San Giovanni in Fiore (Borgo)
(Cosenza)
  
 
  
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Architetture civili

Le prime architetture civili risalgono al 1530 quando l'abate commendatario Salvatore Rota, fece realizzare la prima via selciata (sielica) per collegare il monastero con i colli e l'acquedotto badiale. Nello stesso periodo, cominciarono a sorgere i primi edifici amministrativi nel rione Cortiglio, e si rese necessaria la creazione di una piazza pubblica come luogo sociale e amministrativo. Le architetture signorili giunsero solo verso la fine del Seicento, con l'arrivo in paese delle prime famiglie proprietarie terriere. Queste, realizzarono i loro palazzi dapprima intorno alla piazza comunale, e in seguito, a causa anche del tessuto urbano che si era conformato, molto fitto, e dell'esiguità di grandi spazi dove poter edificare, eressero le loro abitazioni sui colli che sormontavano il centro storico, con edifici architettonicamente semplici, alla ricerca tuttavia di uno slancio volumetrico, che ponesse i palazzi al di sopra del tessuto minuto circostante, in modo da poter esser visibili da più parti del paese.

Il maggior esempio di slancio volumetrico e la conseguente visibilità dell'edificio stesso, è il Palazzo Barberio Toscano, eretto allora, fuori dal centro storico, ma in una posizione dominante il centro stesso, simbolo dell'influenza che l'allora famiglia Barberio Toscano aveva nella vita amministrativa del paese.

Fino al 1700, non esistevano edifici di rilevante dimensione e valore. L'edilizia urbana era costituita principalmente da edilizia minuta, di case e casette popolari. Solo a partire dai primi anni del Settecento si cominciarono a costruire le prime abitazioni di rilievo, di famiglie facoltose o comunque di un certo rango sociale nella vita pubblica e amministrativa della città, che possedevano boschi della Sila e allevamenti. I primi palazzi sorsero intorno alla piazza principale, l'attuale piazza Abate Gioacchino, ed in seguito lungo le strade principali e le aree marginali del centro storico, ma su terreni che permettevano la predisposizione di orti ad utilizzo della famiglia stessa. Edificare edifici di un certo volume nell'allora tessuto urbanistico, non fu certamente facile. Poche erano le aree disponibili alcune delle quali costituite da imponenti massicciate granitiche, o su forti acclività.

I palazzi vennero edificati in contesti urbani di rilievo, seguendo due disposizioni: la prima comprende i palazzi eretti intorno a Piazza Abate Gioacchino; la seconda comprende i palazzi dominanti il centro storico realizzati sul colle dei rioni CoschinoCatoja e Scigato

I palazzi storici familiari, sorgono tutti nel cuore del centro storico, ad eccezione di Palazzo Barberio Toscano, edificato sul colle della Filippa, nella zona nord del paese e dominante sia il centro storico, che tutti gli altri palazzi familiari. Le notevoli dimensioni dei palazzi si possono notare solo nelle vicinanze degli stessi edifici, o in punti panoramici della città, mentre difficile è ammirarli percorrendo le strade del centro storico. La difficile reperibilità di grandi aree sulle quali realizzare i palazzi, ha fatto sì che ai palazzi non potessero essere ad essi annessi piazze o aree verdi, tranne che per i casi di palazzo Barberio Toscano, palazzo Benincasa e Palazzo Barberio.

La carenza di aree verdi o piazze, è stato in parte rimpiazzata dalla realizzazione di un cortile interno privato o alte mure riparatorie, questi nei casi di palazzo Lopez, palazzo Nicoletti, palazzo De Luca e palazzo Barberio Toscano. Di certo, la realizzazione dei palazzi, incastonati nella trama fitta urbana del centro storico, spesso in zone completamente marginali, non sono stati concepiti per lasciare al pubblico spazi marginali. Per tutti questi motivi, l'architettura degli stessi si è spinta in una ricerca compattezza dei volumi, senza presentare notevoli qualità architettoniche, ma ricercando uno slancio volumetrico notevole. Quest'ultima è la principale caratteristica dei palazzi storici, un'impronta edilizia che certamente nel passato, come in parte anche oggi, riusciva a rendere visibili e imponenti al resto del paese, i palazzi, e di conseguenza, le famiglie più prestigiose.

