Di origine
remote, Oriolo nacque come fortezza a difesa dei cittadini scappati dalle coste
per rifugiarsi dalle continue incursioni dei saraceni.
Arroccato su
uno sperone a circa 450 metri d'altezza, conserva un borgo medievale,
con facciate di palazzi nobiliari, sulla strada principale che porta al castello aragonese.
Fu feudo dapprima
dei Sanseverino da Salerno, per poi passare nel XVI
secolo, ai marchesi Pignone
del Carretto.
L'etimologia
del toponimo risale a hordeolus, ‘chicco d'orzo’, etimo identificato da Gerhard
Rohlfs.
Il geografo
greco Strabone cita
il fiume Siri parlando della guerra sostenuta dai Tarantini, quando questi
ultimi assoldarono Alessandro il Molosso, re dell'Epiro e
zio di Alessandro
Magno.
Il
"kastron" di Oriolo era all'incrocio fra il valico montano che da Pandosia
Bruzia attraversava la Lagaria, Serra Maiori, il territorio di
Oriolo, fino a Sibari, oltre il Pollino, e la strada di penetrazione lungo la
valle dell'Acalandro.
L'attuale
città fortificata venne costruita per difendersi da eventuali invasioni saracene.
È tristemente nota quella di Abbas Ibn Fadhl, poi sconfitto da Ludovico II, e
Niceforo Foca. Un'altra più feroce invasione fu quella di Ibrahim Ibn Ahmed,
che mise a ferro e fuoco la Calabria,
soprattutto lungo la costa. Giorgio Toscano, nella sua Storia di Oriolo (1695),
probabilmente si riferiva a questo periodo per affermare che le popolazioni
della costa, per non essere sterminate dagli infedeli, si ritrassero "sotto
lo scoglio" di Oriolo, insediandosi nella contrada Ravita.
Poi costruirono
abitazioni a più piani… "che cinsero con mura merlate". Nel periodo
bizantino il consolidamento dello stato, la nuova organizzazione sociale, la
ripresa economica, il fervore monastico, recano un rinnovamento profondo e
trionfante (Quilici).
Il territorio
"si copre di una fitta rete di abitati, di città; i nuovi insediamenti
bizantini dei kastra e degli oppida, il carattere dell'espansione agraria legata
al sistema delle torri e dei casali fortificati testimoniano la fitta maglia di
tutela alla pace del territorio."
Atti notarili
fino al 1139 chiaramente
parlano del kastro di Oriolo. Nell'atto il nome di Oriolo è riportato
come "kastron Ourtzoulon". Negli atti successivi è riportato come
"kastron Ourzoulon" (1117),
"Ortzoulon" (1131),
Orgilon (1132),
Orghiolon (1186),
Ordeolum (1221-atto
di donazione di Federico
II di Svevia). Nel settembre del 1117 Mabilia,
contessa di Oriolo, donò al monastero della
SS. Trinità di Cava, al suo abate Pietro
ed agli altri fedeli la chiesa di S. Pietro di Bragalla con i casali e tutte le
pertinenze che possedeva nell'ambito del territorio di Oriolo. Con l'abbandono
dei territori da parte di Bisanzio cominciò la loro latinizzazione e
subentrarono le monarchie normanne.
Intorno
all'anno Mille Oriolo era già una "civitas" e, per come detto, sede
notarile. Della grandezza e importanza di Oriolo se ne ha riconferma da una
bolla del Papa
Alessandro II del 13 aprile 1068 inviata
ad Arnaldo, arcivescovo di Acerenza. Risultano appartenenti alla Sede
metropolitica le "città" di Venosa, Montemilone, Potenza,
Gravina, Matera, Tursi,
Virolo (Oriolo), con i castelli, pagliai, agglomerati urbani minori,
monasteri e cittadini.
Nel 1129 Oriolo
venne cinta d'assedio e presa da re Ruggero. Con un atto del 24 aprile 1221 Federico
II di Svevia donò al monastero dei Cistercensi di
Santa Maria del Sagittario "una grandiosa foresta" nel territorio di
Oriolo. Nel 1679 ancora
alcuni cittadini di Oriolo corrispondevano il terraggio al cardinale Vidone,
Commendatario dell'abbazia del
Sagittario. Nel 1246 Oriolo
era tenuto in subfeudo da Ruggero De Amicis, come è dichiarato da un protocollo
del 10 gennaio 1277.
