San Giovanni in Fiore (Borgo)
(Cosenza)
  
 
  
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Abbazia Florense

L'Abbazia Florense è uno dei più grandi edifici religiosi della Calabria e, grazie all'imponenza dell'intero complesso badiale è considerato, insieme al santuario di San Francesco di Paola, il più importante edificio religioso della provincia di Cosenza. Fa parte dell'arcidiocesi di Cosenza-Bisignano. Fu il primo edificio di San Giovanni in Fiore, decretando così la nascita del borgo.

Le origini dell'Abbazia Florense racchiudono una storia ricca di avvenimenti e coincidenze, che hanno portato con un lungo cammino alla realizzazione del complesso monastico. La principale delle cause, è sicuramente la ricerca di una nuova ”fonte di spiritualità” da parte del fondatore del monastero, Gioacchino da Fiore. Il futuro abate viaggiò da giovane, per alcune abbazie, venendo a contatto con vari ordini monastici, tra cui quello cistercense. Da giovane, infatti, fu prima accolto presso l'Abbazia di Santa Maria della Sambucina nei pressi di Celico; in seguito soggiornò nel monastero di Corazzo, divenendone priore e poi abate. Recatosi nel 1183 presso l'abbazia di Casamari, nel Lazio, con l'intento di far accorpare il cenobio di Corazzo all'Ordine Cistercense, Gioacchino affinò la propria spiritualità, scorgendo un bisogno di meditazione fino ad allora mai capitatogli. Fu così che insieme a un compagno decise, fra la Pasqua del 1186 e il febbraio del 1188 di salire sulla Sila alla ricerca di un luogo per abitare. Si fermarono dapprima presso la località di Pietra Lata, ma il luogo non piacque all'abate, che decise di proseguire il cammino e risalire ancora i monti della Sila. Superato il fiume Lese, i due giunsero presso una radura sul versante orientale della Sila, presso una vasta foresta di boschi, nella valle del fiume Arvo. La località sembrò perfetta a Gioacchino, che decise di stabilirvisi e di edificarvi il monastero, dedicandolo a San Giovanni Evangelista.  

Nella località di “Iure Vetere” Gioacchino, fondò quella che sarà la sua prima abbazia. Cominciata nel 1189 e terminata nel 1198, l'abbazia di “Iure Vetere” era ubicata in un luogo perfetto secondo Gioacchino, ove regnasse la pace e la tranquillità, e dove si potesse rigenerare la spiritualità perduta. Assieme al monastero vennero realizzate anche alcune dipendenze a utilizzo dei monaci, a cui vennero affidate terre per la coltivazione e il pascolo. La realizzazione del nuovo monastero non fu semplice, soprattutto “perché si dovettero combattere le controversie con i monaci Basiliani del vicino Monastero dei Tre Fanciulli, in quanto questi ultimi si servivano delle terre donate all'abate, per farvi pascolare i loro greggi”. Nel 1214 un vasto incendio devastò il protocenobio di Iure Vetere e tutti i suoi edifici contigui. Le condizioni climatiche del luogo incisero molto sulla scelta dei monaci florensi, che decisero di abbandonare per sempre il vecchio protocenobio.

Il sito della prima fondazione florense venne ritrovato nel 2001, attraverso una campagna archeologica diretta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria e condotta dal gruppo di ricerche dell'IBAM di Potenza.

Dopo l'incendio di “Iure Vetere”, i monaci florensi vennero aiutati da alcuni loro benefattori, tra i quali il conte Stefano di Crotone, che trovò loro una prima sistemazione nelle sue proprietà presso Cerenzia. I monaci cominciarono subito a porsi il problema se restaurare il vecchio monastero e restare sul luogo scelto da Gioacchino o fondarne uno nuovo. La seconda opzione era quella più gradita ai monaci e dall'abate Matteo, anche perché Iure Vetere era una zona ove vivere era difficile, sferzata quasi tutto l'anno da un vento gelido e da un clima rigido, e dove in inverno la temperatura scende costantemente sotto lo zero. Si decise quindi trasferire la nuova abbazia in un nuovo sito. Al nuovo progetto venne incontro l'imperatrice Costanza d'Aragona, che donò all'ordine gioachimita altri beni demaniali, per ripagare i monaci dei danni subiti con l'incendio, e invocò l'aiuto di feudatari ed ecclesiastici, affinché si potesse sopperire ai bisogni degli stessi monaci.

