Il
castello di Graines,
domina Brusson dall'alto
dell'unico promontorio
roccioso, che sembra
essere stato creato
appositamente per il suo
alloggiamento.
Il
pregio di questo
castello, costituito da
un impianto
architettonico molto
semplice, risiede nella
splendida cornice
paesaggistica venutasi a
creare con la sua
costruzione. In effetti,
in prossimità del luogo
in cui sorge, la valle
si fa più dolce e vi si
ammirano pascoli e
boschi ricchi di
vegetazione. La presenza
in questo scenario
naturale di uno sperone
roccioso (sormontato
dall'antico castello),
conferisce all'insieme
un aspetto inusuale.
Inoltre, è piacevole
ammirare il contrasto
tra le asperità del
castello e la dolcezza
del paesaggio, il quale
rende più mite la
costruzione bellica.
La
posizione strategica - Il castello, situato sull'orlo di un precipizio, godeva
di una posizione ideale
dal punto di vista
difensivo. Inoltre,
attraverso la torre di
Bonot (Challand-Saint-Victor),
poteva comunicare con il
castello di Villa (Challand-Saint-Victor)
e con il fondo valle. E'
bene ricordare infatti,
che tutti i castelli
erano situati in modo da
comunicare visivamente
tra loro mediante
specchi o bandiere,
oppure con fuochi o
suoni. Quando due
fortezze non erano
visibili direttamente,
si costruivano delle
torri intermedie per
completare la rete di
comunicazione. In ogni
caso il castello di
Graines venne costruito
essenzialmente per
svolgere una funzione di
controllo sul ricco
feudo circostante e fu
coinvolto in operazioni
militari solo in
occasione di dispute a
livello familiare. Ne è
un esempio il conflitto,
avvenuto nella metà del
XV secolo, tra Catherine
de Challant e Pierre
d'Introd contro il duca
di Savoia. Proprio
quell'occasione richiese
la creazione di
fortificazioni
aggiuntive.
Le origini del castello e del feudo
Il
feudo di Graines, che è
uno dei più antichi,
comprendeva
originariamente: Ayas,
Brusson, un terzo del
territorio di Challant e
due terzi di Gressoney.
La sua nascita risale al
VI secolo e più
precisamente al 515,
anno in cui Sigismondo
(re dei Burgundi), per
commemorare i martiri
della legione Tebea,
fondò l'abbazia di
Saint-Maurice d'Agaune
nel Vallese.
Per
garantire ai monaci una
rendita costante,
Sigismondo donò loro
diversi possedimenti tra
cui il feudo di Graines.
Quest'ultimo era vasto,
popolato, possedeva
delle terre molto
fertili e permetteva di
trarre molta ricchezza
dallo sfruttamento delle
sue miniere. Durante l'XI
secolo la Valle d'Aosta,
fino ad allora sotto il
controllo dei Borgoni,
passò al dominio dei
conti di Savoia. Con
capostipite Bosone, la famiglia
dei Challant,
già visconti di Aosta e
fedelissimi servitori
dei conti di Savoia, dai
quali erano stati
gratificati con alti
onori, divennero i nuovi
signori della valle.
La
cappella del castello,
dedicata a San Martino,
figura nel “Messale di
Brusson”, attribuito
all’ XI secolo, e in
documenti pontifici
datati tra il 1145 e il
1170. Il maniero, però,
risale forse all'XI
secolo, il che
rimanderebbe all'antica
tradizione di un
monastero fortificato in
luogo del successivo
castello: questa
tradizione si inserisce
nel solco della più
vasta leggenda che
vorrebbe i monaci di San
Maurizio responsabili
della diffusione del
cristianesimo in Ayas e
fondatori della chiesa
di Brusson, votata a San
Maurizio. Il maniero
veniva anticamente
definito Castro
Sancti Martini,
in onore della
locale chiesetta di San
Martino.
