Santa Severina (Borgo)
(Crotone)
  
 
  


Il piccolo borgo di Santa Severina, di appena 2000 abitanti, si colloca all’interno della provincia di Crotone, quasi sulla punta della nostra penisola, come una vera e propria perla. A rappresentanza della bellissima regione di cui fa parte, pullula di meritevoli luoghi da visitare che non mancheranno di affascinare i suoi visitatori.

Santa Severina sorge su una rupe che governa dall’alto una vallata a metà tra il Mare Ionio e i monti della Sila in posizione di supremo controllore del fiume Neto.

Il territorio (in particolare i siti di Serre d'Altilia, Monte Fuscaldo, insieme a molti altri), durante le età del bronzo e del ferro, era abitato da popolazioni indigene appartenenti forse al ceppo degli Enotri, come peraltro supposto in base alle ricerche (fine degli anni'70 del XX secolo) del Gruppo Archeologico Krotoniate e di P. Attianese. Il nome autoctono degli antichi abitatori della Calabria rimane, comunque, sconosciuto. Infatti, il termine "Enotri" rappresenta un nome toponomastico attribuito dai greci agli indigeni con le stesse modalità con le quali il nome "Galli" fu assegnato dai Romani a quelli che nella loro lingua si chiamavano Celti. 

Anche il termine Brettioi che i Romani trasformarono in Bruttii è riferibile al medesimo contesto toponomastico. La scritta Brettion che si rileva sulle monete appare impressa con i caratteri greci. Le notizie provenienti dalla cosiddetta tradizione si prestano ad un numero incalcolabile di versioni e di manipolazioni e, quindi, su tale argomento risulta abbastanza difficile aggiungere altro. 

Sulla collina Serre della frazione Altilia, già all'inizio degli anni '80, furono individuati alcuni lembi di un insediamento di origine italica e tracce di una necropoli dell'età del ferro. Alla metà degli anni '90 si deve la scoperta di un insediamento databile all'età del bronzo finale grazie al vasto programma di ricerca archeologica sviluppato nel territorio di Crotone. Queste ricerche hanno permesso di riconoscere un vasto "magazzino" di pithoi dell'età del bronzo finale: sono stati catalogati resti di oltre 60 enormi contenitori che i recentissimi studi dimostrano contenessero vino, prova indiscutibile della coltivazione della vite da parte delle comunità enotrie. 

Più di recente la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, tra il 2006 ed il 2008, ha realizzato tre saggi di scavo, sotto la direzione di Gregorio Aversa, attuale Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Crotone. Le attività hanno permesso di confermare l'esistenza di numerose strutture abitative (almeno 14) che risalgono al tardo IV-III secolo a.C. Alcune tracce rimandano al periodo protostorico. Dal 2008 al 2014 non si sono registrate più attività di scavo archeologico su Serre di Altilia.

Attualmente, in tutta l'area, sono in corso approfondite indagini topografiche archeologiche, finalizzate alla realizzazione della "Carta archeologica" dell'intero territorio comunale.

Anticamente nota forse come Siberene, dopo essere stata presumibilmente un abitato greco-italico e poi romano, nell'840 fu conquistata dagli arabi. Liberata nell'880 da Nicefaro Foca, fino al 1076 appartenne ai Bizantini. Fu successivamente governata dai Normanni e poi dagli Svevi. Infatti, in base allo Statutum de reparatione castrorum, Federico II condusse un'inchiesta nel 1228 per identificare istituzioni, enti o persone che fossero obbligati a contribuire alla riparazione del castello di Santa Severina. 

Lo storico tedesco E. Sthamer traccia le linee fondamentali dello Statutum rilevando anche quelle autorità che, all'epoca, risultavano responsabili nel farlo osservare. All'epoca dell'inchiesta condotta a Santa Severina, il provisor castrorum rispondeva al nome di Johannes Vulcanus. Dopo la disfatta degli Svevi, il castello passò sotto l'amministrazione degli Angioini. 

