Maniace si
è una piccola cittadina formatasi nell’arco del XX secolo che ha
raggiunto la propria autonomia solo nell’aprile del 1981. Questa recente
formazione non deve però indurre a pensare che non ci sia una storia. Già
anticamente esisteva un florido centro urbano, che durante l’epoca araba
era conosciuto con il nome di Ghiran àd Daquiq, nome che mantenne
anche sotto i bizantini. Durante l’epoca normanna Maniace era annoverata
tra le “città lombarde”, per aver ospitato una colonia proveniente dal
Monferrato. Con il passare del tempo la cittadina acquisì tutti i requisiti
per essere titolata “Magna Universitas” (termine che ne l Medioevo
indicava la struttura civica equivalente all’attuale comune). Il massimo
splendore e notorietà furono raggiunti con la presenza dell’Abazia
benedettina di Sancta Maria Maniacensis, fatta costruire nel 1174 dal re
Guglielmo il Buono.
Quest’abbazia
ebbe fama e notorietà grazie alla grandezza dei suoi possedimenti, al
numero di chiese assoggettate e alla celebrità di alcuni abati tra i quali
card. Rodrigo Borgia, divenuto, poi, papa con il nome di Alessandro VI. Gli
abati di questo monastero avevano il diritto di presiedere nel Parlamento
siciliano. finito il periodo normanno Maniace soffrì il devasto della
dominazione sveva e conobbe le scorribande dei soldati angioini e poi la
dominazione aragonese, dopo la quale non si ebbero più notizie di questo
paese, né della sua popolazione. Sulla scomparsa di questo fiorente paese i
documenti storici riportano alcune notizie. Alcune dicono che il Casale poco
dopo il 1412 fosse già scomparso e restò superstite solo l’Abazia che
pian piano decadde dal suo splendore originario a causa dell’arrivo di un
duro e lungo regime feudale.
Un’altra
notizia ci dice che il territorio di Maniace nel 1492 sia stato donato al
Papa cardinale Borgia e passò poi in beneficio all’Ospedale Nuovo e
Grande di Palermo. I responsabili dell’ospedale gestirono malamente questi
bene e relativo territorio e sfavorirono il riformarsi di un nucleo abitato.
Il suolo di Maniace divenne una landa deserta e per secoli fu utilizzato
solo dai pastori per la transumanza.
-
Ducea
dell'ammiraglio H. Nelson - Castello
Il complesso
denominato Ducea Nelson, si trova a circa 13 chilometri da Bronte,
ubicato su un terreno pianeggiante di fondo valle sulla riva sinistra del
torrente Saraceno. Comprende
l'ala gentilizia, un tempo residenza dei Nelson (impropriamente detta il
Castello) oggi trasformata in Museo, i resti dell’antica abbazia
benedettina dedicata a Maria Santissima, fatta costruire da Guglielmo II°
il Buono, la chiesetta di Santa Maria di Maniace ed un grande lussureggiante
parco.
Sorse
intorno al 1173, probabilmente sulle rovine di una preesistente
costruzione basiliana, per volontà della Regina Margherita, per
durevole memoria della battaglia vinta da Giorgio Maniace contro i Saraceni.
Come
si usava all’epoca, il monastero venne dotato di castello o torre
difensiva. Guglielmo di Blois fu il primo abate del monastero.
L’abbazia,
in virtù dei privilegi concessi, aveva rendite ragguardevoli e, come tutti
i feudi, contribuiva alle spese della Regia Curia. Molti i monaci, e di
diverso Ordine, che lo abitarono nel corso dei secoli.
Nei
secoli successivi alla fondazione conobbe però periodi difficili: venne
ridotta in uno stato miserevole dai "commedatari" (l’ultimo
abate "commendatario" fu il cardinale Rodrigo Borgia, il futuro
papa Alessandro VI, "di nefanda ed infausta memoria"), ne furono
dilapidati i patrimoni e lo stato malsano dei luoghi accelerò notevolmente
lo spopolamento delle campagne circostanti.
Alla
fine del XV secolo l’abbazia, con i suoi vasti terreni, divenne proprietà
dell'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo i cui rettori dal 1491 al 1799
(quando l'Abbazia e Bronte furono
donati ad Orazio Nelson), con disinteresse, ingordigia e
un'incredibile rapacità condizionarono per secoli la vita dei brontesi generando
una lite che si trascinerà, con alterne fortune per il Comune, fino
alla metà del 900.
Fra
le migliaia di carte e documenti dell'Archivio
storico Nelson, un analitico inventario del gennaio del 1608 elencava
in modo minuzioso i beni e le ricche suppellettili della chiesa di Santa
Maria, della sacrestia, della "cocina" e della dispensa del
Monastero: il dormitorio dei monaci era costituito da sette camere con due
letti per ognuno, solo una ne aveva tre.
