Monte Etna
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PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 2013

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L'Etna è un complesso vulcanico siciliano originatosi nel Quaternario e rappresenta il vulcano attivo terrestre più alto della placca euroasiatica. Le sue frequenti eruzioni nel corso della storia hanno modificato, a volte anche profondamente, il paesaggio circostante, arrivando più volte a minacciare le popolazioni che nei millenni si sono insediate intorno ad esso.

Il 21 giugno 2013 la XXXVII sessione del Comitato UNESCO, ha inserito il Monte Etna nell'elenco dei beni costituenti il Patrimonio dell'umanità.  

L'Etna sorge sulla costa orientale della Sicilia, entro il territorio della provincia di Catania ed è attraversato dal 15º meridiano est, che da esso prende il nome. Occupa una superficie di 1265 km², con un diametro di oltre 40 chilometri e un perimetro di base di circa 135 km.  

Il vulcano è classificato tra quelli definiti a scudo a cui è affiancato uno stratovulcano; la sua altezza varia nel tempo a causa delle sue eruzioni che ne determinano l'innalzamento o l'abbassamento. Nel 1900 la sua altezza raggiungeva i 3.274 m. s.l.m. e nel 1950 i 3.326 m. Nel 1978 era stata raggiunta la quota di 3.345 m e nel 2010 quella di 3.350 m.

La sua superficie è caratterizzata da una ricca varietà di ambienti che alterna paesaggi urbani, folti boschi che conservano diverse specie botaniche endemiche ad aree desolate ricoperte da roccia magmatica e periodicamente soggette ad innevamento alle maggiori quote.

L'Etna ha una struttura piuttosto complessa a causa della formazione, nel tempo, di numerosi edifici vulcanici che tuttavia in molti casi sono in seguito collassati e sono stati sostituiti, affiancati o coperti interamente da nuovi centri eruttivi. Sono riconoscibili nella "fase moderna" del vulcano almeno 300 tra coni e fratture eruttive. La zona risulta anche a moderato rischio sismico per effetto anche del tremore del vulcano.

Il territorio del vulcano presenta aspetti molto differenti per morfologia e tipologia in funzione dell'altitudine. Coltivato fino ai mille metri s.l.m. e fortemente urbanizzato sui versanti est e sud si presenta selvaggio e brullo sul lato occidentale dove dai mille metri in poi predominano le "sciare", specie nella zona di Bronte. Poco urbanizzato, ma di aspetto più dolce, il versante nord con il predominio dei boschi al di sopra di Linguaglossa. Il versante est è dominato dall'aspetto inquietante della Valle del Bove sui margini della quale si inerpicano fitti boschi.

Il circondario ha caratteristiche che ne rendono le terre ottime per produzioni agricole, grazie alla particolare fertilità dei detriti vulcanici. La zona abitata e coltivata giunge quasi ai 1000 m s.l.m. mentre le zone boschive arrivano fino ai 1500 metri. Ampie parti delle sue pendici sono comprese nell'omonimo parco naturale.

Il versante sud del vulcano è percorso dalla strada provinciale SP92 che si arrampica sulla montagna fino a quasi 2.000 m di quota, generando circa 20 km di tornanti. L'infrastruttura non permette di raggiungere la cima in auto ma, raggiunta la stazione turistica attorno alla Funivia dell'Etna, continua poi il suo percorso per altri 20 km circa in direzione di Zafferana Etnea.

Oltre i 1000 m in inverno è presente la neve che spesso dura fin quasi all'estate. Le zone innevate sono raggiungibili agevolmente solo dai versanti sud e nord-est su cui si trovavano anche due stazioni sciistiche (Etna nord e Etna sud). Da quella sud, dallo storico Rifugio Sapienza nel territorio di Nicolosi è possibile ammirare il golfo di Catania e la valle del Simeto. Dalle piste di Piano Provenzana a nord, in territorio di Linguaglossa, sono visibili Taormina e le coste della Calabria.

