Il territorio
comunale di Aieta è parte integrante del Parco
nazionale del Pollino e culmina nel Monte Ciagola, a 1463 metri di
altitudine; benché non lontano dal Mar
Tirreno, Aieta ha tradizioni culturali ed enogastronomiche più
tipicamente montanare. Il centro storico, posto a 524 m .s.l.m., è dominato dal
palazzo baronale (raro esempio di architettura rinascimentale in Calabria) ed
ospita chiese e palazzi di rilevante interesse storico tanto da rientrare nel
prestigioso club dei "borghi più belli d'Italia".
Nei documenti
storici compare con il nome Asty Aetou, ossia "città
dell'aquila" derivando dal greco aetòs,
αετός, "aquila", risalente ai domini bizantini.
L'origine del nome probabilmente si riferisce alla posizione dominante del paese
o alla presenza nella regione di numerose aquile; l'aquila è anche raffigurata
nello stemma del paese.
La fertile
conca compresa fra i monti Calimaro, Curatolo, Rosello, Gada, La Destra,
Ciagola, Le Fabbriche, Schiena, percorsa dal fiumicello è stata abitata e
coltivata fin dai tempi protostorici. Fu sede di ville di produzione
agricola ai tempi degli Enotri (VI-V
secolo a.C.) e dei Lucani (V-IV
secolo a.C.), che costruirono la prima fortificazione di avvistamento sul monte
Calimaro, a difesa del territorio contro i Greci di Thurii provenienti dalla
valle del Mercure-Lao attraverso i Piani del Carro di Tortora.
Successivamente
nella conca prosperarono unità produttive agricole romane.
I Bizantini, succeduti ai Romani, ne fecero il capoluogo di una tourma,
riprendendo e rafforzando la fortificazione del monte Calimaro per difendersi
dalle incursioni dei Goti e
dei Longobardi provenienti
da Laino attraverso i Piani del Carro, e diedero all'insediamento il suo nome
attuale: Aieta (come un'aquila appollaiata sulla cima del monte).
Nel periodo
bizantino il sito ospitò numerose laure di monaci greco-bizantini
provenienti dall'oriente per sfuggire alle invasioni della Palestina e
dell'Egitto da
parte dei Sasanidi di Cosroe prima
e degli islamici poi.
Ne sono testimonianza i toponimi di santi di varie località aietane.
Dalla conquista normanna in
poi la postazione del Monte Calimaro si rese inutile e fu abbandonata non
essendoci più nemici da cui guardarsi. Fu così ampliato e popolato il
villaggio sorto sulla cresta che si affaccia a NO sulla valle di Tortora e a SE
sulla conca interna. Da allora il piccolo centro ha vissuto le vicissitudini
comuni agli altri centri tirrenici accorpati
ai possedimenti napoletani degli Svevi,
degli Angioini,
degli Aragonesi,
delle dominazioni straniere, del regno dei Borbone
di Napoli da Carlo
III in poi fino all'annessione al regno
d'Italia, con la sola interruzione della dominazione francese durante la
triste parentesi napoleonica nel primo decennio del XIX secolo.
In seguito alla
creazione del Comune di Praia
a Mare nel 1928, il territorio di Aieta è stato ridotto, privato
della fascia costiera.

Nonostante la
cittadina si trovi a soli 12 chilometri dal mare, ha tradizioni culturali ed
enogastronomiche tipicamente montane; infatti, il suo territorio fa parte del
Parco Nazionale del Pollino, situato in una conca di vallate, con alle spalle il
mare.
Un borgo dove
il tempo si è fermato e dove pace e tranquillità regnano sovrane. Passeggiando
tra le piccole vie non passano di certo inosservati il bianco delle facciate e
il rosso dei tetti degli edifici.
Il Palazzo
Spinelli è
il principale monumento di Aieta. Fu
eretto, nel XVI secolo, dai marchesi Cosentino: signori di Aieta dal 1577.
La struttura fu ceduta, nel 1767, agli Spinelli di Scalea.
Nel
1913, fu dichiarato Monumento Nazionale; dal 1980 è di proprietà
del comune di Aieta.
L'edificio
presenta una pianta ad U. Nella parte
inferiore, un tempo risiedeva il corpo di guardia, inoltre, erano
presenti: le sale di vigilanza e di attesa, la cappella, l'ufficio del marchese,
la sala di ricevimento, le sale di soggiorno, di musica e di gioco, le cucine,
le dispense e la sala delle armi.
I sotterranei ospitavano
le prigioni, le cantine e le cisterne dell'acqua; erano illuminati da nove
finestre munite di massicce inferriate e vi si accedeva dall'interno, mediante
delle scale. Al primo
piano si trovavano tutte le camere da letto.
Erano
presenti due torri sul lato est: la prima era attrezzata per la difesa;
la seconda, di forma quadrangolare, ospitava le cucine e le sale di servizio;
inoltre, sempre nella seconda torre, era presente una colombaia, rivolta a
nord-est, in cui si allevavano i piccioni viaggiatori.