Durante il periodo angioino (1265-1442) la città di Santa Severina godette sempre lo stato demaniale, aveva il controllo sul marchesato che veniva diviso in casali. Nonostante gli spagnoli si fossero impegnati a garantire la demanialità alla città di Santa Severina ed ai suoi casali, sappiamo che questo in parte avvenne per la città non per i suoi casali. 

Lo spagnolo Antonio Centelles tentò nel 1459 di entrare in possesso del Marchesato, ma fu sconfitto dall’esercito di Ferdinando D’Aragona. Tuttavia poco dopo ebbe parte dei feudi e nel 1464 anche Santa Severina con il titolo di principe. Due anni dopo il marchese fu preso a tradimento e ucciso. 

La città di Santa Severina ed i suoi casali ritornarono liberi. Ma mentre la città di Santa Severina mantenne la sua libertà e fu amministrata da governatori o capitani regi, la maggior parte dei suoi casali furono ben presto infeudati. Successivamente subentrarono gli Aragonesi fino a cadere, infine, sotto il dominio dei Borbone.

Visitare il centro storico

Il borgo di Santa Severina è annoverato tra i borghi più belli della nostra penisola, non solo per le caratteristiche estetiche che ammaliano al solo colpo d’occhio, ma anche per il ricchissimo passato che ne ha così bene strutturato il carattere. Infatti il borgo vanta un percorso storico tra i più antichi: si narra che Santa Severina sia stata fondata dal popolo degli Enotri, prima ancora dell’occupazione dei Greci. 

Il centro storico mostra mirabilmente il passaggio architettonico dal periodo normanno a quello bizantino. In certi giorni, all’alba, quando la foschia avvolge la valle fin sotto la base rocciosa che lo sorregge, assomiglia a una grande nave di pietra. 

Oltre agli edifici storici è possibile ricostruire al meglio tutto il prezioso passato storico grazie ai musei del borgo. Per gli appassionati si segnalano il Museo Archeologico di Santa Severina, all’interno del Castello; il Museo diocesano di arte sacra nel palazzo arcivescovile; l’Archivio storico diocesano e la Biblioteca Diocesana siti in Piazza Campo; il Centro Documentazione e Studi sui Castelli e le Fortificazioni della Calabria, nel Bastione dell’Ospedale.

Dal secolo IX fino all’XI la città conobbe il periodo di massimo splendore. Il battistero, la vecchia Cattedrale, la chiesa di Santa Filomena e altre rovine sparse sul territorio, sono le testimonianze più appariscenti del periodo di Bisanzio. La Cattedrale a nord e il castello normanno a sud sono le due importanti strutture architettoniche del “Campo”, nome col quale gli abitanti di Santa Severina chiamano la propria piazza, per antica memoria di un suo uso militare come piazza d’armi. 

La Cattedrale di Santa Anastasia, eretta tra il 1274 e il 1295, conserva ancora l'antico portale ad arco a sesto acuto, al centro del quale compare lo stemma vescovile, mentre il resto della facciata è stato completamente rifatto nel 1705. Ospita un’imponente torre campanaria a base quadrata, su quattro livelli. L’interno custodisce gli affreschi dei pilastri che sorreggono le navate e un bel crocefisso del XV secolo. La cattedrale, con impianto a croce latina a tre navate, ha subito vari cambiamenti nel corso della sua storia, tant'è che dell'antica struttura è rimasto solo il portale. Un’ulteriore iscrizione dedica la chiesa a Santa Anastasìa, patrona del paese. 

Seicentesca è anche la chiesa di Sant’Antonio, col bel portale in tufo e all’interno il sacello dei duchi Sculco e due cicli di affreschi rappresentanti la vita di San Francesco d’Assisi e quella di Sant’Antonio da Padova. 

Il Battistero di Santa Severina rappresenta l'unico esempio bizantino pervenuto ai nostri giorni ancora integro, di forma circolare, con quattro appendici. L'architettura di questo gioiello deriva dagli edifici a pianta centrale che trovano riferimento nel mausoleo di Santa Costanza a Roma. 