Le donazioni arrivarono da più parti e i monaci poterono finalmente dedicarsi all'impiego per la costruzione della nuova chiesa. La prima scelta riguardava il sito del nuovo monastero. Papa Innocenzo III, conscio del clima della Sila e delle difficoltà di viverci, consigliò ai monaci di discendere l'altipiano alla ricerca di aree più miti. I monaci comunque non vollero abbandonare le foreste silane, decidendo di scendere solo di qualche centinaio di metri dal luogo di Iure Vetere. Nel 1215 venne scelto un costone roccioso nella valle del fiume Neto, vicino alla confluenza con il fiume Arvo. Il luogo apparve subito più ameno del precedente, con maggiori possibilità di costruire il monastero e vivervi serenamente. Il clima era di fatto più mite, e a valle del costone fino al fiume vi erano terreni adatti sia al pascolo sia alla coltivazione. Per dare continuità al primo messaggio gioachimita, l'abate Matteo e i monaci florensi decisero di nominare la località scelta Fiore o “Fiore Nuovo”.  

Negli anni 2007-2008 l'ala est e il chiostro sono stati oggetto di ricerche e scavi archeologici diretti della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. Nel corso di tali ricerche è stata individuata l'officina vetraria dell'abbazia, operante sul finire del XII secolo, dove sono state prodotte le vetrate policrome ritrovate in tracce nel corso degli scavi. Altra scoperta è la messa in luce dei piedritti di un portale monumentale, con fosso-trabocchetto interno, che consentiva l'accesso all'ala est per chi proveniva dalla valle sottostante.  

Intorno al 1230 l'Abbazia Florense venne terminata. L'opera apparve subito imponente, in un luogo quasi sperduto e difficile come quello silano.  

Nel corso del tempo infatti, ha subito numerosi rimaneggiamenti e modifiche, spesso seguendo le tendenze architettoniche dei vari periodi, ma perdendo in questo modo l'originaria struttura architettonica. La prima impronta architettonica che si nota dell'Abbazia Florense, è certamente di marca romanica. L'impianto del complesso badiale, è di forma quadrata e vede al centro un grande chiostro ad archi ogivali. La pianta dell'edificio ecclesiastico è invece a croce latina, con l'abside di forma rettangolare orientata verso oriente.  

Fra gli ultimi stili architettonici del quale si ha testimonianza, prima dell'ultimo restauro del 1989, vi è lo stile barocco. Questo importante e poderoso cambiamento all'interno dell'abbazia coinvolse l'intero patrimonio religioso di San Giovanni in Fiore. Dal 1600 in poi, praticamente tutti gli edifici di culto posti nell'abitato cittadino hanno subito interventi che ne hanno cambiato gli interni, adattandoli allo stile barocco: in quel periodo l'intera collettività silana viveva un momento di profuso sviluppo economico. Lo stile barocco è poi passato indenne negli ultimi secoli, giungendo a noi così come praticamente si presentava più di quattro secoli fa.

Dopo il restauro del 1989, l'interno dell'Abbazia era irriconoscibile: tutti gli altari e gli stucchi barocchi erano stati rimossi; al loro posto si vedeva un muro di colore giallo. Successivamente, negli interni fu rimossa la tinta gialla e fu così lasciato il muro a vista. L'edificio è segnalato nei "Monumenti Vivi - Siti importanti per la Fauna", il primo in Calabria, in quanto ospita da tempo diversi uccelli selvatici nidificanti e per questo luogo importante per la biodiversità da tutelare.

ARCHITETTURA - L'ingresso dell'Abbazia è mutato nella sua quasi millenaria vita. Dell'ingresso originale rimane solo il portone mentre è andato perduto il nartece e la facciata ha più volte mutato d'aspetto.

La facciata dell'abbazia si presenta oggi molto semplice e snella, con la cuspide che forma una capanna. Non ci sono decorazioni imponenti, tranne il portone. Lavorato è, invece, il foro sopra il portone che presenta un anello interno e uno esterno più sporgente in pietra lavorata.

Il portale è stato realizzato in pietra calcarea finemente lavorata e costituisce l'unico tratto distintivo di tutta la facciata. 

L'ingresso è più elevato del piano della navata, infatti bisogna scendere alcuni gradini per accedervi. Le decorazioni poste sul portale presentano dei fregi di foglie dentellate sormontati da una fascia classica, che separa il portone dalla parte più alta. La parte superiore è composta da una serie di archi ogivali che formano quattro cornici. Lavorati sono anche i capitelli e le colonne ai lati dell'ingresso. Il portone dell'ingresso è di legno ed è recente, sostituito nel restauro del 1989. Termina in alto con l'intersezione degli archi e cerca di riprendere la semplicità del portone precedente al restauro.