Il terremoto che
l’11 Gennaio 1693 colpì la Sicilia Orientale, abbatté anche molte
parti del monastero. Il sisma colpì specialmente le strutture poste ad
oriente e fece rovinare la grande torre di difesa adiacente l’abside della
chiesa, abbattendo altre parti già fatiscenti.

(1)
Ingresso; (2) Chiesa di Santa Maria; (3) Resti dell'abside della
chiesa; (4) Museo Nelson; (5) Croce celtica in onore di H.
Nelson; (6) Giardino inglese, voluto da Nelson; (7) Resti del Borgo
Caracciolo; (8) Parco esterno con Museo di sculture in pietra
lavica; (9) Torrente Saracena; (10) Antico granaio oggi trasformato in
sala convegni.
|
I
padri basiliani, che in quel periodo reggevano il monastero, furono
costretti ad abbandonarlo ed a trasferirsi a Bronte (ospitati nella chiesa
di San Blandano, con la facoltà di fabbricarvi intorno anche un
piccolo monastero). Nei
nuovi locali i monaci benedettini trasportarono i loro oggetti di culto, le
loro reliquie e continuarono a chiamarsi di "Santa Maria di Maniace"
(l’ultimo loro abate fu fra Giacomo Cimbali nel 1900-1904).
Nel
1799 l'antica Abbazia di Santa Maria di Maniace fu donata all’Ammiraglio
Horatio Nelson da Ferdinando III in premio della soffocata repubblica
partenopea.
Oggi
dell'antico insediamento benedettino rimangono il Castello Nelson (con il
relativo Museo, il giardino e il Parco), i resti della vecchia abbazia e la
Chiesa di Santa Maria di Maniace.
Il
complesso edilizio è diventato proprietà del Comune di Bronte dal 4
Settembre 1981; è stato recentemente ristrutturato ed una parte adibita a
museo (gli appartamenti del Duca) e come centro di studi e di congressi (gli
antichi granai).
Lo schema
planimetrico attuale è il risultato finale dell’opera di
insediamento permanente dei Nelson, succedutesi dal 1799 al 1981.
La
ristrutturazione, la trasformazione e l'ampliamento dell’antica
abbazia furono iniziate già da Horatio Nelson, (ne affidò l'incarico al
suo primo amministratore, il giardiniere Andrea
Graefer) che però non ebbe il tempo né la fortuna di mettere piedi
nei possedimenti siciliani e di abitare a Bronte. Morì infatti nell'ottobre
del 1805, pochi anni dopo l'ottenimento del titolo di Duca di Bronte. I
suoi eredi, invece, ed i
loro vari amminstratori, abitavano stabilmente fino a pochi decenni fa
gli appartamenti, via via trasformati
in residenze signorili, ora
destinati a Museo (la prima fu Charlotte Nelson-Bridport, figlia
del rev. William fratello dell'Ammiraglio, sposata a Samuel Hood, visconte
di Bridport).
Il
complesso della Ducea è articolato su pianta anulare a perimetro
quadrangolare con edifici con una e due elevazioni, allineati lungo i fronti
perimetrali, che si affacciano sulla campagna, sul lussureggiante parco e
sui due cortili interni a pianta rettangolare.
L’insieme
nella sua semplicità ha un aspetto maestoso. Per due cancellate si accede
al porticato d’ingresso e quindi ad un primo cortile dove è ubicata la
croce in pietra lavica eretta in memoria di Orazio Nelson.
Lateralmente,
a destra, si accede alla interessante chiesa tardo-normanna di Santa Maria
ed al cortile quadrato con pozzo in pietra lavica, intorno al quale
originariamente erano raccolti i piccoli laboratori, i magazzini, le stalle,
il granaio. Sulla sinistra, al piano sopraelevato, erano gli appartamenti
signorili dei Nelson, ora adibiti a museo.
All’esterno del
complesso sono visibili i resti di due torrette facenti parte del
sistema difensivo dell’abbazia.
Un grande
parco, che si estende all'interno e all'esterno per circa quattro ettari,
arricchisce il Castello.
Con
accesso dal primo cortile è possibile visitare il giardino inglese,
voluto dai Nelson. Si estende per circa cinquemila metri quadrati ed è
caratterizzato dalla presenza di secolari piante nostrane ed esotiche
(cipressi, palme, salici, frassini, ippocastani, magnolie), da un verde
prato inglese contornato da glicini, rose e fiori e piante varie. I giardini
sono stati ricreati con molta cura, con un formale labirinto e una
vecchissima, enorme magnolia che è certamente l’orgoglio del luogo.
All'esterno,
di fronte all’ingresso della Ducea, si estende un lussureggiante parco,
diviso da un viale centrale che, in mezzo ai maestosi platani e agli
eucaliptos, ospita un museo all’aperto di sculture in pietra lavica con
opere di artisti di fama mondiale.
