Capo Colonna
(Crotone)
  
 
  


Capo Colonna - noto in età coloniale (antica, classica ed ellenistica) come Capo Lacinio e poi promontorium Lacinium in età romana - è un promontorio sito otto chilometri a sud di Crotone, che costituisce la punta più orientale della penisola calabrese e costituisce il limite meridionale del golfo di Taranto. La sua importanza risiede nella quantità di elementi archeologici di diverse epoche che sono legati a questa punta di terra protesa sullo Ionio.

Il toponimo moderno è deriva dalla presenza dell'unica colonna rimasta eretta del tempio di Hera Lacinia: fino al XVI secolo era chiamato "Capo delle Colonne" perché 2 erano le colonne rimaste in piedi del santuario di Hera.

Proprio la caratteristica di luogo facilmente identificabile dal mare rese il capo Lacinio punto di riferimento per la navigazione e per la definizione di confini. Questo metodo di indicare i limiti della navigazione e le aree di influenza era generalizzato e derivava dal tipo di navigazione "sottocosta" dell'epoca; anche i trattati fra Roma e Cartagine prendevano un promontorio (capo Bello) come limite insuperabile dalle navi Romane.

Con la fondazione di Crotone da parte di coloni greci nell'VIII secolo a.C. l'area dell'antico Capo Lacinio, già considerata sacra dalle popolazioni autoctone, viene ulteriormente nobilitata dalla costruzione del famoso tempio dedicato a Hera Lacinia, divinità greca, protettrice delle donne e della fertilità e che viene nella mitologia classica abbinata alla romana Giunone. Queste due principali qualità: la facile riconoscibilità dal mare e la presenza del tempio fecero convergere sul capo Lacinio le pagine della storia.

Un riferimento alla funzione di "pietra di confine" ci viene fatta da Tito Livio quando ci informa che le navi romane, per il trattato stipulato nel 303 a.C. con Taranto non potevano superare il capo Lacinio. La mancata osservanza di questo trattato spinse nel 282 a.C. la città greca ad attaccare i romani e successivamente alle guerre pirriche.

L'area comprende trenta ettari di terreno adibito a scavi e venti di bosco e macchia mediterranea. A Capo Colonna sorgeva una tra le aree sacre più importanti dell'intero bacino Mediterraneo: il santuario dedicato a Hera Lacinia, moglie e sorella di Zeus, protettrice dei pascoli, delle donne, della fertilità femminile, della famiglia e del matrimonio. 

I reperti rinvenuti nell'area di scavo sono custoditi, in parte, nel Museo Archeologico Nazionale di Crotone. In particolare si segnalano i reperti di età arcaica e il prezioso Tesoro di Hera Lacinia. Del celebre santuario sono esposti oggetti votivi, frammenti di decorazioni architettoniche in marmo e terracotta, e frammenti di sculture, tutti risalenti all'età arcaica; il cippo iscritto che ricorda l'appartenenza del santuario ad Hera Eleytheria; il gruppo scultoreo d'età romana di Eros e Psyche rinvenuto in mare a Capo Colonna. 

Nel nuovo museo di Capo Colonna, situato all'ingresso del Parco Archeologico, sono esposti reperti rinvenuti nell'area. 

All’interno del Parco Archeologico si trova la Torre di Capo Nao, tozzo edificio spagnolo del XVI secolo, che ospita al suo interno l'omonimo antiquarium. 

Oltre a rappresentare un luogo storico dal grande valore artistico e archeologico, il promontorio di Capo Colonna ospita la piccola e suggestiva chiesa di rito latino in cui si venera la Madonna di Capo Colonna. Ogni anno la più grande processione religiosa della Calabria porta migliaia di fedeli in pellegrinaggio dal Duomo di Crotone alla piccola chiesa all'interno del Parco archeologico.  