L'ingresso principale del monastero ha ospitato in passato anche il nartece. Oggi gli unici segni rimasti del porticato coperto sono appena visibili, e tali segni si possono notare solo attraverso delle sporgenze dalla muratura sul lato destro del portone e da una fila ben delineata al di sopra dello stesso portone, dalla quale partiva la copertura. Il nartece abbaziale era probabilmente formato da un porticato costituito da tre arcate per lato. Con molta probabilità, anche il nartece fu andato distrutto da un incendio, come si vede ancora oggi dall'annerimento della facciata dell'abbazia, che ne distrusse completamente la copertura, mentre le mura restanti furono successivamente smontate e recuperate per essere riutilizzate nella costruzione delle imponenti sovrastrutture barocche del XVIII secolo.

L'abside è forse l'elemento di maggiore pregio di tutta l'abbazia. Si rifà all'architettura tardo romanica del periodo e presenta una finestra circolare esalobata, al centro di un triangolo ai cui vertici vi sono tre piccole finestre circolari quadrilobate. Sotto questi quattro elementi circolari si trovano tre ampie monofore, che nella dimensione del complesso disegno, non superano i lati delle piccole finestre circolari. Secondo alcuni studiosi, il disegno dell'abside si rifà ad alcune chiese francesi di stile romanico. Gli elementi utilizzati appartengono chiaramente al periodo romanico: infatti quest'abside è molto simile alla famosa Abbazia di Casamari, nel Lazio, costruita nello stesso periodo dell'Abbazia Florense. Altri studiosi sostengono che la disposizione delle finestre circolari seguirebbero l'espressione e il pensiero gioachimita della Santissima Trinità, ma tale accostamento è privo di elementi significativi, e pertanto non viene né citato né rappresentato nelle tavole del Liber Figurarum.

Il campanile, posto a lato dell'abside nella parte più elevata del tetto della stessa, ha forma di parallelepipedo regolare. Presenta una sommità più lavorata, con quattro archi a tutto sesto realizzati lungo i lati della parte più elevata del campanile, mentre il tetto, regolare, funge da grande capitello. Nel campanile sono presenti due campane:

- La I, chiamata "Campana Tambati" in onore di un abate, è stata fusa in una data imprecisata e rifusa in seguito a un danno per caduta, come scritto sulla campana, nel 1774;

- La II, chiamata "Campana dell'abate Nicola", è stata fusa tra il 1200 e il 1400.

L'interno modificato con l'ultimo restauro del 1989 si presenta oggi in stile romanico a pietra nuda, come lo era originariamente. Sulle pareti dell'interno non sono presenti sculture, fregi, decorazioni, dipinti, statue, guglie, e qualsiasi altra forma decorativa, affinché «…non vi fosse nulla che ostentasse superbia, vanità o potesse corrompere la povertà, custode di virtù» ("Regola Florense").

Dalla pianta a croce, si possono notare una grande navata centrale e due navatelle laterali, ottenendo in questo modo, tre luoghi separati. Le navate laterali si collegano alla navata laterale da ingressi posti nei pressi dell'altare.  

Dalla cappella di sinistra è possibile accedere alla cripta.

La navata centrale dà subito l'impressione dell'imponenza dell'abbazia. Dalla soglia del portale si scendono alcuni gradini rilevando che la soglia del pavimento si trova sotto il piano esterno di 90 cm. Il pavimento, restaurato negli anni 1980 non era come lo si trova allo stato attuale. Molto probabilmente era vario, con soglie differenti che delimitavano differenti ambienti nella stessa navate. Le pareti alte e verticali, rendono immediatamente l'ampiezza e la profondità dell'edificio. Le pareti, ritornate allo stato attuale dopo il grandioso restauro degli anni ottanta, si presentano spoglie, quasi stanche, rimaneggiate in molte parti a causa del continuo rinnovamento e cambiamento di stili che l'abbazia ha avuto nei secoli.

In alto sono presenti quattro monofore per lato. Queste sono state riaperte dopo che vennero chiuse e sostituite dalle finestre barocche più grandi, a forma di rettangolo con gli angoli smussati. Le finestre barocche vennero chiuse nell'ultimo restauro perché non conformi con l'aspetto originario dell'edificio. Ai lati delle pareti vi sono quattro porte. Tre di queste sono murate e un tempo collegavano la navata centrale a locali non più esistenti o per lo meno completamente diversi da come si presenta oggi il complesso badiale. Solo una porta è ancora oggi “attiva”, la prima porta a sinistra dopo l'ingresso, che collega la navata centrale alla navatella laterale. In fondo alla navata centrale si staglia l'altare in stile barocco, e ben è visibile l'abside in fondo, con le caratteristiche finestre circolari. Sopra l'altare in prossimità dell'abside è possibile scorgere dalla navata centrale i matronei (o cori notturni).