La chiesa dell’Addolorata, risalente ad epoca pre-normanna, sorge sui resti dell’antico vescovado e conserva numerosi elementi della vecchia cattedrale consacrata nel 1036. L’interno a tre navate, edificato nel XVII secolo, custodisce un bellissimo altare barocco. 

La chiesa di Santa Filomena, interessante esempio di architettura bizantino-normanna, è una costruzione dell’XI secolo formata da due cappelle sovrapposte a pianta rettangolare, con una cupoletta adorna di colonnine e due portali ogivali normanni. 

Quella che un tempo era la chiesa del Pozzoleo, restaurata, oggi funge da cripta di Santa Filomena. Conteneva una bella acquasantiera di marmo pario, conservata attualmente nel Museo Diocesano.

Castello normanno

Il castello normanno di Santa Severina, detto anche Carafa o di Roberto il Guiscardo, il re normanno che ne ordinò la costruzione nel XI secolo, si estende per 10000 m² circa e domina l'ampia valle del fiume Neto e le colline del Marchesato di Crotone, vicino a Crotone. 

È composto da un mastio quadrato e da quattro torri cilindriche che si trovano ai lati del castello; è inoltre fiancheggiato da quattro bastioni sporgenti in corrispondenza delle torri.

La terra di Santa Severina non ha sempre avuto questo nome. Originariamente era conosciuta come Siberene. È ignoto il motivo del cambio del nome, due sono le ipotesi: la latinizzazione del nome in Severiana/Severina, con l'appellativo di Santa aggiunto dai Bizantini, dopo la riconquista della città nell'886, oppure una Santa Severina già venerata dai Bizantini alla quale dedicarono la nuova patria.

Questa zona è molto antica. Popolazioni indigene, probabilmente appartenenti al ceppo degli Enotri, erano già presenti fin dall'età del Bronzo e dall'età del Ferro, per poi passare a popolazioni greco-italiche e successivamente romane. La zona fu abitata anche dagli Arabi, dall'840 all'885/86, diventando un Kastron, un complesso militare formato anche da edifici religiosi.

Nell'XI secolo, i Normanni, considerati barbari e guerrieri, avidi di ricchezze e potere, giunsero in Italia e furono reclutati come mercenari dai signori della zona, affinché difendessero il Meridione dai Saraceni. Il potere dei Normanni e le loro conoscenze sull'Italia aumentarono dopo essere stati al servizio dei Longobardi e dopo aver combattuto a fianco dei Bizantini. Queste esperienze li resero più consapevoli della situazione italiana, soprattutto dal punto di vista della difesa e del livello di preparazione degli eserciti degli Stati contro i quali o per i quali avevano combattuto.

In meno di un secolo, i Normanni conquistarono i territori longobardi e i ducati costieri, grazie soprattutto ai tre figli di Tancredi d'Altavilla, proveniente da una nobile famiglia vichinga di Hauteville, un piccolo feudo della Normandia.

Siberene fu città bizantina fino al 1076, anno in cui Roberto il Guiscardo, il terzo figlio di Tancredi, ottenne l'investitura del ducato di Puglia e Calabria, che comprendeva il castello. Essendo stata una città bizantina per quasi due secoli, la popolazione era totalmente greca, perciò ci fu uno scambio graduale di ordinamenti civili, militari e infine ecclesiastici, facendo sì che si conservassero i riti greci per molto tempo.

Roberto il Guiscardo ordinò la costruzione del castello, sulla sommità di una rocca, da dove scendeva il borgo circondato da mura sicure e forti. Nel 1076, inoltre, il Guiscardo fece costruire un dongione, del quale solo in tempi recenti si sono potuti reperire i resti.

