Curinga (Borgo)
(Catanzaro)
  
 
  
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Il paese, che sorge su una collina a circa 380 metri s.l.m. (Municipio posto a 423 metri s.l.m.), si affaccia sulla piana di Lamezia e il Mar Tirreno, al centro del golfo di Sant'Eufemia, sulla Costa dei Feaci. Il territorio comunale degrada dolcemente da est verso ovest, dalle falde delle Preserre catanzaresi occidentali (Monte Contessa, metri 881 s.l.m.) al litorale pianeggiante.  

Offre paesaggi e caratteristiche ambientali variegate: boschi di faggi, lecci, querce e abeti sono presenti in alta collina. In località Vrisi si può ammirare il Gigante Buono, un platano orientale millenario monumentale (Platano orientale di Vrisi), tra i più grandi d'Europa, mentre il pioppo nero più grande d'Italia si trova poco più a valle, proprio all'ingresso del borgo. Per questo motivo Curinga è conosciuta anche come "il paese dei due giganti".

Il litorale è caratterizzato da cinque km di spiaggia libera con un ampio arenile in sabbia silicea e dune marine che ospitano colonie di piante psammofile e una folta macchia mediterranea con mirti e ginepri. L'intera area è stata riconosciuta come sito di interesse comunitario. Seguendo la linea costiera, una folta pineta ricopre tutto il litorale comunale fino a Torre Mezza Praja (Ruaddu) dove lascia spazio a eucalipti ed a una zona umida anch'essa riconosciuta sito di interesse comunitario. Alle spalle della pineta costiera si estende una fertile pianura ricca di agrumeti e uliveti che interessa metà della superficie comunale. Ai piedi delle colline si trova un'antica ed enorme duna fossile importante testimonianza del neolitico. Il panorama collinare è caratterizzato quasi interamente da ulivi secolari e vigneti.

L'intero territorio è percorso da est a ovest dal torrente Turrina (Mucato / Nocato) che sfocia nel golfo di Sant'Eufemia dopo aver attraversato la valle sottostante il borgo e la piana. Altri corsi d'acqua presenti sono il torrente Le Grazie, il Randace, Samboni, Tre Carlini. Curinga è ricchissima di acqua, numerose sono le falde acquifere sotterranee e le sorgenti. Il clima è quello tipico delle regioni mediterranee con temperature miti anche in inverno.

Curinga ha una storia plurimillenaria. L'intero territorio comunale è infatti ricchissimo di testimonianze storico-archeologiche.  

Grazie alle ricognizioni condotte tra il 1974 ed il 1977 da Albert J. Ammerman vengono individuati sulla grande duna fossile (Rina) in località Prato S. Irene i resti di alcuni abitati del periodo neolitico (databile tra la fine del settimo e gli inizi del terzo millennio a. C.). Si tratta di circa 40 capanne a pianta rettangolare, dotate di focolari. Le abitazioni hanno pareti in incannucciata ricoperta d'argilla, con struttura lignea formata da paletti. Basamento di pietra, struttura portante in legno, pareti in graticcio intonacato. Il tetto, sorretto da un palo centrale o da pali perimetrali, era di paglia o di canne, rivestito di argilla. Nei pressi sono stati trovati materiali in ossidiana e ceramica