Nel
parco si vedono ancora i resti del borgo contadino, denominato "Borgo
Caracciolo" costruito dal 1941 al 1944 dallo stato italiano (la
Ducea era stata sequestrata) e successivamente demolito nel 1964 dalle ruspe
degli eredi Nelson.

Chiesa di Santa Maria di Maniace
La
Chiesa di Santa Maria di Maniace, tipica chiesa basilicale, è
inglobata nelle volumetrie del complesso della Ducea Nelson.
Sorse
unitamente all'Abbazia benedettina intorno al 1173 sulle rovine di
una preesistente costruzione basiliana, per volontà della Regina
Margherita, per durevole memoria della battaglia vinta da Giorgio Maniace
contro i Saraceni. Come si usava all’epoca, l'abbazia e la chiesa vennero
dotati di castello o torre difensiva.
Si
accede alla chiesa da un piccolo cortile intercluso fra la facciata
principale e la porzione porticata della Ducea. Esternamente è visibile
soltanto il prospetto sinistro nella parte mediana del perimetro.
I
prospetti laterali sono caratterizzati da finestre ogivali con strombatura
modellata in laterizio e da una smensolatura di elementi lavorati in pietra
lavica. Sul prospetto posteriore sono visibili gli archi ogivali di
collegamento con le parti absidali.
La
chiesa è uno splendido esempio di architettura normanna, con un prezioso
portale in calcare e tre navate sorrette da poderosi pilastri in pietra
lavica.
All’interno
contiene quadri di grande valore, tra i quali un trittico gotico.
La
testimonianza più completa di come dovesse essere la chiesa fino al secolo
XVII è di Giovanni Angelo De Cocchis che visitò il monastero intorno al 1741 e
riprese alcune testimonianze fatte da altri visitatori nel 1579 prima del
terribile terremoto del 1693. Il
monastero aveva una grande torre ad oriente attaccata all’abside della
chiesa. All’interno un transetto dava origine ad un grande arco al centro
e a due più piccoli in corrispondenza delle due navate secondarie.
Il
devastante terremoto del 1693 colpì specialmente la struttura del
monastero posta ad oriente. Fece rovinare la grande torre di difesa
attaccata all’abside della chiesa e l’abside stessa (le cui fondamenta
sono oggi visibili, portati alla luce dagli scavi effettuati all’interno
del granaio).
Dal
1693 fino ai primi anni dell’ottocento, quando fu ristrutturata e
profondamente trasformata dagli eredi di Nelson, la chiesa rimase allo stato
di rovina.
Degno
di essere definito monumento nazionale, il portale di Santa Maria è opera
di grande valore artistico risalente probabilmente ai primi anni della
fondazione dell’abbazia.
La
volumetria rientrata ogivale segue la nervosa modulazione dei piedritti su
cui è impostata. La cornice è adornata di vari condoni, grossi e piccoli,
vagamente sagomati e sporgenti. Tre delle modanature centrali riproducono
grosse gomene marine. Due gruppi di colonnine laterali lisce e
rotonde, costruite con pietra arenaria, marmo e granito, sorreggono il
grande arco.
I capitelli che
raccordano la struttura hanno un modulo stilistico che rimanda ad analoghe
opere eseguite a Monreale, sede della giurisdizione vescovile. Le figure
scolpite sono piccole cariatidi poggianti su splendidi catini ornati di
foglie d’acanto lavorate a ricamo.
Raffigurano
scene della creazione del mondo, ma anche scene la cui interpretazione
rimane molto misteriosa (come i corpi di donna intrecciati con esseri
mostruosi), malgrado la precisa descrizione che ne fece lo storico
brontese Benedetto Radice nelle sue Memorie storiche di Bronte.
Sculture simili si ritrovano nelle chiese e nei monasteri benedettini sorti
nel XII secolo in Sicilia. Sono in modo particolare le inquietanti
figure rappresentate nei capitelli di sinistra (per chi guarda) a
porre l’interrogativo del significato complessivo di questa
rappresentazione scultorea.
Ispirate
ai "bestiari" medievali le
figure descrivono esseri mostruosi, deformi, forse simboli dei vizi del
genere umano. Narrano storie di lussuria viste attraverso
l’intreccio del corpo femminile con satiri, dal ventre gonfio e dalle
zampe pelose di grifo, e con serpenti avvolti alle membra. Scene disperate
di dannati e scene raccapriccianti di corpi e volti deformi e d’ogni altra
mostruosità fisica.
 
Le
figure di capitelli di destra, simbolicamente composte, narrano invece
le vicende del genere umano a partire dalla cacciata dal Paradiso Terrestre
e dall’uccisione di Abele. Ogni capitello svolge un tema diverso: il
lavoro dei campi, la caccia, la guerra.
