L'Etna è
un complesso vulcanico siciliano originatosi
nel Quaternario e
rappresenta
il vulcano
attivo
terrestre più
alto della placca
euroasiatica.
Le sue
frequenti eruzioni nel
corso della
storia hanno
modificato,
a volte
anche
profondamente,
il paesaggio
circostante,
arrivando più
volte a
minacciare
le
popolazioni
che nei
millenni si
sono
insediate
intorno ad
esso.
Il
21 giugno 2013 la
XXXVII
sessione del
Comitato UNESCO,
ha inserito
il Monte
Etna
nell'elenco
dei beni
costituenti
il Patrimonio
dell'umanità.
L'Etna
sorge sulla
costa
orientale
della Sicilia,
entro il
territorio
della provincia
di Catania ed
è
attraversato
dal 15º meridiano est,
che da esso
prende il
nome. Occupa
una
superficie
di 1265 km²,
con un
diametro di
oltre 40 chilometri e
un perimetro
di base di
circa 135 km.
Il
vulcano è
classificato
tra quelli
definiti a
scudo a
cui è
affiancato
uno stratovulcano;
la sua
altezza
varia nel
tempo a
causa delle sue
eruzioni che
ne
determinano
l'innalzamento
o
l'abbassamento.
Nel 1900 la
sua altezza
raggiungeva
i 3.274 m. s.l.m. e
nel 1950 i
3.326 m.
Nel 1978 era
stata
raggiunta la
quota di
3.345 m e
nel 2010
quella di
3.350 m.
La
sua
superficie
è
caratterizzata
da una ricca
varietà di
ambienti che
alterna
paesaggi
urbani,
folti boschi che
conservano
diverse
specie
botaniche endemiche ad
aree
desolate
ricoperte da roccia
magmatica e
periodicamente
soggette ad innevamento alle
maggiori
quote.
L'Etna
ha una
struttura
piuttosto
complessa a
causa della
formazione,
nel tempo,
di numerosi
edifici
vulcanici
che tuttavia
in molti
casi sono in
seguito
collassati e
sono stati
sostituiti,
affiancati o
coperti
interamente
da nuovi
centri
eruttivi.
Sono
riconoscibili
nella
"fase
moderna"
del vulcano
almeno 300
tra coni e
fratture
eruttive. La
zona risulta
anche a
moderato rischio
sismico per
effetto
anche del
tremore del
vulcano.

Il
territorio
del vulcano
presenta
aspetti
molto
differenti
per
morfologia e
tipologia in
funzione
dell'altitudine.
Coltivato
fino ai
mille metri s.l.m. e
fortemente
urbanizzato
sui versanti
est e sud si
presenta
selvaggio e
brullo sul
lato
occidentale
dove dai
mille metri
in poi
predominano
le
"sciare",
specie nella
zona di Bronte.
Poco
urbanizzato,
ma di
aspetto più
dolce, il
versante
nord con il
predominio
dei boschi al
di sopra di Linguaglossa.
Il versante
est è
dominato
dall'aspetto
inquietante
della Valle
del Bove sui
margini
della quale
si
inerpicano
fitti
boschi.
Il
circondario
ha
caratteristiche
che ne
rendono le
terre ottime
per produzioni
agricole,
grazie alla
particolare fertilità dei
detriti
vulcanici.
La zona
abitata e
coltivata
giunge quasi
ai 1000 m s.l.m. mentre
le zone
boschive
arrivano
fino ai 1500
metri. Ampie
parti delle
sue pendici
sono
comprese
nell'omonimo parco
naturale.
Il
versante sud
del vulcano
è percorso
dalla strada
provinciale
SP92 che
si arrampica
sulla
montagna
fino a quasi
2.000 m
di quota,
generando
circa 20 km
di tornanti.
L'infrastruttura
non permette
di
raggiungere
la cima in
auto ma,
raggiunta la
stazione
turistica
attorno alla Funivia
dell'Etna,
continua poi
il suo
percorso per
altri 20 km
circa in
direzione di
Zafferana
Etnea.
Oltre
i 1000 m
in inverno
è presente
la neve che
spesso dura
fin quasi
all'estate.
Le zone
innevate
sono
raggiungibili
agevolmente
solo dai
versanti sud
e nord-est
su cui si
trovavano
anche due
stazioni sciistiche (Etna
nord e Etna
sud). Da
quella sud,
dallo
storico Rifugio
Sapienza nel
territorio
di Nicolosi è
possibile
ammirare il
golfo di
Catania e la
valle del Simeto.
Dalle piste
di Piano
Provenzana a
nord, in
territorio
di Linguaglossa,
sono
visibili Taormina e
le coste
della Calabria.

I
primi
riferimenti
storici
all'attività
eruttiva
dell'Etna si
trovano
negli
scritti di
Tucidide e
Diodoro
Siculo e del
poeta Pindaro;
altri
riferimenti
sono per lo
più
mitologici.