Il primo
documento in cui viene
citato il castello è
l'omaggio feudale del 1263,
dove il visconte di
Aosta, Gotofredo
di Challant,
riceve in feudo
dall’abate di
Saint-Maurice "il
castello di Graines, la
montagna chiamata
Palasinaz, le terre di
Vollon, la montagna di
Soremont e la montagna
di Fontesin con tutte le
loro decime". I
monaci, infatti,
cedettero i diritti del
feudo agli Challant con
una serie di investiture
che durarono fino al
1727. I motivi di tale
decisione vanno
ricercati nei nuovi
equilibri politici
instauratisi in Valle
d'Aosta, ma anche nella
difficoltà di gestire
il feudo a causa della
lontananza.
I
Challant, verso la metà
del XIII secolo,
estesero presto la loro
signoria anche su Arnad,
prima che tale
giurisdizione passasse
ai signori di Vallaise
in seguito a vicende di
eredità. Ibleto
di Challant,
nel corso del Trecento
acquisì anche le
signorie di Verrès ed
Issogne. La zona a
settentrione del
territorio di Verrès,
d'altro canto, era
destinata a cadere nelle
mani degli Challant, i
quali avevano acquisito
già nel 1351 una parte
del feudo di Torille.
Ibleto, che morì nel
1405, veniva
così ad essere l'unico
signore in tutta la
valle percorsa dal
torrente Evançon,
grazie all'appoggio
sabaudo ed alle sue
indiscutibili capacità
personali: ricostruì i castelli
di Verrès ed Issogne,
rendendo il primo un
forte praticamente
inespugnabile ed il
secondo, cominciato
appena dopo
l'inaugurazione del
maniero di Verrès nel
1390, un piacevole e
sontuoso castello di
rappresentanza. Issogne
si rivelò una struttura
sufficientemente comoda
per accogliere un
imperatore, Sigismondo,
che vi transitò nel
1414 insieme ad Amedeo
VIII di Savoia.
Nel
1410,
alla morte del figlio di
Ibleto, Giovanni,
che era stato investito
delle signorie di
Graines e di Châtillon,
i possedimenti feudali
passarono a Francesco
di Challant,
che nel 1424 divenne
conte: egli viene
ricordato per aver
concesso le franchigie a
Brusson ed Ayas, il 27
settembre 1418.
Francesco contrasse
alcuni debiti per poter
garantire una dote
sontuosa alle sue
quattro figlie, nate dai
matrimoni con Marguerite
d'Oron de Bossonens e
con Françoise Maréchal
de Meximieux, al punto
da dover rinunciare al
castello ed alla
signoria di Montjovet
perché i Savoia
supplissero alla sua
carenza di fondi. Due
figlie, Antonia e Bona,
scomparvero prima del
padre. Francesco,
morendo nel 1442,
lasciò inalterato il
proprio testamento del
21 giugno 1437, che
designava le sue figlie
superstiti, Margherita
e Caterina,
alla successione. Nacque
così un duro scontro
per la spartizione delle
ricche e belle contrade
degli Challant, contese
aspramente alle due
donne da parenti avidi
di terre e denaro.
Caterina era una
donna, per l'epoca,
fuori dal comune. Ben
decisa a mantenere la
proprietà delle terre
dei suoi avi, era decisa
a difendere i propri
diritti con qualsiasi
mezzo: anche con le
armi, se necessario.
Decisa ad avere mano
libera nel condurre la
lotta contro i Savoia e
gli avidi parenti, si
liberò dell'ingerenza
della sorella Margherita
con undicimila fiorini,
relegandola nel comodo
castello di Verrès.
Risiedeva nel castello
di Châtillon ma, non
sentendosi completamente
sicura nel condurre da lì
la sua battaglia, si
trasferì a Challant
nell'aprile 1450:
per l'occasione Pietro
Sarriod d'Introd
la scortò attraverso il
Col de Joux con duecento
soldati, per prevenire
imboscate dell'infido
parentado escluso dal
testamento di Francesco,
se non da parte di
truppe sabaude. Sempre
nel 1450 Pietro e suo
fratello Francesco
fortificarono e munirono
di agguerrite
guarnigioni i manieri di
Graines e di Challant.