Mentre
i capitelli di destra raccontano, quelli di sinistra ne sono la logica
contraddizione, la negazione di qualsiasi narrazione e della Storia stessa,
l’allegoria del genere umano travolto dalle tentazioni e dal peccato.
Così
lo storico B. Radice descrive il portale nelle sue Memorie storiche
di Bronte: «Mirabile è il portale della chiesa il cui arco a
sesto acuto adorno di vari cordoni grossi e piccini, sporgenti nella cornice
ogivale, è sorretto da dieci colonnine: cinque per ogni lato, delle quali
tre di marmo e una di porfido, e le altre di pietra arenaria giallognola, di
media grossezza.
Le
colonne non sono né scanalate, né a spirale, ma lisce e rotonde. Le basi
delle colonne sono tagliate e modellate e somigliano allo stile di
transizione in Inghilterra. Tre delle modanature, ora sfaldate, riproducono
la gomena normanna.
Bellissimi
e variati i capitelli di carattere nordico, o meglio romanico dei
neo-campani, la cui cimasa, ornata di foglie di acanto e di figure, ricorda
alcuni dei più vecchi capitelli delle colonne del sontuoso chiostro di S.
Maria Nova in Monreale.
Nei
capitelli, a sinistra dello spettatore, sono scolpite figure di uomini, di
animali, di uccelli con volti di scimmia, un serpente che si attorciglia e
snoda e morde la bocca a un mascherone: sono piccole cariatidi che
sostengono l’arco ogivale.
Le
foglie dei cinque capitelli delle colonne di destra sono un lavoro di fine
ricamo. Una figura di donna, fra due uccelli, è riprodotta nei primi due
capitelli.
Negli
altri è rappresentata la prima storia umana: l’angelo espelle Adamo ed
Eva dal paradiso terrestre. Il lavoro è simboleggiato da una filatrice, da
uno zappatore e da due opere, che abbicano covoni di grano.
Nel
capitello centrale è scolpita la seminagione: un uomo sparge la semente, un
altro colla zappa la copre e spiana le porche.
Nei
due seguenti capitelli abbinati è la caccia, figurata da uno che suona il
corno, da un cinghiale atterrato, mentre un altro cinghiale salta addosso a
una donna. Due guerrieri imbraccianti lo scudo, scolpiti nell’ultimo
capitello, simboleggiano la guerra, l’eterna guerra del genere umano.
L’insieme
delle sagome, delle cimase, della cornice ogivale, con i capitelli
variamente scolpiti, dà un aspetto solenne al nordico portale e alla
facciata. Reputo essere l’opera della fine del secolo XII, coeva del
famoso tempio e chiostro di Monreale.»
Questa
l'interpretazione che delle figure scolpite nei capitelli del portale dava
nel 1923 B. Radice. Ma il Radice era uno storico e certamente non un esperto
d'arte medievale. Nella descrizione andò incontro quindi a qualche
inesattezza.
L’interno
della chiesa di Santa Maria di Maniace, illuminato da otto finestre ad arco
poste sopra i colonnati è molto austero e seducente anche se senza il coro
e l'abside crollati nel terremoto del 1693 la chiesa sembra strozzata.
Risultano
evidenti le affinità spaziali di Santa Maria di Maniace con la cattedrale
di Cefalù, eretta dal 1131 al 1148, e con il contemporaneo Duomo di
Monreale. E' nell'anno 1173 che il re Guglielmo e la sua sposa Margherita
determinano di costruire in Maniace una grande chiesa intitolata a S. Maria
ed un annesso Monastero benedettino.
Un
anno dopo, nel 1174, lo stesso re consacrava il Chiostro di Monreale,
anch’esso, dell’ordine benedettino; Bronte e Maniace all'epoca
appartenevano alla stessa diocesi dell’Arcivescovo di Monreale.
Santa
Maria di Maniace si presenta a tre navate con soffitto in legno a
capriate, con archi a sesto acuto in pietra bianca, poggianti su otto poderose
colonne in pietra lavica esagonali e rotonde, alternativamente, tutte
sormontate da capitelli dorici.
La
copertura in legname è sostenuta da cavalletti, correnti e travi. E'
discretamente conservata ed è stata restaurata nell'aprile del 1862.
Sulla
parete della navata destra spiccano tre
tombe in marmo: sono di Samuel Grisley, di Filippo Thovez
(commissario della marineria inglese e governatore generale della ducea) con
la moglie Marianna e di Rosaria Fragalà, moglie di Guglielmo Thovez, altro
amministratore.
Nella
chiesa, sotto l'altare maggiore, sono conservati anche i resti del primo
abate, il Beato Gugliemo, fratello di Pierre du Blois di Londra nei tempi di
Re Stefano.
In
fondo alla navata principale su una piatta parete troneggia l'altare
maggiore sopra il quale sono poste prestigiose opere d'arte d'antica
fattura.