Secondo Diodoro
Siculo circa
3.000 anni
fa, in
seguito a
una fase di
attività
violentemente
esplosive
(probabilmente
sub-pliniane)
dell'Etna,
gli abitanti
del tempo, i Sicani,
si
spostarono
verso le
parti
occidentali
dell'isola.
I
primi
studiosi ad
intuire che
il vulcano
fosse in
realtà
costituito
da un grande
numero di
strutture più
piccole e
variamente
sovrapposte
o affiancate
furono il Lyell, Sartorius
von
Waltershausen e
il Gemmellaro;
questi
riconobbero
nell'Etna
almeno due
principali
coni
eruttivi, il
più recente
Mongibello e
il più
antico
Trifoglietto
(nell'area
della Valle
del Bove).
Tale
impostazione
non venne
rivista fino
agli anni
sessanta quando
il belga
J.Klerkx
(sotto la
guida di Alfred
Rittmann)
individuò
nella
predetta
valle una
successione
di altri
prodotti
eruttivi
precedenti
al
Mongibello.
Studi
successivi
hanno
rivelato una
maggiore
complessità
della
struttura
che risulta
costituita
da
numerosissimi
centri
eruttivi con
caratteristiche
tipologiche
del tutto
differenti.
L'attività
maggioritaria
in tempi
storici è
stata
connessa a
quella del sistema
centrale,
che in tempi
più recenti
ha
interessato
altre nuove
bocche
sommitali:
il Cratere
di Nord-Est,
formatosi
nel 1911, la Voragine nata
all'interno
del Cratere
centrale nel
1945 e la Bocca
Nuova originatasi
sempre al
suo interno,
nel 1968.
Nel
1971 si è
formato il
nuovo Cratere
di Sud-Est.
Infine, nel
2007, è
nato il Nuovo
Cratere di
Sud-Est che
in seguito
all'intensa
e frequente
attività
stromboliana
e alle
fontane di
lava, tra il
2011 ed il
2013 ha
assunto
dimensioni
imponenti
raggiungendo
l'altezza
dei crateri
precedenti.

L'etimologia
del nome
Etna è da
sempre
dibattuta;
sembrerebbe
risalire
alla pronuncia
del greco
antico itacista
del toponimo Aitna,
nome che fu
attribuito
anche alle
città di Katane e Inessa,
che deriva dalla
parola del greco
classico αἴθω (aitho cioè bruciare).
L'Etna era
conosciuto
nell'età
romana come Aetna.
L'Etna
si è
formato nel
corso delle
ere con un
processo di
costruzione
e
distruzione
iniziato
intorno a 570
000 anni
fa, nel
periodo
Quaternario,
durante il Pleistocene
inferiore medio.
Al suo posto
si ritiene
vi fosse un
ampio golfo
nel punto di
contatto tra
la zolla
euro-asiatica a nord e
la zolla africana a sud,
corrispondente
alla catena
dei monti Peloritani a
settentrione
e
all'altopiano
Ibleo a
meridione.
Fu proprio
il colossale attrito tra
le due zolle
a dare
origine alle
prime eruzioni sottomarine
di lava basaltica fluidissima
con la
nascita dei
primi coni
vulcanici,
al centro
del golfo
primordiale
detto
pre-etneo,
nel periodo
del
Pleistocene
medio-superiore 700
000 anni
fa.
Di
tali attività
restano gli
splendidi
affioramenti
della “Riviera
dei Ciclopi”
con i loro prismi
basaltici,
le brecce
vulcaniche
vetrose e le lave
a pillow della
rupe di Aci
Castello, ma
anche i
basalti
colonnari
affioranti
nel terrazzo
fluviale del Simeto,
esteso nei
versanti sud
occidentale
e sud
orientale da
Adrano e
Paternò
fino alla
costa
Ionica. Il
sollevamento
tettonico
dell'area,
unitamente
all'accumulo
dei prodotti
eruttivi,
determinò
l'emersione
della
regione e la
formazione
di un
edificio vulcanico
a scudo che
è quello
che
costituisce
il basamento
dell'attuale.
Tra
i 350
000 e i 200
000 anni
fa, da una
attività di
tipo
fessurale,
spesso anche
subacquea,
scaturirono
lave
estremamente
fluide che
diedero
luogo alla
formazione
di bancate
laviche
tabulari di
elevato
spessore
(fino a 50 m),
i cui resti
sono gli
imponenti
terrazzamenti
visibili
nell'area
sud
occidentale
dell'edificio
vulcanico a
quote
comprese fra
i 300 ed i
600 m s.l.m..
Gli
studi sulla
composizione
di queste
lave hanno
messo in
evidenza che
questi
prodotti
vulcanici
(sia
subacquei
che
subaerei)
rappresentano
le
cosiddette vulcaniti
tholeiitiche
basali, cioè
magmi
simili,
anche se con
delle
differenze,
a quelli che
vengono
prodotti in
aree del
mantello
terrestre
caratterizzate
da alti
gradi di
fusione
parziale di
grande
attività
distensive,
tipiche
delle dorsali e
delle isole
oceaniche.