I primi palazzi signorili furono il Palazzo Lopez (di Piazza Abate Gioacchino) di fine Settecento, il Palazzo Nicoletti e il Palazzo Romei, di metà XVIII secolo, che sorgono intorno alla piazza principale del paese.

Palazzo Lopez - A palazzo Lopez è legata la vicenda dei Fratelli Bandiera. Posto su via xxv aprile, solennemente bordato, presenta una facciata imponente, che si slancia in alto al cospetto della stretta strada in cui è ubicato. Il portale alto, sormontato da un arco a tutto sesto, racchiude un particolare chiave di volta raffigurante lo stemma dell'antica famiglia dei Lopez. All'interno ampie scalinate portano fin su al secondo piano. Per accedere al terzo piano si deve accedere dall'ingresso laterale posto ad ovest, circondato da una piccola corte triangolare. Il tetto sostenuto da travi in legno, presenta volte a crociere. Niente di decorativo presentano le sue pareti se non altro la grande dimensione delle stanze e la particolarità dell'ultimo piano on le stanze tutte collegate fra di loro.

La costruzione dell'edificio risale al l'inizio del 1700. La pianta, come si presenta oggi, è frutto di una serie di aggregazioni di diversi manufatti, che hanno riportato ad oggi, un edificio asimmetrico. Alcune aggregazioni possono essere datate nello stesso periodo di edificazione dell'edificio, mentre altre sono state apportate successivamente. L'edificio è posto su una leggera salita, e presenta un dislivello fra il lato est e quello ovest, che molto probabilmente ha influito sul disegno generale della facciata. Il cortile laterale, cinto da mura con portone in legno, posto all'ingresso che dà l'accesso al terzo piano, racchiude gli ambienti della zona residenziale. Naturalmente sia i diversi livelli che le piante degli accorpamenti, sono collegati attraverso nodi di comunicazione, così come le stalle e le antiche cucine poste su edifici al di fuori la piccola corte trapezoidale. Altri ambienti esterni sempre la corte, sono collegati con il vicolo soprano, grazie ad un vaglio.

L'importanza dell'edificio non è legata alle caratteristiche architettoniche dello stesso, quanto ai moti rivoluzionari di metà '800, ed in particolare alla vicenda dei fratelli veneziani Bandiera. Per questo fatto storico Palazzo Lopez è spesso citato su libri, riviste, giornali, e guide turistiche. I Fratelli Bandiera, originari di Venezia che vennero catturati dalla gendarmeria locale nel 1844. Presso Palazzo Lopez, infatti, furono deportati Emilio Bandiera e Domenico Moro dopo la loro cattura, e qui furono tenuti prigionieri per alcuni giorni. Ritrovo di patrioti liberali con idee mazziniane, che ben spesso si presentavano accompagnati da belle donne. Il fatto dei fratelli Bandiera, portò alle cronache di tutt'Italia la cittadina di San Giovanni in Fiore e Palazzo Lopez, ne fu il simbolo dei moti silani. Il riferimento ai quei tragici fatti, sono impressi nella lapide realizzata negli anni '50, posta a fianco l'ingresso principale del palazzo.

Nell'ultimo decennio il Palazzo è stato oggetto di gran dibattito politico/cittadino, quando questo fu ceduto dal comune di San Giovanni in Fiore, a cittadini privati, i quali vollero realizzarvi un "Bed and breakfast". 

Lo scatenare delle polemiche fece giungere ad una sorta di compromesso fra i privati che acquistarono il palazzo, ed il comune: ai primi fu concesso realizzare un ristorante e un pub, con la promessa di poter adibire il terzo piano a “Museo delle memorie e del Risorgimento”. Ad oggi nulla si muove in direzione del museo, mentre già da alcuni anni le attività ricettive sono state avviate.

In posizione marginale ma dominante il centro storico, sono Palazzo Barberio costruito tra il 1772 ed il 1783 (dichiarata dal 1995 Dimora Storica vincolata), Palazzo Benincasa, databile intorno al 1730Palazzo Caligiuri, della seconda metà del XVIII secolo e Palazzo De Luca, di inizio Ottocento.