Dopo la conclusione della seconda guerra punica, i conquistatori romani nel 194 a.C. dedussero a Crotone una colonia marittima ed affidata ai triumviri Cn. Octavius, L. Aemilius Paulus, C. Laetorius (Livio Libro XXXIV; 45). Da vari elementi storici che evidenziano l’importanza del Lacinio per le operazioni militari romane via mare in questa fase storica, dalla presenza di stratigrafie di età repubblicana-imperiali emerse sul promontorio, e contemporaneamente per l'assenza di stratigrafie consistenti in età repubblicana (II e I sec. a.C.) nell’area della città moderna, ha lasciato ipotizzare che la deduzione della colonia romana di Croto fosse avvenuta nell’area del Lacinio poco distante del tempio di Hera. A Capocolonna, infatti, a nord della hiera hodos sono venute alla luce cospicue strutture databili tra la metà del II sec. a.C. e la prima metà del I sec. d.C. Una parte notevole dello spazio urbano della colonia sembra essere occupata invece solo da edifici privati.

Ma l’insediamento romano presso il Lacinio sembra esaurirsi dopo pochi decenni, visto che già dalla prima meta del I d.C., in eta augustea, si assiste allo stanziamento, soprattutto di edifici pubblici, ai piedi della collina del Castello di Crotone, nell'acropoli della vecchia città greca, anche se rimangono segni di vitalità del promontorio Lacinio fino al periodo tardo antico.

Qui infatti si pone la statio del cursus pubblicus di Lacenium, riportata nella Tabula Peutingeriana e con qualche errore di trascrizione (Facenio) anche in altre fonti itinerarie.

L’insediamento di età repubblicana sul Capo Lacinio occupa tutta l’estremità settentrionale del promontorio e si compone di insulae quadrangolari che risparmiavano il settore del Santuario di Hera e le sue immediate pertinenze. Oltre alle piccole domus vi erano ricche residenze di proprietari più illustri ed un complesso con destinazione termale, edificato dai duoviri Lucilius Macer e Annaeus Traso l’80 e il 70 a.C., come attestato da un'iscrizione su un mosaico decorato con una fascia esterna a meandro.

La fase di decadenza e il progressivo abbandono dell’abitato del Lacinio inizia probabilmente dopo l’assedio di Sesto Pompeo nel 36 a.C., nella cui occasione viene forse costruito il peribolo in reticolato del promontorio, a scopo difensivo.

Scavi effettuati tra settembre e dicembre 2014 hanno messo in evidenza la presenza, sul lato settentrionale e, parzialmente, su quello occidentale del sagrato, dei resti di un porticato, costruito, presumibilmente, in età augustea, che forse definiva architettonicamente uno spazio pubblico dall’epoca della fondazione della colonia romana, le cui dimensioni lasciano supporre che possa riferirsi ad un edificio pubblico.

In località Torre Mariedda-Quote Cimino, sono stati ritrovati resti di un considerevole complesso provvisto di un’imponente fontana monumentale riconducibile al periodo tra tarda età repubblicana e prima età imperiale (I sec. a.C. e III/IV sec. d.C.).

Dopo l’abbandono dell'abitato, il perdurare della devozione nei confronti di Hera Lacinia è ancora attestato tra il 98 ed il 105 d.C. dall’ara dedicata da Oecius procuratore imperiale (libertus procurator), in favore di Ulpia Marciana, sorella di Traiano.

L’occupazione sul promontorio di Capocolonna non si limita al solo abitato al Capo Lacinio. Le ricognizioni compiute da Joseph Carter della Università del Texas mostrano che il retroterra agricolo era occupato da numerose fattorie rurali, presubibilmente inizialmente si trattava delle terre distribuite ai coloni che arrivarono qui dopo la deduzione del 194 a.C., ma l'occupazione con queste caratteristiche prosegue fino all'età tardo-antica ed anche oltre.

Parco Archeologico Nazionale

L'area archeologica di Capo Colonna è un sito archeologico statale situato situato in località Capo Colonna, vicino a Crotone. È inclusa nella lista dei monumenti nazionali.

Gli elementi archeologici presenti non si limitano al solo più noto Santuario dorico dedicato ad Hera, di maggiore frequentazione durante l'età classica ed ellenistica, ma si tratta di un sito con stratificazioni di diverse epoche, da quella preistorica, con frequentazioni italiche fino alla fondazione della colonia di Kroton. Numerosi resti risalgono all'età romana: dapprima in età repubblicana, un decennnio dopo la fine della seconda guerra punica, qui venne costituito il primo insediamento della colonia romana di Croto, e poi la statio di Lacenium in età imperiale.

Museo Archeologico di Capo Colonna

Inaugurato nel 2002, il museo sorge all'interno del Parco omonimo, su un unico piano.