Le tholeiiti
costituiscono
una
percentuale
assai
limitata dei
prodotti
dell'area
etnea e sono
state
eruttate in
più riprese
a partire da
circa
500.000 anni
fa, questa
è infatti
l'età dei
più antichi
prodotti
etnei. Allo
stesso
periodo
geologico si
attribuisce
anche la
formazione
del notevole
Neck di
Motta
Sant'Anastasia,
una rupe
isolata di
lave
colonnari su
cui è
edificato il
centro
storico
della
cittadina
etnea.

Si
ritiene che
tra 200
000 e
110 000
anni fa ci
fu uno
spostamento
degli assi
eruttivi
verso nord e
verso ovest
con un
contemporaneo
mutamento
nell'attività
di risalita
e nei
meccanismi
di
effusione,
accompagnati
da una
variazione
nella
composizione
chimica dei
magmi e nel
tipo di
attività.
La nuova
fase
eruttiva
vide come
protagonisti
coni
subaerei che
emettevano
lave di tipo
"alcalino".
L'attività
si concentrò
lungo la
costa ionica
in
corrispondenza
del sistema
di faglie
dirette
denominato
delle Timpe.
I prodotti
alcalini
costituiscono
la gran mole
del vulcano
etneo e
vengono
eruttati
ancora oggi.
La
distinzione
tra i
termini
viene
effettuata
mediante i
rapporti tra
le
percentuali
di alcuni
ossidi ed in
particolare
SiO2 e
K2O+Na2O
ritenuti
indicativi
delle
condizioni
di genesi
dei magmi
stessi.
Durante
il Tarantiano,
110.000-60.000
anni fa,
l'attività
eruttiva si
sposta dalla
zona Val
Calanna-Moscarello
verso l'area
adesso
occupata
dalla
depressione
della Valle
del Bove. Da
un'attività
di tipo
fissurale,
come quella
che ha
caratterizzato
le prime due
fasi, si
passerà
gradualmente
ad
un'attività
di tipo
centrale
caratterizzata
sia da
eruzioni
effusive che
esplosive.
Questo tipo
di attività
porterà
alla
formazione
di diversi
centri
eruttivi. Il
principale
dei coni,
che viene
denominato
dagli
studiosi Monte
Calanna, è
inglobato al
di sotto del
vulcano.
Cessata
l'attività
di questo,
circa
ottantamila
anni fa entrò
in eruzione
un nuovo
complesso di
coni
vulcanici,
detto Trifoglietto,
più ad
ovest del
precedente,
che a
dispetto del
grazioso
nome fu un
vulcano
estremamente
pericoloso,
di tipo esplosivo caratterizzato
da eruzion
pliniane
polifasiche,
come ad
esempio il Vesuvio e Vulcano delle
isole Eolie,
che emetteva
lave di tipo
molto viscoso.
L'attività
vulcanica si
spostò poi
ancor più
ad ovest con
la nascita
di un
ulteriore
bocca
vulcanica a
cui vien
dato il nome
di
Trifoglietto
II (dai 70
ai 55.000
anni fa). Il
collasso di
questo
edificio ha
dato origine
all'immensa caldera della
già citata
Valle del
Bove,
profonda
circa mille
metri e
larga cinque
chilometri,
lasciando
esposti
sulle pareti
di questa
gli
affioramenti
di rocce
piroclastiche
che
evidenziano
lo stile
particolarmente
esplosivo
della sua
attività.
L'esplosività
è
probabilmente
collegata
alle grandi
quantità di
acqua
nell'edificio
che
vaporizzandosi
frammentava
il magma.
Intorno
a 55.000
anni fa
circa si
verifica un
ulteriore
spostamento
dell'attività
eruttiva
verso
nord-ovest
dopo la fine
dell'attività
dei centri
della Valle
del Bove. È
la fase
detta dello stratovulcano.
Tale
spostamento
porterà
alla
formazione
del più
grosso
centro
eruttivo che
costituisce
la struttura
principale
del Monte
Etna: il
"vulcano
Ellittico".
Il nome
Ellittico
deriva dalla
forma,
appunto di
ellisse (2 km
asse
maggiore ed
1 km
asse
minore),
della
caldera che
ha segnato
la fine
della sua
attività. I
suoi
prodotti,
sia colate
laviche che
piroclastiti,
costruirono
un edificio
di
dimensioni
notevoli
che, prima
del collasso
calderico
avvenuto 15 000
anni fa,
doveva
probabilmente
raggiungere
i 4000 metri
di altezza.
Le eruzioni
laterali
dell'Ellittico
hanno
prodotto la
graduale
espansione
laterale
dell'edificio
vulcanico
attraverso
la messa in
posto di
colate
laviche che
hanno
causato un
radicale
cambiamento
dell'assetto
del reticolo
idrografico
principalmente
nel settore
nord e
nord-orientale.