I primi riferimenti storici all'attività eruttiva dell'Etna si trovano negli scritti di Tucidide e Diodoro Siculo e del poeta Pindaro; altri riferimenti sono per lo più mitologici. Secondo Diodoro Siculo circa 3.000 anni fa, in seguito a una fase di attività violentemente esplosive (probabilmente sub-pliniane) dell'Etna, gli abitanti del tempo, i Sicani, si spostarono verso le parti occidentali dell'isola.

I primi studiosi ad intuire che il vulcano fosse in realtà costituito da un grande numero di strutture più piccole e variamente sovrapposte o affiancate furono il Lyell, Sartorius von Waltershausen e il Gemmellaro; questi riconobbero nell'Etna almeno due principali coni eruttivi, il più recente Mongibello e il più antico Trifoglietto (nell'area della Valle del Bove). Tale impostazione non venne rivista fino agli anni sessanta quando il belga J.Klerkx (sotto la guida di Alfred Rittmann) individuò nella predetta valle una successione di altri prodotti eruttivi precedenti al Mongibello. Studi successivi hanno rivelato una maggiore complessità della struttura che risulta costituita da numerosissimi centri eruttivi con caratteristiche tipologiche del tutto differenti.

L'attività maggioritaria in tempi storici è stata connessa a quella del sistema centrale, che in tempi più recenti ha interessato altre nuove bocche sommitali: il Cratere di Nord-Est, formatosi nel 1911, la Voragine nata all'interno del Cratere centrale nel 1945 e la Bocca Nuova originatasi sempre al suo interno, nel 1968.

Nel 1971 si è formato il nuovo Cratere di Sud-Est. Infine, nel 2007, è nato il Nuovo Cratere di Sud-Est che in seguito all'intensa e frequente attività stromboliana e alle fontane di lava, tra il 2011 ed il 2013 ha assunto dimensioni imponenti raggiungendo l'altezza dei crateri precedenti.

L'etimologia del nome Etna è da sempre dibattuta; sembrerebbe risalire alla pronuncia del greco antico itacista del toponimo Aitna, nome che fu attribuito anche alle città di Katane e Inessa, che deriva dalla parola del greco classico αἴθω (aitho cioè bruciare). L'Etna era conosciuto nell'età romana come Aetna.

L'Etna si è formato nel corso delle ere con un processo di costruzione e distruzione iniziato intorno a 570 000 anni fa, nel periodo Quaternario, durante il Pleistocene inferiore medio. Al suo posto si ritiene vi fosse un ampio golfo nel punto di contatto tra la zolla euro-asiatica a nord e la zolla africana a sud, corrispondente alla catena dei monti Peloritani a settentrione e all'altopiano Ibleo a meridione. Fu proprio il colossale attrito tra le due zolle a dare origine alle prime eruzioni sottomarine di lava basaltica fluidissima con la nascita dei primi coni vulcanici, al centro del golfo primordiale detto pre-etneo, nel periodo del Pleistocene medio-superiore 700 000 anni fa.

Di tali attività restano gli splendidi affioramenti della “Riviera dei Ciclopi” con i loro prismi basaltici, le brecce vulcaniche vetrose e le lave a pillow della rupe di Aci Castello, ma anche i basalti colonnari affioranti nel terrazzo fluviale del Simeto, esteso nei versanti sud occidentale e sud orientale da Adrano e Paternò fino alla costa Ionica. Il sollevamento tettonico dell'area, unitamente all'accumulo dei prodotti eruttivi, determinò l'emersione della regione e la formazione di un edificio vulcanico a scudo che è quello che costituisce il basamento dell'attuale.

Tra i 350 000 e i 200 000 anni fa, da una attività di tipo fessurale, spesso anche subacquea, scaturirono lave estremamente fluide che diedero luogo alla formazione di bancate laviche tabulari di elevato spessore (fino a 50 m), i cui resti sono gli imponenti terrazzamenti visibili nell'area sud occidentale dell'edificio vulcanico a quote comprese fra i 300 ed i 600 m s.l.m..