Anche
se ricca d’opere di straordinaria bellezza ed attrazione, la chiesa, così
come si presenta, senza abside e il coro, sembra però tronca, priva di
profondità.
Recenti scavi
archeologici stanno però dando risposta esauriente circa la forma
originaria: è stata infatti recuperata la parte basamentale di tre
strutture murarie semicircolari di notevole spessore distanziate fra loro
come quelle esistenti.
Costituiscono
senza dubbio la fondazione di tre absidi di cui i grandi archi di
accesso sono ben visibili sulla parte posteriore della chiesa.
Gli
scavi sono visibili all’interno del vecchio granaio del Duca (oggi
trasformato dal Comune di Bronte in un grande salone con un’unica
copertura lignea sostenuta da "capriate composte alla palladiana"
ed adibito a Centro Congressi).
Sull’altare
maggiore sotto un trittico del XIV secolo, all'interno di una preziosa
cornice in legno scolpito, si trova una splendida icona di Madonna nell'atto
che allatta il Bambino (Santa Maria di Maniace, XII sec.).
 La
tradizione l'attribuisce a San Luca e racconta che sia stata lasciata sul
posto dal generale bizantino Giorgio Maniace in ricordo della vittoriosa
battaglia contro gli Arabi (1040).
L’icona
della vergine che allatta il bambino è un prezioso dipinto di classica
bellezza e si caratterizza per l’inequivocabile presenza di canoni
figurativi bizantini, come la posizione dei corpi, il brillante e piatto
fondo oro, le mani lunghe e affusolate della Vergine, il drappo rosso che
avvolge il Bambino e le sigle in lettere greche.
Ma
in questa opera, alle figure prive di volume della più classica tradizione
figurativa bizantina, si sostituisce un uso della luce tale da rendere
inconsueta pienezza e corposità ai volti e morbide ondulazioni ai panneggi.
Gli
schemi iconografici sono rinnovati dalla diversa maniera pittorica che in
volto usa il colore con profondi contrasti e dure lumeggiature, con figure
piene, solenni, cariche di serena umanità ed una sapiente costruzione del
disegno.
La
figura acquista la sua corposità pittorica sul lucente brillare del fondo
d’oro. Il velo racchiude il piccolo volto con il panneggio ritmato; le
mani esili e bellissime sorreggono il lattante privo di peso avvolto nel
fitto intreccio della veste.
Nel
contesto estremamente composito della cultura siciliana del XII e XIII
secolo, quest’opera assume una importanza particolare in quanto documenta
la vitalità e la viva presenza dei canoni figurativi bizantini nel campo
della pittura, proprio in quella fase di transizione artistica che perdurerà
fino alle soglie del rinascimento nell’opera di artisti locali.
Il
trittico, del XIV secolo, dipinto su tavola in stile gotico, è
posto sull’altare maggiore sopra l'icona di santa Maria. Raffigura al
centro la Madonna in trono che allatta il Bambino e sui pannelli laterali i
padri del monachesimo occidentale ed orientale: a sinistra San
Benedetto in cocolla, piviale, mitra pastorale e libro delle (con
l'iscrizione Sanctus Benedictus) regole nella mano sinistra; a destra,
è raffigurato San Basilio (per il Radice trattasi di S. Antonio
abate) in abito monacale con cappuccio da cenobita e pastorale a Tau e
un libro in mano.
Nel
triangolo superiore, in alto nel fastigio centrale è la crocifissione di
Cristo, con la Vergine e San Giovanni ai piedi della croce.
Nelle
lunette laterali è rappresentato (a sinistra) in abiti pontificali alla
maniera greca un vescovo, con pastorale e libro (San Nicola) e, a destra,
un guerriero con corazza, scudo crociato e lancia (San Giorgio o Guglielmo
II, il Buono).
Le
figure dei pannelli spiccano su fondi dorati e dimostrano tratti
realisticamente umani, pur conservando una forte carica simbolica.
Evidenti
analogie stilistiche e compositiva suggeriscono l’ipotesti, che anche la
pala posta sulla navata di sinistra, raffigurante Santa Lucia con gli
attributi del suo martirio, e nelle lunetta l’Arcangelo Gabriele,
appartenesse al polittico dell’altare maggiore.
La pala
a forma piramidale (del XI secolo), facente parte
originariamente di una composizione a più sezioni dipinte su tavola,
rappresenta Santa Lucia con gli attributi del suo martirio e,
nella parte triangolare in alto, l’arcangelo Gabriele con in mano un
nastro portante il saluto Ave gratia plena ed alcune lettere dal
significato indecifrabile (I.S.A.Q.H.Th.H.).
