Civita (Borgo)
(Cosenza)
  
  


Civita, all'interno della riserva naturale Gole del Raganello e nel cuore del parco nazionale del Pollino, è tra le storiche comunità albanesi d'Italia (arbëreshët). Nel paese si mantengono le antiche tradizioni del popolo albanese, come la lingua, il rito religioso ed i costumi tradizionali.  

Posto in zona prevalentemente collinare, si trova nel nord-est della Calabria, affacciato sul mar Ionio. Situato in un altopiano a strapiombo, sulle gole del fiume Raganello, ed è la porta al parco nazionale del Pollino per i visitatori provenienti da Puglia, Calabria e Sicilia.  

Diverse sono le ipotesi sull'origine del nome della città. Alcuni affermano che derivi dalla lingua albanese moderna "çifti" (coppia), o anche da "qifti" (aquila), vista l'origine dei suoi abitanti, che provenivano dall'Albania, il paese delle aquile, oltre che dal rilievo e morfologia del territorio in cui sorge l'insediamento, nascosto tra le rocce come un "nido d'aquila". Ma c'è chi pensa che derivi dal latino "civitas" (città).  

Il centro abitato di Civita, sembra essere sorto intorno all’anno 1000, ad opera della gente di Cassano all'Ionio in fuga dalle incursioni dei saraceni di Sicilia. Denominato "Castrum Sancti Salvatoris", nel 1456 un violento terremoto rase al suolo il borgo costringendo gli abitanti ad abbandonarlo; restava solo il rudere di una cappella che si poteva vedere ancora nella prima metà del XIX secolo.

Il 26 marzo del 1463, Luca Sanseverino, 3º duca di San Marco, acquistò dal re di Napoli, Ferdinando I d'Aragona, per 20.000 ducati il feudo di Bisignano, divenendo il 1º principe di Bisignano. Il feudo comprendeva anche il territorio dove ora sorge il paese ( in Arbëreshë Katundë) di Civita.

Nel 1470 Luca Sanseverino morì; gli subentrò suo figlio Girolamo, il quale svolse un ruolo molto importante nell'insediamento degli albanesi nelle sue terre, creando loro agevolazioni fiscali.

È difficile risalire a una data precisa dell'insediamento degli albanesi in paese; probabilmente i primi di loro giunsero tra il 1471 e il 1479, ma erano considerati solamente "avventori del paese" e non abitanti permanenti.

Nel 1485, Girolamo Sanseverino, 2º principe di Bisignano, spinto da suo cugino Antonello Sanseverino, principe di Salerno, aderì ad una congiura contro Ferdinando I d'Aragona, Re di Napoli. Questa congiura si concluse nel 1487. Girolamo Sanseverino venne arrestato e i suoi beni confiscati, compreso il Casale di Civita, e incamerati nei possedimenti del Regno di Napoli.

Negli anni 1487/1488, il re di Napoli Ferdinando I d’Aragona, concesse il casale di Civita al capitano di ventura "messer Giorgio greco" (o Giorgio Raglia, conosciuto anche come Giorgio Paleologo Assan) in qualità di "Signore munifico dai grandi meriti per aver svolto l'opera di pacificazione del regno". Si presume che sia stato lui a condurre gli Albanesi a Civita. La tradizione ci tramanda che questi albanesi abbiano edificato i loro pagliari nell’attuale rione Magazzeno, dove sorgeva il rudere della cappella dedicata al Santissimo Salvatore.

Nel 1495 il Re Carlo VIII di Francia scese con le sue armate in Italia dando inizio alle cosiddette guerre d'Italia. Il 22 febbraio 1495 entrò a Napoli, approfittando della fuga di Ferdinando II d'Aragona, e si fece incoronare Re di Napoli. Nel suo breve regno (dal 22 febbraio 1495 al 6 luglio 1495) ristabilì nei titoli Bernardino Sanseverino, figlio di Girolamo e 3º Principe di Bisignano. Con l’atto del 1º maggio del 1495 i Sanseverino tornavano ad essere proprietari anche del Casale di Civita.

Durante l’esistenza di Bernardino Sanseverino, furono effettuati due censimenti, così che nel 1503 Civita venne censito per 19 pagliari e nel 1508 per 18 fuochi.  

Nel 1516 Bernardino Sanseverino mori e gli successe il figlio Pietro Antonio; con lui continuò l’appoggio dei principi di Bisignano agli Arbëreshë. Nel 1539 Pietro Antonio sposò Irene Castriota, pronipote di Giorgio Castriota Scanderbeg.

Nel 1543, Civita venne censito per 27 fuochi, nello stesso censimento vennero registrati i seguenti cognomi: Belluscia, Blunetto o Brunetto, Bua, Camideca, Costa, Draina, Ferraro, Greco, Gulè, Lanza, Manisi, Saxaro, Scellizia, Truppa.