Gli studi sulla composizione di queste lave hanno messo in evidenza che questi prodotti vulcanici (sia subacquei che subaerei) rappresentano le cosiddette vulcaniti tholeiitiche basali, cioè magmi simili, anche se con delle differenze, a quelli che vengono prodotti in aree del mantello terrestre caratterizzate da alti gradi di fusione parziale di grande attività distensive, tipiche delle dorsali e delle isole oceaniche. Le tholeiiti costituiscono una percentuale assai limitata dei prodotti dell'area etnea e sono state eruttate in più riprese a partire da circa 500.000 anni fa, questa è infatti l'età dei più antichi prodotti etnei. Allo stesso periodo geologico si attribuisce anche la formazione del notevole Neck di Motta Sant'Anastasia, una rupe isolata di lave colonnari su cui è edificato il centro storico della cittadina etnea.

Si ritiene che tra 200 000 e 110 000 anni fa ci fu uno spostamento degli assi eruttivi verso nord e verso ovest con un contemporaneo mutamento nell'attività di risalita e nei meccanismi di effusione, accompagnati da una variazione nella composizione chimica dei magmi e nel tipo di attività. La nuova fase eruttiva vide come protagonisti coni subaerei che emettevano lave di tipo "alcalino". L'attività si concentrò lungo la costa ionica in corrispondenza del sistema di faglie dirette denominato delle Timpe. I prodotti alcalini costituiscono la gran mole del vulcano etneo e vengono eruttati ancora oggi. La distinzione tra i termini viene effettuata mediante i rapporti tra le percentuali di alcuni ossidi ed in particolare SiO2 e K2O+Na2O ritenuti indicativi delle condizioni di genesi dei magmi stessi.

Durante il Tarantiano, 110.000-60.000 anni fa, l'attività eruttiva si sposta dalla zona Val Calanna-Moscarello verso l'area adesso occupata dalla depressione della Valle del Bove. Da un'attività di tipo fissurale, come quella che ha caratterizzato le prime due fasi, si passerà gradualmente ad un'attività di tipo centrale caratterizzata sia da eruzioni effusive che esplosive. Questo tipo di attività porterà alla formazione di diversi centri eruttivi. Il principale dei coni, che viene denominato dagli studiosi Monte Calanna, è inglobato al di sotto del vulcano. Cessata l'attività di questo, circa ottantamila anni fa entrò in eruzione un nuovo complesso di coni vulcanici, detto Trifoglietto, più ad ovest del precedente, che a dispetto del grazioso nome fu un vulcano estremamente pericoloso, di tipo esplosivo caratterizzato da eruzion pliniane polifasiche, come ad esempio il Vesuvio e Vulcano delle isole Eolie, che emetteva lave di tipo molto viscoso. L'attività vulcanica si spostò poi ancor più ad ovest con la nascita di un ulteriore bocca vulcanica a cui vien dato il nome di Trifoglietto II (dai 70 ai 55.000 anni fa). Il collasso di questo edificio ha dato origine all'immensa caldera della già citata Valle del Bove, profonda circa mille metri e larga cinque chilometri, lasciando esposti sulle pareti di questa gli affioramenti di rocce piroclastiche che evidenziano lo stile particolarmente esplosivo della sua attività. L'esplosività è probabilmente collegata alle grandi quantità di acqua nell'edificio che vaporizzandosi frammentava il magma.

Intorno a 55.000 anni fa circa si verifica un ulteriore spostamento dell'attività eruttiva verso nord-ovest dopo la fine dell'attività dei centri della Valle del Bove. È la fase detta dello stratovulcano. Tale spostamento porterà alla formazione del più grosso centro eruttivo che costituisce la struttura principale del Monte Etna: il "vulcano Ellittico". Il nome Ellittico deriva dalla forma, appunto di ellisse (2 km asse maggiore ed 1 km asse minore), della caldera che ha segnato la fine della sua attività. I suoi prodotti, sia colate laviche che piroclastiti, costruirono un edificio di dimensioni notevoli che, prima del collasso calderico avvenuto 15 000 anni fa, doveva probabilmente raggiungere i 4000 metri di altezza. Le eruzioni laterali dell'Ellittico hanno prodotto la graduale espansione laterale dell'edificio vulcanico attraverso la messa in posto di colate laviche che hanno causato un radicale cambiamento dell'assetto del reticolo idrografico principalmente nel settore nord e nord-orientale. In quest'area le colate laviche colmarono antiche paleovallate come quella del fiume Alcantara generando numerosi fenomeni di sbarramento lavico del paleoalveo del fiume Simeto. L'intensa e continua attività effusiva degli ultimi 15000 anni riempirà del tutto la caldera del vulcano Ellittico coprendo in gran parte i suoi versanti e formando il nuovo cono craterico sommitale. Tale attività effusiva, originata sia dalle bocche sommitali che da apparati eruttivi parassiti, porterà alla formazione dell'edificio vulcanico che forma il complesso in attività: il Mongibello.