L’immagine
della Santa, delimitata in alto da una cornice tribolata, risalta sul fondo
d’oro brillante. La figura eretta, variamente mossa da un voluminoso manto
che l’avvolge fino ai piedi, prende fisicità e forza nei tratti umani e
ben modellati del volto.
Il dipinto, indicato di scuola bizantina, sembra eseguito con una certa
autonomia artistica, specie nell’uso del colore: infatti, un’alta carica
vitale ed un marcato spessore umano modificano qui gli schemi compositivi ed
i modelli iconografici tradizionali. Evidenti
analogie stilistiche e compositive suggeriscono l'ipotesi che anche questa
pala appartenesse al polittico dell'altare maggiore.
Sulla
parete di fondo, ai lati dell'altare, si trovano due
piccole sculture in marmo bianco: sono il gruppo dell’Annunciazione
ed i frammenti dell’originario altare maggiore, costituiti dal paliotto
con al centro l’Agnus Dei e dal leggio, decorati a racemi.
Pregevole
esempio di sculture romaniche del XII secolo, lavorate a
bassorilievo, le due statue rappresentano l’Angelo Gabriele con un
giglio in mano e la Vergine Annunziata.
Nelle
ali dell'angelo, ma specialmente nel volto della Vergine e nel rigore
geometrico della sua veste, che annulla qualsiasi senso di fisicità,
accentuando la carica simbolica, si individuano tratti stilistici e
figurativi tipici dell'arte medievale europea. Il corpo della Vergine, senza
alcun accenno di fisicità sotto la veste che cade giù dritta, perde ogni
importanza, annullato nel simbolo che rappresenta.
Sull’altare
della navata destra è posto il dipinto della Vergine della Seggiola,
su tavola di cm. 80x100 (probabilmente del XV secolo). Rappresenta la
Vergine Maria seduta con il Bambino in braccio, ambedue in posizione dritta
con lo sguardo in avanti. In alto due angeli che rimuovono una cortina.
Le
figure ben disegnate hanno nel portamento solenne ed austero i segni della
divina natura. I volti permeati di grande serenità risaltano sul disegno
essenziale delle vesti avvolte nei colori scuri molto accentuati. Il
portamento solenne delle due figure e la composizione assiale, che ne
accentua la verticalità, sottolineano una dimensione spirituale,
contraddetta dall’umanità dei volti.
Un
altro dipinto, probabilmente del sec. XVI, ma che richiama la scuola
raffaellesca, rappresenta una Madonna con Bambino. Il Bambino, nudo,
stretto amorosamente al seno della madre, guarda con occhi piena di tenera
gratitudine il volto di lei, porgendole un fiore. Nei femminei e delicati
lineamenti della faccia della Vergine è soffusa una spirituale dolcezza,
una celestialità soave che ricorda certe pitture dell’Italia centrale.
L’ambientazione naturalistica dello sfondo completa l’armoniosa
configurazione.
La
luminosità dei colori, la morbidezza dei lineamenti e dei paesaggi
chiaroscurali, la sovrapposizione delle vesti e la notevole profondità del
paesaggio, donano al quadro una rara bellezza e gli conferiscono una chiara
identità stilistica e figurativa che conduce alle sessioni artistiche
dell’arte dell’Italia centro-settentrionale del ‘500.
ABBAZIA
BENEDETTINA -
Posto all’interno del Castello, l'Abbazia di Santa Maria
di Maniace costituisce la maggior parte del complesso edilizio
denominato Ducea o Castello Nelson.
L’antica
abbazia, dedicata a Maria Santissima, fu fatta costruire da Guglielmo
II° il Buono nel 1174, per espresso desiderio della madre, la
regina Margherita di Navarra, a ricordo della sanguinosa battaglia
vinta da Giorgio Maniace contro gli arabi nel 1040 sulla strada tra
Randazzo e Troina.
Costruita
su una rupe basaltica, è ubicata su terreno pianeggiante di fondo valle
sulla riva sinistra del torrente Saraceno, luogo estremamente suggestivo ed
anche di antiche origini e ricco di testimonianze archeologiche. A poca
distanza, infatti, nell’Aprile del 1905 a seguito di lavori nei
campi, furono scoperti ambienti con "bei mosaici
romani del basso impero, istoriati di animali e figure
umane" che, a detta dell'archeologo Paolo Orsi erano parte di una
grande villa.
Esternamente
l'Abbazia si presenta come costruzione bassa con tetto alla siciliana, le
finestre rettangolari e le porte incorniciate in pietra lavica. Il complesso
degli edifici, nello stato in cui ci è pervenuto, da solo una vaga idea di
quella che era la struttura originaria della chiesa abbaziale, della sala
capitolare, della foresteria e del chiostro del monastero. Le notizie
relative ai crolli dovuti ai frequenti terremoti (fra i quali quello
devastante del 1693) ci fanno supporre che ciò che noi vediamo corrisponda
in minima parte alla situazione iniziale.