Ruggero De Amicis, "feudatario di Cerchiara, Albidona, Orioli", era
uno degli alti funzionari siciliani più in vista e fu da ultimo Gran
Giustiziere. Partecipò alla congiura contro Federico II insieme a Pandolfo
di Fasanella, vicario generale in Toscana, ed ai fratelli Morra. La
congiura venne scoperta da Riccardo di Caserta e ai congiurati vennero
confiscati i beni. Ruggero morì nel 1248 e,
quindi, fu il figlio Corrado ad essere reintegrato nella baronia di Oriolo dopo
il perdono di Federico.
È opportuno
ricordare Ruggero De Amicis anche per il suo contributo alla Scuola Siciliana;
si scambiava, infatti, versi e ballate con Rinaldo d'Aquino, uno dei maggiori
rappresentanti di detta Scuola "fra i più grandi nella corte di
Federico".
Nel 1265 Oriolo
era posseduto da Carlo II d'Angiò. Dai registri angioini del 1276 si
evince che Oriolo contava 1025 abitanti. Nel 1278 era signore di Oriolo Calgono
della Marra.
I Della Marra
mantennero il possesso feudale fino all'inizio del XV secolo. Oriolo, infatti,
nel 1403 era
già posseduto dai Sanseverino,
principi di Salerno e
Grandi di Spagna,
i quali, però, capeggiarono una congiura e il feudo venne incamerato dalla
Regia Corte. Oriolo continuò ad essere demanio regio
sotto Giovanna I, re Ladislao, e Giovanna II. Alla morte di Ladislao (1414) i
cittadini di Oriolo si ribellarono. La regina Giovanna, con atto del 14 ottobre 1414,
concesse l'indulto e
in seguito dette agli oriolesi il privilegio di essere esenti dalla giurisdizione dei
regi governatori e dal Giustizierato della Provincia di Vallograto e Terra
Giordana.
Il 3 giugno 1428 Ludovico
III "compatendo i danni subiti dalla Università a causa delle guerre con
incendi, distruzione di case, riconoscendo la diminuzione della popolazione per
il trasferimento in altri luoghi" e soprattutto per la fedeltà e la
devozione alla corona, concedeva numerosi sgravi fiscali. Negli atti di Ludovico
III non c'era più la dicitura: "della nostra terra di Oriolo", ma
semplicemente "Terrae Ordeoli" a significare che era estinta la
giurisdizione regia. Cominciava quella baronale; infatti il feudo di Oriolo passò
poi ai Sanseverino che si macchiarono nuovamente del reato di ribellione ma,
"ridotti alla fedeltà", in data 17 gennaio 1461,
supplicarono il re affinché "si degnasse di fare indulto ad
essi, Signori sudditi e vassalli". Chiesero ancora la riconferma e la nuova
concessione delle città, terre e castelli, dei beni burgensatici e feudali.
Ferdinando
I d'Aragona, detto Ferrante, restituì i beni ai Sanseverino, dando a
Giovanna la Terra di Diano, a Roberto il principato di Salerno, a Barnabò Corigliano,
Casalnuovo, Amendolara ed
Oriolo in Calabria Citra. Durante la guerra fra Carlo V e Francesco I Oriolo subì
per 25 giorni l'assedio delle truppe francesi, comandate dal generale Odet de
Foix, visconte di Lautrec (1485-1528).
Successivamente
Francesco I venne sconfitto da Carlo V, che ridonò il feudo ai Sanseverino.
Dopo l'ennesima congiura, nel 1552,
l'imperatore Carlo V processò e dichiarò fellone Ferdinando Sanseverino,
colpevole di "lesa maestà". Il feudo di Oriolo venne incamerato dalla Regia
Camera della Sommaria e poi venduto a Marcello Pignone, presidente
della stessa. Con decreto del 1º luglio 1553 la Regia
Camera fece la liquidazione delle rendite dei corpi feudali della
Terra di Oriolo e dei suoi casali. L'atto di vendita venne poi confermato e
ratificato da Filippo II il 12 aprile 1558.