In
quest'area
le colate
laviche
colmarono
antiche
paleovallate
come quella
del fiume
Alcantara generando
numerosi
fenomeni di
sbarramento
lavico del
paleoalveo
del fiume
Simeto.
L'intensa e
continua
attività
effusiva
degli ultimi
15000 anni
riempirà
del tutto la
caldera del
vulcano
Ellittico
coprendo in
gran parte i
suoi
versanti e
formando il
nuovo cono
craterico
sommitale.
Tale attività
effusiva,
originata
sia dalle
bocche
sommitali
che da
apparati
eruttivi
parassiti,
porterà
alla
formazione
dell'edificio
vulcanico
che forma il
complesso in
attività:
il Mongibello.
Nel
corso del
tempo si
sono avute
fasi di
stanca e
fasi di
attività
eruttiva,
con un
collasso del
Mongibello
intorno a
otto-novemila
anni fa; nei
prodotti del
Mongibello
è stata
osservata
una generale
transizione
da termini
più antichi
ed acidi
(relativamente
arricchiti
in SiO2) a
più recenti
e basici
(cioè
relativamente
povere di
SiO2) e
porfirici
(ricchi di
minerali
cristallizzati
in profondità
prima
dell'emissione),
le lave sono
quindi
ritornate ad
essere di
tipo fluido basaltico e
si sono
formati
altri coni
di cui
alcuni molto
recenti.

L'Etna
è un
vulcano
attivo. A
differenza
dello Stromboli,
che è in
perenne
attività, e
del Vesuvio,
che alterna
periodi di
quiescenza a
periodi di
attività
parossistica,
esso appare
sempre
sovrastato
da un
pennacchio
di fumo. A
periodi
abbastanza
ravvicinati
entra in
eruzione
iniziando in
genere con
un periodo
di degassamento ed
emissione di
sabbia
vulcanica a
cui fa
seguito
un'emissione
di lava abbastanza
fluida
all'origine.
Talvolta vi
sono dei
periodi di
attività
stromboliana
che attirano
folle di
visitatori
d'ogni parte
del mondo
per via
della loro
spettacolarità.
Nonostante
i vulcani
eruttino
prevalentemente
dalla loro
cima, da uno
o più
crateri
sommitali,
l'Etna si
caratterizza
per essere
uno dei
pochi
vulcani al
mondo in cui
è stato
possibile
osservare a
memoria
d'uomo la
nascita di
nuove bocche
eruttive
sommitali,
formatesi in
prevalenza
nel secolo
scorso. Il
vulcano
attuale era
costituito
fino agli
anni 2000
essenzialmente
da 4 crateri
sommitali
attivi: il
cratere
centrale o Voragine,
il cratere
subterminale
di Nord-est
formatosi
nel 1911
(NEC), la
Bocca Nuova
del 1968
(BN) e il
cratere
subterminale
di Sud-est
(del 1971).
Tuttavia,
solo
nell'ultimo
decennio,
per la prima
volta, i
vulcanologi
sono
riusciti ad
applicare un
moderno
approccio
multidisciplinare
per
monitorare
la nascita
di un nuovo
cratere
sommitale e
cercare di
comprendere
cosa renda
tanto
instabile un
vulcano come
l'Etna in
corrispondenza
delle bocche
sommitali:
alla fine
del 2011
dove prima
c'era un cratere
a pozzo (o pit
crater)
alla base
orientale
del SEC, si
è infatti
sviluppato
quello che
ormai gli
studiosi
hanno
ribattezzato
Nuovo
Cratere di
Sud-Est
(NSEC).
L'edificio
vulcanico
del Nuovo
Cratere di
Sud-Est,
formatosi
lungo una
frattura
orientata
lungo una
direzione
Nord-Ovest
Sud-Est, è
successivamente
cresciuto
con grande
rapidità
sull'orlo di
una parete a
strapiombo
della Valle
del Bove,
alta circa
mille metri,
presentando
quindi una
relativa
instabilità
che
caratterizza
tutto il
fianco
nord-orientale
del vulcano
e mantiene
alta
l'attenzione
degli
scienziati.
Questi
hanno
recentemente
stabilito
che il
vulcano
subisce
ciclicamente
nel tempo
dei fenomeni
di
inflazione
(rigonfiamento),
seguiti da
deflazione
(sgonfiamento)
che possono
durare per
un periodi
di alcuni
mesi fino a
qualche
anno. Come
riferito da
Marco Neri,
coordinatore
del lavoro
di studi e
primo
ricercatore
presso
l'Osservatorio
Etneo
dell'INGV
(INGV-OE),
durante un
recente
periodo di
inflazione,
«il fianco
nord-orientale
dell'Etna si
è
deformato,
seguendo
traiettorie
di
“traslazione”
semi-circolari:
la porzione
sommitale si
è spostata
verso
Nord-Est, la
parte
intermedia
verso Est e
infine la
parte
distale, in
prossimità
del Mare
Ionio, è
traslata
verso
Sud-Est. Lo
spostamento
verso
Nord-Est
della parte
sommitale
del vulcano
ha favorito
l'apertura
di numerose
fessure
eruttive
orientate in
senso NO-SE
(Nord-Ovest
Sud-Est) e
la
conseguente
nascita del
Nuovo
Cratere di
Sud-Est».