Dopo la battaglia di Benevento (1266), il Regno di Sicilia fu conquistato da Carlo I d'Angiò il quale ordinò che Santa Severina e i suoi casali venissero incorporati nelle terre del demanio. Ciò avrebbe determinato l'impossibilità di una futura infeudazione, ma non fu così: dimentico delle promesse, concesse il feudo ad un certo Pessino di Villery. A causa della resistenza dei cittadini di Santa Severina, Pessino non venne mai in possesso del feudo, e fu costretto a cedere ogni potere a Pietro Ruffo di Calabria, conte di Catanzaro per 1200 once d'oro. Neanche il conte di Catanzaro entrò in possesso del feudo sanseverino.

Agli angioini è attribuito loro il merito di aver ammodernato il castello: costruirono i torrioni cilindrici e le quattro cortine murarie che delimitano il mastio.

Nel 1444 Santa Severina vede l'avvento della dinastia degli Aragonesi e il potere nelle mani di Alfonso V d'Aragona, detto "il Magnanimo", il quale concesse molti privilegi alla città grazie ad un diploma reale: molte richieste arrivarono direttamente dal popolo, con una lunga supplica in cui si chiedeva l'esenzione da alcuni tributi, ma si avanzavano anche richieste differenti. Ad esempio, venne chiesto al nuovo sovrano di demolire il castello, ritenuto troppo malandato ed oneroso nella sua manutenzione, oppure di farsene carico. Alfonso V decise dunque di lasciare la fortezza intatta e di farsi carico di una sostanziosa opera di restauro.

Ad Alfonso succedette Ferrante d'Aragona che confermò l'indipendenza alla città con un diploma e le riconobbe un'organizzazione basata sulle effettive magistrature. La città stava crescendo e con essa il suo potere nel Meridione. Nello stesso periodo stava acquistando sempre più fiducia un giovane nobile, Andrea Carafa, discendente dei Caracciolo, grazie agli importanti ruoli svolti nel Regno di Napoli e compiti molto importanti per Ferrante II Gonzaga, Alfonso II d'Aragona e per Federico d'Aragona, tanto da ricevere un incarico da parte di Carlo V d'Asburgo, Re di Spagna e del Sacro Romano Impero: questo gli attribuì l'incarico della luogotenenza del regno, nel 1525.

Carafa, ormai da tempo, bramava il feudo di Santa Severina, tanto da spingerlo a versare all'erario 9000 ducati per garantirsi il possesso di esso, nonostante il latifondo spettasse per diritto a Federico I, secondo un decreto del 1496. I cittadini di Santa Severina ancora una volta difesero la città, facendosi forti dei vari diplomi di autonomia angioini e aragonese; ciononostante, Carafa cinse d'assedio la città con un corpo di spedizione. L'assedio durò per molti mesi, fino a che Andrea non ottenne un aiuto dall'interno del castello: Carafa e i suoi commilitoni riuscirono ad entrare nel castello grazie al Mastrogiurato, che li fece passare attraverso un vicolo nascosto.

Nell'ottobre del 1506 Santa Severina piomba nella servitù feudale, sotto un potente feudatario che non si fece mai scrupoli nel dimostrare quanto valeva davanti al suo popolo sottomesso: per prima cosa confiscò tutti i possedimenti delle persone più ricche e facoltose con l'accusa di fellonia, fece arrestare e non esitò ad uccidere tutti i suoi oppositori gettandoli nelle segrete del castello attraverso botole.

La tirannia di Andrea Carafa fu pesante e insopportabile; la sua morte sopraggiunse nel 1526 e, per mancanza di prole, gli succedette il primogenito del fratello, Galeotto Carafa. Il nipote non attuò una tirannia nel suo governo, ma grazie a lui la città ebbe, oltre ad un rinnovato clima politico, anche un risveglio delle energie culturali, tornando alla gloria dei secoli precedenti. La città godette di ricchezza e fama ma, in questo clima di apparente tranquillità in cui viveva la città, Galeotto aveva accumulato numerosi debiti. Così, dopo la morte del padre, avvenuta nel 1556, Andrea, il primogenito, ereditò il popolo e la città, ma non fece in tempo ad essere incoronato che gli venne strappato il Contado, sequestrato e successivamente messo all'asta.