Due anni più tardi
parve arrivato il
momento della rivalsa
per Caterina: il suo
acerrimo rivale, Giacomo
di Challant- Aymavilles,
era caduto in disgrazia
presso i Savoia, a causa
di una congiura detta
"dei Ciprioti"
poiché volta contro la
duchessa Anna di Cipro.
La nobile ricevette così
i suoi diritti sulle
terre degli Challant, ad
eccezione del castello
di Graines; ma
nuovamente i parenti
insistettero,
caldeggiando la sorella
Margherita, la quale si
era da tempo pentita di
aver ceduto a Caterina i
diritti derivati ad
entrambe dal padre.
Margherita era stata
anche ampiamente
osteggiata da Pietro
d'Introd, il quale non
nascondeva il suo
desiderio di espellerla
dal maniero di Verrès.
Nel frattempo Caterina,
Pietro e Francesco
d'Introd vennero
riconosciuti colpevoli e
condannati non solo ad
una multa di mille
marchi d'oro, bensì
anche alla confisca dei
beni. Essi scelsero
probabilmente la
risposta sbagliata,
quando il 31
maggio 1450
pranzarono nella sede
vescovile di Verrès,
danzando poi con il
popolo in segno di
sfida. Ludovico di
Savoia nominò allora
una Commissione per
stabilire chi, delle due
sorelle, fosse nel pieno
del diritto: nel luglio
1453, i suoi esponenti
si recarono al castello
di Villa- Challand dove
furono ricevuti da un
uomo che, con abili
parole, cercò di
convincerli d'essere
solo a guardia del
maniero. Uno dei
commissari, non
convinto, riuscì a
scorgere circa sessanta
militi appostati appena
all'interno del
castello: venne
catturato, mentre con
grande clamore dall'alto
delle mura venivano
scagliati massi e dardi
contro gli stupefatti
commissari, alcuni dei
quali vennero seriamente
feriti prima di riuscire
a guadagnare la
copertura delle case di
Villa.

Alla fine dello
stesso anno Caterina,
dispensata da papa Nicolò
V dagli impedimenti
matrimoniali con
documento datato 21
giugno 1453,
sposò Pietro
Sarriod d'Introd.
Nel 1456, la sorte
decretò la fine della
coppia. Il 30 giugno Giacomo
di Challant- Aymavilles,
perdonato dopo la
congiura, fu nominato a
Ginevra vero ed unico
conte di Challant, terra
alla quale si affrettò
a far ritorno. Questa
volta non esitò a
rispondere all'ennesimo
rifiuto alla
capitolazione di
Caterina con le armi, ed
assediò sia il castello
di Châtillon che la
roccaforte di Verrès.
Contro Caterina si
schierarono due capitani
piemontesi e un gran
numero di uomini armati,
mentre il
governatore di Vercelli,
Guglielmo di
Challant,
assediò il maniero di
Verrès. Caterina, forse
presa in contropiede nel
primo dei due manieri,
invocò il soccorso del
marito che, di carattere
focoso ed impetuosamente
fedele alla consorte,
radunò i suoi e lasciò
subito la relativa
sicurezza di Verrès:
sfortunatamente cadde in
un'imboscata nelle
vicinanze del monastero
di Saint Gilles, dove
venne trucidato.
Nel dicembre
1456 Caterina
si arrese, consegnando
ogni signoria a Giacomo.
Questi, magnanimo o
forse finalmente pago,
non infierì sulla
cugina sconfitta; viene
ricordato per aver
concesso le franchigie a
Challand- Saint- Victor,
il 30 marzo 1459, dopo
una lunga attesa dovuta
al vuoto di potere
causato dalla morte di
Francesco di Challant ed
alla disputa tra
Caterina, Giacomo stesso
ed i Savoia.
Un anno più tardi,
Caterina di Challant
venne accusata di
sortilegi contro i
Savoia, ma, sebbene
arrestata, fu
successivamente
liberata. Ciò non fu
sufficiente a domare la
nobile dama, che nel 1462
sposò il
signore di Polinge,
tramando e ricorrendo
saltuariamente alla
forza per riavere la
contea di Challant. Morì
intorno al 1476,
dopo qualche anno di
silenzio nelle cronache,
quasi certamente ancora
indomita: viene
ricordata ancora oggi
nel carnevale di Verrès,
come autentica eroina.