Nel corso del tempo si sono avute fasi di stanca e fasi di attività eruttiva, con un collasso del Mongibello intorno a otto-novemila anni fa; nei prodotti del Mongibello è stata osservata una generale transizione da termini più antichi ed acidi (relativamente arricchiti in SiO2) a più recenti e basici (cioè relativamente povere di SiO2) e porfirici (ricchi di minerali cristallizzati in profondità prima dell'emissione), le lave sono quindi ritornate ad essere di tipo fluido basaltico e si sono formati altri coni di cui alcuni molto recenti.

L'Etna è un vulcano attivo. A differenza dello Stromboli, che è in perenne attività, e del Vesuvio, che alterna periodi di quiescenza a periodi di attività parossistica, esso appare sempre sovrastato da un pennacchio di fumo. A periodi abbastanza ravvicinati entra in eruzione iniziando in genere con un periodo di degassamento ed emissione di sabbia vulcanica a cui fa seguito un'emissione di lava abbastanza fluida all'origine. Talvolta vi sono dei periodi di attività stromboliana che attirano folle di visitatori d'ogni parte del mondo per via della loro spettacolarità.

Nonostante i vulcani eruttino prevalentemente dalla loro cima, da uno o più crateri sommitali, l'Etna si caratterizza per essere uno dei pochi vulcani al mondo in cui è stato possibile osservare a memoria d'uomo la nascita di nuove bocche eruttive sommitali, formatesi in prevalenza nel secolo scorso. Il vulcano attuale era costituito fino agli anni 2000 essenzialmente da 4 crateri sommitali attivi: il cratere centrale o Voragine, il cratere subterminale di Nord-est formatosi nel 1911 (NEC), la Bocca Nuova del 1968 (BN) e il cratere subterminale di Sud-est (del 1971).

Tuttavia, solo nell'ultimo decennio, per la prima volta, i vulcanologi sono riusciti ad applicare un moderno approccio multidisciplinare per monitorare la nascita di un nuovo cratere sommitale e cercare di comprendere cosa renda tanto instabile un vulcano come l'Etna in corrispondenza delle bocche sommitali: alla fine del 2011 dove prima c'era un cratere a pozzo (o pit crater) alla base orientale del SEC, si è infatti sviluppato quello che ormai gli studiosi hanno ribattezzato Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC). L'edificio vulcanico del Nuovo Cratere di Sud-Est, formatosi lungo una frattura orientata lungo una direzione Nord-Ovest Sud-Est, è successivamente cresciuto con grande rapidità sull'orlo di una parete a strapiombo della Valle del Bove, alta circa mille metri, presentando quindi una relativa instabilità che caratterizza tutto il fianco nord-orientale del vulcano e mantiene alta l'attenzione degli scienziati.

Questi hanno recentemente stabilito che il vulcano subisce ciclicamente nel tempo dei fenomeni di inflazione (rigonfiamento), seguiti da deflazione (sgonfiamento) che possono durare per un periodi di alcuni mesi fino a qualche anno. Come riferito da Marco Neri, coordinatore del lavoro di studi e primo ricercatore presso l'Osservatorio Etneo dell'INGV (INGV-OE), durante un recente periodo di inflazione, «il fianco nord-orientale dell'Etna si è deformato, seguendo traiettorie di “traslazione” semi-circolari: la porzione sommitale si è spostata verso Nord-Est, la parte intermedia verso Est e infine la parte distale, in prossimità del Mare Ionio, è traslata verso Sud-Est. Lo spostamento verso Nord-Est della parte sommitale del vulcano ha favorito l'apertura di numerose fessure eruttive orientate in senso NO-SE (Nord-Ovest Sud-Est) e la conseguente nascita del Nuovo Cratere di Sud-Est». La traslazione verso lo Ionio è confermata anche dagli studi condotti dalla Open University.