Con il matrimonio fra
Aurelio Leone e Costanza di Sangro del Carretto i Pignone diventarono Pignone
del Carretto. Nel 1571 un folto gruppo di Oriolesi partecipò alla battaglia di
Lepanto. È doveroso ricordare Michele Angelo d'Uva che, insieme ad altri
volontari, seguì Don Giovanni d'Austria, figlio di Carlo V. A ricordo venne
introdotta in Oriolo la devozione e la festa della Vergine del Rosario,
celebrata la prima domenica di ottobre. Nel 1647, durante la nota rivoluzione di
Masaniello, i rivoltosi oriolesi occuparono il castello, danneggiando
suppellettili e saccheggiando tutto, dopo aver costretto il Pignone ad
arrendersi.
L'8 gennaio
1693 un evento tellurico interessò tutta la Calabria ed anche Oriolo, ma la
struttura urbanistica del borgo resse alle scosse. Oriolo, a partire dalla
formazione della sua struttura urbanistica civile, impreziosì nei secoli il suo
tessuto urbano con cellule finalizzate al culto religioso. Alcune di queste
erano e sono rimaste dei veri e propri monumenti nazionali, ma di alcune
strutture rimangono solo i resti che però archeologicamente testimoniano
l'importanza e l'efficace presenza storica.
La vita
religiosa in Oriolo ebbe la massima fioritura nel 1700. Esistevano allora 6
cappelle laicali, 3 congregazioni ed 1 confraternita. L'ultima confraternita,
quella di S. Giorgio, sopravviveva ancora nel 1926-29, avendo allora donato una
campana ancora oggi esistente e situata sui resti dell'antico campanile. Fra le
principali opere pie ricordiamo S. Maria le Virtù, S. Rocco, S. Giuseppe,
l'Annunciata, S. Michele, il Pio Monte dei Morti con un ammontare
dell'"annuo censo lordo di 57 ducati e grana 68" (1819).

Un'altra
circostanza importante è la lettera di Giuseppe
Garibaldi indirizzata a Giuseppe Pignone del Carretto il 10
settembre del 1860, a lungo ignorata e portata alla pubblica attenzione solo nel
2011 da Vincenzo Diego, giornalista e già vicesindaco di Oriolo, alla vigilia
del 150º
anniversario dell'Unità d'Italia. Nel saggio si descrive il periodo che
va dal 27 gennaio del 1857 al 10 settembre del 1860. In quest'arco di tempo, il
marchese di Oriolo e principe di Alessandria, Giuseppe Pignone, che nasce l'8
maggio del 1813, tra le mura della fortezza di Oriolo, è sindaco di Napoli. Ferdinando
II, seguendo la tradizione di porre a capo della città patrizi
napoletani, lo aveva chiamato, dopo alcuni mesi di interregno, a succedere a Don
Antonio Caraffa di Noja. In tre anni il sindaco Pignone si occupò della
Capitale, come in pochi fecero nel passato; scrisse tra le altre cose anche il
cerimoniale della Casa Regnante, ma fu soprattutto il Sindaco della transizione
tra il vecchio ordine e il nuovo, come scrisse in una lettera Liborio Romano, ex
ministro borbonico e dall'8 settembre 1860 capo del governo del nuovo corso.
Il
Marchese di Oriolo si trovò a dover fronteggiare, assieme ai rappresentanti del
Governo borbonico, una situazione delicatissima. Bisognava gestire l'ingresso di
Garibaldi nella capitale del Regno, evitando tumulti e spargimenti di sangue,
così come raccomandato dal Re. Il 7 di settembre Pignone, assieme al generale
De Sauget, comandante della Guardia Nazionale, si recò a Salerno e dopo una
tumultuosa riunione, dove si misero a punto gli ultimi accordi col generale
delle camicie rosse, si partì per raggiungere Cava dei Tirreni, alle 11, per
poi salire sul treno con destinazione Napoli. Il compito del Marchese di Oriolo
terminò con l'arrivo di Giuseppe Garibaldi nella città che fu di Francesco II.