Nel 1992 l’area è stata oggetto di scavo da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria e sulla duna venivano individuati i buchi dei pali di un insediamento di capanne preistoriche oltre che un focolare circolare, resti di intonaco di strutture abitative, di strumenti litici, per la quasi totalità in ossidiana proveniente da Lipari, ceramiche con decorazioni impresse, accette levigate e fusaiole. Riconducibile alla cultura di stentinello, individuata da Paolo Orsi nel 1890 e cronologicamente riferibile ad una fase evoluta del Neolitico antico, questa comunità era dedita allo sfruttamento delle risorse agricole e allo smistamento dell’ossidiana delle Isole Eolie verso le regioni adriatiche. Più di recente, un laboratorio di archeologia sperimentale, supportata da analisi archeometriche eseguite presso i laboratori dell’Università della Calabria, è stato sviluppato da Rocco Purri. Attraverso un approfondito studio dei materiali originali che caratterizzano la ceramica stentinelliana di Curinga sono state ripercorse tutte le fasi del processo di produzione: dall’approvvigionamento della materia prima, alla realizzazione delle forme, alla loro decorazione fino alla loro cottura. I reperti originali recuperati nella zona sono conservati presso il Museo Archeologico Lametino e il Museo Pigorini di Roma.  

L'intero territorio curinghese fa parte del regno mitologico che Omero nell'Odissea descrisse come "Terra dei Feaci".

Proprio sull'estesa e sabbiosa spiaggia curinghese Ulisse approda e incontra Nausicaa. Questa lo condurrà a Scheria, da suo padre, il re Alcinoo che lo aiuterà in seguito a ritornare a Itaca.

Furono probabilmente questi racconti a spingere i primi coloni greci a stabilirsi nell'area. È ragionevole ritenere che nel periodo magno-greco il litorale curinghese fornì un comodo e utile approdo marittimo tra gli imbocchi e quindi le vie di comunicazione verso l'interno, dell'Amato e dell'Angitola a metà strada tra le città greche di Hipponion (Vibo Valentia) e Temesa (Nocera T.). ll tempio di Castore e Polluce (di cui si conservano, all'interno del giardino di villa Cefaly, due delle quattro colonne rinvenute), eretto dai navigatori achei che occuparono quest'area, e successivamente inglobato dai Romani nella costruzione delle Terme, fornisce un indizio sull'ubicazione della città greca perduta di Terina. Questa tesi tuttavia necessiterebbe di studi e campagne di scavo approfondite e al momento non ci sono certezze sull'entità dell'insediamento ellenico in zona, nonostante la chiara nomenclatura che individua nell'area luoghi come Lacconia (Laconia), Calavrici (Kalavryta), Malia (Amalias), ed ancora Argò, Argadi, Aglioca, Chinea, Moddoni, Palandara ecc.

In contrada Prato Sant'Irene e nelle adiacenze del torrente Tre Calrini è stata scoperta una necropoli con suppellettili tardo elleniche, vestigia di età classica si riscontrano anche nell'alveo del torrente Turrino. 

Nel 1916, durante operazioni di bonifica del torrente, venne ritrovato accidentalmente un tesoretto di circa 300 stateri greci arcaici (VI secolo a.C) in argento e in buono stato di conservazione, subito diviso tra gli operai e la gente del luogo. L'intervento di Paolo Orsi e della prefettura ne scongiurò la totale dispersione: 164 monete furono recuperate a Ravenna, 14 a Catanzaro, 11 a Pizzo, 4 a Curinga, mentre il contenitore ceramico e il resto del tesoretto non furono più ritrovati. Provenienti dalle zecche delle città di Taranto, Crotone, Metaponto, Sibari, Caulonia, sono attualmente conservate nel Museo Nazionale della Magna Grecia a Reggio Calabria.

I romani, conquistata la Calabria, si insediarono a Curinga, nella zona di Lacconia su quelle antiche terre che erano state dei coloni greci. Lungo la via Popilia, che attraversa per intero il territorio comunale da nord a sud, vi fondarono la Statio di Aque Ange (Anniae) descritta nella Tavola Peutingeriana.