Durante l'ultima campagna di misurazioni con GPS effettuata dall'INGV nel gennaio del 2014 si è constatato che il punto più alto del nuovo cono si era assestato ad una quota di 3290 m s.l.m. facendone di fatto una delle bocche sommitali più alte del grande vulcano.

L'Etna presenta inoltre diverse piccole bocche laterali sparse a varie altitudini, dette crateri avventizi, prodotte dalle varie eruzioni laterali nel tempo. Esistono poi dei centri eruttivi eccentrici caratterizzati dalla non condivisione del condotto vulcanico con il vulcano principale, ma del solo bacino magmatico, quali i monti Rossi e il monte Mojo.

In genere le eruzioni dell'Etna pur fortemente distruttive delle cose, non lo sono per le persone se si eccettuano i casi fortuiti come quello di Bronte del 25 novembre del 1843 in cui a causa di una falda freatica la lava esplose colpendo una settantina di persone delle quali persero la vita almeno 36 o di palese imprudenza come nel 1979 quando un'improvvisa pioggia di massi uccise nove turisti, avventuratisi fino al cratere apparentemente spento, e ne ferì un'altra decina. Le fonti della memoria storica ricordano centinaia di eruzioni di cui alcune fortemente distruttive.

L'eruzione più lunga a memoria storica è quella del luglio 1614. Il fenomeno durò ben dieci anni ed emise oltre un miliardo di metri cubi di lava, coprendo 21 chilometri quadrati di superficie sul versante settentrionale del vulcano. Presentava una caratteristica particolare: la lava, infatti, invece di scendere lungo la montagna spariva all'interno di grotte per poi rispuntare molto più a valle.

Nel 1669 avvenne l'eruzione più conosciuta e distruttiva, che raggiunse e superò, dal lato occidentale, la città di Catania; ne distrusse la parte esterna fino alle mura, circondando il Castello Ursino e superandolo creò oltre un chilometro di nuova terraferma. L'eruzione fu annunciata da un fortissimo boato e da un terremoto che distrusse il paese di Nicolosi e danneggiò Trecastagni, Pedara, Mascalucia e Gravina. Poi si aprì una enorme fenditura a partire dalla zona sommitale e, sopra Nicolosi, si iniziò l'emissione di un'enorme quantità di lava. Il gigantesco fronte lavico avanzò inesorabilmente seppellendo Malpasso, Mompilieri, Camporotondo, San Pietro Clarenza, San Giovanni Galermo e Misterbianco oltre a villaggi minori dirigendosi verso il mare. Si formarono i due coni piroclastici che sono denominati Monti Rossi, a Nord di Nicolosi. L'eruzione durò 122 giorni ed emise un volume di lava di circa 950 milioni di metri cubi.

Nel 1892 un'altra eruzione portò alla formazione, a circa 1800 m di quota, del complesso dei Monti Silvestri.

Nel 1928, ai primi di novembre, iniziò l'eruzione più distruttiva del XX secolo. Essa portò, in pochi giorni, alla distruzione della cittadina di Mascali. La colata fuoriuscì da diverse bocche laterali sul versante orientale del vulcano e minacciò anche Sant'Alfio e Nunziata.

Ma l'Etna, in passato, oltre alle sue eruzioni spettacolari, secondo uno studio dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, avrebbe causato anche un'enorme frana con un fronte di 35 chilometri. Cadendo in mare, questa avrebbe generato onde alte 40 metri: un fenomento mai accaduto prima a memoria d'uomo.