La navatella laterale, dalla quale si può accedere sia da una porta laterale che si affaccia sulla piazzetta antistante il portale dell'abbazia, sia da una porticina che la collega alla navata centrale, è stata rimaneggiata e modificata più volte nel corso dei secoli. In alcune foto dell'epoca appare diroccata con alberi e piante nel proprio interno, segno di una profonda incuria. Dopo l'ultimo restauro, è stata riaperta al pubblico e oggi ospita la mostra permanente delle tavole del "Liber Figurarum", le opere artistiche di Gioacchino da Fiore, che racchiudono il pensiero e l'immaginario gioachimita.  

L'altare in stile barocco è un'opera del maestro di arte lignea Giovanbattista Altomare, originario di Rogliano. Realizzato nel periodo del barocchi mento dell'abbazia, l'altare è datato 1740, data incisa dal maestro sull'opera realizzata. L'altare, che poggia su una base rialzata, presenta elementi riccamente decorati, intagli preziosi nel legno che sono stati poi dorati dal maestro. Gli elementi utilizzati con più frequenza sono la foglia dorata e teste di putti. È un vivido esempio di arte barocca che partendo dal basso, con la mensa eucaristica posta sui gradini, presenta una base a forma di parallelepipedo imponente con al centro il tabernacolo, mentre salendo fino in cima, lo stile rigoglioso delle foglie, racchiude la nicchia contenente la statua del patrono della città, ossia san Giovanni Battista.  

Dietro l'altare sta il coro ligneo, opera di autore sconosciuto. Il coro è intagliato in legno di noce, finemente lavorato. Era utilizzato un tempo dai religiosi che risiedevano nel monastero e che in questa parte dell'edificio si dedicavano ai canti liturgici.

Sala esposizioni delle tavole del Liber Figurarum - Posta presso la navatella laterale dell'Abbazia Florense, il cui accesso è sito di fianco il portale dell'abbazia, quest'esposizione permanente raccoglie le litografie delle Tavole del Liber Figurarum, opera figurativa di Gioacchino da Fiore, considerata «la più bella ed importante raccolta di teologia figurale e simbolica del Medio Evo». Le tavole figurative, oggetto ancora oggi di studi da parte di enti, fondazioni e università, e che per il loro simbolismo sono considerate gioielli d'arte di inestimabile valore, queste riproducono, attraverso l'arte del disegno, tutto il pensiero gioachimita, pensiero studiato in tutto il mondo. La sala esposizioni, è gestita dal Centro Studi Gioachimiti.

Chiesa dell'Annunziata

La chiesa dell'Annunziata è una piccola chiesa di San Giovanni in Fiore realizzata nel 1653.

La chiesa deve la propria nascita grazie alla “Confraternita dell'Annunziata”, confraternita composta da muratori, scalpellini e carpentieri. Edificio dalla modestissime dimensione ma di grande pregio storico, poiché in passato era contigua alla chiesa di Santa Maria delle Grazie (San Giovanni in Fiore), creando un complesso monumentale di due chiese differenti per dimensioni fra di loro, simili però nel contesto architettonico. È rimasta aperta fino agli anni '70, e dopo di allora è rimasta quasi sempre chiusa, tranne in occasione del recente restauro del coro ligneo (mai esposto), e in occasione di un'importante fiera provinciale.

Il piccolo edificio sacro è noto anche perché al proprio interno, e più precisamente nel pavimento della chiesa, sono custodite le spoglie di Giuseppe Miller e Francesco Tesei, due patrioti italiani facenti parte del gruppo della spedizione dei Fratelli Bandiera, caduti durante il conflitto a fuoco che si tenne tra il gruppo dei rivoltosi e la guardia urbana di san Giovanni in Fiore.  

Attaccata un tempo alla Chiesa madre di Santa Maria delle Grazie, la piccola chiesa dell'Annunziata fu costruita e modificata seguendo gli stessi stili architettonici di quest'ultima. Non ci sono precise notizie sul perché sia stata eretta realizzando parte dell'abside e fissandolo con il campanile della Chiesa madre. Probabilmente vi era un passaggio comunicante fra le due chiese, che in questo modo apparivano come un complesso monumentale rilevante. Intorno al 1930 fu abbattuta la parete che collegava le due chiese in modo da poter creare un secondo accesso alla piazza antistante la Chiesa madre.