La struttura è divisa in tre padiglioni espositivi: la Terra, che conserva reperti emersi durante il periodo della dominazione romana; il Sacro, dedicato alle testimonianze dell'area sacra del Santaurio ed il Mare, che espone i ritrovamenti subacquei. 

Tra i reperti più pregiati esposti nel Museo si annoverano un elmo corinzio in bronzo del V secolo, un ceppo d'ancora in pietra su cui è incisa una dedica di Phayllos, tra i più celebri atleti crotoniati, a Zeus Meilichios e una piccola scultura in marmo raffigurante Amore e Psiche, ritrovata nelle acque antistanti la costa crotonese. La struttura è circondata inoltre dal giardino di Hera, costituito, tra gli atri, da alberi di pero, melo, giglio, mirto e melograno.  

  Santuario di Hera Lacinia  

Il santuario di Hera Lacinia di Capo Colonna, dipendente dalla città di Crotone antica, fu uno dei santuari più importanti della Magna Grecia dall'età arcaica fino al IV secolo a.C., finché cioè fu sede della lega Italiota prima che si trasferisse a Taranto.

Il sito del santuario era in una posizione strategica lungo le rotte costiere che univano Taranto allo stretto di Messina, su un promontorio chiamato anticamente Lacinion, che diede anche l'epiteto alla dea venerata, Hera Lacinia. Il nome odierno invece ricorda le rovine del tempio (con l'ultima "colonna" in piedi), mentre il nome usato fino all'epoca moderna, "Capo Nao", altro non è che una contrazione del greco naos, che significa appunto tempio.

Il santuario era stato edificato alla fine del VI secolo a.C. ed era anche chiamato di Hera Eleytheria, come resta testimoniato da un'iscrizione sul cippo del Lacinion, al Museo archeologico nazionale di Crotone.

Tra il XVI ed il XIX secolo fu quasi completamente saccheggiato per riutilizzare i materiali da costruzione per importanti opere pubbliche: quali il Castello di Carlo V e le mura difensive della città, e poi per la costruzione del Porto.  

Il Santuario di Hera Lacinia ruotava intorno al tempio dorico costruito nel V secolo a.C. sopra un precedente tempio arcaico del VII secolo, come attesta l’uso difforme di blocchi di reintegro. Oggi del tempio dorico, che aveva il classico impianto planimetrico a 6×19 colonne, rimane la nota colonna superstite, posta sopra un poderoso basamento composto da dieci livelli di blocchi di arenaria.

Delimitato dall’ampia cortina muraria, di cui oggi restano ben visibili ampi blocchi di opus reticolatum di epoca romana, rinforzata a Nord e a Sud da due torri esterne, il Santuario di Hera Lacinia si articola in due aree orientate ad Est ed attraversate dalla solenne Via Sacra (larga 8,50 m) individuata nel 1987.

Il complesso del Santuario era composto da più edifici, dei quali sono oggi visibili alcuni resti. Il tempio vero e proprio, di ordine dorico, con sei colonne sulla facciata (esastilo) e quattordici sui lati lunghi, era proteso verso il mare e aveva la classica forma dei templi greci: un imponente complesso di 48 colonne in stile dorico alte oltre 8 metri e costituite da otto rocchi scanalati. Il tetto era di lastre di marmo e tegole in marmo pario. Nulla si sa delle decorazioni che, però, erano certo presenti, come si può dedurre dal ritrovamento di una testa femminile in marmo della Grecia e pochi altri frammenti. La colonna, in stile dorico, fino al 1638 era affiancata da un'altra caduta per un terremoto e poggia sui pochi resti del possente stilobate.  

Edificio H - Lungo il lato a sud della Via Sacra, subito dopo la porta d’ingresso e della cinta muraria romana (entrando sulla destra) sorge l’hestiatorion (Edificio H), edificio per banchetti sacri, e che si allinea sull’asse determinato dal grande tempio dorico.

L’hestiatorion del Lacinio ha pianta quasi quadrata (26,30 x 29 m) ed è costituito da un cortile porticato su cui si affacciano 14 vani, anch’essi di pianta quadrata, di uguali dimensioni (4,74 m x 4,75), disposti simmetricamente in due serie di 5 e 2 ambienti.

La datazione di questo "Edificio H" viene posta al IV secolo a.C. quando il tempio già aveva assunto grande celebrità.

