
tradizioni passate. Di particolare interesse è la documentazione storica della
vecchia Polistena.
Tra
le opere esposte spiccano i quadri e le statue di artisti polistenesi fra i
quali F. Jerace, V. Jerace, G. Renda, A. Cannata, G.
Jerace, riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo.
Polistena
ha dato i natali a diversi scultori di fama nazionale. I Morani, le cui
opere abbelliscono diverse Chiese della città, Giuseppe Renda che si
formò nella loro bottega e operò principalmente a Napoli, ma tra tutti i figli
di Polistena, da ricordare v’è sicuramente l’artista Francesco Jerace,
autore di numerosi monumenti e sculture a Reggio Calabria, tra cui il "Monumento
ai caduti di tutte le guerre", il "pulpito marmoreo con le palme" e le
sculture di San Paolo e Santo Stefano di Nicea presso sulla scalinata
della Cattedrale,
il Monumento a Giuseppe De Nava, nell’omonima piazza,
e ancora il busto di Nosside di Locri, conservato nella Pinacoteca
Civica.
L’artista
polistenese, inoltre, scolpì per il Duomo di Napoli due bassorilievi
raffiguranti rispettivamente il Martirio di San Gennaro e
il Miracolo delle Reliquie durante un'eruzione del Vesuvio. Presso
il Palazzo Reale di Napoli, poi, è possibile ammirare la statua di
Vittorio Emanuele II di Savoia, effigiata per l’Unità d’Italia. Jerace,
scultore prolifico, si espresse maggiormente nell'arte sacra, ma iniziò
all’apice della sua carriera anche a creare monumenti di arte funebre di
carattere civile, come la scultura presente al Vittoriano di Roma,
intitolata: L'azione.
Piazze
-
Piazza della Repubblica (popolarmente chiamata "Piazza Vara")
situata al centro della cittadina.
-
Piazza del Popolo: vi si affacciano i principali palazzi nobiliari della
città e vi si trova al centro il monumento ai caduti. Nel giorno di
Pasqua vi si svolge la tradizionale Affruntata.
-
Piazza
Diaz, riqualificata, sorge nelle vicinanze di via Santa Marina.
-
Piazza Tigani, presso piazza del Popolo: vi si trova al centro una fontana.
La piazza prende il nome dal palazzo che vi si affacciava.
-
Piazza Fusco, nel quartiere Brogna.
-
Largo San Francesco di Paola, piazzale di fronte alla chiesa omonima; vi si
trova al centro una croce su basamento in pietra risalente al 1739.
-
Piazza Garibaldi: si trova al centro una fontana e una stele che ricorda
l'"albero della libertà", innalzato dai giacobini polistenesi nel 1799.
-
Piazza 21 marzo, già piazzetta Municipio, prende il nome dal giorno della
manifestazione nazionale antimafia svoltasi nel 2007. Al centro vi sorge
una scultura raffigurante Marino Tigani, scultore polistenese.
-
Piazzale della Pace, sul quale si affacciano il municipio, l'Auditorium
comunale e la sede del commissariato di polizia.
-
Piazza Valarioti, sulla via Catena, nella zona sud della città. Prende il
nome da Giuseppe Valarioti, vittima della 'ndrangheta.
-
Piazzetta Bellavista.
-
Piazza Arco, esiste la targa nascosta in marmo. Detta in seguito Piazza
Dott. Rocca.
Monumenti
-
Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale in piazza del Popolo,
opera di Francesco Jerace
- Monumento
ai combattenti, presso la scuola primaria "Trieste", opera di Marino
Tigani
-
Monumento a M. Tigani, in piazzetta XXI marzo
-
Monumento a F. Jerace, all'inizio dell'omonima via
-
Monumento all'emigrante, in piazzale della Pace, opera di Giuseppe Niglia
-
Monumento alla pace, in piazzale della Pace, vicino l'Auditorium comunale
-
Monumento al Partigiano, nel parco della Liberazione
Festività
e ricorrenze
-
Festa di Santa
Marina Vergine,
patrona di Polistena (17
luglio,
con processione per le vie cittadine). L'origine della festa è molto antica, ma
viene celebrata con la "Teoria dei santi" (ovvero la "Processione
delle 26 statue di Polistena") che
fu introdotta dopo il terremoto
del 1783,
che provocò oltre 2000 vittime e distrusse l'intera città. Quando la
popolazione di Polistena si riprese dalla calamità, avvertì l'esigenza di
ricorrere all'intercessione della santa patrona e di tutti i santi presenti
nella cittadina, portandoli in gran festa per le vie del paese. L'usanza fu
ripetuta di anno in anno e praticata sino al 1960. Interrotta per quasi
quarant'anni, la processione con la "Teoria dei Santi" fu ripristinata
nel 1998 per volontà dell'arciprete don Giuseppe Demasi e di un comitato che da
allora sostiene questa tradizione;
-
Festa di San
Rocco,
compatrono di Polistena (16
agosto,
con processione per le vie cittadine).
Rispetto
delle tradizioni
Polistena
ha conservato nel tempo molte delle tradizioni del passato che sono arrivate ai
giorni nostri con la stessa carica di sacralità e cultura. Una di queste
riguarda le diverse fiere che vantano una storia lunga. Oggi si svolgono ancora
le fiere di Tutti i Santi, dell’Immacolata e molti riti religiosi a esse
connessi sono rimasti intatti. Grande è l’attesa ogni anno per i
festeggiamenti in onore della Patrona S. Marina, il 17 Luglio, e la novena
natalizia con il tradizionale suono mattiniero delle zampogne.
Altri
riti legati alle festività religiose sono quelli della Settimana Santa: al
venerdì santo si comincia all'alba, con la processione che parte dalla Chiesa
Matrice, mentre a mezzogiorno si celebra l'agonia e l'esecuzione delle
"Sette parole" di Michele Valensise, musicista del XIX secolo. Al
pomeriggio dalla Chiesa dell'Immacolata parte la processione della Pietà e sul
finire della sera, dalla Chiesa del SS.Rosario parte la processione dei
misteri.
La
domenica di Pasqua si svolge l'"Affruntata", evento molto suggestivo e
atteso che celebra l'incontro tra Cristo Risorto e la Madonna in Piazza del
Popolo. Anche il Carnevale conserva le sue tradizioni tipiche, con la singolare
sfilata di maschere e carri allegorici realizzati da artigiani
polistenesi.
Da
segnalare infine la Notte dei Giganti che si svolge nel mese di luglio e che
consiste nella danza rituale di svariate coppie di “Giganti” (alti circa 3
metri) che rievocano la leggenda di Mata e Grifone, personaggi mitologici della
storia di Polistena. La Città viene invasa dalla periferia al centro dai
Giganti che con musica, feste e balli si perdono e si ritrovano in tutti i
vicoli del borgo. Le coppie raggiungono Piazza della Repubblica per preparare il
grande ballo finale che si tiene, da tradizione secolare, sul Piazzale Trinità
dopo la mezzanotte.