Pietro Antonio Sanseverino morì nel 1559; a succedergli fu suo figlio, ancora minorenne, Niccolò Sanseverino. La carestia del '500 fu tanto devastante in Calabria, che Irene Castriota, tutrice del figlio Niccolò, il 23 luglio del 1561 decretò che venissero costituiti dei "magazzini universali", contenenti almeno 1000 tomoli di grano. Dal censimento del 1566 a Civita risultano censiti 173 fuochi, mentre nel 1567 furono censiti 148 fuochi.

Nel 1572 Niccolò Sanseverino, divenuto maggiorenne, vendette il feudo di Civita a Francesco Campolongo (anche Campilongo) di Altomonte.

Il 23 giugno del 1603, Dimitrio Michele Belluscio de Thodaro e Pietro de Martino, albanesi di Civita, acquistarono il casale di Civita per la somma di 4300 ducati.

Successivamente il Katundë di Civita continuò a vivere in una situazione di incertezza, passando da una mano all'altra: nel 1613 lo troviamo in possesso di Tiberio d'Urso di Belvedere per la somma di 4.300 ducati; il 20 marzo del 1624 il feudo di Civita venne acquistato da Luigi Sanseverino, 7º conte di Saponara e 7º Principe di Bisignano; infine, il 1º ottobre 1631, Civita venne acquistato da Giovanni Serra la cui famiglia ne restò in possesso fino all'eversione della feudalità.

Nel 1741, Civita contava 231 fuochi albanese e 43 fuochi latini per un totale di 1.233 persone. I rioni erano 12: Aleijanna, Blumetti, Castellano, Consolazione, D’Agostino, Dorsa, La Cattiva, Marchianò, Mortati, Placco, Sciesci e Zuccaro.

L'ordinamento amministrativo disposto dai francesi per legge 19 gennaio 1807 ne faceva Luogo, ovvero Università, nel Governo di Cassano. Con il decreto del 4 maggio 1811, istitutivo di Comuni e Circondari veniva dichiarato Comune e così confermato dalla sistemazione data dal Borbone per legge 1º maggio 1816.

A Civita è parlata ancora correntemente la lingua arbëreshe, infatti i suoi abitanti fanno parte della minoranza etnica e linguistica d'Italia, riconosciuta e tutelata dallo stato italiano. Il comune di Civita è stato tra i primi a istituire lo sportello linguistico comunale (previsto dalla Legge 482/99) per la tutela e lo sviluppo del proprio patrimonio etno-linguistico.

L'impronta orientale è evidente soprattutto nelle sue chiese, le quali appartengono alla circoscrizione della Chiesa cattolica italo-albanese dell'Eparchia di Lungro. La più importante è quella di Santa Maria Assunta, dove vengono celebrate le funzioni liturgiche greco-bizantine e mantengono la simbologia cristiano orientale in greco della tradizione e in albanese, con i paramenti sacri orientali, le sacre icone, i mosaici e l'iconostasi.  

Scoprire il centro storico

Nel cuore del Parco del Pollino, incastonato tra le rocce per rendersi invisibile alle scorribande dei saraceni, Civita è uno scrigno che custodisce le antiche tradizioni del popolo arbëresh. La vallata in cui sorge è circondata da montagne boscose, dove arrivano i riflessi azzurri del mare Ionio, che s’intravvede all’orizzonte.

Al pari di molti altri paesi calabresi che hanno una parte disabitata e fatiscente, anche Civita ha le sue crepature e case collassate; nondimeno, è un borgo fantastico. E’ uno dei 25 comuni arbëreshë della provincia di Cosenza, fondato intorno al 1471 da profughi albanesi rifugiatisi in Calabria per sfuggire all’occupazione turco-ottomana dei Balcani. Protetti da Irene Castriota Skanderbeg, moglie del principe di Bisignano e pronipote dell’eroe nazionale albanese, si stanziarono in queste zone conservando le loro tradizioni come il rito greco-bizantino, officiato ancora oggi nella chiesa di Santa Maria Assunta.
Il borgo è uno degli insediamenti meglio conservati della Calabria interna, caratterizzato da una struttura urbanistica fatta di viuzze e slarghi che si intersecano le une negli altri. Le rughe (i vicoli stretti) tutte in salita si dipartono con andamento circolare verso le piazzette - qualcuna con fontana in pietra dell'Ottocento - che collegano i vari nuclei urbani (gjitonie in albanese).