La
Chiesa di Santa Maria della Visitazione fu
costruita su una preesistente chiesetta di epoca normanna, denominata
Santa Maria de Fora: così detta, perché situata fuori dai centri
abitati di Cantogrande e Julitta: i primi insediamenti di Aieta. Divenne
unica chiesa parrocchiale l'8 novembre 1530.
Si
presenta con un impianto a croce latina a tre navate, con tre
cappelle laterali, su ogni lato.
Nel 1576, fu
collocato nell'abside il grande quadro ad olio su tavola, dalle dimensioni di 3
x 2,20 metri, raffigurante
la Visitazione: opera dell'artista napoletano Fabrizio Santafede.
All'interno
custodisce un prezioso organo di fattura napoletana, consegnato il 19
agosto 1673 dall'organaro Bossi. Durante il restauro, del 1907, furono aggiunte
una tastiera e una fisarmonica di gusto ottocentesco in ebano e
avorio. Infine, un nuovo intervento di restauro è stato eseguito nel 1995.
La Chiesa
del Monastero dei Frati Minori Osservanti di San Francesco d'Assisi si
trova a breve distanza dal centro storico di Aieta. Il convento fu eretto
nel 1520 con Breve
di Papa Leone X e rimase operativo fino al 1907.
In passato custodiva una
lapide del vescovo Giuliano di Blanda, risalente al III-IV secolo.
La Cappella
di San Vito Martire si trova a circa un chilometro dal centro
storico di Aieta, lungo la strada provinciale.
Fu eretta nel
XVII secolo; all'interno
custodisce una statua lignea raffigurante il giovane San Vito: santo
patrono e protettore di Aieta, dal 1712.
Il Palazzo
Rinascimentale, dichiarato monumento nazionale nel 1913, fu
eretto dai Martirano nel XVI secolo e si sviluppa su tre piani. Al suo interno,
nel 2012, è stato inaugurato il MU.VI.D’A. (Museo
Virtuale D’Aieta) in cui, attraverso una grafica 3D, è possibile riscoprire
il Palazzo Rinascimentale nel suo momento di massimo splendore.
Il Buco
di Calimaro è un antro naturale situato sul monte
Calimaro. Su
quest'inghiottitoio da sempre aleggiano aliti di mistero e leggende popolari.
La cavità
d'ingresso è molto piccola, ma all’interno sembra non avere mai fine: le
pietre scaraventate nell'inghiottitoio rotolano senza mai raggiungere una metà
e il rumore si perde in un suono sordo.
Sulle
dimensioni non c'è accordo, ed esistono
varie teorie contrastanti di "speleologi improvvisati" sulla reale
profondità dell'antro. Alcuni
sostengono che sia lungo poco più di una ventina di metri; altri, diversamente,
sostengono che dopo una discesa di circa cinquanta metri, siano tornati indietro
perché non si percepiva la fine; altri ancora, che all'interno sia suddiviso in
tre cavità, di cui una di colore bianco candido; infine, c'è chi afferma che
dopo aver percorso diversi metri si percepisce la presenza di un fiume
sotterraneo.
Da tempo
immemore, la
tradizione popolare narra che il Buco di Calimaro nasconda il tesoro di Aieta
Vetere; l'antica città situata sul monte Calimaro, nascosto
nell'inghiottitoio prima della caduta della città.
In realtà, Aieta
Vetere sul monte Calimaro non c'è mai stata: i resti presenti sul fianco
della montagna sono quelli di un antico avamposto militare posto a
controllo delle valli sottostanti, per monitorare le vie che dall’interno
dell'area del Pollino conducevano all’antica città di Blanda,
situata sul colle Palecastro.
Macchine
Tessili d'Epoca - Le macchine per la lavorazione della lana, traggono la
loro origine dalla rivoluzione industriale che si ebbe in Inghilterra nel
Settecento.
Le stesse, dopo
vari passaggi, anche dalla vicina Francia, giunsero in Italia e furono
acquistate, nel 1925, in Morano (CS), da Giacomo Cosentino, nato a Lagonegro
(PZ) nel 1888 e deceduto ad Ajeta nel 1967.
Alcune di esse,
avevano un funzionamento manuale, mentre altre funzionavano mediante delle
pulegge, che a loro volta venivano fatte girare con dei motori, prima a vapore e
successivamente elettrici.
Il loro
utilizzo, come già detto, era espressamente per la lavorazione della
lana, che dallo stato di grezzo veniva portato, a lavorazione ultimata, in
stoffa o filo. Da ciò se ne ricavavano maglie intime, maglioni, calze,
pantaloni, ecc..
La lavorazione
è stata a pieno ritmo sino al 1970 circa, quando a causa delle innovazioni
tecnologiche, dette macchine non erano più adeguate a sopportare la concorrenza
e le nuove esigenze del mercato.

Fonte:
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