Palazzo Barberio - Posto alle spalle della Chiesa Madre nel quartiere Coschino, palazzo Barberio venne realizzato tra il 1772 e il 1783. La caratteristica principale dell'edificio è quello di poggiarsi in maniera completamente asimmetrica, sulla stessa particella. Questa particolarità è data da una nota storica, legata al periodo in cui il palazzo conglomerò a sé negli anni '70, alcuni fabbricati di edilizia minuta di proprietà della famiglia, posti dinanzi al palazzo e distrutti da un incendio. Il palazzo, che fino a quel periodo era edificato solo per metà sulla propria particella, assunse la forma attuale. Il palazzo, di forma rettangolare, ha la particolarità di essere a forma di "gradoni" con metà edificio posto in basso, e la restante metà, in posizione "sopraelevata". Questa particolarità ha reso l'edificio unico per tipologia costruttiva, con la formazione di un duplice edificio sovrapposto, con l'ultimo piano dell'area sopraelevata" si affaccia lungo la falda inclinata dell'area posta "a valle". L'edificio si presenta a tre piani, con il portale posto a destra, sormontato da un arco a tutto sesto in granito silano, il primo piano presenta una fila di tre piccole finestre quadrate munite di inferriate, il secondo piano una fila di quattro finestre, mentre il terzo piano una fila di 4 balconcini. In cima al terzo piano, nel sottotetto, vi è una fila di 4 oculi ovali.

Palazzo Benincasa - Della famiglia Ernesto Benincasa, il palazzo fu eretto nel 1735. Originariamente la planimetria dell'edificio non era quella attuale, ma di semplice pianta regolare. L'edificio attuale è il risultato di annessioni fra l'edificio antico e successivi ampliamenti. I rimaneggiamenti ne hanno un po' modificato l'architettura delle facciate, specie per quanto riguarda i cornicioni delle finestre. Questo in quanto, dal secondo dopoguerra, il palazzo venne donato dalla famiglia, all'istituzione clericale che ne fece un asilo nido. La conversione tipologica del palazzo, fu succeduta da una serie di interventi (fortunatamente per la gran parte interni) che ne modificarono l'aspetto. Nonostante ciò si può ammirare la ricchezza costruttiva, e in particolare la posizione arroccata lungo il colle di via Florens. Inoltre questo è uno dei pochi palazzi storici di San Giovanni in Fiore avente un ampio giardino verde.

Palazzo De Luca - Il palazzo fu realizzato nella seconda metà XVIII secolo. La famiglia De Luca, che nella seconda metà del XVII secolo era dedita principalmente all'allevamento di pascolo bovino e alla pastorizia, riuscì nel tempo a costituire un ricco patrimonio che le permise di introdursi nei ceti maggiori della società sangiovannese. Il palazzo, che sorge lungo via Fratelli Bandiera, sul colle di via Florens, è il risultato di una composizione volumetrica fatta da tre volumi diversi. Due di questi volumi di forma rettangolare incastonati fra di essi, hanno composto il piccolo cortiletto posto davanti all'ingresso. L'assemblaggio fra due edifici realizzati in epoche diverse è confermata dai materiali (mensole) e finestre che l'edificio contiene nel proprio interno. Il palazzo è a tre piani. Il prospetto che da lungo via Fratelli Bandiera, è caratterizzato da uno schema rigido e preciso di finestre solo al primo piano, e una serie di balconcini al secondo e al terzo piano, mentre non sono presenti terrazzi come in altri palazzi.

Palazzo Caligiuri - l palazzo venne edificato nella seconda metà del XVIII secolo su “Timpone San Biagio” (un colle della città) dove sorgeva l'antica chiesa di San Biagio, demolita negli anni 1930. Questo edificio è stato realizzato lungo un crinale molto scosceso e la sagomatura dell'edificio segue per gradoni l'orografia del colle, così come è per Palazzo De Marco. Certamente il colle, "suddiviso" con un altro palazzo storico, Palazzo Barberio, ha contribuito non poco all'architettura del palazzo. Vi sono 5 ingressi, posti lungo tutta la facciata, mentre l'ingresso principale è stato realizzato nel corpo centrale dell'edificio. Nella parte più in basso l'edificio ospitava quasi sicuramente i depositi, mentre la parte più in alto, terminante sul colle, è caratterizzata da una duplice e differente volumetria, rispondente a due distinte altezze dell'edificio. Il palazzo non presenta particolari ornamenti architettonici mentre segue uno schema preciso con sole finestre al primo piano e balconcini al secondo.