Poche ore dopo, il giorno 8, il Sindaco rassegnò le dimissioni. Garibaldi
avrebbe voluto mantenere il Principe D'Alessandria al suo posto, ma Pignone
aveva giurato fedeltà al Re. Allora, il 9 settembre, Garibaldi, con decreto,
nomina il suo successore, Andrea Colonna, ma al Sindaco che si ritirava gli
indirizzò una lettera, pubblicata anche negli "Atti del Governo",
dove si leggono l'ammirazione e la gratitudine del Dittatore nei confronti di un
uomo coerente e capace; secondo altri, invece, Pignone fu un opportunista. Il
Regno delle Due Sicilie, anche con il contributo di un figlio di Oriolo e
dell'Alto Ionio, si avviava a diventare parte di un nuovo Regno, quello
d'Italia. Una nuova avventura per milioni di meridionali, un'avventura che
ancora oggi, a quasi 150 anni, fa discutere, ma che nel bene o nel male ha
segnato la vita sociale, economica e politica del meridione e del nostro Paese.
Il Principe di Alessandria e Marchese di Oriolo si spense a Portici nel 1894. I
solenni funerali furono celebrati nella Regia Cappella monumentale del tesoro di
San Gennaro.
Nel 1931 Oriolo
raggiunse i 5000 abitanti ed era allora il centro più popolato dell'Alto Ionio.
Dal Medioevo fino agli anni sessanta del Novecento Oriolo era il maggiore centro
dell'Alto Ionio
Cosentino, unico centro della zona in cui fossero presenti l'istruzione
superiore, un distretto sanitario e altri servizi di base. Oriolo ha visto più
che dimezzare la sua popolazione in meno di un secolo: nel 2019 aveva circa 2000
abitanti, mantenendo comunque la sua vocazione turistica già sviluppata dalla
seconda metà del Novecento, anche grazie al teatro all'aperto "La
Portella". Nel 2022 Oriolo possiede circa 1700 abitanti

Parrocchiale
di San Giorgio
La chiesa di
San Giorgio, Chiesa Madre di Oriolo, è un luogo di culto di origine normanna,
adiacente al Castello. Venne ampliata e adornata nel Settecento. Al suo interno,
a tre navate, è conservata una statua della Madonna col bambino risalente
al 1581, e
di guardia all'ingresso, due leoni del 1264.
Sparse
qua e là nel centro storico vennero costruite cappelle devozionali sia da parte
di privati che dell'Università. Si citano la cappella di S. Francesco di Paola,
inserita nel palazzo Toscani, di S. Michele, oggi distrutta e sull'omonima
piazzetta, della SS. Annunziata ius
patronato dell'Università, nelle vicinanze della Chiesa madre.
Quest'ultima fu ed è il centro della religiosità del comunità di Oriolo. Il
titolare è san Giorgio, da sempre protettore di Oriolo.
Nel 1860 venne
"nominato" nuovo patrono san Francesco di Paola. La devozione al Santo
di Cappadocia venne importata nel periodo delle Crociate e la tradizione vuole
che siano di questo Santo i resti del cranio, oggi venerati e conservati in un
reliquiario di argento settecentesco, ma nel seicento sicuramente posti dentro
lo scudo della statua d'argento.
Nel 1461 la
chiesa era già un grosso impianto, costituito da due navate. Alla presenza di
"molti ufficiali e regi consiglieri" venne in essa letto l'atto di
clemenza di Ferdinando
I d'Aragona, figlio di Alfonso
il Magnanimo, nei confronti dei Sanseverino. Durante la rimozione del
pavimento, nel corso del primo intervento di consolidamento dello stabile da
parte della Soprintendenza di Cosenza venne alla luce il colonnato del primo
impianto. L'elenco degli Edifici Monumentali del Ministero dell'Educazione
Nazionale (Roma 1938) riporta alla voce Oriolo: Chiesa arcipretale di S. Giorgio
Martire, al corso Vittorio Emanuele, per gli avanzi dell'antica torre campanaria
in pietra vista (secolo XV), e per il portale con cimasa e bassorilievi del Crocefisso
e santi. La chiesa, oggi a tre navate perché ampliata nella seconda metà del
Settecento, conserva importanti opere d'arte.
Ex-monastero
francescano
Nella metà del
Quattrocento nel luogo della Ravita ed a ridosso del Borgo venne costruito il
convento dei Minori claustrali del 3º Ordine di San Francesco d'Assisi. Detto
convento, fino al 1691, dette ben sette padri provinciali fra cui Padre
Bonaventura, morto in odore di santità. Era depositario della reliquia di san
Francesco di Paola che padre Dionigi Colomba portò dalla Francia, quale dono
della regina Caterina dei Medici. Tempo addietro è stata individuata
dall'allora assessore alla cultura del Comune di Oriolo la cappella di famiglia
di padre Colomba, oggi indicata da una lapide commemorativa. Un atto notarile
del maggio 1680, ritrovato dal prof. Vincenzo Toscani, ci indica che in detto
anno la reliquia era già in Oriolo.