Le misure degli oikoi sono funzionali a contenere 7 kline (lettino usato non solo per il riposo ma anche per consumare i pasti) per stanza; alla restituzione ipotetica dell’edificio si ricostruiscono complessivamente 98 klinai.

Il termine “banchetti sacri” è da riferirsi al consumo di pasti rituali collettivi, un aspetto del culto ampiamente praticato in ambiente greco già dall’età geometrica ed arcaica. “La commensalità rituale collettiva rappresentava il necessario corollario dell’azione sacrificale ed era volta a stabilire rapporti, da un lato, tra la comunità umana e il referente divino, dall’altro, fra gli individui costituenti tale comunità, configurandosi, pertanto, come una complessa azione cultuale cui era sottesa un’elaborata operazione politico-sociale”. … “In virtù di tali profonde implicazioni di natura socio-politica, l’analisi delle strutture che ospitavano il banchetto sacro, gli hestiatoria appunto, permette di ricostruire indirettamente i cambiamenti verificatisi nella polis e, parallelamente, la definizione del paradigma di sviluppo architettonico contribuisce, per estensione, a tratteggiare la progressiva strutturazione spaziale e monumentale del santuario greco”. 

Già in età classica il banchetto rituale non è svolto all’aperto, ma è abitualmente ospitato in edifici noti come hestiatoria, che tra la fine del VI ed il V secolo si strutturano in numerosi vani destinati ad ospitatare i klinai ed in altri locali distinti funzionalmente per funzioni accessorie (cucine, magazzini, ecc). Questo modello degli hestiatioron e delle forme di partecipazione al banchetto rituale muta in età ellenistica con lo spostamento dei centri del potere, dalle città-stato ai regni: il nuovo quadro storico, imperniato non più sulle poleis, ma sulle monarchie, non necessitava più del consolidamento e dell’affermazione periodica dell’identità cittadina nei santuari, soprattutto nelle realtà di nuova fondazione.

In ambito magno-greco la tradizione del consumo di pasti rituali collettivi trova esempi significativi, sebbene in periodi cronologici differenti, nel santuario extra-muraneo di Afrodite a Locri (cd. Stoà ad U nell’area di Centocamere, databile nel VI secolo a.C.) e nel santuario di Hera Lacinia a Capo colonna.

Edificio K - Lungo il lato nord della Via Sacra si trova il katagogion (Edificio K), albergo per ospiti privilegiati, dotato di un peristilio con colonne stuccate e capitelli di ordine dorico della seconda metà del IV secolo a.C.

L’edificio K (38×34 m.) presenta l’accesso tramite la via sacra sul lato sud, su cui affacciava con un portico dorico proseguito anche lungo il lato est a forma di elle. L’accesso avveniva, tramite un corridoio, direttamente nel peristilio su cui affacciavano su tutti e quattro i lati ambienti uguali (5,10×5,10 m.).

Il confronto planimetrico più calzante è con il Leonidaion di Olympia utilizzato come struttura d’albergo, per ospitare le delegazioni giunte per i giochi olimpici. In analogia con tale confronto l’edificio K viene interpretato come un Katagogion, utilizzato forse come foresteria dove potevano trovare alloggio importanti visitatori, mentre i loro accompagnatori si dovevano accontentare di costruzioni molto meno raffinate e resistenti.  

Edificio B - A nord del tempio dorico si trova un altro grande edificio rettangolare (22×9 metri) definito edificio B, di cui rimangono tracce di fondazioni in calcarenite. Emerso dagli scavi aperti tra il 1987 ed il 1990 la costruzione è orientata ad Est, in modo più approssimativo rispetto al grande tempio, con un deciso spostamento dell’asse verso settentrione. In prossimità del basamento quadrato è stato rinvenuto un horos, un cippo di confine arcaico in calcarenite, che doveva delimitare una primitiva area sacra di grande importanza.

L’ipotesi più accreditata per questo edificio è che potrebbe trattarsi del primo luogo di culto risalente alla prima metà dell’VIII sec. a.C., abbandonato poi nel V sec. a.C. quando fu costruito il tempio classico.

La presenza, in fondo alla cella rettangolare, di un basamento in blocchi di calcare, posizionato asimmetricamente, che fa pensare ad una base per una statua di culto o una mensa per le offerte; potrebbe perciò trattarsi del più antico luogo di culto dedicato alla divinità.