La facciata ripropone il tema seguito per la Chiesa madre. Il portale è ad arco a tutto sesto, con colonne semplici, realizzato con pietra del luogo. Al di sopra del portale vi è un'ampia finestra ad arco ribassato. L'interno è barocco, di modeste dimensioni e con una pavimentazione risalente alla metà del 1800. Vi è un coro ligneo barocco, realizzato nel 1760, intagliato e decorato da artigiani calabresi, e recentemente restaurato. Vi era in passato un'altra opera di rilievo, un gruppo ligneo raffigurante l'annunciazione a Maria Vergine, ma nel 1970, fu trasferito nella vicina Chiesa madre. Anche il campanile richiama lo stile architettonico della Chiesa madre, ed è considerato uno dei migliori esempi meglio conservate, degli artigiani scalpellini del luogo.

La chiesetta ha avuto da sempre la sua storia concatenata con la Chiesa madre, e il muro che collegava le due chiese ne era l'emblema più evidente. Non si può parlare della chiesa dell'Annunziata tralasciando la storia della Chiesa madre.

La chiesetta ha subito profondi interventi che ne hanno cambiato l'aspetto, anche se la pianta originaria e il campanile sono rimasti praticamente esenti da tali interventi. Nel 1930 la demolizione del muro che la collegava con la Chiesa madre è stato il più importante. La facciata e il campanile vennero restaurati negli anni ‘70 in concomitanza con i lavori di restauro per gli stessi elementi della Chiesa madre, mentre sono rimansti immutati gli interni barocchi.
Dopo il restauro fu chiusa al pubblico. Aperta negli ultimi anni solo per asportare e far restaurare il coro ligneo barocco da un'équipe di restauratori dell'Università di Pisa, la chiesa anche dopo il restauro del coro ligneo continua a rimanere chiusa e non è programmata una sua imminente riapertura al pubblico. La chiesa si raggiunge percorrendo le scale che dalla piazza antistante la Chiesa madre di Santa Maria delle Grazie porta all'abbazia Florense.

Convento dei Padri Cappuccini

Il convento dei Padri Cappuccini è il terzo edificio religioso edificato per ordine cronologico, dopo l'abbazia Florense e la chiesa madre.

La storia dei Cappuccini e il loro arrivo nella terra di San Giovanni in Fiore, risale al 1500. Nel casale florense, infatti, la famiglia francescana vi aveva da tempo una casetta che utilizzava come ospizio, dimora d'appoggio per le lunghe attraversate che i frati intendevano fare risalendo i monti della Sila, sia dal lato occidentale di Cosenza che da quello orientale di Crotone e del marchesato crotonese. L'ospizio era utilizzato anche per i frati che praticavano la pastorizia, e che secondo pratica della transumanza, passavano il periodo estivo sui monti silani.

L'apertura di un convento in quel periodo, non era nei programmi della provincia monastica di Cosenza, sia in quanto la realizzazione di altri conventi erano stati programmati nelle città di AmanteaStrongoliPiane Crati e Castiglione Cosentino e necessitavano di ultimazione dei lavori e completamento delle strutture principali, sia perché la struttura esistente dell'ospizio, riusciva a soddisfare le esigenze dei frati silani. Nel 1614, Francesco Maria di Majo, notaio cosentino di ricca famiglia, fece dono alla provincia monastica, di un pezzo di terra posto su un colle che dominava l'allora piccolo centro urbano di San Giovanni in Fiore e il complesso monastico florense.

Per i motivi già citati, i lavori di realizzazione del convento non iniziarono immediatamente, ma ci vollero ben 25 anni prima che la provincia monastica decidesse l'inizio dei lavori. Nel 1636 si iniziò alla deforestazione dell'area e allo sbancamento del colle, e dopo 3 anni, cominciarono i lavori di edificazione del convento, che verrà ultimato tra il 1648 e il 1649.

Il convento non ebbe vita facile nel corso dei suoi anni. Subì infatti, una serie di soppressioni la prima delle quali nel 1811 in base ad alcune disposizioni legislative murattiane. Occupato dai monaci elemosinieri, subì un ulteriore soppressione nel 1866 e accorpato al comune di San Giovanni in Fiore. Passò in mano a D. Saveria Lopez che lo tenne in custodia cercando nel frattempo di farvi ritornare i frati Cappuccini, cosa che avvenne solo mezzo secolo dopo, ed esattamente nel 1923. All'ultima ripresa delle attività pastorali dei frati, come segno di riconoscenza il comune concesse al convento l'orto circostante.

La prima edificazione prevedeva una pianta a forma di quadrilatero, uno stile architettonico comune a tutti i conventi dei Cappuccini in Calabria. Al centro di questo quadrilatero vi è il chiostro con pozzo per l'acqua, mentre la chiesa, allora realizzata ad unica navata, sorse in direzione est-ovest, con la facciata rivolta ad oriente. 