Manca pertanto
nell'elenco stilato il 6 dicembre 1808 da mons. Danicourt, per delega del
vescovo di Tours. Il convento dei terziari venne soppresso con decreto del 7
agosto 1809. Oggi, dell'antico convento rimangono pochi resti. Ai margini del
Centro storico, "extra moenia", fu costruita la chiesa di Santa Maria
delle Virtù cui fu annesso un ospedaletto, frutto del testamento di Fernando
Carmando, morto nel 1640. Sia la chiesa che l'ospedale erano ius
patronato dei Buoni Fratelli di S. Giovanni di Dio per cessione del
diritto da parte dell'Università di Oriolo. Sulla facciata dell'attuale
chiesetta campeggiano lo stemma dei Pignone e quello francescano, datati 1651.
Palazzo
Santo Stefano (XVI secolo)
Il
maestoso edificio, realizzato nel XVI secolo, fu antica residenza estiva della
famiglia Pignone del Carretto, marchesi di Oriolo. Oggi è proprietà privata.
Castello

Addossato alla
catena del Pollino che degrada dolcemente verso il mar Jonio, sorge il maestoso
castello di Oriolo. Con la sua pianta quadrangolare e le torri in stile
normanno, sovrasta il paese come se volesse difenderlo da mano nemica.
L’origine di questa costruzione è incerta ma la si può collocare in un
periodo anteriore al 1200 poiché nel 1221 essa era già posseduta da Federico
II di Svevia.
Porta la firma
di Federico II di Svevia, l’atto del 24 aprile 1221 con l’imperatore di
Svevia donò al convento dei Cistercensi di S. Maria del Sagittario “una
grandiosa foresta” nel territorio di Oriolo. Ed è qui che è collocato il
castello-fortezza feudale, una delle più importanti strutture, perfettamente
conservate, dell’intero sistema di torri di guardia e castelli della costa
jonica. Il primo impianto normanno-svevo era a forma trapezoidale snodandosi
intorno alla torre quadrata; constava del piano militare, del piano nobile e di
quello della servitù.
Alla caduta
della dinastia Sveva, il castello passò sotto il dominio di Carlo D’Angiò;
successivamente fu proprietà di un erede del ramo Ruffo-Sanseverino. Tra il XIV
e il XVII secolo il castello passò alternativamente dai possedimenti dei
Signori di Oriolo ai possedimenti della corona. Nel 1528 la costruzione fu
venduta al Marchese Marcello Pignone, la famiglia Pignone lo possedette fino al
1899, anno in cui fu acquistato dalla famiglia Soria che ne detenne i diritti
fino al 1977, allorquando il castello venne acquistato dal Comune di Oriolo che
l’ha reso monumento nazionale.
La necessità
della sua ricostruzione fu dettata dall’esigenza di difendersi da eventuali
invasioni saracene. La città fortificata, già di per sé sicura, aveva bisogno
di un centro di difesa che la rendesse inespugnabile. Inizialmente il castello
aveva quattro torri angolari cilindriche ed il mastio, attorno a cui si snodava
il corpo di fabbrica. Oggi, insieme alla vecchia struttura, restano tre torri,
compreso il mastio.
Dalla metà
dell’800 manca un piano, come si evince da un esame attento del sottotetto,
come ancora è viva la memoria storica del crollo, negli anni trenta, di un
terzo del manufatto. L’abbassamento in altezza della struttura fu dettata da
motivi sismici. Il periodo normanno, maggiormente interessato alla costruzione
di fortezze, fu quello di Roberto il Guiscardo che, conquistata la Calabria,
intorno al 1050 e dopo l’accordo di Melfi del 1059 con Papa Niccolò II,
divenne Duca di Puglia e di Calabria.
Fino al 1085,
anno della morte, Roberto spese tutte le sue forze per fortificare il regno. Nel
1265 era già posseduto da Carlo II d’Angiò. Dopo la rivolta dei baroni cui
era parte integrante il Signore di Oriolo, Barnabò Sanseverino, il castello
passò ai Pignone.