Nel corso del tempo, da parte della famiglia Carafa, ci furono vari tentativi di rientrare in possesso del feudo. Un primo tentativo è attribuibile alla moglie di Galeotto (Geronima Carafa, 1593-1635) che, incorrendo in nuovi debiti, riuscì ad acquistarlo per 54.800 ducati e a trasferirlo nelle mani del figlio, Vespasiano Carafa, a seguito della morte del padre avvenuta nel 1569. Del governo di Vespasiano non si sa molto, solo che lasciò il feudo senza un successore, facendo sì che il Contado dei Carafa si estinguesse.

Con l'avvento di Andrea Carafa il castello subì una delle più imponenti opere di ammodernamento, di gran lunga superiore a quella degli angioini. Carafa fece costruire cinte fortificate intorno alla roccaforte angioina, il baluardo del belvedere, la costruzione di "merli tribolati" coronati e visibili sul fronte della muraglia delle marlature, presenti anche sullo stendardo e al figlio di Galeotto, Andrea, sono invece attribuiti piccoli lavori di completamento della muraglia della marlatura, e a Vespasiano, suo figlio, il completamento della muraglia nel tratto vicino alla porta nuova.

Con la fine del dominio dei Carafa su Santa Severina, il feudo passò nelle mani della regia Corte. Si dovrà aspettare il 1608, anno in cui il feudo fu trasferito a Vincenzo Ruffo.

Nel 1650 subentrò il Carlo Sculco, acquistando il feudo per 71.000 ducati ed ottenne dal Re Filippo II d'Asburgo il titolo di Duca del feudo di Santa Severina.

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Dopo la morte di Domenico Sculco, avvenuta nel 1687, si estinse il diritto alla successione degli Sculco, a causa della mancanza di eredi. Il castello finì all'asta e venne aggiudicato nel 1691 alla nobile Cecilia Carrara, che lo trasferì nelle mani del figlio, Antonio Greuther. I Greuther erano una famiglia di mercanti originaria della Vestfalia, giunta in Italia intorno alla metà del XVII secolo.

L'ultimo feudatario di Santa Severina fu Gennaro Greuther; quando venne abolita la feudalità il 2 aprile 1806 nel Regno di Napoli ad opera di Giuseppe Bonaparte, a Gennaro rimase solo il titolo di principe. A seguito della fine della feudalità, il castello e gran parte di Santa Severina passò sotto la giurisdizione della Chiesa, fino al 1860 anno di nascita del Regno d'Italia.

Dopo l'abbandono dei Greuther si ha un buco di più di un secolo, in cui non si sa niente del castello. Dagli inizi degli anni '30 del XX secolo, il castello ospitò il Ginnasio-convitto e grazie ai dirigenti del collegio il castello fu salvato dal lento degrado.

Anche i Greuther intervennero sul castello: nel XVIII secolo non si avevano grandi minacce belliche perciò il castello da fortezza militare divenne una residenza signorile. Poi, la trasformazione e la fusione dei vani del primo piano con volte a schifo, la realizzazione del salone grande vicino alla scala a chiocciola e la decorazione di tutte le stanze, in special modo del salone centrale del mastio ad opera del pittore Francesco Jordano, intorno al 1750.

Ogni grande famiglia che ha vissuto all'interno del castello ha aggiunto un proprio contributo artistico ed architettonico. La struttura, perciò, nel corso dei secoli, ha cambiato la propria fisionomia secondo il gusto dei suoi sovrani e a seconda delle necessità.