L'ingresso principale del convento è posto sulla sinistra della navata, con un lungo corridoio perimetrale coperto per evitare le intemperie invernali. Vi è un altro ingresso posteriore, che si raggiunge attraversando l' “orto” del convento. 

Il corridoio alla quale si accede dall'ingresso del convento, dà accesso ai locali della sagrestia posti dietro l'altare, mentre per accedere al convento, realizzato a due piani, si deve salire una scala interna (un tempo in legno) posta sul lato occidentale basso, del chiostro. 

L'attuale sagrestia, che prima era posta negli odierni uffici del convento, un tempo era utilizzata come coro, luogo di canto dei frati, prima che questo venne spostato e realizzato sopra il portale centrale della chiesa attuale.

Il piano terra ospitava i locali della foresteria, dei laboratori, della legnaia, i ripostigli e le dispense, la cantina, e il refettorio con annessa cucina. La sala mensa, oggi saletta multifunzione, ospita una grande tela de “L'ultima cena”, opera di metà secolo scorso. Il piano superiore è cinto da un loggiato realizzato con arcate edificate sul chiostro del piano inferiore, ed ospita i locali del dormitorio e delle celle dei frati. Dal secondo piano si accede al nuovo coro realizzato nel primo decennio del secolo scorso, dai maestri falegnami probabilmente della famiglia degli “ottavi”. Al secondo piano vi è una sala adibita a cappella per i frati malati che non potevano assistere direttamente alla messa, altre sale per uso comune, e una ricca biblioteca ove intraprendere ed approfondire gli studi di teologia, storia, filosofia, greco e latino.

La navata centrale ospita un altare ligneo in stile barocco riccamente decorato, con presenza di numerosi intagli e motivi floreali, opera probabilmente di maesti ebanisti roglianesi. Il ciborio intarsiato è un'opera che si fa risalire a frate Felice Maria da San Giovanni in Fiore. Sulla parete ai lati dell'altare sono presenti due piccole nicchie contenenti due piccole statue raffiguranti Santa Veronica Giuliani e la Beata Maria Maddalena Martinengo. Al centro dell'altare vi è una grande tela raffigurante la "Vergine in gloria tra i cieli", ossia Santa Maria delle Grazie, opera del 1797 dell'artista calabrese Cristoforo Santanna, che ha affrescato anche la volta della navata centrale con una raffigurazione della "Madonna con il Bambino Gesù".  

La navata laterale ospita anch'essa un altare ligneo in stile barocco, finemente lavorato, risalente al '700. L'altare con colore in legno naturale, risale con molta probabilità agli stessi artisti roglianesi autori dell'altare della navata centrale, è presenta decorazioni floreali, mentre al proprio interno custodisce la statua di Sant'Antonio anch'essa lignea risalente alla stessa epoca dell'altare. Sul lato destro della navata vi è un grande dipinto olio su tela raffigurante il Beato Angelo d'Acri, opera di un certo F. Fontana del 1925, mentre su un rosone della volta si può ammirare un affresco con Sant'Antonio, opera di Francesco Giordano da Policastro del 1761.  

Il convento sorse al centro di una grande area (un ettaro circa), che doveva essere utilizzata ad orto per la produzione delle derrate alimentari ad uso e consumo del convento. Il lato nord dell'area, fu spianato e reso pianeggiante, mentre il lato meridionale, scosceso, fu interessato da lavori di terrazzamento. L'area, era attraversata dall'acquedotto badiale (acquaro), opera dei monaci florensi di ben 400 anni prima, e grazie ad una serie di diramazioni, fu possibile utilizzare l'acquedotto per scopi idrici e per i servizi igienici, mentre per l'acqua potabile si fece riferimento al pozzo creato al centro del chiostro. L'orto era attraversato da un sentiero che collegava il convento ad una strada pubblica, probabilmente la sielica, la prima strada pubblica realizzata in paese. Alla coltivazione dell'orto provvedevano solo i frati più esperti, mentre i chierici avevano solo il compito di aiutanti.  

Con la riapertura, il convento subì una progressiva ma vigorosa crescita numerica dei frati. Tale crescita costrinse ad effettuare numerose e continui interventi edilizi su tutta la struttura, per migliorare sia lo stato del vecchio edificio, sia con lo scopo di ampliare il complesso monastico, poiché le strutture esistenti si presentavano completamente inadeguate alle esigenze della oramai numerosa comunità francescana.