E’
altrettanto probabile che la volumetria più consistente del monastero –
denominata Ducea Nelson - sia quella arrivata fino a noi in migliori
condizioni in quanto, una volta passata ai Nelson, fu risanata ed adibita a
residenza permanente. Tutte le altre strutture invece rimasero legate alla
conduzione del vastissimo fondo agricolo.
Gli
ambienti, organizzati intorno ad un cortile centrale, furono adibite dai
Nelson a deposito, cantine, stalle e granaio. Al centro del cortile è
ubicato un pozzo a pianta ottagonale in muratura con elementi decorativi di
coronamento in pietra, perimetrato da una pedana ottagonale con cordolo.
Nel lungo
ed ampio granaio dei Nelson, recentemente trasformato in un grande salone
con un’unica copertura lignea sostenuta da "capriate composte alla
palladiana", sono stati portati alla luce interessanti resti
dell’antica chiesetta di Santa Maria (tra i quali l'abside).
Lo schema
planimetrico dei locali ed alcuni elementi architettonici del cortile fanno
pensare che l’abbazia era organizzata su pianta anulare, intorno ad un
cortile centrale (al quale si accede dal cortile principale d’ingresso
alla Ducea).
E’
evidente anche che gli antichi torrioni d’epoca normanna che
proteggevano l’abbazia, ed ancora visibili, fecero parte di un complesso
edilizio di notevoli proporzioni ed importanza.
Dei
torrioni, quello accanto al prospetto principale è forse l’unico
risalente al periodo originario; ha struttura solida e compatta con fessure
verticali d’avvistamento e difesa ed è forse il resto più consistente
della robusta fortificazione andata in gran parte distrutta dal terremoto
del 1693.
Le due
torrette di guardia sul fiume a nord-ovest e a nord-est risalgono,
invece, nella veste a noi pervenuta, ad epoca più recente. Hanno volumetria
cilindrica con muratura grezza di grosso spessore coronata da una merlatura
leggermente in aggetto su una cornice d’elementi in cotto.
Il torrione
di nord-ovest è stato utilizzato fino a tempi recenti come stazione
meteorologica permanente. Questi torrioni, che insieme al portale della
chiesa di Santa Maria ricordano il passato medievale del monumento, han
fatto sì che perdurasse la denominazione impropria di "Castello"
pervicacemente data per secoli all'abazia benedettina.
Il
Complesso del Castello Nelson presenta una consistenza complessiva di oltre
3.000 mq. di superficie utile (di questi circa 350 mq. sono occupati dalla
chiesa e circa 520 mq. dal museo Nelson che occupa tutto il primo piano
dell'ala Ovest). Inoltre il complesso è servito da oltre 1.600 mq. di
superficie scoperta (cortili di stretta pertinenza ai fabbricati) e di circa
4.200 di giardino e da un parco che supera i 12 ettari.
Museo
Nelson
L’ala
gentilizia della Ducea che oggi ospita il Museo era la residenza brontese
dei discendenti di Horatio Nelson (il Castello) ed ancora oggi rimane una
perfetta documentazione storica di vita inglese.
Gli
ambienti che la compongono è probabile che rappresentino la volumetria più
consistente del vecchio monastero benedettino. Sicuramente sono quelli
arrivati fino a noi in migliori condizioni in quanto, una volta trasferiti
per dono regale ai Nelson, furono ristrutturati ed adibiti a residenza
permanente.
Molte
strutture e locali che compongono il complesso edilizio furono costruiti
nella prima metà dell’ottocento, quando fu risanato ed inglobato quello
che restava dell’antica abbazia benedettina; furono ristrutturati
soprattutto gli ambienti che si dipartivano dalla destra del portale della
Chiesa e circondavano il piccolo chiostro.
Una
particolareggiata descrizione degli ambienti, dei quadri e delle
suppellettili ci è stata lasciata dal V° Duca, Alexander Nelson Hood, nel
suo libro "La
Ducea di Bronte", memorie scritte per la
famiglia" nel 1924.
 L’ala
gentilizia, posta al piano superiore oggi destinato a Museo, si affaccia sul
giardino botanico e sul cortile principale del complesso al centro del quale
sorge, in onore dell'ammiraglio Nelson, la grande croce celtica voluta
nel 1888 dal suo discendente, il IV Duca di Bronte Lord Alexander Nelson
Hood, barone Bridport.
Un lungo
corridoio disimpegna tutte le stanze, esposte a ponente sul giardino
inglese, nelle quali si trovano la maggior parte degli arredi lasciati dagli
eredi della famiglia Nelson. Assume l'aspetto di un vero e proprio percorso
museale ricco di cimeli, reperti archeologici, con le pareti coperte di
quadri e marine giganti che descrivono le vittorie di Nelson.
Un
ritratto, a figura intera, di Nelson e Wellington, l’uno a fianco
dell’altro, è, a detta di tutti, l’unico in cui erano stati ritratti
insieme.
Nel
corridoio sono esposti quadri e stampe raffiguranti l'ammiraglio inglese
ed i suoi discendenti, lettere autografe dei reali inglesi, medaglie e piani
di battaglia navali, ordini militari, sarcofagi, anfore romane e reperti
archeologici ritrovati durante i recenti scavi eseguiti per la ristrutturazione
della Ducea.
Il Museo è
storicamente interessante ma anche ricco di straordinario fascino e di
bellezza. Sulla sinistra del lungo corridoio si aprono i sontuosi
appartamenti dei duchi inglesi ancora ornati delle suppellettili
originarie (le camere da letto, lo studio, la sala da pranzo, i
servizi, i bagni etc.) e in parte piastrellati con pavimenti originali di
maiolica del secolo XVIII.
 Le
stanze stesse sono state pure restaurate. Repliche delle
originali mattonelle da pavimento sono state fatte, per ogni camera, e una
sezione delle vecchie mattonelle è stata lasciata nel posto come paragone.
Oltre alle
stanze, ai servizi ed alle cucine, rigorosamente ammobiliati con mobili e
suppellettili dell'epoca, altri numerosi oggetti d'arte sono conservati
nel Castello.
Gli
ambienti conservano preziosi cimeli, oggetti di uso comune e numerose opere
d'arte appartenuti ai Nelson: ritratti di Lady Hamilton o della Regina
Vittoria col principe consorte Alberto, lettere autografe dei reali
d'Inghilterra, arredi e mobili di grande pregio e di vario stile, vasi ed
orologi dell'ottocento, cassapanche di pregevole fattura, maioliche calatine
del XVIII secolo, stampe e dipinti di autori inglesi (Luny, Paton, Spencer,
Elliot), porcellane napoletane e gli stemmi dei Nelson.
Nelle
stanze dei Nelson non si vedono più i maggiordomi o la numerosa servitù,
le cucine, le stufe e i caminetti sono spenti e tutto è immobile, ma in un
grande silenzio affiorano alla memoria la storia e la magia del luogo
rimasta immutata ma anche le sofferenze del povero popolo brontese
espropriato per secoli delle sue ricchezze.
La
mobilia è un miscuglio di stili: parte di essa è stata portata
dall’Inghilterra, parte, come il tavolo da refettorio del VI secolo, si
crede sia parte dell’originale mobilia del convento. Altri pezzi erano
stati comprati localmente dai Bridports ed includono alcuni magnifici esempi
d’artigianato siciliano. La casa è in vari modi un monumento a Horatio
Nelson, con ricordi della sua vita e delle sue vittorie dappertutto.
Purtroppo
il museo, appena tre anni dopo l’acquisto
da parte del Comune, ha subito nel 1984 un gravissimo furto di
una ventina di preziose opere (fra dipinti e mobili d'epoca) che ancora non
sono state recuperate e che difficilmente potremo un giorno vedere esposte
ed ammirare nel Museo Nelson.
Parrocchia
di San Sebastiano
La parrocchia
di San Sebastiano di Maniace è stata inaugurata il 7 agosto del 1993.
L’edificio è stato progettato dell’architetto Carlo Romano di Palermo ed
ha l’aspetto della prua di una barca con torre campanaria, a pianta
quadrata di 23 metri per lato con una capienza di quattrocento posti a
sedere.
L’altare
si stacca dall’abside per protendersi verso il centro. Osservata dal
sagrato l’edificio si mostra con una pensilina a cuneo, alta otto metri,
che ha la falda del tetto in contro pendenza rispetto a quella dell’aula.
Il tetto dell’aula si innalza assottigliandosi fino a quota 15 metri dove
si incontra con la torre campanaria, alta 23 metri. Le pareti esterne sono
rivestite in pietra arenaria locale e ospitano tre ingressi.
Le porte
hanno dei pannelli figurativi sbalzati a mano su metallo in ferro,
opera dell’artista Antonio Pagli di S. Donato. Questa chiesa è il
risultato tangibile di tanti sforzi e sacrifici della comunità di Maniace
che ha lottato duramente per affermarsi nella sua autonomia.
Cimitero
Inglese
Sulla
sponda destra del fiume Saracena si estende il piccolo cimitero inglese,
dove sono sepolti i duchi di Bronte e il poeta scozzese Wialliam Sharp. Questo
cimitero è ancora oggi di proprietà della famiglia Nelson ed è stato dato
in concessione al Comune di Maniace.
Fu
costruito nel 1898 ed era riservato solo alla famiglia Nelson e ai suoi
amministratori.
La
scritta che si trova all’ingresso recita: “Nobisque vobisque pax”.
Ad
oggi questo cimitero ospita 8 tombe.
|