La gjitonia ha un significato urbanistico e nello stesso tempo è il nucleo base dell’organizzazione sociale. Rappresenta infatti la porzione più piccola del tessuto urbano, costituita da una piazzetta nella quale confluiscono i vicoli, circondata da edifici: di solito una casa signorile intorno alla quale sono stati sovrapposti altri nuclei minori che occupano l’intero spazio. Qui ci si riunisce a ricamare, a conversare, ci si parla dal galti, il ballatoio davanti alla porta d’ingresso. La gjitonia è dunque una pratica sociale: come lo sheshi, lo slargo più grande che raccoglie la gente della gjitonia nel tempo libero, dove ad esempio s’improvvisano i canti corali tra donne, e che in genere porta il nome della persona che vi abita.

Il quartiere vecchio di Sant’Antonio (Sin Andoni) con le sue casette basse, i suoi segni disfatti, le sue persone anziane sedute davanti alla porta di casa, regala immagini d’altri tempi. Civita è anche un paese di case parlanti, perché alcune piccole abitazioni hanno occhi (le finestre), bocca (la porta) e talvolta naso (la canna del camino). E un paese di comignoli dalle forme minacciose per tenere lontani gli spiriti, realizzati nei secoli passati da mastri muratori. C’è qualcosa di selvaggio, in questo alfabeto di segni che non riusciamo a decifrare, come le rocce antropomorfe della valle del Raganello.  

Caratteristici di Civita sono anche i comignoli e le “case parlanti”

I comignoli sono quasi delle opere d’arte. Sono probabilmente datati ad un periodo successivo al 1500, rappresentavano un segno distintivo per ogni casa e assolvevano a diverse funzioni, sia reali che legati alla superstizione. Accanto alla normale operazione di aspirazione del fumo dei camini e alla protezione dai forti venti che si formavano tra i monti del Pollino, i comignoli erano in grado, secondo la simbologia tradizionale, di tenere lontani gli spiriti maligni. 

Anche per questo motivo erano costruiti in forma strambe e particolari, per distinguersi gli uni dagli altri e legati all’estro del momento e alle condizioni economiche delle famiglie che ne commissionavano la costruzione. Infatti, le famiglie più ricche avevano in uso di fare realizzare comignoli molto elaborati, spesso vere opere d’arte, al contrario delle famiglie meno abbienti, sulle cui case si ergevano comignoli di più semplice fattura.  

Sono una cinquantina i comignoli storici, costruiti probabilmente tra fine Seicento e inizio Novecento. 

Passeggiando per il borgo s’incontrano inoltre alcune abitazioni dall’aspetto antropomorfo, le cosiddette «case di Kodra» o «parlanti»

Sono le case Kodra, che devono il loro nome a Ibrahim Kodra, un pittore albanese di fama internazionale che Civita ha voluto ricordare alla sua morte, avvenuta nel 2006, perché queste case “parlanti” e antropomorfe richiamano le linee e le forme della sua pittura.

Si tratta di abitazioni molto piccole, con finestrelle, canna fumaria e comignolo, la cui facciata richiama con evidenza la faccia umana. La porta d’ingresso posta al piano terra è sovrastata da una canna fumaria esterna, affiancata a sua volta da due piccole finestre perfettamente identiche e simmetriche. Questi elementi così distribuiti rappresentavano, rispettivamente, la bocca, il naso e gli occhi. 

La parte più antica del paese è il quartiere Sant’Antonio, che ha origini medievali e un tessuto urbano in cui spiccano non solo i comignoli decorati, ma anche forni pensili e logge. 

Nel centro storico si trovano la cappella di Sant’Antonio e quella cinquecentesca di Santa Maria della Consolazione. 

La Cappella di Sant'Antonio presenta una sobria facciata a capanna con ingresso quadrilatero a cui si accede mediante una piccola rampa di scale, una monofora circolare e un piccolo campanile a vela a campana unica.

Sulla campana è riportata la data MDXXXII (1532) che fa dedurre che la struttura sia stata edificata dai primi albanesi arrivati sul luogo. L'interno, a navata unica, conserva un'acquasantiera a muro: unico elemento rimasto dell'originario impianto. 

ChiesaMadre.jpg (324499 byte) La chiesa di Santa Maria Assunta, Matrice di Civita, fu costruita in stile barocco nella seconda metà del XVI secolo. Probabilmente fu edificata a navata unica sui resti di mura preesistenti.

Inizialmente, fu denominata chiesa nuova, poiché, nel periodo precedente alla costruzione i fedeli praticavano il culto nelle numerose cappelle presenti nel paese.  

Oggi la chiesa ha l’iconostasi (la parete che regge le icone) e l’altare greco. Vi si celebra la liturgia bizantina, perché gli albanesi d’Italia sono cattolici di rito greco. Nella chiesa, quindi, le statue sono sostituite da icone: quelle del Cristo Pantokràtor e della Vergine Odigitria sono state dipinte da Alfonso Caccese, e quelle delle dodici feste dell’anno sono giunte da Atene. Anche l’iconostasi in legno di noce e di ulivo è recente, di trent’anni fa. 