Nel 1960 si cominciò a discutere dell'ammodernamento della struttura convittuale e dell'ampliamento del convento. La commissione edilizia-economica provinciale decise di effettuare interventi consistenti sul convento di San Giovanni in Fiore, in quanto la struttura si presentava "quasi decadente" con necessità di restauri immediati. Nel frattempo si optò per un progetto complessivo che prevedeva anche l'ampliamento della struttura attraverso il prolungamento dell'ala meridionale dalle parti del sagrato

La nuova struttura venne ultimata tra il 1973 e il 1974, una struttura moderna che modificò l'assetto complessivo del convento. La nuova ala infatti, poteva ospitare le nuove celle per i frati con nuovi e moderni servizi igienici. Ciò permise di poter metter mano alla vecchia struttura, con risultati che però, compromisero l'originale struttura. Vennero infatti eseguite alcune opere di demolizione di un muro che non si ritenne portante, ma nel prosieguo dei lavori, la demolizione portò al crollo di una consistente parte della muratura interna, con il rischio anche per alcuni oparai che finirono sotto le macerie, fortunatamente senza subire conseguenze.

Il crollo modificò sostanzialmente il progetto iniziale, facendo optare per un completo rifacimento dell'interno della struttura, utilizzando incautamente materiali estranei all'originale muratura, e sopraelevando ed alterando in maniera consistente il chiostro. Nel 1989 avviene l'ultima consistente ristrutturazione del complesso conventuale, attraverso l'utilizzo dei fondi previsti dal Piano del Sottoprogramma dei Beni Culturali - triennio 1989-1991. Gli interventi furono concentrati nella rimozione di alcune coperture di tutta la struttura, del cambio di porte ed infissi, ma l'intervento più importante venne effettuato sulla chiesa, che venne stonacata, riportando alla luce le vecchie murature in pietra perimetrali.  

La chiesa conserva 14 quadretti dipinti olio su tela, raffiguranti la via crucis, opera firmata dall'artista Francesco Giordano da Policastro e risalente al 1745. Nella sagrestia vi si trova un armadio del 1762 finemente lavorato ed ancora in utilizzo da parte dei frati, opera di intagliatori esporti del luogo. Sempre in sagrestia si trova un crocifisso in legno risalente ad epoca di dominazione spagnola, fatta restaurare di recente ed esposta in occasione della Pasqua. Il convento nel 1742 ospitò per alcuni giorni un "capitolo provinciale" al quale partecipò anche il Beato Angelo d'Acri, che nell'occasione portò in processione un crocifisso che piantò in una roccia di granito nelle vicinanze. La croce oggi si trova eretta su una collona, nel sagrato dal convento. Una statua dell'Immacolata è custodita all'interno della chiesa, statua realizzata alla fine del '600.

Altri edifici religiosi

Chiesa del Madonna del Carmelo - La Chiesa della Madonna del Carmelo (o del Carmine), di semplice stile barocco, è posta nel versante sud del centro abitato, nel rione Costa. Fu costruita dopo il 1790, per volere degli abitanti del quartiere, che molto numerosi in quel periodo, pretesero la realizzazione di un edificio di culto nella loro rione. Con molta probabilità i lavori hanno avuto inizio nella seconda metà dell'Ottocento.  

Chiesa dell'Ecce Homo - La Chiesa dell'Ecce Homo (o santuario dell'Ecce Homo) si trova nel quartiere periferico di "Palla Palla". Realizzata nel 1700 quando il quartiere era una frazione del comune di San Giovanni in Fiore, distante da questo alcuni chilometri. Nel mese di giugno la chiesa e la zona circostante è animata dalla festa dell'Ecce Homo, che richiama, oltre ai cittadini sangiovannesi, anche popolazioni dei comuni limitrofi.

Chiesa di San Francesco di Paola - La Chiesa di San Francesco di Paola (o Chiesa del Crocefisso) sorge in posizione extraurbana nella parte più meridionale del centro storico, lungo la strada che porta in località Iunture. Costruita nel 1774, si conserva integra nelle forme originarie. L'interno della chiesa è stato trasformato da un restaurato effettuato nel 1974 che ha, comunque, mantenuto, senza alterarla eccessivamente, la tipologia della chiesa ad unica navata. Conserva un prezioso altare ligneo.

Chiesa di Santa Maria delle Grazie - La Chiesa di Santa Maria delle Grazie (o Chiesa Matrice) è stata edificata intorno al 1530 dall'Abate Commendatario Salvatore Rota. Inizialmente era ad una sola navata. Completamente demolita, venne riedificata a tre navate nel 1770 per opera dell'Abate Commendatario Giacomo Filomarino. Presenta un prospetto con tre portali in pietra arenaria decorati a motivi ornamentali seicenteschi. Il portale maggiore è riccamente decorato con motivi di ispirazione classica.