Vicino al cippo è stato trovato il famoso diadema d’oro, datato intorno alla metà del VI sec. a.C. e che con ogni probabilità doveva incoronare il simulacro dì Hera. Nei pressi del cippo sono stati ritrovati anche altri importanti oggetti – tra cui spiccano gli splendidi bronzetti arcaici (Gorgone, Sfinge e Sirena), prodotti in madrepatria. L’ipotesi più accreditata è perciò che dopo la fondazione del tempio maggiore (l’edificio A) questo tempio arcaico non venne demolito, ma riutilizzato come thesauròs, ossia un edificio destinato a conservarvi le offerte dei cittadini e della comunità urbana.

La Via Sacra - La strada sacra del santuario è stata scoperta tra il I988 ed il I989, sul margine settentrionale dell’edificio B. Ne è stato scavato un tratto lungo m 58 circa e largo m 8,50 circa, con margines realizzati in blocchi di calcarenite disposti per lungo, e ne sono stati messi sinora in luce gli strati di abbandono che possono ascriversi al III secolo a.C. Costituisce l’asse mediano che attraversa longitudinalmente il temenos collegandolo con il bosco sacro, i punti di approdo e l’altra grande area sacra nelle “quote Cimino”.

La forte erosione del margine del promontorio non consente di individuare l’ultimo tratto della strada che doveva comunque continuare in direzione est e terminare in una sorta di piazzale nel quale confluivano le processioni religiose e dove, forse, si trovava l’altare di cui parlano le fonti.

Spicca la grandiosità delle dimensioni, ma questo era da attendersi se si pensa che lungo tale maestosa arteria si snodavano le processioni che andavano a concludersi sulla punta del promontorio.

Si ritiene che la strada sacra sia sorta nel momento dell’ultima fase di vita dell’ edificio B, ovvero nel primo venticinquennio del V secolo a.C., allorché il grande vigore urbanistico che anima la polis, si riflette nel santuario di Hera con la costruzione del monumentale tempio poco più a Sud dell’edificio B. È il momento della tryphé crotoniate, conseguente alla vittoria su Sibari e successivo alla partenza di Pitagora dalla città.

Il bosco sacro - Da Tito Livio apprendiamo dell’esistenza di un lucus, termine che in latino individua un “bosco sacro” ed è considerato da alcuni equivalente al greco àlsos, di uno selva rigogliosa e di alti abeti. L’esistenza sul promontorio Lacinio di un bosco di alti abeti, costituito cioè da un’essenza arborea, forse relitto botanico del manto primigenio di conifere boreali, che doveva. rappresentare un’ evidente difformità nell’ambito del paesaggio vegetale, di certo mediterraneo, potrebbe avere stimolato il suo riconoscimento come luogo sacro già da parte delle comunità indigene.

Torre di Nao

La torre di Capo Nao, più semplicemente conosciuta come torre di Nao o torre Nao, è un monumento risalente al XVI secolo situato a Capo Colonna.  

Carlo V iniziò una vasta ed imponente opera di fortificazione dei litorali calabresi nel XVI secolo, per potenziare le strutture difensive del Regno di Napoli. Inizialmente, il progetto iniziato dal viceré don Pedro di Toledo prevedeva la costruzione di 3 torri, ovvero la torre di Capo Nao, la torre di Scifo e la torre Mariedda. Solo la prima torre venne però costruita, pare per mano di Fabrizio Pignatelli, che iniziò la costruzione nel 1550 e la termino all'incirca nel 1568. La torre venne interamente ricoperta di pietra arenaria, di cui è composto anche tutto il promontorio Lacinio. La torre resistette alle incursioni saracene e anche se in seguito, nel 1806, passò nelle mani dei francesi, che la inserirono nel loro sistema doganale. Dopo l'Unità d'Italia, divenne una sede del comando della Guardia di finanza, mentre oggi è un piccolo archeologico.  