In posizione marginale, edificati lungo le arterie principali sono Palazzo De Marco, della prima metà del Settecento, sede della Biblioteca comunalee Palazzo Oliverio, di inizio Ottocento.

Rappresenta un'eccezione Palazzo Barberio Toscano, databile tra il 1735 ed il 1740, fortemente compromesso dalla frammentazione della proprietà, unico palazzo che può vantare il titolo nobiliare (baronale) della cittadina florense, edificato su un colle posto al di sopra di tutto il centro storico, in posizione dominante rispetto anche agli altri palazzi signorili, come evidenza dell'importanza economica e politica, che la famiglia Barberio Toscano aveva nel XIX secolo.

Ville

Il paese è piuttosto carente di aree verdi, non avendo in campo amministrativo, mai sviluppato una cultura del verde e dell'arredo urbano. Già le famiglie signorili del 1700 e del 1800 non manifestarono mai la necessità di grandi giardini da realizzare intorno alle loro abitazioni, anzi i pochi palazzi storici circondati da verde, utilizzavano queste aree in parte per orto e solo in minima parte in giardino. La cultura dell'orto dinanzi casa, fino a metà anni cinquanta sopperiva, così, alla necessità di aree verdi.

Lo sviluppo edilizio del dopoguerra, cancellò gli antichi orti e le loro tracce, senza adeguatamente sostituire questi, con altre aree di verde urbano. Solo negli anni ottanta vennero mossi in campo amministrativo, i primi interventi per la realizzazione di alcune aree da destinare a verde pubblico, ma la carenza nel centro urbano di aree libere sfruttabili a tale scopo, fece individuare ed emergere soluzioni alternative. Furono realizzati un grande parco comunale in una zona periferica (quartiere Pirainella), espropriando ed abbattendo alcune costruzioni esistenti, mentre una "Villa comunale", fu realizzata alle spalle del palazzo comunale, trasformando un colle piuttosto acclive, area utilizzata ad orto, in un giardino attrezzato, formato da una serie di terrazzamenti e a forma di gradoni.

Sito archeologico Protocenobio di Jure Vetere

La Domus di Fiore, nota anche come l'Abbazia di Jure Vetere (o Fiore Vetere), ovvero come Protomonastero di Jure Vetere, è la prima fondazione dell'Ordine Florense, edificata dall'abate Gioacchino da Fiore. L'abbazia, distrutta da un incendio, venne in seguito abbandonata insieme al sito comprendente altri locali utilizzati dai monaci. Il sito, in territorio di San Giovanni in Fiore dal quale dista circa 5 km, è stato localizzato dal Dott. Luigi Biafora (San Giovanni in Fiore) sul finire degli anni '90 del secolo passato, ed è stato riportato alla luce a seguito di perlustrazioni avviate nel 1997 e campagne archeologiche effettuata a fase alterne tra il 2003 e il 2005.

Nella località di “Iure Vetere” Gioacchino, fondò quella che sarà la sua prima Abbazia. Cominciata nel 1189 e terminata in data antecedente al 21 ottobre 1194. L'Abbazia di “Iure Vetere” era ubicata in un luogo perfetto secondo Gioacchino, ove regnasse la pace e la tranquillità, e dove si potesse rigenerare la spiritualità perduta. Assieme al monastero vennero realizzate anche delle dipendenze ad utilizzo dei monaci alla quale vennero affidate terre per la coltivazione e il pascolo. La realizzazione del nuovo monastero non fu semplice, soprattutto "perché si dovettero combattere le controversie con i monaci Basiliani del vicino Monastero dei Tre Fanciulli, in quanto questi ultimi si servivano delle terre donate all'abate, per farvi pascolare i loro greggi".

Cominciate a realizzare le prime fondamenta, Gioacchino nel 1198 si recò a Palermo presso la corte di Costanza, vedova da poco del re Enrico VI, che in precedenza aveva concesso all'abate, il diritto di utilizzo e di pascolo delle terre della Sila, per cercare conferma di protezione e donazione da parte del regno. L'approvazione di Costanza, ufficializzò la realizzazione dell'Abbazia. Gioacchino non vide mai completarsi definitivamente la sua opera. L'Abate, infatti non aveva fatto i conti con le difficili condizioni climatiche del luogo prescelto, che in concomitanza dei continui viaggi che intraprendeva in Sicilia e nel resto della Calabria, alla ricerca di consensi per il suo operato e per diffondere il suo pensiero, gli costarono gravi malanni, l'ultimo dei quali, nel 1202, fu letale. Morì infatti il 30 marzo del 1202 a Pietrafitta, dopo aver ricevuto la visita degli abati cistercensi di Corazzo, della Sambucina e dello Spirito Santo di Palermo, e qui vi fu seppellito.