E' stato chiamato lo tsunami dimenticato. Sarebbe stato causato, appunto, da un'eruzione dell'Etna o da un terremoto. E' stato scoperto grazie alle capacità e all'impegno degli esperti dell'Istituto che, attraverso studi batimetrici e sondaggi del fondo marino, hanno potuto ricostruire questo terribile evento che risalirebbe a circa 8.000 anni fa. In soli dieci minuti la gigantesca massa di roccia franata riuscì a raggiungere lo Ionio, arrivando fino a 20 chilometri dalla costa: questo ha creato un muro d'acqua impressionante, possiamo solo immaginare la distruzione che ha portato sulle coste del Mediterraneo. 

E' stato calcolato che lo tsunami avrebbe viaggiato tra i 200 e i 700 chilometri l'ora. Avrebbe raggiunto in brevissimo tempo le coste della Calabria e della Puglia, di Malta ma anche dell'Albania e della Grecia, dove le onde sarebbero arrivate dopo circa due ore e mezza con un'altezza ridotta a 10-15 metri. Le onde avrebbero raggiungo anche il Nordafrica e il Medio Oriente, Libano e Palestina compresi. Una parte, infine, avrebbe colpito, di rimbalzo, anche le coste del Sud della Sicilia.

L'eruzione del 5 aprile del 1971 ebbe inizio a quota 3050 da una voragine dalla quale l'emissione di prodotti piroclastici formò il cono sub-terminale di Sud-est. Vennero distrutti l'Osservatorio Vulcanologico e la funivia dell'Etna. Ai primi di maggio si aprì una lunga fenditura a quota 1800 m s.l.m. che raggiunse Fornazzo e minacciò Milo. La lava emessa fu di 75 milioni di metri cubi.

L'eruzione del 1981 ebbe inizio il 17 marzo e si rivelò abbastanza minacciosa: in appena poche ore si aprirono fenditure da quota 2550 via via fino a 1140. Le lave emesse, molto fluide, raggiunsero e tagliarono la Ferrovia Circumetnea; un braccio si arrestò appena 200 metri prima di Randazzo. Il fronte lavico tagliò la strada provinciale e la Ferrovia Taormina-Alcantara-Randazzo delle Ferrovie dello Stato, proseguendo fino alle sponde del fiume Alcantara. Si temette la distruzione della pittoresca e fertile vallata, ma la furia del vulcano si arrestò alla quota di 600 m.

Il 1983 è da ricordare oltre che per la durata dell'eruzione, 131 giorni, con 100 milioni di metri cubi di lava emessi (che distrussero impianti sciistici, ristoranti, altre attività turistiche, nuovamente la funivia dell'Etna e lunghi tratti della S.P. 92), anche per il primo tentativo al mondo di deviazione per mezzo di esplosivo della colata lavica. L'eruzione si presentava abbastanza imprevedibile, con numerosi ingrottamenti ed emersioni di lava fluida a valle, che fecero temere per i centri abitati di Ragalna, Belpasso e Nicolosi. Pur tra molte polemiche, e divergenze tra gli studiosi, vennero praticati, con notevole difficoltà, date le altissime temperature che arrivavano a rovinare le punte da foratura, decine e decine di fornelli per consentire agli artificieri di immettere le cariche esplosive. La colata venne parzialmente deviata; l'eruzione ebbe comunque termine di lì a poco.

Il 14 dicembre del 1991 ebbe inizio la più lunga eruzione del XX secolo (durata 473 giorni), con l'apertura di una frattura eruttiva alla base del cratere di Sud-est, alle quote da 3100 m a 2400 m s.l.m. in direzione della Valle del Bove. L'esteso campo lavico ricoprì la zona detta del Trifoglietto e si diresse verso il Salto della Giumenta, che superò il 25 dicembre 1991 dirigendosi verso la Val Calanna. La situazione fu giudicata pericolosa per la città di Zafferana Etnea e venne messa in opera una strategia di contenimento concertata tra la Protezione civile e il Genio dell'Esercito. In venti giorni venne eretto un argine di venti metri d'altezza che, per due mesi, resse alla spinta del fronte lavico. La tecnica fu quella dell'erezione di barriere in terra per mezzo di lavoro ininterrotto di grandi ruspe ed escavatori a cucchiaio.