La torre viene costruita come un elemento di difesa, composta da una base quadrata, un aspetto tozzo e semplice, ma allo stesso tempo massiccio ed imponente. L'accesso alla torre è rialzato, e per entrarci bisogna salire tre rampe di scale, che conducono ad un piccolo ponte levatoio a scomparsa, azionabile tramite una carrucola dall'interno. Questi due particolari rendevano la torre quasi impenetrabile ed ancora più difesa, considerando anche i diversi elementi di offesa di cui questa è dotata, come diverse archibugiere, ora trasformate in semplici finestre, e dei piombatoi situati sulla cima della torre. Solo dopo la recente ristrutturazione, venne implementata una porta a piano terra, per permettere anche le più basilari misure di emergenza.  

Dopo una fase di restauro sia interno che esterno, la torre è stata adibita ad antiquarium, ovvero un piccolo museo nel quale poter osservare ritrovamenti archeologici subacquei della zona. Si possono osservare reperti archeologici Greci e Romani, con un'età compresa tra il 600 a.C. ed il 200 d.C., tutti rinvenuti nei fondali presso il promontorio, ma anche in tutta la riserva marina, che si estende fino a capo Rizzuto. Inizialmente, venne adibita alla mostra dei reperti rinvenuti all'interno dell'area archeologica adiacente, ma con il passare del tempo e l'aumentare dei reperti, venne costruito il Museo archeologico nazionale di Crotone, nel quale vennero trasferiti tutti i reperti rinvenuti all'interno dell'area archeologica (anche se alcuni reperti vennero portati al Museo Archeologico di Reggio Calabria) e lasciò spazio all'esposizione nella torre di numerose anforemonete antiche, ceramichevasi e marmi. Salendo inoltre in cima alla torre, si possono osservare a pieno splendore le coste ed i litorali, nonché la città di Crotone.

Torre Scifo

Costruita nei primi anni del Seicento, la Torre di Scifo, originariamente nominata Torre di Capo Pellegrino, è il luogo simbolo di uno dei tratti più suggestivi della costa crotonese, essa rientrava in un disegno di difesa costiera di cui facevano parte anche la Torre di Capo Nao (la prima costruita) e la Torre Mariedda. Carlo V iniziò, infatti, una vasta ed imponente opera di fortificazione dei litorali calabresi nel XVI secolo, per potenziare le strutture difensive del Regno di Napoli. 

La torre verrà costruita sul capo Pellegrino dal mastro Gio. Bernardino de Sena nei primi anni del ‘600 e prenderà dapprima il nome di Torre di Capo Pellegrino e poi di torre di Scifo. Nel 1763 lo stabile passa sotto il controllo della famiglia Zurlo, che danno un nuovo aspetto all’area. I nuovi padroni in pochi anni edificheranno il casino, con i magazzini, la chiesa, le caselle ed il vaccarizzo. Creeranno un grande giardino con alberi da frutto ed un vigneto e costruiranno due cisterne per raccogliere e conservare la preziosa acqua della fonte.  

Dopo l’Unità d’Italia la torre di Scifo fu ceduta dal Demanio dello Stato al marchese Antonio Lucifero, che la trasformò in dimora estiva di soggiorno e molti terreni di proprietà ecclesiastica della località passarono in proprietà del barone Luigi Berlingieri che li acquistò dal Demanio. Nel 1938 fu costruita l’adiacente abitazione del custode. Oggi il fortilizio appare ben conservato e presenta una pianta di forma quadrata ed è munita di robusti contrafforti e cordonatura in pietra, è dotato inoltre di una scala esterna e di un piccolo ponte d’accesso.

Nella Baia di Scifo è stato ritrovato un relitto di epoca romana che trasportava delle lastre di marmo provenienti dall’Asia Minore e utensili di diversa fattura. Il carico si presenta sparso sul fondale, a circa 7/8 metri di profondità, concentrato in due zone contigue, come se al momento del naufragio lo scafo si fosse spezzato in due tronconi. Su alcuni blocchi di marmo sono state identificate alcune iscrizioni di cava riportanti la data del 197 d.C. e da questo si è ipotizzato un probabile inabissamento della nave attorno ai primi anni del III secolo. Attualmente è possibile visionare parte del materiale recuperato presso il museo archeologico di Capocolonna.

SANTUARIO DELLA MADONNA DI CAPOCOLONNA - Il santuario di Santa Maria di Capo Colonna si trova vicino all'area archeologica di Capo Colonna, sul promontorio Lacinio e custodisce un'icona particolarmente venerata.  