A sostituire Gioacchino a capo del monastero, fu Matteo, suo seguace, che ben presto si ritrovò a dover affrontare numerosi problemi. Nonostante tutto, i monaci con grossi sacrifici, riuscivano a mantenere intatto sia il canone di vita, sia il luogo silano. Il periodo più difficile per i Florensi, avvenne nell'anno 1214, quando a fine estate, un vasto incendio devastò il protocenobio di Iure Vetere, e tutti i suoi edifici contigui. Quest'incendio difatti, sancì la chiusura del monastero di Iure Vetere, il luogo scelto da Gioacchino nel 1189, poiché da qui a breve i monaci florensi, prenderanno una scelta radicale. Nonostante l'acquisizione di un vasto territorio donato da Enrico VI, e quindi aver acquistato in maniera indiretta prestigio e potere, le condizioni climatiche del luogo apparivano troppo difficili cosicché i monaci decisero di abbandonando per sempre il vecchio protocenobio.

Dopo esser stato abbandonato, il proto monastero di Jure Vetere venne per secoli dimenticato. Le sue testimonianze erano lasciate solo a racconti, divenuti con il tempo quasi leggendari, mentre le sue tracce erano completamente scomparse. Nel 1997 cominciò a ricercarlo l'arch. Pasquale Lopetrone, ma la sua localizzazione era già avvenuta ad opera del dottor Biafora e della moglie Nicoletta Magnaghi, proprietari del terreno in cui furono rinvenuti i resti dell'edificio religioso. Successivamente vennero compiuti i primi accertamenti del caso e fu trasmessa segnalazione alle autorità competenti. Dopo la localizzazione, il Comitato Nazionale per i festeggiamenti dell'8º centenario della morte dell'Abate Gioacchino da Fiore, nel 2001, attivò una campagna archeologica, diretta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Calabria, condotta dal gruppo di ricerche dell'IBAM di Potenza, in collaborazione col Comune di S. Giovanni in Fiore e del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti coi tecnici della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera (Università degli Studi della Basilicata) i resti della prima fondazione furono riportati alla luce, e con essi anche alcuni primi e rurali insediamenti.

Gli scavi proseguirono con altre 4 campagne, ma non vennero terminati, poiché i fondi utilizzati per questi scavi, finirono ben presto. Il luogo archeologico è stato in parte abbandonato, e recintato solo nel 2009 onde evitare che pascoli e bestiame presenti in zona, potessero accedervi e recarvi qualche danno. I resti solo in parti ricoperti mentre altri sono esposti alle intemperie del luogo. Sulla scoperta archeologica, è stato redatto ed edito un volume apposito, voluto dal Comitato Nazionale per i festeggiamenti dell'8º centenario della morte dell'Abate Gioacchino da Fiore, con il patrocinio del Ministero per i Beni Culturali.

Arco normanno

L'Arco normanno del 1200 è, insieme all'Abbazia Florense, il simbolo della cittadina. L'Arco normanno si trova nelle vicinanze dell'Abbazia forense. Non esistono notizie certe in merito di questo singolare monumento. Si suppone, secondo recenti studi, che l'arco facesse parte di una serie di diversi archi realizzati lungo le mura che cingevano il complesso abbaziale e alcuni edifici utilizzati dai religiosi. Le percezioni di tali supposizioni si poggiano sul ritrovamento di resti di alcuni “ammorsamenti” nei muri vicini all'arco medievale

L'arco normanno si presenta a forma di sesto ogivale, e sicuramente risale all'epoca in cui il borgo monastico era sotto la dominazione normanna, nel XII secolo. Le mura e soprattutto gli archi, erano stati fatti erigere intorno al borgo monastico, e oltre a fungere da porte d'accesso di protezione, avevano certamente anche la funzione di confini urbano extraterritoriale, oltrepassando i quali si era immuni da ogni pena inflitta dalla Corte Giudiziaria Normanna.