La
traslazione
verso lo
Ionio è
confermata
anche dagli
studi
condotti
dalla Open
University.
Durante
l'ultima
campagna di
misurazioni
con GPS
effettuata
dall'INGV
nel gennaio
del 2014 si
è
constatato
che il punto
più alto
del nuovo
cono si era
assestato ad
una quota di
3290 m s.l.m. facendone
di fatto una
delle bocche
sommitali più
alte del
grande
vulcano.
L'Etna
presenta
inoltre
diverse
piccole
bocche
laterali
sparse a
varie
altitudini,
dette crateri
avventizi,
prodotte
dalle varie
eruzioni
laterali nel
tempo.
Esistono poi
dei centri
eruttivi
eccentrici caratterizzati
dalla non
condivisione
del condotto
vulcanico
con il
vulcano
principale,
ma del solo
bacino
magmatico,
quali i monti
Rossi e
il monte
Mojo.

In
genere le
eruzioni
dell'Etna
pur
fortemente
distruttive
delle cose,
non lo sono
per le
persone se
si
eccettuano i
casi
fortuiti
come quello
di Bronte
del 25
novembre del
1843 in
cui a causa
di una falda
freatica la
lava esplose
colpendo una
settantina
di persone
delle quali
persero la
vita almeno
36 o di
palese
imprudenza
come nel 1979 quando
un'improvvisa
pioggia di
massi uccise
nove
turisti,
avventuratisi
fino al
cratere
apparentemente
spento, e ne
ferì
un'altra
decina. Le
fonti della
memoria
storica
ricordano
centinaia di
eruzioni di
cui alcune
fortemente
distruttive.
L'eruzione
più lunga a
memoria
storica è
quella del
luglio 1614.
Il fenomeno
durò ben
dieci anni
ed emise
oltre un
miliardo di
metri cubi
di lava,
coprendo 21
chilometri
quadrati di
superficie
sul versante settentrionale del vulcano.
Presentava
una
caratteristica
particolare:
la lava,
infatti,
invece di
scendere
lungo la
montagna
spariva
all'interno
di grotte
per poi
rispuntare
molto più a
valle.
Nel 1669 avvenne
l'eruzione più
conosciuta e
distruttiva,
che
raggiunse e
superò, dal
lato occidentale,
la città di Catania;
ne distrusse
la parte
esterna fino
alle mura,
circondando
il Castello
Ursino e
superandolo
creò oltre
un
chilometro
di nuova
terraferma.
L'eruzione
fu
annunciata
da un
fortissimo
boato e da
un terremoto che
distrusse il
paese di Nicolosi e
danneggiò
Trecastagni,
Pedara,
Mascalucia e
Gravina. Poi
si aprì una
enorme
fenditura a
partire
dalla zona
sommitale e,
sopra
Nicolosi, si
iniziò
l'emissione
di un'enorme
quantità di
lava. Il
gigantesco
fronte
lavico avanzò
inesorabilmente
seppellendo Malpasso, Mompilieri, Camporotondo, San
Pietro
Clarenza, San
Giovanni
Galermo e Misterbianco oltre
a villaggi minori
dirigendosi
verso il mare.
Si formarono
i due coni
piroclastici che
sono
denominati Monti
Rossi, a Nord di
Nicolosi.
L'eruzione
durò 122
giorni ed
emise un
volume di
lava di
circa 950
milioni di
metri cubi.
Nel 1892 un'altra
eruzione
portò alla
formazione,
a circa 1800 m
di quota,
del
complesso
dei Monti
Silvestri.
Nel 1928,
ai primi di
novembre,
iniziò
l'eruzione
più
distruttiva
del XX
secolo. Essa
portò, in
pochi
giorni, alla
distruzione
della
cittadina di
Mascali. La
colata
fuoriuscì
da diverse
bocche
laterali sul
versante
orientale
del vulcano
e minacciò
anche Sant'Alfio e Nunziata.
Ma
l'Etna, in
passato,
oltre alle
sue eruzioni
spettacolari,
secondo uno
studio
dell'Istituto
Nazionale di
Geofisica e
Vulcanologia,
avrebbe
causato
anche
un'enorme
frana con un
fronte di 35
chilometri.
Cadendo in
mare, questa
avrebbe
generato
onde alte 40
metri: un
fenomento
mai accaduto
prima a
memoria
d'uomo.
E'
stato
chiamato lo
tsunami
dimenticato.
Sarebbe
stato
causato,
appunto, da
un'eruzione
dell'Etna o
da un
terremoto.