L'edificio è ubicato nei pressi del tempio dedicato a Hera Lacinia, del quale oggi rimane un'unica colonna dorica. La struttura attuale fu eretta dai monaci basiliani di Salice Salentino probabilmente fra l'XI e il XIII secolo e certamente prima del Cinquecento, quando la chiesa e l'icona furono descritte nel Libro dei miracoli, un manoscritto che racconta di un tentativo ottomano di distruggere o trafugare il quadro che sarebbe avvenuto nel 1519.

La chiesa fu sottoposta a numerosi rimaneggiamenti nel corso dei secoli. Nel Settecento fu trasformata in romitorio e nel 1897 assunse l'aspetto attuale per l'ampliamento progettato dal marchese Anselmo Berlingeri.

L'icona - L'icona, probabilmente bizantina, risale al X o all'XI secolo. Il dipinto, che si rifà all'iconografia di San Luca, sarebbe stato donato al santuario, secondo la tradizione, da San Dionigi l'Areopagita[1]. Il quadro subì a sua volta diversi rimaneggiamenti. Un tempo conservata all'interno della chiesa, l'icona è stata successivamente trasferita nel Duomo di Crotone da dove, in occasione della festa della Madonna di Capo Colonna, viene portata in processione fino al santuario.

La sacra icona della Madonna di Capo Colonna è l'immagine più rappresentativa della città di Crotone e il suo culto è ormai da secoli un simbolo per tutti i crotonesi, anche se non è possibile delinearne un quadro storico preciso. In merito alla sacra immagine, infatti, i racconti giunti sino a noi non sempre risultano attendibili e non è possibile rintracciare notizie negli archivi storici ecclesiastici crotonesi, perché gran parte delle fonti in essi conservate sono andate distrutte in un incendio che divampò nella basilica e nell'episcopio cittadino intorno al XVI secolo. 

Le notizie giunte sino a noi sono antichi racconti che intrecciano fonti storiche a storie leggendarie. Le fonti storiche più attendibili raccontano che già in tempi antichi, annualmente, i crotoniati facevano pellegrinaggi presso il promontorio di Capo Lacinio per celebrare e ringraziare Hera, la dea della vita e della fertilità. Con l'avvento del cristianesimo questo culto pagano venne sostituito dalla venerazione della Vergine Maria. La tradizione più antica racconta infatti che la sacra immagine di origine bizantina fu portata sul promontorio crotonese da San Dionigi, un giudice ateniese che, dopo esser stato convertito al cristianesimo da San Paolo, giunse a Crotone e ne divenne il primo vescovo.

Secondo il racconto il Santo, dopo aver trovato l’immagine, la portò nel tempio di Hera Lacinia in cui per secoli si era svolto il culto pagano, iniziando i crotonesi alla venerazione della Sacra Icona. Un'altra versione racconta che il quadro, proveniente dall'oriente, in origine raffigurava la Vergine a mezzo busto; fu ritrovato da un artista crotonese il quale, dopo averlo trasportato su tela, lo completò, ricreando la figura intera della Vergine e abbellendolo infine con una lamina prima dorata e poi argentea. Nemmeno sull'autore dell'opera si hanno notizie certe e attendibili. 

Un'antica tradizione racconta che la tela originale sarebbe stata realizzata da San Luca evangelista, ma questo racconto sarebbe poco attendibile, perché il dipinto della Vergine di Capo Colonna risalirebbe al X – XI secolo e sarebbe di stile bizantino, quindi realizzato in tempi successivi. Questa versione potrebbe essere influenzata dal fatto che San Luca è conosciuto come un abile pittore che realizzò numerosi dipinti raffiguranti la Vergine Maria. Un altro racconto attribuisce il dipinto a un altro San Luca detto l’Archimatrite, un abate che resse uno dei monasteri basiliani presente un tempo a Capo Colonna. Questa seconda versione sembrerebbe trovare maggiore riscontro perché l’attuale quadro presenta molti caratteri dello stile bizantino, praticato durante l'epoca del monachesimo basiliano; elementi caratteristici di questo stile si possono ritrovare soprattutto nella parte superiore dell'immagine, dove sono raffigurati la testa della Vergine e il volto del Bambino.