Questa tecnica in seguito si rivelerà efficace nel tentativo di salvataggio del rifugio Sapienza e della stazione turistica di Etna Sud nel corso dell'eruzione 2001, e sarà oggetto di studio da parte di équipe internazionali, tra cui esperti giapponesi. Tutto si rivelò efficace nel rallentare il flusso lavico guadagnando tempo ma ancora una volta non risolutivo in caso di persistenza dell'evento eruttivo. Furono chiamati gli incursori della Marina che operarono nel canale principale, a quota 2200 m, con cariche esplosive al plastico (C4) e speciali cariche esplosive cave per deviare il flusso di lava nel canale d'invito ed inviarla così nella valle del Bove, riportando la posizione del fronte lavico a quella di circa sei mesi prima. L'operazione riuscì perfettamente, utilizzando una carica di C4 pari a 7 tonnellate e 30 cariche cave; il tutto, fatto esplodere in rapidissima successione, fece crollare il diaframma che separava il magma dal canale d'invito. Successivamente venne ostruito con grandi macigni di pietra lavica il canale principale che scendeva pericolosamente verso Zafferana Etnea.

L'Etna è meta ininterrotta delle visite di turisti interessati al vulcano e alle sue manifestazioni in quanto si tratta di uno dei pochi vulcani attivi al mondo ad essere facilmente accessibile. Sono presenti infatti anche guide specializzate e mezzi fuoristrada che in sicurezza portano i visitatori fino ai crateri sommitali.  

Sull'Etna è presente l'Osservatorio astronomico di Serra la Nave, una struttura dedicata all'osservazione del cielo sul visibile.

La peculiarità della montagna, un vulcano, interessato da fenomeni improvvisi, quali tremori e sismi, le sue attività piroclastiche ed effusive, l'associazione con il fuoco, hanno ingenerato nel corso dei tempi l'idea che fosse dimora di divinità. Sono sorti pertanto santuari e luoghi di culto sia sulle pendici che nelle alture più scoscese.

Le eruzioni regolari della montagna, a volte drammatiche, l'hanno resa un soggetto di grande interesse per la mitologia greca e romana e le credenze popolari che hanno cercato di spiegare il comportamento del vulcano tramite i vari dèi e giganti delle leggende romane e greche.

A proposito del dio Eolo, il re dei venti, si diceva che avesse imprigionato i venti sotto le caverne dell'Etna. Secondo Esiodo e il poeta Eschilo, il gigante Tifone fu confinato nell'Etna e fu motivo di eruzioni. Un altro gigante, Encelado, si ribellò contro gli dei, venne sconfitto da Atena e sepolto sotto un enorme cumulo di terra che la dea raccolse dalle coste del continente. Encelado soccombette, si appiattì e divenne l'isola di Sicilia. Si racconta che il suo corpo sia disteso sotto l'isola con la testa e la sua bocca sotto l'Etna che sputa fuoco ad ogni grido del gigante. Di Encelado sepolto sotto l'Etna parla pure Virgilio. Su Efesto o Vulcano, dio del fuoco e della metallurgia e fabbro degli dei, venne detto di aver avuto la sua fucina sotto l'Etna e di aver domato il demone del fuoco Adranos e di averlo guidato fuori dalla montagna, mentre i Ciclopi vi tenevano un'officina di forgiatura nella quale producevano le saette usate come armi da Zeus. Si supponeva che il "mondo dei morti" greco, il Tartaro, fosse situato sotto l'Etna.  

Si racconta che Empedocle, un importante filosofo presocratico e uomo politico greco del V secolo a.C., si gettò nel cratere del vulcano per scoprire il segreto della sua attività eruttiva. Il suo corpo sarebbe stato in seguito restituito dal mare al largo della costa siciliana, anche se in realtà sembra che sia morto in Grecia.

Si dice che quando l'Etna eruttò nel 252, un anno dopo il martirio di santa Agata, il popolo di Catania prese il velo della Santa, rimasto intatto dalle fiamme del suo martirio, e ne invocò il nome. Si dice che a seguito di ciò l'eruzione finì, mentre il velo divenne rosso sangue, e che per questo motivo i devoti invocano il suo nome contro il fuoco e fulmini.