Il Museo Etnico Arbëreshë è un'esposizione politematica che affronta vari temi della tradizione di Civita, come: l’area degli oggetti della civiltà contadina; i costumi arbëreshë; la rassegna fotografica sulle comunità arbëreshë in Italia; le immagini della liturgia bizantina; la biblioteca monotematica sull’etnia italo-albanese.

L’esposizione si articola su due piani: al piano terra si trova la Sala dell'Accoglienza, riservata alla pubblica relazione con i visitatori, qui si trova la biblioteca monotematica sull'etnia italo-albanese con circa 530 volumi pubblicati in Italia e più di 600 pubblicati in Albania.

Al primo piano si trova la Sala del Telaio che contiene due espositori che mostrano i percorsi tematici su Civita e le varie aree dell’Arbrëria.

La sala centrale è chiamata Sala Totem per la presenza di due originali strutture in ferro battuto, una sorta di libro i cui rami possono essere sfogliati, mostrando la leggenda di Skanderbeg, eroe nazionale del popolo albanese, e una mostra fotografica sul Ponte del Diavolo.

MonumentoGeorgeCastriotSkanderbeg.jpg (217809 byte)L’ultima parte è la Sala del Costume che ospita il vestiario tradizionale, il vestito femminile di gala, quello di mezza festa, quello giornaliero, il costume maschile, un costume nobiliare proveniente dal Kosovo, un costume di gala della comunità di Cavallerizzo e un costume giornaliero di San Giorgio Albanese.

Il Monumento a Giorgio Castriota Scanderbeg, Gjergj Kastrioti Skënderbeu in albanese, è dedicato all'eroe nazionale d'Albania.  

Nei mesi estivi tanti i visitatori attratti dai sentieri del Parco del Pollino e dalla possibilità di praticare sport come il canyoning e il torrentismo all’interno della Riserva naturale Gole del Raganello

Civita è stato tra i primi comuni a istituire lo Sportello Linguistico Comunale per la tutela del patrimonio etno-linguistico. In regioni montuose e lontane dalle comunicazioni si sono conservate intatte la foggia del vestire, gli usi e i costumi insieme alla lingua e alla professione di fede risalenti alle antiche origini albanesi. 

Il Ponte del Diavolo, posto sul Raganello, costituisce un’ardita opera di ingegneria e un ottimo posto di osservazione ed è ormai una delle principali attrattive di Civita e simbolo del Parco Nazionale del Pollino.  A causa del punto impervio in cui sorge e degli scarsi mezzi di cui si disponeva un tempo, la fantasia popolare ne attribuì la realizzazione al diavolo, a cui era pratica diffusa nell’antichità attribuire l’edificazione delle opere considerate impossibili. 

Di recente è stata rinvenuta documentazione che attesta che il ponte sarebbe stato costruito o ricostruito intorno al 1840, da un consorzio di comuni per permettere di attraversare la voragine del Raganello.

La "Pietra del Demonio" è un’impressionante parete di roccia rosa stratificata di 800 metri che provoca la meraviglia di chi l’osserva la prima volta.  

A Civita, come in molti centri con radici arbëreshë, è palese l’attaccamento a tutte le tradizioni della primitiva origine. Molti momenti della vita del borgo ricordano le gloriose tradizioni della vecchia patria, che si sono tramandate di padre in figlio. Tra queste, di notevole impatto folclori si devono annoverare le Vallje. 

Per gli arbëreshë la parola Valle indica la ridda, che è l’unica danza appartenente al patrimonio coreografico albanese rimasta ancora fedele alla tradizione originaria. La ridda di Civita è un tipo di danza dai ritmi sostenuti e fieri che ancora oggi si possono riscontrare nelle danze dei montanari del Dukagini, le montagne dell’Albania, della Rugova, regione montuosa della Kossova e dell’Epiro.  Secondo la tradizione, questa festa ricorda un avvenimento storico molto importante per la storia degli arbëreshë: la vittoria riportata da Giorgio Castriota Skanderbeg contro le numerose armate turche, avvenuta proprio un martedì dopo la Pasqua. Così, per tre giorni, i posteri continuarono a commemorare il glorioso avvenimento. Secondo la storia, i movimenti eseguiti dalla ridda durante la danza rappresenterebbero la tecnica di accerchiamento messa in atto da Skanderbeg contro l’esercito turco. Non a caso la vallja muovendosi imprigiona tra le sue spire i forestieri, che rappresentano i Turchi, liberati dopo aver pagato un simbolico riscatto, che nella circostanza consiste nell’offerta di liquori e dolci. 

La popolazione arbëreshe rimane così collegata idealmente al suo passato epico e con questa particolare manifestazione, tende a saldare i principi etnici per mantenere compatta la comunità. La manifestazione coinvolge tutta la gente del paese che non assiste alla vallja ma ne fa parte, è attore protagonista in prima persona.   

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