In località Trivio (proprietà Greco) sono leggibili avanzi attribuibili alla Statio Ad Turres menzionata anch'essa negli itinerari romani. La stazione di posta romana si trovava probabilmente presso il Fondaco del Fico (attualmente in stato di rudere), e sopravvisse nelle sue funzioni fino alla meta dell'800. Di notevole importanza doveva essere l'area, dato che vi sorse una grande villa rustica con annesso un cospicuo complesso termale, unico in tutto il Sud Italia a poter essere osservato ancora oggi fin quasi all'altezza della copertura. La costruzione del complesso termale avviene tra il I ed il II secolo d.C.; esso è composto da un atrio-ginnasio, dal frigidarium, da un piccolo tepidarium-spogliatoio, da due grandi calidaria, da un laconicum e da alcuni ambienti di servizio con un sistema di copertura a volta a crociera centrale collegata a due brevi volte a botte impostate su pilastri quadrangolari, mentre un complesso sistema di canali ne permetteva la circolazione dell’acqua. Il rinvenimento di una moneta bronzea dioclezianea ne colloca il pieno funzionamento intorno III - IV secolo d.C., in età imperiale. ll momento della disattivazione del complesso termale avviene tra la metà del IV e gli inizi del V secolo, quando venne trasformato in chiesa gotica. Le Terme Romane sono presenti nell'elenco dei monumenti nazionali italiani e attualmente sono interessate da una nuova campagna di scavi archeologici.

Con la caduta dell'Impero Romano, occupata dai Longobardi, distrutta dalle guerre gotiche e devastata da eventi naturali, Lacconia conobbe un forte declino, rimanendo spopolata. La migrazione interna verso aree più salubri e sicure determinava sulle colline la nascita di Curinga (il primo nucleo è a Calicinò, attuale rione Ospizio). La piana iniziò a riattivarsi tra la fine del IX e il X secolo, con l'insediamento di coloni greci, veterani armeni e traci ai quali si aggiungevano fuggiaschi dalla Sicilia e da Reggio, flagellata dalle incursioni saracene. In questo periodo sono ambientate le vicende di Bernardino De Rubeis che, a quanto scrive Bartolomeo Romeo, riuscì a riunire un buon gruppo di uomini armati e a respingere da Lacconia una scorreria saracena. Nella piana dell’ultimo periodo bizantino sono il monastero di San Nicola di Calabrice e Santa Maria di Canna, il cenobio di Sant'Andrea a Curinga, mentre a monte veniva edificato da monaci basiliani il cenobio di Sant'Elia, beneficato e protetto dal basileus di Costantinopoli.

Nel 1057 Roberto il Guiscardo con i suoi uomini muove da nord verso Reggio. Arrivato presso il fiume Mucato (Turrina) nei pressi di Lacconia, si accampa per due giorni per consentire ai soldati di riposare. Ne approfitta per esplorare il territorio, contattare la popolazione e tentare accordi con i notabili di Neokastron e Maghida. I due borghi vengono assoggettati così come il resto della Calabria bizantina. Roberto diviene Duca dei territori conquistati, ma è costretto a cedere metà della Calabria al fratello Ruggero. La linea di confine sul Tirreno viene fissata seguendo il corso del torrente Mucato. A Ruggero spetta il sud mentre Roberto andrà a nord. Il territorio di Curinga e Lacconia in particolare sono in questo periodo confine amministrativo tra i due territori normanni. Nel 1062 il Duca Roberto fa pressione su Antrasillo, signore di Maida, affinché questi ceda il cenobio di Sant'Elia con le dipendenze e i villani all'abate di S.Eufemia. Nel 1098 il Conte Ruggero, in marcia verso Salerno, presso Lacconia firma un Diploma che concede beni e diritti ai basiliani della zona. Sotto il dominio normanno si intensificò l'attività agraria nella piana: cereali, canna da zucchero, oliveti, vigne ed orti. Iniziano a comparire anche le prime colture di gelsi con conseguente produzione tessile. 

I terreni sono affidati oltre che ai conventi, alla famiglia normanna (o nordica) dei Bono, che vantava proprietà tra Lacconia e L'Amato. L'imperatore Federico II, abilissimo falconiere amante della caccia, dichiarò foresta regia (Ascrea) i boschi che allora si estendevano alle spalle di Lacconia fin oltre L'Amato, mentre in un privilegio rilasciato nel 1225 ai Cistercensi di Corazzo si parla della florida tonnara presente tra Rocca Angitola e Lacconia. 

La regina Costanza cedette il feudo a Giacomo figlio di Ruggero di Sanseverino, che nel 1354 concesse all'ordine dei Celestini il prelievo di ventiquattro barili di tonno all'anno, privilegio confermato da re Ladislao nel 1404 e da Federico d'Aragona nel 1488. La tonnara rimase attiva fino alla fine XVIII secolo.

Con la caduta di re Manfredi, gli Angioni si insediarono nel territorio. Nel 1269 Lacconia venne concessa a Giordano Sanfelice mentre il cenobio di San Nicola in Calavrici divenne base operativa e osservatorio di Gillotto Santoliceto nel suo tentativo di impadronirsi di Rocca Nicefora (Rocca Angitola), tentativo riuscito nel 1278. Ai Santoliceto, uomini di fiducia di Carlo I, verranno riconosciuti i diritti su Lacconia, Curinga e Calavrici, oltre che su Maida ed il resto del feudo. Furono anni bui per la popolazione del luogo, costretta a subire prepotenze e angherie di ogni genere da parte dei nuovi signori. Durante il dominio angioino, i monasteri, che tanto si erano adoperati per il rifiorire della piana, versano in uno stato di abbandono. La popolazione insorge nel 1283 (Guerra del Vespro), aggravando ulteriormente la situazione economica, politica, sociale e religiosa già al collasso a causa del fiscalismo degli Angioini, delle incursioni saracene e dalle truppe assoldate dalle parti in lizza. Il monastero di San Nicola viene devastato e, abbandonato dai monaci, non verrà più riedificato. Nel 1331, morta l'ultima dei Santoliceto, la civitas di Lacconia con sede protopapale e il casale di Curinga passano prima a Goffredo Marzano e nel 1409 alla potente famiglia Caracciolo.

Nel 1459 le truppe di Ferdinando I scacciano gli Angioini dal feudo, requisendo tutte le proprietà dei Caracciolo. Passate al figlio Federico, questi concede numerosi benefici e franchigie e gli abitanti del luogo, diversamente dal resto della Calabria, godono di diritti e grazie. Vengono promossi lavori di bonifica e incrementate le colture di gelso con la costruzione di grandi trappeti per la lavorazione dello zucchero. Curinga è sede di abili artigiani del vetro: "in un luogo vicino, Coriga, si solevano in questi anni passati fare bellissimi vasi di vetro". Nel 1496, per far fronte all'imminente guerra, Federico dovette cedere il feudo a Marcantonio Caracciolo. Curinga e Lacconia ritornano sotto il dominio baronale.

Curinga e Lacconia vengono unificati nella Contea di Nicastro vedendo un graduale impoverimento economico. Le frequenti inondazioni a cui è soggetta Lacconia, ne acuiscono la crisi, rendendo la piana inospitale a causa della malaria che imperversa. A questa si aggiunge una nuova ondata di scorrerie saracene. Nel 1572 Lacconia subisce un'incursione turca durante la quale alcuni abitanti vengono rapiti e ridotti in schiavitù. Per contrastare il fenomeno vengono erette e rafforzate le torri di avvistamento su tutta la costa e tra queste, la Torre di Mezzapraja già presente in epoca angioina e la torre e il castrum di Lacconia di epoca normanna-sveva. Anche Curinga ha il suo castello, adattato, in seguito, in palazzo-residenza dai Loffredo. Nel 1605, Marcantonio Loffredo subentra ai Caracciolo e il feudo diviene Principato. La condizione sociale tuttavia non cambia e gli ultimi abitanti di Lacconia, ridotta ormai una palude, e completamente rasa al suolo dal terremoto del 1638, migrano verso le colline. Il terremoto del 1659 e quello del 1783, in seguito, danneggeranno fortemente anche Curinga, divenuta nel frattempo università superando Maida per numero di abitanti (2500 c.a.). L'ultimo atto di cessione delle terre di Lacconia e Curinga è del 1670: il nuovo signore è Fabrizio Ruffo di Bagnara, prozio del più famoso Cardinale Ruffo che nel 1799, in marcia verso Napoli per la riconquista del Regno, trova ospitalità a Lacconia e Curinga. I suoi 4000 uomini, per la maggior parte galeotti, si lasciarono andare a violenze gratuite e abusi. Ai Ruffo è dovuta la costruzione del Palatium di Mezzapraja e sempre alla famiglia Ruffo saranno legate le sorti di Curinga e Lacconia fino alla fine del feudalesimo.  

Caduta la Repubblica Napoletana, il principe ereditiero borbonico transita nel 1806 per il Fondaco del Fico per raggiungere la Sicilia. Viene inseguito dal generale Reynier che fissa in Maida il quartier generale dei francesi proprio mentre un'armata inglese approda nel tratto di costa tra l'Angitola e l'Amato dando così inizio alla Battaglia di Maida, che vedrà gli inglesi vincitori, sostenere l'insurrezione calabrese. Il brigante Papasodero, da una Curinga occupata, con centinaia di uomini armati e insieme al borbonico Cancellieri tentò più volte di espugnare Maida, dove si erano rifugiati i benestanti della zona. I tentativi furono tutti respinti e l'ordine ristabilito. La riorganizzazione napoleonica portò alla soppressione del sistema feudale. Nel 1783 la baronia di Lacconia, oramai divenuta Acconia o Acquania, scomparve del tutto e il suo territorio venne assegnato definitivamente alla municipalità di Curinga.

Tuttavia le condizioni della popolazione rimangono tragiche, povertà e miseria sono ovunque e molte volte sfociano in atti di violenza. Nel 1848 le truppe borboniche si scontrano con i Nazionali e gli insorti calabresi presso Curinga nella Battaglia delle Grazie. I molti curinghesi guidati da Francescantonio Bevilacqua insieme ad altri accorsi dai paesi vicini inflissero pesanti perdite e costrinsero i Regi guidati da Nunziante a una disastrosa ritirata.

Il 27 e il 28 agosto 1860 Garibaldi è a Curinga acclamato da una folla piena di speranza. Incontra e dà ordini al generale Stocco presso il Palazzo dei Bevilacqua. Cinquantacinque curinghesi e molti altri accorsi dai paesi limitrofi lo seguiranno dando vita alla Seconda Battaglia delle Grazie.

Svanita l'illusione unitaria, intuito il tradimento del nuovo re Sabaudo e con il perdurare della situazione di miseria, Il 6 maggio 1870, Curinga insorge: un raggruppamento di duecento uomini mossi dagli ideali anarchici di Bakunin proclama il governo provvisorio repubblicano di Curinga. Avanzano verso Maida seguendo le piste di montagna cambiando però direzione per unirsi agli altri 100 insorti provenienti da Cortale e diretti a Filadelfia, dove si concentra il raggruppamento sotto la guida di Ricciotti Garibaldi. La notizia dell'insurrezione si diffuse e altri accorsero dalle campagne e dai paesi limitrofi armati alla men peggio. 

Il 7 maggio 1870 viene proclamata la Repubblica Universale di Filadelfia. Segnalata la comparsa dei moti insurrezionali la Prefettura di Catanzaro invia 122 uomini di gran lunga meglio organizzati e armati degli insorti. Questi ultimi, asserragliati nella parte più alta del paese, sperano nella sollevazione popolare, che tuttavia non avviene con vigore. Gli abitanti, già in condizione di miseria e impauriti per un ulteriore aggravamento della loro già misera condizione sociale, non supportano la rivolta che termina il 9 maggio con la cattura degli ultimi insorti. Ci saranno due morti tra la popolazione e uno tra i soldati.

Alto fu il tributo di sangue versato dai curinghesi durante le due guerre mondiali.

Il Novecento vedrà moltissimi curinghesi cercare fortuna prima oltreoceano e in seguito nel nord Italia.

Gli anni Cinquanta videro nel paese un'ulteriore diffusione delle idee socialiste. Non mancarono episodi di occupazione delle terre da parte di contadini.

Scoprire il borgo

L'insediamento principale è il borgo di Curinga che sorge in posizione collinare ed è capoluogo dell'omonimo comune. Ospita la metà dei residenti. Il pittoresco centro storico del paese è un intreccio di stradine, scalini, vicoli caratteristici (carrìari) che attraversano un tessuto urbano estremamente irregolare fatto di piccole case costruite in pietra e attaccate tra loro che portano a piazzette dominate quasi sempre da palazzotti gentilizi: Largo e palazzo Bevilacqua, Piano di Pruscino e palazzo Loffredo (Perugini), Largo Impietrata (Menzalora) e palazzo Serrao. Altri ancora sono Palazzo Senese, Palazzo Panzarella, Palazzo Ciliberti (Cuda). È diviso in rioni (rughi), tra i quali i principali sono Ospizio (Spìzzu), Calvario (Carvàru), San Giuseppe, Serra di Ciancio, Notar Cola (Notraccola), Pietrapiana (Petraxhiana). 

Il corso principale del centro storico è Corso Garibaldi e attraversa le tre piazze di Curinga: Piazza Diaz, Piazza San Francesco, Piazza Immacolata. Tre sono anche le chiese principali: Il Duomo o Chiesa di Sant'Andrea Apostolo, il Santuario Maria SS.ma del Carmelo, la Chiesa Maria SS.ma dell'immacolata. Le ultime due vedono una intensa partecipazione da parte delle relative confraternite. 

Nel centro storico sono presenti inoltre la Chiesa di San Giuseppe, la Chiesa dell'Addolorata, la Chiesa di Maria SS.ma del Soccorso, mentre fuori dall'abitato la Chiesa della Madonna delle Grazie. Il centro storico nel corso degli anni ha subito un graduale spopolamento dovuto a fenomeni di migrazione verso paesi quali Stati Uniti, Canada, Argentina, Venezuela, Australia, Francia, Svizzera, Germania.

Al centro della piana si trova Acconia, frazione di Curinga che detiene quasi lo stesso numero di abitanti del paese capoluogo. Importante e rinomato centro agricolo sviluppatosi sui resti dell'antica Laconia, risorge proprio come villaggio agricolo in seguito alla bonifica della piana, conoscendo un forte incremento urbano a partire dagli anni 80. Ha una piazza intitolata a San Giovanni Battista sulla quale si affaccia l'omonima chiesa. Costruita di recente, non distante dalla piazza è la chiesa di Santa Maria della Speranza che ospita la vita parrocchiale della comunità. È sede di una stazione ferroviaria (Stazione di Curinga). 

Poco distanti da Acconia si trovano le contrade di Ferriolo, Cerzeto, Torrevecchia, Prato Sant'Irene. Le contrade di Trunchi, Ergadi, Calavrici si trovano sul confine sud del comune di Curinga.

Le contrade di Agrosini, San Salvatore (Cacci), Zecca, Centone, Jencarella, Bellifico si trovano in posizione collinare a monte di Curinga. Sono caratterizzate da piccoli e suggestivi nuclei abitativi che si affacciano sulla valle sottostante. Vantano una pregevole tradizione agricola ed eccellenti tipicità culinarie.

Architetture religiose

Chiesa di Sant'Andrea Apostolo (Chiesa Matrice/Duomo)

Santuario di Maria Santissima del Carmelo

Chiesa dell'Immacolata

Chiesa di San Giuseppe

Chiesa di Maria Santissima del Soccorso;

Chiesa dell'Addolorata;

Chiesa della Madonna delle Grazie

Chiesa di San Giovanni Battista (Acconia di Curinga)

Chiesa dell'Annunciazione (Acconia di Curinga)

Chiesa di Santa Maria della Speranza (Acconia di Curinga)

Chiesa "borbonica" di San Giovanni (Acconia di Curinga)  

Siti archeologici

Monastero di Sant'Elia Vecchio, eremo basiliano. Nelle vicinanze esiste un platano orientale che, secondo gli esperti che lo hanno studiato, avrebbe più di mille anni

Le Terme Romane di Curinga, che si trovano in c.da Cerzeto, nei pressi di Acconia di Curinga

Duna fossile di Piana di Curinga (Località Prato S. Irene - Rina), importante testimonianza del neolitico.

Palazzi

Nel centro storico di Curinga vi sono diversi palazzi storici:

Palazzo Bevilacqua, ora di proprietà del comune

Palazzo Perugini (principi Loffredo)

Palazzo Serrao

Palazzo Ciliberti, vecchia sede del municipio, situato in piazza San Francesco

Palazzo Senese appartenente ai duchi di San Demetrio

Palazzo Senese. Di costruzione quattrocentesca, è uno degli edifici di maggior valore storico del paese.

Villa Maggiore Perugino

Villa Cefaly - Pandolphi (Acconia)

Palazzo Ducale (Acconia)

Di notevole bellezza sono pure le numerose case coloniche, ville/casini di campagna sparse su tutto il territorio comunale. Alcune, recentemente ristrutturate, sono oggi sede di pregevoli agriturismi e ristoranti. Presenti in Curinga vi sono anche vari appezzamenti di terreno una volta suffeudi del feudo di Curinga tra cui località Ciceri appartenente alla famiglia Senese,località Trunchi appartenente alla famiglia Bardari ed altri.

Architetture militari

Torre Angioina di avvistamento

Palazzo - Fortezza principi Ruffo

Torre Normanno - Sveva

Fortino Seconda Guerra Mondiale

Tradizioni e folclore

Il costume tipico veniva indossato dalle donne curinghesi per la prima volta intorno ai 15 anni e segnava il passaggio dall'adolescenza alla giovinezza. "Pacchiana" è Il termine con il quale si definisce la donna che lo indossava, principalmente nei giorni di festa. Si distingueva a seconda che la donna fosse sposata, vedova o nubile.

L'abito è formato principalmente da una sottoveste bianca molto lunga detta "Cammisa" mentre un corpetto a doppio petto di velluto o raso nero o rosso senza maniche detto "Bustu" era ricamato a mano in seta, oro o argento e rigido a tal punto da tenere ben sollevato il seno femminile. 

Dalla scollatura del corpetto fuoriusciva la "Cammisola" una camicetta bianca a maniche corte e larghe ricamata con fini lavori di alto artigianato locale. 

La gonna, di lana, flanella o cotone, era rossa per le donne sposate, nera per le vedove e veniva detta "Pannu" mentre la sopravveste, rimboccata e annodata dietro la schiena, a formare una lunga coda veniva chiamata "Gunnedda"

Completava il costume la "Fodalicchia", un pezzo di stoffa, di solito seta nera, che copriva il davanti e veniva annodata dietro la schiena da due lunghi lacci. 

Altri elementi erano il "Pettine" avente lo scopo di coprire il seno e il "Vancalieddu" lungo copricapo di colore nero o bianco, che si snodava lungo le spalle dopo aver formato sulla testa stessa una specie di corona che serviva per agevolare il trasporto dei contenitori per l'acqua o i cesti con i "panni" da lavare.

L'usanza dell'utilizzo del costume tipico venne mantenuta nel dopoguerra solo dalle donne anziane scomparendo del tutto negli anni '70.  

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