Re Artù risiederebbe, secondo la leggenda, in un castello sull'Etna, il cui celato ingresso sarebbe una delle tante e misteriose grotte che la costellano. Il mitico re dei Britanni appare anche in una leggenda, quella del cavallo del vescovo, narrata da Gervasio di Tilbury. Secondo una leggenda inglese l'anima della regina Elisabetta I d'Inghilterra risiederebbe nell'Etna, a causa di un patto che lei avrebbe fatto col diavolo in cambio del suo aiuto per governare il regno.

Grotta del Gelo

Fuoco e ghiaccio che riescono a convivere in una montagna magica. Dopo ore di camminata sulle pendici, si può raggiungere l'ingresso di una caverna. 

Il caldo dell'esterno diventa rapidamente solo un ricordo. Basta fare pochi passi e ci si rende conto di trovarsi realmente in un ghiacciaio sotterraneo. E' stato accertato che questa grotta si è formata durante la colata lavica del 1614. La lava più esterna, solidificandosi rapidamente, ha creato una vera e propria volta, proteggendo il flusso che continuava per chilometri. 

La Grotta del Gelo è un canale di scorrimento lavico, ovvero un vero e proprio tunnel prodotto dal transito di flussi lavici poco viscosi. La lava, generalmente, fluisce da un condotto vulcanico con una temperatura tra gli 800°C e 1200°C, variabile a seconda della sua composizione chimica, ossia quantità e tipologia di elementi disciolti, e perde calore sin dal primo contatto con l’aria.  

Raffreddandosi, le parti esterne della colata solidificano formando una volta, al di sotto della quale la lava, distaccandosi, continua a fluire. Successive fasi di raffreddamento e distacco danno origine a strutture tubolari, cave, di dimensione variabile e denominate condotti di scorrimento lavico.

L'età esatta della Grotta del Gelo non è conosciuta. Tuttavia, la formazione del condotto è avvenuta durante la più lunga eruzione della storia moderna dell’Etna, durata dal 1614 al 1624, in cui si stima che oltre 1 milione di km3 di materiale effusivo sia stato riversato lungo il versante Nord del vulcano.

La Grotta del Gelo si sviluppa in direzione nord per una lunghezza di 109 m. È suddivisa in una parte iniziale, una mediana e una coda, che si susseguono con un dislivello totale di circa 21 m. In alcuni punti, la volta del condotto raggiunge i 5 metri di altezza. La massa glaciale ricopre più del 30% della cavità e deriva dall’accumulo di neve e ghiaccio per oltre 300 anni. Il ghiaccio raggiunge spessori fino ai 2 metri e tra le componenti più suggestive, numerose stalattiti e stalagmiti si dipartono dalla volta e dal pavimento del condotto.

La porzione iniziale e quella mediana presentano uno strato di ghiaccio sul pavimento che ostacola il deflusso di acque d’infiltrazione, favorendo la formazione di uno stagno. Poiché prossime all’entrata, queste due zone sono maggiormente suscettibili agli scambi d’aria con l’esterno e ai cambiamenti climatici stagionali. Nella stagione estiva, infatti, fenomeni di ruscellamento, o infiltrazione di acque esterne, contribuiscono al raggiungimento di temperature anche superiori ai 2°C nella testa del condotto, causando la fusione dei ghiacci. Al contrario, la parte terminale della cavità mantiene temperature annuali inferiori allo zero. È in questa zona che la massa glaciale è preservata durante tutto l’anno.

La grotta del gelo è realmente unica: nessuno conosce esattamente il suo svuluppo, così come nessuno ne ha mai raggiunto il cfondo. Sia il pavimento sia le pareti sono ghiacciate. E' tutto estremamente affascinante; si ipotizza che il ghiacciaio si sviluppi per circa 150 metri all'interno di questa grotta, ma lo sbocco è sconosciuto, nessuno ne ha mai individuato l'esatta posizione.

Non esiste in Europa un ghiaciaio così, per di più all'interno di un vultcano. Solo l'Etna, solo la Sicilia, può offrire uno spettacolo del genere, un fenomento unico e affascinante in una terra ricca di risorse e di contraddizioni.

Agosto 2019


  

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