Monumento ai caduti di Monongah

Il Monumento ai caduti di Monongah è l'ultimo monumento, ad oggi, eretto nel comune di San Giovanni in Fiore. Fatto costruire da maestri scalpellini locali, sotto proposta e direzione della Regione Calabria, per commemorare il centenario della tragedia, il monumento fu poi consegnato alla città di San Giovanni in Fiore, quale paese calabrese con la maggior perdita di cittadini subita nella sciagura del 6 dicembre del 1907. 

Molti dei 956 morti nella più grave sciagura mineraria mai accaduta negli Stati Uniti d'America (Monongah, Virginia Occidentale, 6 dicembre 1907) erano infatti emigranti provenienti da San Giovanni in Fiore, oltre che da altre cittadine della Calabria, dell'Abruzzo e del Molise. Il monumento è stato visitato dal governatore del Virginia Occidentale, Joe Manchin III, nel 2004 che vi ha deposto una corona di fiori.

Ponte della Cona

Il Comune di San Giovanni in Fiore, vista la sua natura montana è attraversato da numerosi ponti, la stragrande maggioranza, di piccole dimensioni, alcuni dei quali, realizzati nei pressi della città vecchia sono esteticamente gradevoli e di pregevole fattura. L'unico ponte che però merita essere menzionato per pregio, caratteristiche storiche e naturali, è il “Ponte della Cona”. Realizzato sul finire del Settecento, è una strutta a due arcate con le due volte a pietra incastrate fra di loro e “saldate” da un leggero strato di malta a base di calce

Un tempo unico accesso tra il centro urbano e le prime strade di collegamento fra gli altri paesi, il ponte della Cona fu poi soppiantato dalla edificazione di nuovi passaggi viari e relativi ponti. Si ricorda nella storia, poiché da questo passaggio transitarono i Fratelli Bandiera dopo la loro cattura.

Cippo della Stragola

Sul luogo della cattura dei Fratelli Bandiera, nel 1909 venne innalzato un cippo in granito silano, comunemente chiamato Cippo della Stragola, commemorativo delle eroiche gesta dei fratelli veneziani. Il cippo si trova in località “Stragola” a circa 10 km dal centro abitato della cittadina. 

Il monumento, realizzato completamente con granito silano, fu eretto da parte della cooperativa "Fratelli Bandiera", per conto della famiglia Lopez, la famiglia che ospitò due dei rivoltosi catturati nel 1844. Con l'erezione del cippo, la famiglie intese mettere a tacere, le polemiche che incalzavano dall'Unità d'Italia, e che puntualmente venivano fomentate da politici del luogo.

Tradizioni e folclore  

San Giovanni in Fiore è un paese nel quale è profondamente radicata la cultura religiosa.

- nel mese di febbraio viene festeggiato il carnevale con delle particolari rappresentazioni musicali dette “Frassie” che riproducono sotto forma satirica un quadro degli avvenimenti più eclatanti del paese;

- nei mesi estivi si susseguono festività religiose: Madonna della Sanità, San Francesco di PaolaCorpus DominiSant'AntonioSan Giovanni Battista (protettore della cittadina), Madonna del Carmine e San Domenico;

- in agosto si allestiscono due fiere: la “Fiera” tradizionale annuale, che attira visitatori di tutte le zone limitrofe, legata alla ricorrenza delle festività di San Giovanni Decollato e la fiera Florense che si svolge nei vicoli del centro storico;

Durante le festività natalizie, vengono annoverate le antiche tradizioni:

- U zugghi, un canto popolare augurale che viene cantato davanti agli uscì degli amici e delle persone care, fino a quando non si è invitati ad entrare, per ricevere l'offerta (spesso una cena) facendo festa insieme al commensale;

- e delle focere, falò rionali che vengono accesi la notte di Natale. È tradizione a San Giovanni in Fiore e in Sila, accendere la notte santa la focera, con l'intento di creare quel calore di cui nella leggenda popolare tanto aveva bisogno Gesù bambino.

Il costume tradizionale di San Giovanni in Fiore è "ù ritùartu", indossato dalla donna, che assume il nome di "pacchiana". "U rituarto" e la "Pacchiana", sono stati oggetto di studi e di interesse da parte di antropologi ed etimologi. Non vi è un abito maschile locale, ma indumenti tipici come il manto (mantello) e le calandrelle (tipici calzari).

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