Altomonte giace
sopra un promontorio a circa 455 m s.l.m..
Il suo fertile territorio è parte in pianura, bagnato dai fiumi Esaro,
Grondi e Fiumicello e parte in collina con ampie vedute panoramiche. Confina a
settentrione con Lungro, a levante con Firmo, Castrovillari e San Lorenzo
del Vallo, a mezzogiorno con Roggiano, Mottafollone e San Sosti, a ponente con
San Donato di Ninea e Acquaformosa.
La superficie
del territorio di Altomonte è di circa 65,29 km² di
cui la maggior parte è suscettibile di colture come grano, orzo, legumi e
ortaggi, agrumi e frutteti.
Il toponimo più
antico è Balbia,
voce fenicia derivante da Baal, che significa “signore” e “divinità”.
Con questo nome la città era conosciuta dai Romani, infatti Plinio il Vecchio
la cita tra quelle che producono vini pregiati come, appunto, il Balbino. Nel
1065 l’abitato è menzionato come Brahalla o Brakhalla,
forse dall’arabo “benedizione di Dio”. Nel 1337, il nome del paese muta
prima in Altoflumen,
Altofiume, poi tra il 1343 e 1345, assume definitivamente quello di
Altomonte per volere della Regina Giovanna I.
Storia
- I sec. d. C.,
resti di una villa romana testimoniano la presenza di un abitato verso il fiume
Esaro, menzionato con il nome di Balbia da Plinio il Vecchio nella sua Historia
Naturalis.
- IX-X sec.,
l’insediamento viene spostato più in alto per sfuggire alle incursioni dei
Saraceni.
- 1052, prime
notizie di un’espansione dell’abitato in epoca normanna, conseguente alla
costruzione di nuovi edifici civili e religiosi (chiesa
di Santa
Maria de’ Franchis, prima di diventare chiesa della Consolazione; castello
e torre detta dei Pallotta).
- Nel 1065, il
borgo è indicato in un documento con il nome di Brahalla, che muta nel 1337 in Altoflumen e
infine in quello attuale.
- 1343-45, il
conte Filippo Sangineto, cavaliere di re Roberto d’Angiò, dà inizio allo
sviluppo di Altomonte edificando la chiesa della Consolazione, che arricchisce
di opere d’arte dei maestri toscani.
- 1381, con
l’estinzione della linea maschile del casato dei Sangineto, diventano nuovi
feudatari i Sanseverino, imparentati con i Ruffo di Sicilia. La famiglia
Sanseverino favorisce l’arrivo dei Domenicani e continua il mecenatismo dei
precedenti signori, mantenendo il possesso del feudo sino agli inizi
dell’Ottocento.
- 1588, il
filosofo Tommaso Campanella soggiorna nel cenobio domenicano, protagonista della
Riforma in Calabria.
Centro
storico
C’è un altro mondo fuori
dalle tangenziali. Le donne sedute sull’uscio di casa a sbucciare i cardi
selvatici raccolti in campagna, il fitto groviglio di aromi che viene dalle
cucine, gli sprazzi di luce estiva che fanno scintillare l’antica pietra.
Altomonte è un nome che brilla sulla carta geografica, una cittadina difficile
da dimenticare, tutta vicoli e scalinate intorno alla chiesa della Consolazione,
il massimo esempio dell’arte gotico-angioina in Calabria.
Il castello
di origine normanna (XII secolo). Ampliato e restaurato più volte dai vari
feudatari che si sono succeduti, ha mantenuto abbastanza l’impianto originario
e oggi ospita un albergo. Da piazza Coppolasi imbocca via Paladino e si arriva
in piazza Tommaso Campanella, dove sorge la chiesa di Santa Maria della
Consolazione con l’attiguo Convento domenicano che oggi ospita il Museo
Civico.