Il castello fra il 1994 e il 1998 è stato sottoposto ad un'attenta e meticolosa opera di restauro, che ha fatto emergere, oltre agli innumerevoli reperti archeologici, la storia della struttura fin dalle origini. Grazie a questi importanti studi si è potuto constatare che il castello, costruito dai normanni, sorgeva proprio sopra l'acropoli della vecchia Siberene. Infatti, fu scoperta una tomba presso la necropoli bizantina nel castello: essa conteneva un cadavere il quale aveva sulla mandibola una moneta risalente al III secolo a.C.

Inoltre è stato trovato un vano cisterna di grandi dimensioni, coperto di volte a botte e un complesso ecclesiale articolato, risalente al periodo bizantino, periodo in cui il castello divenne un kastron, ossia un insieme di strutture (militare e religiosa) all'interno dello stesso edificio.

Sono stati scoperti alcuni reperti risalenti al periodo svevo, anche se purtroppo non si hanno molte notizie del castello riguardo a questo preciso momento storico: per esempio, le reliquie trovate nella torre tonda antica del castello, quelle della torre tagliata, quelle della torre tonda dell'antica chiocciola e quelle relative alle merlature quadrangolari, con molta probabilità risalgono a questo periodo storico.

Con l'avvento di Andrea Carafa il castello subisce una delle più imponenti opere di ammodernamento, di gran lunga superiore a quella degli angioini: Carafa fece costruire cinte fortificate intorno alla roccaforte angioina, il baluardo del belvedere col "traforo" a suo nipote Galeotto, la costruzione di "merli tribolati" coronati e visibili sul fronte della muraglia delle marlature, presenti anche sullo stendardo. Al figlio di Galeotto, Andrea, sono invece attribuiti piccoli lavori di completamento della muraglia della merlatura, e a Vespasiano, suo figlio il completamento della muraglia nel tratto vicino alla porta nuova.

I lavori di restauro sono terminati con una cerimonia il 23 maggio 1998, dopo sette anni in cui si sono alternati molti tecnici delle due Soprintendenze (Archeologica e dei Beni Culturali). Inoltre sono stati pubblicati due volumi, divisi nei due settori di interesse.

Il castello ospita il museo di Santa Severina, in cui sono esposti tutti i reperti ritrovati durante gli scavi archeologici assieme a materiali e collezioni archeologiche provenienti dal territorio limitrofo, come i bronzi risalenti al periodo protostorico XV-VIII sec. a.C., Il castello ospita inoltre il Centro di Documentazione Studi Castelli e Fortificazioni Calabresi e il MACSS, il museo di arte contemporanea di Santa Severina.

Prima degli scavi archeologici, negli anni settanta, il castello era sede del convitto comunale maschile, che ospitava circa ottanta studenti del liceo-ginnasio Diodato Borrelli. Per mancanza di iscritti il collegio fu costretto a chiudere e l'amministrazione comunale, per valorizzare i locali, pensò di creare un'importante pinacoteca e di organizzare mostre di pittura di livello nazionale.  

Battistero

L’architettura bizantina si concentra al massimo nel Battistero di Santa Severina, adiacente alla Cattedrale, che è pervenuto quasi completamente integro. 

Battistero.jpg (247980 byte)Costruito tra l’VIII e il XI secolo in forma circolare con croce greca, nacque come santuario sulle spoglie di un martire e solo in seguito venne trasformato nell’attuale battistero. 

Conserva al suo interno la fonte battesimale originaria, il portale ogivale di epoca sveva e gli antichi affreschi al suo interno risalenti al X-XII secolo e si annovera tra una delle mete imprescindibili delle meraviglie da visitare a Santa Severina.

Secondo alcune teorie, alcune colonne e una tomba in pietra decorata da leoni siano state spostate nel battistero da precedenti edifici religiosi della sede della diocesi di San Leone.

Cattedrale

La concattedrale di Sant'Anastasìa, nota anche come concattedrale di Santa Maria Maggiore, è il principale luogo di culto cattolico di Santa Severina, in Calabria, e concattedrale dell'arcidiocesi di Crotone-Santa Severina. La chiesa è posta sul lato settentrionale della piazza detta "Campo", dalla parte opposta a quella dove sorge l'entrata del castello, e forma un'unica struttura con il palazzo arcivescovile e il battistero bizantino del IX secolo.