La parte inferiore del dipinto appare poco nitida e sembra esser stata realizzata con tecniche diverse rispetto all'originale : il manto della Vergine non è di stile bizantino e parecchi ritocchi sarebbero riconducibili al XV secolo. Questi dettagli confermerebbero il fatto che il dipinto attuale sia in realtà un trasporto dell'immagine originale. Alcuni episodi storici ci fanno capire che la Sacra Icona era già venerata nel XV secolo. Nel giugno del 1519 i Turchi giunsero a Capo colonna e dopo aver trovato sul promontorio Lacinio il quadro della Vergine Maria, appiccarono un incendio e tentarono di bruciare la tela, ma nonostante il fuoco si fosse protratto per qualche giorno, il dipinto rimase intatto emanando una grande luce. I turchi stupefatti e spaventati da ciò che era successo decisero di portar via la tela su una delle loro navi, ma la loro imbarcazione rimase ferma; decisero quindi di gettare il dipinto in mare e la barca finalmente si mosse. Qualche giorno dopo il quadro fu ritrovato da Agazio Lo Morello, un contadino del posto che nascose la tela e solo in punto di morte confessò il suo segreto.

Nel 1638 i turchi tentarono di assediare Crotone ma il popolo crotonese, per combattere il nemico, decise di esporre l'immagine della Vergine sulle mura della città, invocando il suo aiuto e la sua protezione. I turchi, appena videro l'immagine della Madonna, la riconobbero e spaventati scapparono dalla città e rinunciarono all'assedio. Nel 1600 venne realizzata una miniatura del quadro originale, allo scopo di preservare quest'ultimo e per avere una copia del quadro che fosse maggiormente trasportabile per le vie della città durante le processioni. Questa riproduzione è conosciuta come "il quadricello" ed è stata realizzata da alcuni artisti della scuola napoletana. Negli anni successivi ne fu fatta un'ulteriore copia e quest'ultima è quella che viene portata annualmente in processione. La tela originale nel 1749, su richiesta di Monsignor Costa, vescovo di Crotone, fu laminata in argento e nel 1929 anche "il quadricello" venne bordato da una cornice d’argento. La Sacra Icona è attualmente custodita nella Cattedrale di Crotone e dal 1988 la Madonna di Capo Colonna è patrona dell’Arcidiocesi di Crotone – Santa Severina. Alla Vergine vengono attribuiti numerosi miracoli e il popolo crotonese le è fortemente devoto.

Il mese di maggio è per i crotonesi interamente dedicato alla festa in onore della Vergine di Capo Colonna. Ogni sette anni la festa assume un tono solenne perché, al posto della miniatura moderna, viene portato in processione il quadro "originale". Il terzo sabato di maggio si compie l'annuale pellegrinaggio notturno, che vede i fedeli crotonesi accompagnare l'icona della Vergine dal Duomo al promontorio di Capo Colonna, dove si trova il Santuario a lei dedicato. Il grande quadro o il quadricello restano nella chiesetta di Capo Colonna per la sola giornata di domenica, e la stessa sera vengono imbarcati e trasportati via mare fino al porto di Crotone, dove la sacra immagine viene accolta dai fedeli che la riaccompagnano al duomo. Durante la festa "settennale" il rientro non viene effettuato via mare, ma il quadro della Vergine viene posto su un carro trainato da buoi e percorre la stessa strada che i fedeli percorrono durante il pellegrinaggio notturno del sabato.

Spiagge

Il promontorio di Capo Colonna ospita anche alcune delle più belle spiagge di Crotone, come quella di Punta Scifo, di sabbia rossa finissima e dai fondali bassi e sabbiosi; quella di Campione, vasta e inserita in un contesto paesaggistico sublime, ricadente nell'Area marina protetta di Capo Rizzuto.

Sempre fuori città si trova la Spiaggia dell'Irto, a ridosso del promontorio di Capo Colonna, molto bella, sabbiosa e poco frequentata. Le più gettonate sono ovviamente le spiagge cittadine, quelle che dal molo del Porto Vecchio si allungano in direzione sud costeggiate dal lungomare. A nord della città invece si distendono le spiagge di Gabella, caratterizzate da sabbia bianca a granelli, lunghi arenili e fondali alti e sabbiosi. Questa zona costiera è spesso battuta dal vento di grecale e dalla tramontana, per questo sono particolarmente frequentate dagli amanti del kite-surf.  

Fonte: