Sangha Trinational
Cameroun - Repubblica Centrafricana - Repubblica del Congo
 
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2012
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La Riserva speciale Dzanga-Sangha è una riserva protetta, situata nella regione di Bayanga a sud e a sud-ovest vicino alle frontiere del Congo e del Camerun.

Si estende su un territorio di oltre 750.000 ettari ed è stata creata nel 1990 grazie a un finanziamento della Banca Mondiale.

Molte sono le possibilità di escursioni: a piedi, in macchina, in piroga. Oltre alla flora e alla fauna straordinarie, il parco è interessante per le popolazioni che lo abitano: gli mbaka e i monzombo, i pigmei aka, bayaka, bambénzélé e bambinga. 

La riserva speciale di Dzanga-Sangha abbonda di vegetazione. Per arrivarci si passa attraversa la foresta di Ngotto, si attraversano miriadi di corsi d’acqua (uno con un traghettino, uno con un ponte flottante e tutti gli altri con i piccoli ponticelli sommariamente costruiti con assi di legno) e si arriva al villaggio di Bayanga, proprio accanto alle strutture di accoglienza del parco. 

Le case del villaggio sono costruite quasi tutte in legno. Il villaggio e le strutture del parco sono lungo il fiume, nel quale si trovano gli ippopotami. Il parco forestale si gira a piedi (ma data l’abbondanza delle piogge la passeggiata non è agevole) oppure in piroga, accompagnati dalle cordiali guide pigmee. Si possono incontrare scimmie (numerose famiglie di gorilla sono però difficili da avvistare), qualche grosso erbivoro, molte specie di uccelli e soprattutto numerosi elefanti, tutti puntuali all’abbeverata del pomeriggio alla grande salina. Nella zona sono stati censiti più di 2500 elefanti.

Sulle mappe questa zona è segnata in verde perché è considerata una massa di vegetazione compatta, una salda barriera tra le megalopoli in espansione e i deserti che avanzano. Ma le mappe mentono. Infatti sorvolando la zona, appaiono le lacerazioni che sfregiano il tessuto fitto degli alberi. Sono piccole strade dall'aria innocua, piste in terra battuta costruite per catturare qualche briciola di un tesoro naturale che appariva infinito. Anno dopo anno però si sono moltiplicate fino a formare una ragnatela.

Ogni via ha generato grappoli di case e attorno alle case si sono allargate radure in cui la protezione umida offerta dal mantello verde ha ceduto il passo alla morsa arida del sole. Squarci che di tanto in tanto si dilatano: sono segherie che hanno rubato altro spazio chiedendo impianti di produzione elettrica, che a loro volta hanno bisogno di altre strade per far passare i camion, i materiali, gli operai.

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Questi operai spesso si trasformano in disperati all'assalto della foresta e con il passare del tempo si sono procurati un'arma e hanno cominciato a cacciare di frodo. Una pila di questi fucili, strumenti artigianali confiscati ai bracconieri, si trova nel deposito delle eco guardie, 42 persone chiamate a sorvegliare 466 mila ettari di foresta. Il risultato di questa missione impossibile è evidenziato dall'enorme catasta di zanne sequestrate, una piccola parte dell'avorio diretto ai mercati clandestini. 

E i pericoli non sono legati solo al bracconaggio, alla pressione dell'industria del legno si è aggiunta quella delle società che cercano ferro, oro, bauxite, diamanti, petrolio. Nel mondo la fame di materie prime aumenta e nella partita si è inserita la Cina con un crescendo impressionante di investimenti. Poi ci sono le coltivazioni di olio di palma: sono arrivate richieste per un milione di ettari, un milione di ettari di foresta da radere a zero.

Assieme agli alberi rischia di scomparire la cultura dei bayaka, i pigmei che per secoli hanno vissuto usando le piante come dispensa e farmacia. Tra le centinaia di vegetali utilizzati dal popolo delle foreste ci sono il kokò, un'erba dal vago sapore di fagioli; le liane che contengono un'acqua simile a quella distillata; il bossò, una corteccia che si usa per curare le carie; il mokata, un viagra naturale.

Per cancellare questa enorme ricchezza naturale basta poco: con qualche colpo di machete e mezz'ora di motosega si trasformano in parquet alberi secolari facendo salire il conto delle emissioni serra. La deforestazione è responsabile del 13 per cento dei gas che minacciano la stabilità climatica - precisa Riccardo Valentini, direttore del Dipartimento scienze forestali dell'università della Tuscia - e il bacino del Congo perde ogni anno 700 mila ettari di verde.