E' stato
scoperto
grazie alle
capacità e
all'impegno
degli
esperti
dell'Istituto
che,
attraverso
studi
batimetrici
e sondaggi
del fondo
marino,
hanno potuto
ricostruire
questo
terribile
evento che
risalirebbe
a circa
8.000 anni
fa. In soli
dieci minuti
la
gigantesca
massa di
roccia
franata
riuscì a
raggiungere
lo Ionio,
arrivando
fino a 20
chilometri
dalla costa:
questo ha
creato un
muro d'acqua
impressionante,
possiamo
solo
immaginare
la
distruzione
che ha
portato
sulle coste
del
Mediterraneo.
E'
stato
calcolato
che lo
tsunami
avrebbe
viaggiato
tra i 200 e
i 700
chilometri
l'ora.
Avrebbe
raggiunto in
brevissimo
tempo le
coste della
Calabria e
della
Puglia, di
Malta ma
anche
dell'Albania
e della
Grecia, dove
le onde
sarebbero
arrivate
dopo circa
due ore e
mezza con
un'altezza
ridotta a
10-15 metri.
Le onde
avrebbero
raggiungo
anche il
Nordafrica e
il Medio
Oriente,
Libano e
Palestina
compresi.
Una parte,
infine,
avrebbe
colpito, di
rimbalzo,
anche le
coste del
Sud della
Sicilia.
L'eruzione
del 5 aprile
del 1971 ebbe
inizio a
quota 3050
da una
voragine
dalla quale
l'emissione
di prodotti
piroclastici
formò il
cono
sub-terminale
di Sud-est.
Vennero
distrutti
l'Osservatorio
Vulcanologico
e la funivia
dell'Etna.
Ai primi di
maggio si
aprì una
lunga
fenditura a
quota 1800 m s.l.m. che
raggiunse Fornazzo e
minacciò Milo.
La lava
emessa fu di
75 milioni
di metri
cubi.
L'eruzione
del 1981 ebbe
inizio il 17
marzo e si
rivelò
abbastanza
minacciosa:
in appena
poche ore si
aprirono
fenditure da
quota 2550
via via fino
a 1140. Le
lave emesse,
molto
fluide,
raggiunsero
e tagliarono
la Ferrovia
Circumetnea;
un braccio
si arrestò
appena 200
metri prima
di Randazzo.
Il fronte
lavico tagliò
la strada
provinciale e
la Ferrovia
Taormina-Alcantara-Randazzo delle Ferrovie
dello Stato,
proseguendo
fino alle
sponde del fiume
Alcantara.
Si temette
la
distruzione
della
pittoresca e
fertile vallata,
ma la furia
del vulcano
si arrestò
alla quota
di 600 m.
Il 1983 è
da ricordare
oltre che
per la
durata
dell'eruzione,
131 giorni,
con 100
milioni di
metri cubi
di lava
emessi (che
distrussero
impianti
sciistici,
ristoranti,
altre
attività
turistiche,
nuovamente
la funivia
dell'Etna e
lunghi
tratti della
S.P. 92),
anche per il
primo
tentativo al
mondo di deviazione per
mezzo di esplosivo della
colata
lavica.
L'eruzione
si
presentava
abbastanza
imprevedibile,
con numerosi
ingrottamenti
ed emersioni
di lava
fluida a
valle, che
fecero
temere per i
centri
abitati di Ragalna,
Belpasso e
Nicolosi.
Pur tra
molte
polemiche, e
divergenze
tra gli
studiosi,
vennero
praticati,
con notevole
difficoltà,
date le
altissime temperature che
arrivavano a
rovinare le
punte da
foratura,
decine e
decine di
fornelli per
consentire
agli
artificieri
di immettere
le cariche
esplosive.
La colata
venne
parzialmente
deviata;
l'eruzione
ebbe
comunque
termine di lì
a poco.
Il
14 dicembre
del 1991 ebbe
inizio la
più lunga
eruzione del
XX secolo (durata
473 giorni),
con
l'apertura
di una
frattura
eruttiva
alla base
del cratere
di Sud-est,
alle quote
da 3100 m
a 2400 m s.l.m. in
direzione
della Valle
del Bove.
L'esteso
campo lavico
ricoprì la
zona detta
del
Trifoglietto
e si diresse
verso il
Salto della
Giumenta,
che superò
il 25
dicembre
1991
dirigendosi
verso la Val
Calanna. La
situazione
fu giudicata
pericolosa
per la città
di Zafferana
Etnea e
venne messa
in opera una
strategia di
contenimento
concertata
tra la Protezione
civile e
il Genio dell'Esercito.
In venti
giorni venne
eretto un
argine di
venti metri
d'altezza
che, per due
mesi, resse
alla spinta
del fronte
lavico. La
tecnica fu
quella
dell'erezione
di barriere
in terra per
mezzo di
lavoro
ininterrotto
di grandi
ruspe ed
escavatori a
cucchiaio.
Questa
tecnica in
seguito si
rivelerà
efficace nel
tentativo di
salvataggio
del rifugio
Sapienza e
della
stazione
turistica di
Etna Sud nel
corso
dell'eruzione 2001,
e sarà
oggetto di
studio da
parte di équipe
internazionali,
tra cui
esperti giapponesi.