Il
castello di Graines successivamente
passò ai
Savoia, e nel 1615
il duca Carlo Emanuele I
vi pose una piccola
guarnigione (due
archibugieri e quattro
moschettieri) poiché temeva una incursione
spagnola in Ayas. Con il
decadere
dell'investitura dei
Challant, a partire dal
1727, il castello venne
abbandonato e col
passare del tempo si
ridusse allo stato di
rudere. Nel 1841
alla morte dell'ultima
Challant, la contessa
Gabriella, il
castello ormai diroccato
passò ai Passerin d'Entrèves,
che successivamente ne
diedero al Comune di
Brusson il diritto di
usufrutto.
Nei
primi anni del '900, il
D'Andrade,
in collaborazione con Giuseppe
Giacosa, ha
compiuto un restauro
facendo in mondo che
ancora oggi si possa
visitare e apprezzare i
resti originali del
castello.
 
Descrizione
architettonica - Il restauro del D'Andrade ha fatto sì che ancora oggi
siano rimasti in piedi
gli edifici principali
del complesso. Grazie al
suo intervento è
possibile identificare
ancora oggi l'originaria
tipologia costruttiva.
Questa chiarezza
compositiva è resa
possibile anche dal
fatto che il castello
non ha subito nel tempo
alcun rimaneggiamento
che ne abbia stravolto
la primitiva tipologia.
Il
castello appartiene alla
classica categoria del
castello-recinto,
costituita da un corpo
centrale protetto da una
cinta muraria. Nel caso
di Graines le mura si
interrompono in
corrispondenza del
precipizio ed al loro
interno, sulla roccia,
svetta la possente torre
quadrata (donjon). La
torre misura circa 6
metri di lato ed ha una
forte scarpa, aggiunta
probabilmente in un
secondo tempo, a
protezione dalle mine.
Il
donjon presenta, appena
al di sotto della
copertura, due grandi
aperture quadrate per
ciascuna facciata. Esse
costituiscono una
merlatura coperta da un
tetto con struttura in
legno e manto in lose di
pietra.
L'unico
accesso è situato sul
lato ovest ad alcuni
metri d'altezza ed è
sormontato da un architrave
con arco
cieco. Internamente, la
torre era distribuita su
almeno tre piani divisi
da solai in legno che
poggiavano direttamente
sulla muratura
perimetrale, che si
restringeva ai piani più
alti. In un secondo tempo,
alla torre fu annesso un
corpo di fabbrica
rettangolare a scopo
residenziale. L'ingresso
(a ballatoio) era posto
a pochi metri dal
terreno ed era
raggiungibile mediante
una scalinata in pietra.
Da lì probabilmente
c'era una scala per
accedere alla torre. Nel
terreno è stata
ricavata una cisterna
con volta a botte.
Nelle
immediate vicinanze,
verso sud, è situata la
cappella, di cui oggi è
rimasta la struttura
perimetrale senza la
copertura principale.
L'edificio religioso è
sicuramente il più
antico del complesso
fortificato; di impianto
tipicamente romanico,
era già menzionato nel
1100. La chiesa si
presenta ad un'unica
navata di circa 8 metri
con abside
semicircolare, coperto
da un tetto in legno con
manto di copertura in
lose di pietra. Sulla
facciata principale,
l'ingresso è sormontato
da un arco a tutto sesto
e da una sovrastante
apertura tonda. Sulla
sua sommità poggia un
piacevole campaniletto
che
"ingentilisce"
l'antica costruzione in
muratura di pietra. Il
tetto principale doveva
essere a capanna con
struttura in legno e
manto il lose di pietra.
La chiesa era illuminata
da 5 finestre monofore,
di cui tre nell'abside e
due sul lato sud.
L'abside è decorato
esternamente con
archetti ciechi e
lesene. In
corrispondenza
dell'ingresso, a causa
della conformazione del
terreno, vi è solo un
ridottissimo pianoro.