La chiesa di
Santa Maria della Consolazione è la massima architettura sacra gotico-angioina presente
in Calabria, sorta su un precedente edificio normanno dedicato a Santa Maria de'
Franchis (1070), riedificata con autorizzazione di Papa Clemente VI. Fu
ingrandita da Filippo Sangineto, conte di Altomonte, intorno al 1340, nel
medesimo anno in cui a Napoli venne inaugurata la basilica di Santa Chiara,
imitandone la sensibilità artistica.
Altri
ampliamenti vennero realizzati nel XV secolo dai Sanseverino e
nel 1443, la chiesa passò ai Domenicani, che vi fondarono un
monastero. Questo fiorì al punto da richiedere nel sec. XVI una nuova
costruzione a due piani, dotata di chiostro. L'interno della chiesa, modificato
tra il sec. XVI e l'inizio del XVIII con l'apertura di archi
lungo i lati e la trasformazione dell'arco trionfale da ogivale a tutto
sesto, è a una navata con cappelle laterali rimaneggiate nel '600 in forme
barocche. I restauri hanno rivelato elementi originali del sec. XIV.
La chiesa,
formata da un’unica navata di considerevole lunghezza e con pianta a croce
latina, presenta due cappelle laterali di fianco al coro.
La facciata ha
conservato tutt’oggi le linee originarie. È fiancheggiata da due contrafforti e
divisa in due zone da un cornicione orizzontale. È presente su di
essa, una minuscola Madonna col Bambino, corrosa e posta al centro del timpano posta
sotto lo stemma dei Sangineto e dei Sanseverino.
Il portale originario,
conservato alla sinistra dell’entrata della chiesa in una piccola area
museale, è un tipico esempio di gotico durazzesco del XV secolo.
I battenti in legno della porta sono del 1580 e i ricchi intagli sono
di artigianato artistico locale.
Il rosone,
contemporaneo al portale, è composto da 16 colonnine che sorreggono archi
trilobi iscritti in archi acuti con rosette negli interstizi. Il rosone attuale
è un rifacimento recente; l'originale, molto deteriorato, è conservato in un
locale attiguo alla chiesa. La massiccia torre campanaria, con un elegante
finestra bifora, è opera di maestranze calabresi realizzato nella prima
metà del XIV secolo.

L'interno della
chiesa è ad una navata con due cappelle laterali. A destra dell'ingresso è
presente la cappella del Battistero, ora chiusa per restauro, che si apre con un
arco acuto sormontato da architrave con decorazioni a stucco dei sec. XV-XVI; in
una parete della cappella, lastra tombale con guerriero giacente, di ignoto
napoletano del sec. XIV.
Nell'abside
rettangolare, lungo le pareti, elementi di coro ligneo del '600; al centro della
parete di fondo, sepolcro di Filippo Sangineto, di ignoto napoletano seguace di
Tino da Camaino, eretto tra il 1352 e il 1377. Vi sono raffigurate le tre virtù
teologali che sorreggono il sarcofago: sul fronte e sui lati di esso, i Ss.
Andrea, Maddalena, Pietro, Giorgio, Paolo, santo martire, Antonio abate,
Ladislao d'Ungheria e Stefano; sul sarcofago è la figura giacente del defunto
con due angeli reggicortine; sopra il timpano, statue della Madonna col Bambino
tra S. Giovanni Battista e santo vescovo che presentano due devoti. A d.
dell'altar maggiore, campana fusa da Cosma di Laurino (1336).
A sin. del
presbiterio, nella cappella di S. Michele, altare in legno scolpito e dorato del
1718; nella nicchia, S. Michele arcangelo, statua lignea della stessa epoca; sul
fastigio, stemma dei Sanseverino e sul paliotto, stemma dei Domenicani. Nel
pavimento davanti all'altar maggiore, lastra tombale di Cobella Ruffo (1447),
con figura femminile giacente e ai lati stemmi dei Ruffo-Sanseverino.

Su piazza
Tommaso Campanella è ricordato con un monumento il soggiorno del filosofo di
Stilo nel Convento domenicano, costruito a partire dal 1440 e di cui si
ammira il chiostro della stessa epoca. Sulla stessa piazza si affaccia palazzo
Pancaro (XVI secolo), una delle più antiche dimore gentilizie.
Lasciata la
piazza, si raggiunge per via Paladino la casa-torre dei Pallotta di
origine normanna, sempre nei dintorni della chiesa della Consolazione, dov’è
piacevole passeggiare per i vicoli. Da lì scendendo si arriva a piazza Balbia,
che nel medioevo era il balium, luogo delle assemblee pubbliche, il cui slargo
ospita la chiesa di San Giacomo Apostolo.
La chiesa
di San Giacomo Apostolo è uno degli edifici religiosi più antichi del
centro abitato: secondo alcune ipotesi un'epigrafe in lingua greca situata
in una delle cappelle farebbe risalire la sua costruzione al 873 d.C. ad opera
dei bizantini, mentre le più antiche notizie certe della sua esistenza
risalgono ad un documento di vendita del 1182.

Durante i
secoli la chiesa ha subito numerosi rimaneggiamenti. La forma attuale presenta
una singola navata e cinque cappelle laterali. Le decorazioni interne e l'altare
maggiore in marmo policromo risalgono al Settecento mentre all'esterno
spicca un portale barocco decorato con cimase in
rilievo e motivi vegetali.,
di probabile origine bizantina e con interno barocco (altare e decorazioni a
stucco), restaurata di recente. Intorno alla chiesa sorse il primo nucleo
abitato, di chiara derivazione araba, come si può capire dall’intrico di
strade e vicoli ciechi disposti su un tracciato a corona che si incrociano,
proseguono o si annullano l’uno nell’altro.
Da piazza
Balbia continuando per le stradine tortuose del centro storico si arriva in
piazza San Francesco di Paola su cui si affaccia l’omonima chiesa con
l’attiguo complesso monastico, ora sede del Municipio, al cui interno si
ammira un bel chiostro settecentesco.
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