Tutto si
rivelò
efficace nel
rallentare
il flusso
lavico
guadagnando
tempo ma
ancora una
volta non
risolutivo
in caso di
persistenza
dell'evento
eruttivo.
Furono
chiamati gli
incursori
della Marina
che
operarono
nel canale
principale,
a quota 2200 m,
con cariche
esplosive al
plastico
(C4) e
speciali
cariche
esplosive
cave per
deviare il
flusso di
lava nel
canale
d'invito ed
inviarla così
nella valle
del Bove,
riportando
la posizione
del fronte
lavico a
quella di
circa sei
mesi prima.
L'operazione
riuscì
perfettamente,
utilizzando
una carica
di C4 pari a
7 tonnellate
e 30 cariche
cave; il
tutto, fatto
esplodere in
rapidissima
successione,
fece
crollare il
diaframma
che separava
il magma dal
canale
d'invito.
Successivamente
venne
ostruito con
grandi
macigni di
pietra
lavica il
canale
principale
che scendeva
pericolosamente
verso
Zafferana
Etnea.

L'Etna
è meta
ininterrotta
delle visite
di turisti
interessati
al vulcano e
alle sue
manifestazioni
in quanto si
tratta di
uno dei
pochi
vulcani
attivi al
mondo ad
essere
facilmente
accessibile.
Sono
presenti
infatti
anche guide
specializzate
e mezzi
fuoristrada
che in
sicurezza
portano i
visitatori
fino ai
crateri
sommitali.
Sull'Etna
è presente
l'Osservatorio
astronomico
di Serra la
Nave, una
struttura
dedicata
all'osservazione
del cielo
sul
visibile.
La
peculiarità
della
montagna, un
vulcano,
interessato
da fenomeni
improvvisi,
quali
tremori e
sismi, le
sue attività
piroclastiche
ed effusive,
l'associazione
con il
fuoco, hanno
ingenerato
nel corso
dei tempi
l'idea che
fosse dimora
di divinità.
Sono sorti
pertanto
santuari e
luoghi di
culto sia
sulle
pendici che
nelle alture
più
scoscese.
Le
eruzioni
regolari
della
montagna, a
volte
drammatiche,
l'hanno resa
un soggetto
di grande
interesse
per la mitologia
greca e romana e
le credenze
popolari che
hanno
cercato di
spiegare il
comportamento
del vulcano
tramite i
vari dèi e giganti delle
leggende
romane e
greche.
A
proposito
del dio Eolo,
il re dei venti,
si diceva
che avesse
imprigionato
i venti
sotto le
caverne
dell'Etna.
Secondo Esiodo e
il poeta
Eschilo, il
gigante Tifone fu
confinato
nell'Etna e
fu motivo di
eruzioni. Un
altro
gigante, Encelado,
si ribellò
contro gli
dei, venne
sconfitto da Atena e
sepolto
sotto un
enorme
cumulo di
terra che la
dea raccolse
dalle coste
del
continente.
Encelado
soccombette,
si appiattì
e divenne
l'isola di
Sicilia. Si
racconta che
il suo corpo
sia disteso
sotto
l'isola con
la testa e
la sua bocca
sotto l'Etna
che sputa
fuoco ad
ogni grido
del gigante.
Di Encelado
sepolto
sotto l'Etna
parla pure
Virgilio. Su Efesto o Vulcano,
dio del
fuoco e
della
metallurgia
e fabbro
degli dei,
venne detto
di aver
avuto la sua
fucina sotto
l'Etna e di
aver domato
il demone
del fuoco Adranos e
di averlo
guidato
fuori dalla
montagna,
mentre i Ciclopi vi
tenevano
un'officina
di
forgiatura
nella quale
producevano
le saette
usate come
armi da Zeus.
Si supponeva
che il
"mondo
dei
morti"
greco, il Tartaro,
fosse
situato
sotto
l'Etna.
Si
racconta che Empedocle,
un
importante filosofo presocratico e
uomo
politico
greco del V
secolo a.C.,
si gettò
nel cratere del
vulcano per
scoprire il
segreto
della sua
attività
eruttiva. Il
suo corpo
sarebbe
stato in
seguito
restituito
dal mare al
largo della
costa
siciliana,
anche se in
realtà
sembra che
sia morto in
Grecia.
Si
dice che
quando
l'Etna eruttò
nel 252,
un anno dopo
il martirio
di santa
Agata, il
popolo di
Catania
prese il
velo della
Santa,
rimasto
intatto
dalle fiamme
del suo
martirio, e
ne invocò
il nome. Si
dice che a
seguito di
ciò
l'eruzione
finì,
mentre il
velo divenne
rosso
sangue, e
che per
questo
motivo i
devoti
invocano il
suo nome
contro il fuoco e fulmini.