Chiesa di Santa Maria della Sanità - La Chiesa di Santa Maria della Sanità (meglio conosciuta come Chiesa della Cona) fu edificata nel 1600, in uno dei quartieri più antichi della città, oggi parte integrante del centro storico. È di dimensioni ridotte suddivisa in tre navate. 

Nel 1700 fu modificata architettonicamente con vistosi elementi barocchi, e conserva ancora oggi un pregevole portale sobriamente decorato. Conserva preziosi affreschi di artisti calabresi e napoletani dell'epoca.  

Chiesa di Santa Lucia - La Chiesa di Santa Lucia è stata edificata tra la seconda metà degli anni settanta e i primi anni ottanta, dando vita ad una nuova parrocchia assorbendo quella di San Francesco e dell'omonima chiesa. 

Il quartiere sorto intorno alla chiesa ha poi assunto lo stesso nome dell'edificio di culto. La chiesa attuale è opera di un lungo restauro e rifacimento della chiesa negli anni novanta.  

Chiesa di San Domenico - La Chiesa di San Domenico è stata edificata negli anni ottanta nel quartiere dell'Olivaro, un quartiere periferico distante un paio di chilometri dal centro urbano. L'edificio, oltre alla funzione religiosa, ha assunto negli anni anche ruolo di centro di aggregazione sociale, ospitando al proprio interno un oratorio ed una casa di riposo.  

Chiesa dello Spirito Santo - Ultima chiesa, per ordine cronologico, consacrata nel centro urbano. È posta nel quartiere della "Pirainella", il quartiere più a nord della città. Utilizza parte del vecchio capanno della "Scuola Tappeti", in disuso dagli anni ottanta. La chiesa è stata consacrata nel 2008.  

Cappella di San Giovanni Battista - La Cappella di San Giovanni Battista è una piccola cappella posta in cima al quartiere del "Bacile", la parte più alte di Monte Difesa, sopra il vecchio serbatoio del Bacile realizzato nei primi anni del secolo scorso.

Altri elementi religiosi

Le croci di inizio Novecento - Nel 1912, in occasione di una “Missione di evangelizzazione”, furono realizzate due croci, poste successivamente, in due zone del paese, all'estremità del centro urbano. La prima croce, fu innalzata accanto alla Chiesa del Carmelo, chiamata “Croce della Costa”, mentre la seconda croce venne posta sul colle Difesa, chiamata appunto “Croce della Difesa”. Le croci sono costituite da assi in ferro, e poggiano su una base in granito silano. 

Al centro delle croci è stato riprodotto un cuore crociato, simbolo della “Congregazione dei Passionisti”. Ai lati della croce, in posizione obliqua vi sono una lancia, simbolo del ferimento al costato di Gesù in croce, ed una canna come quella utilizzata per abbeverare il Signore, durante l'agonia della crocifissione. La base in granito silano, di forma quadrangolare, ospita alcune incisioni fatte su tavole in marmo, ognuno delle quali riportano la data dell'avvenimento, il maestro che ha eseguito l'opera, e alcune esortazioni cristiane come ”Soffri e Taci” e ”Ama e spera”. Oltre alle due croci, ve ne è un'altra, distante un centinaio di metri dalla “Croce della Difesa” fatta realizzare alcuni decenni dopo, sempre in ferro battuto, con elementi in legno, meno pregiata delle altre. 

L'innalzamento delle due Croci, è legato ad un fatto increscioso della storia della comunità silana, che venne riportato su un verbale della “Curia provinciale dei Padri Passionisti del Santo Costato di Gesù”. Quando i missionari giunsero in paese, la sera, dopo le laute celebrazioni eucaristiche, con seguente processione per le vie cittadine, sia le croci che i padri vennero presi beffa da un gruppo di anarchici probabilmente ubriachi. Il giorno susseguente, saputo dell'accaduto, per poco non si rischiò il linciaggio dei facenti parte al gruppo degli anarchici da parte di migliaia di fedeli, rischiando anche tentativi di impiccare incendi alle abitazioni degli anarchici. Il tutto venne portato alla calma il giorno successivo, quando i padri missionari, fecero due comunioni generali, una per gli uomini e l'altra per le donne, terminate con la benedizione delle croci e il perdono degli “attentatori”. Per questo le croci, ancora oggi, sono simbolo del perdono religioso.

L'edicola dell'Ecce Homo - Posta nel vecchio quartiere del "Petraro", quest'edicola racchiude un'immagine dell'Ecce Homo. Al suo fianco vi è una fontana, ed il luogo era un punto di sosta per i viaggiatori che si apprestavano a scendere in paese e per i contadini che lavoravano le terre delle zone tra "Meterire" e i "Pardici".

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