L'ingresso all'intera
struttura fortificata è
posto sul lato ovest ed
è preceduto da un
avancorpo costruito in
un secondo tempo a scopo
difensivo. Sempre a
ponente, addossati al
muro perimetrale,
dovevano esserci altri
edifici, di cui oggi
rimangono solo pochi
resti. Pertanto non è
possibile dedurne la
destinazione. Nel muro
di cinta è possibile
identificare delle
sopraelevazioni tutte
dotate del cammino di
ronda e terminanti con
merlatura guelfa.

IL
TESORO DEL CASTELLO
Pare che sotto
il castello di Graines
sia sepolto un tesoro,
ma che nessuno sia mai
riuscito a portarlo alla
luce. Non si sa chi sia
stato a nascondere tale
immenso tesoro. Forse i
monaci dell'abbazia di
San Maurizio di Agauno
(l'attuale Saint-Maurice
vicino a Martigny, nel
Vallese elvetico),
desiderosi di proteggere
da sguardi indiscreti i
beni dell'ordine. O
forse la casata degli
Challant, signori della
Valle d'Aosta, che entrò
in possesso del castello
dopo i monaci.
Esistono alcune leggende
a riguardo.
- Una racconta di un
giovane mandriano, che
avrebbe sentito in sogno
una voce che gli
indicava il punto dove
avrebbe dovuto scavare
per trovare il tesoro,
ammonendolo però a
lasciare il nascondiglio
prima che il gallo
avesse cantato tre
volte. La notte
successiva, l'uomo
avrebbe fatto come gli
era stato detto e,
scoperta una botola,
penetrò nella stanza
del tesoro. Abbagliato
dallo sfavillio dell'oro
e delle gemme che a
mucchi riempivano la
grotta, indugiò a
contemplare quelle
favolose ricchezze,
affondandovi cupidamente
le mani. Il gallo cantò:
una, due, tre volte. La
botola si chiuse senza
far rumore: e l'uomo
restò prigioniero nella
caverna incantata, nè
alcuno seppe più nulla
di lui.
- Un'altra narra che
il favoloso tesoro sia
vigilato giorno e notte
da una vacca dal
mantello verde. Si può
sperare di scoprirlo
solo due volte l'anno:
il Venerdì Santo e
nella notte del 24
giugno, in occasione
della festa di San
Giovanni. Non esistono
indizi che spieghino da
dove salti fuori una
mucca di colore verde, nè
ci è dato di sapere
perchè solo in quei due
giorni dell'anno si
possa intraprendere la
ricerca. L'unica cosa
certa è il luogo in cui
il bottino attenderebbe
da secoli: i sotterranei
dell'edificio
residenziale, una delle
poche strutture del
castello rimaste in
piedi fino a oggi.
- Un'altra ancora,
secondo le storie
locali, racconta che un
giorno un contadino che
passava di lì trovò il
tesoro ed iniziò a
raccoglierne le
meravigliose gemme e le
monete d'oro. Si soffermò
tutta la notte, ma la
mattina seguente il
contandino e il tesoro
scomparvero nel nulla!
Può darsi che fosse
fuggito con tutto il
tesoro, ma molti credono
che per la troppa
cupidigia sia stato
maledetto dal fantasma
del vero proprietario;
è comunque certo che da
quel giorno del
contandino non si ebbe
più notizia.
LA
NEVE DI CATERINA
Caterina di
Challant, oltre ad
essere stata una donna
forte e motivata,
possedeva una bellezza
sfavillante, e il vanto
della sua bellezza era
la carnagione chiara e
delicata. Durante gli
inverni passati nel
castello di Graines,
nelle giornate limpide,
pare che il suo amato
Pietro d'Introd
obbligasse la gente del
contado della valle a
salire sulle cime delle
montagne la mattina
presto e a gettare terra
sulla neve fresca della
Becca Torchè affinchè
il riverbero prodotto
dalla luce del sole non
fosse troppo eccessivo
per la pelle di
Caterina.

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