Re
Artù risiederebbe,
secondo la
leggenda, in
un castello
sull'Etna,
il cui
celato
ingresso
sarebbe una
delle tante
e misteriose
grotte che
la
costellano.
Il mitico re
dei Britanni
appare anche
in una
leggenda,
quella del cavallo
del vescovo,
narrata da Gervasio
di Tilbury.
Secondo una
leggenda
inglese
l'anima della
regina Elisabetta
I
d'Inghilterra risiederebbe
nell'Etna, a
causa di un
patto che
lei avrebbe
fatto col
diavolo in
cambio del
suo aiuto
per
governare il
regno.
Grotta
del Gelo
Fuoco
e ghiaccio
che riescono
a convivere
in una
montagna
magica. Dopo
ore di
camminata
sulle
pendici, si
può
raggiungere
l'ingresso
di una
caverna.
Il
caldo
dell'esterno
diventa
rapidamente
solo un
ricordo.
Basta fare
pochi passi
e ci si
rende conto
di trovarsi
realmente in
un
ghiacciaio
sotterraneo.
E' stato
accertato
che questa
grotta si è
formata
durante la
colata
lavica del
1614. La
lava più
esterna,
solidificandosi
rapidamente,
ha creato
una vera e
propria
volta,
proteggendo
il flusso
che
continuava
per
chilometri.
La
Grotta del
Gelo è un
canale di
scorrimento
lavico,
ovvero un
vero e
proprio
tunnel
prodotto dal
transito di
flussi
lavici poco
viscosi. La
lava,
generalmente,
fluisce da
un condotto
vulcanico
con una
temperatura
tra gli 800°C
e 1200°C,
variabile a
seconda
della sua
composizione
chimica,
ossia
quantità e
tipologia di
elementi
disciolti, e
perde calore
sin dal
primo
contatto con
l’aria.
Raffreddandosi,
le parti
esterne
della colata
solidificano
formando una
volta, al di
sotto della
quale la
lava,
distaccandosi,
continua a
fluire.
Successive
fasi di
raffreddamento
e distacco
danno
origine a
strutture
tubolari,
cave, di
dimensione
variabile e
denominate
condotti di
scorrimento
lavico.
L'età
esatta della
Grotta del
Gelo non è
conosciuta.
Tuttavia, la
formazione
del condotto
è avvenuta
durante la più
lunga
eruzione
della storia
moderna
dell’Etna,
durata dal
1614 al
1624, in cui
si stima che
oltre 1
milione di
km3 di
materiale
effusivo sia
stato
riversato
lungo il
versante
Nord del
vulcano.
La
Grotta del
Gelo si
sviluppa in
direzione
nord per una
lunghezza di
109 m. È
suddivisa in
una parte
iniziale,
una mediana
e una coda,
che si
susseguono
con un
dislivello
totale di
circa 21 m.
In alcuni
punti, la
volta del
condotto
raggiunge i
5 metri di
altezza. La
massa
glaciale
ricopre più
del 30%
della cavità
e deriva
dall’accumulo
di neve e
ghiaccio per
oltre 300
anni. Il
ghiaccio
raggiunge
spessori
fino ai 2
metri e tra
le
componenti
più
suggestive,
numerose
stalattiti e
stalagmiti
si dipartono
dalla volta
e dal
pavimento
del
condotto.
La
porzione
iniziale e
quella
mediana
presentano
uno strato
di ghiaccio
sul
pavimento
che ostacola
il deflusso
di acque
d’infiltrazione,
favorendo la
formazione
di uno
stagno.
Poiché
prossime
all’entrata,
queste due
zone sono
maggiormente
suscettibili
agli scambi
d’aria con
l’esterno
e ai
cambiamenti
climatici
stagionali.
Nella
stagione
estiva,
infatti,
fenomeni di
ruscellamento,
o
infiltrazione
di acque
esterne,
contribuiscono
al
raggiungimento
di
temperature
anche
superiori ai
2°C nella
testa del
condotto,
causando la
fusione dei
ghiacci. Al
contrario,
la parte
terminale
della cavità
mantiene
temperature
annuali
inferiori
allo zero.
È in questa
zona che la
massa
glaciale è
preservata
durante
tutto
l’anno.
La
grotta del
gelo è
realmente
unica:
nessuno
conosce
esattamente
il suo
svuluppo,
così come
nessuno ne
ha mai
raggiunto il
cfondo. Sia
il pavimento
sia le
pareti sono
ghiacciate.
E' tutto
estremamente
affascinante;
si ipotizza
che il
ghiacciaio
si sviluppi
per circa
150 metri
all'interno
di questa
grotta, ma
lo sbocco è
sconosciuto,
nessuno ne
ha mai
individuato
l'esatta
posizione.
Non
esiste in
Europa un
ghiaciaio
così, per
di più
all'interno
di un
vultcano.
Solo l'Etna,
solo la
Sicilia, può
offrire uno
spettacolo
del genere,
un fenomento
unico e
affascinante
in una terra
ricca di
risorse e di
contraddizioni.
Agosto
2019