La cattedrale è stata eretta dall'arcivescovo Ruggero di Stefanuzia fra il 1274 ed il 1295. Della vecchia costruzione rimane l'antico portale. Il resto dell'intera facciata è stato completamente rifatto nel 1705. Nel primo decennio del secolo scorso l'arcivescovo Carmelo Pujia, avvalendosi dell'opera dell'architetto Giuseppe Pisanti e del pittore Cosma Sampietro, ha apportato notevoli modifiche all'aspetto della chiesa. Fino al 1986 è stata sede dell'arcidiocesi di Santa Severina, unita alla sede della diocesi di Crotone il 30 settembre 1986, con il decreto Instantibus votis, contestualmente la chiesa è divenuta concattedrale.  

ConcattedraleSantAnastasia Interno.jpeg (359953 byte)La chiesa presenta una pianta basilicale tradizionale a croce latina e a tre navate. Sul lato sinistro si erge un'imponente torre campanaria a base quadrata suddivisa in quattro livelli. La facciata è caratterizzata dal portale ad arco a sesto acuto con il timpano spezzato, al centro del quale compare lo stemma vescovile. Anche la finestra monofora che lo sovrasta presenta un timpano con la medesima mancanza del vertice superiore. Affiancano il portale lesene di ordine dorico e corinzio, delle nicchie e la trabeazione, che suddivide in due livelli la facciata.

L'interno è abbellito con le arcate che delimitano le tre navate e gli affreschi sui pilastri che le sorreggono. L'ambone è realizzato in marmi calabresi del XVII secolo con una tavoletta centrale marmorea raffigurante Gesù fra i Dottori.

Nella prima navata di destra si osserva un crocefisso del XV secolo. Nella stessa cappella del Crocefisso sono murate quattro lapidi provenienti dal muro nord della chiesa dell'Addolorata.

Il 7 gennaio 2018, nella Solennità del Battesimo del Signore, si è svolto il Gemellaggio Mariano tra la Confraternita della B.V. di Capocolonna, la Città di Santa Severina e la Concattedrale. Nell'occasione, sono stati donati dal Consiglio Direttivo del sodalizio al Parroco ed al Sindaco due quadri mariani, realizzati con la tecnica del carboncino.

San Nicola e Santo Ponte

Nel 2010 la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria ha riportato alla luce un ampio settore di abitato rupestre, con numerose abitazioni in grotta artificiale, e una chiesa (con vano ipogeo sottostante) già segnalata da Paolo Orsi.

Chiesa di Santa Filomena

Sopra un costone di roccia a strapiombo sulla valle del Neto, quasi fuori l'abitato di Santa Severina, sorge la piccola chiesa di Santa Filomena, altrimenti detta del Pozzoleo.

Mirabile esempio di architettura sacra di transizione, la chiesetta di Santa Filomena risale al periodo compreso tra il XI ed il XII secolo d.C, edificata quindi in epoca normanna sopra un precedente impianto che prendeva il nome di chiesa di Santa Maria del Pozzo, o più brevemente chiesa del Pozzoleo. Però le dimensioni dell'attuale chiesa, e la magnifica cupola ornata a motivi orientali, tradiscono un impianto tipicamente bizantino.

Su uno dei lati dell'edificio sacro, si aprono due bei portali d'ingresso ad arco acuto, decorati a losanghe e rosoni, con piccole colonne incassate. La chiesa presenta una grande abside centrale, fiancheggiata da due absidi di dimensioni più piccole, e una cupola slanciata di forma conico-cilindrica, ornata da 16 colonnine, secondo un motivo tipico delle chiese armene.

Quella che un tempo era la chiesa del Pozzoleo, o di Santa Maria del Pozzo, così chiamata perchè vi era sul luogo una cisterna, è oggi adibita a cripta. L'edificio presenta una stretta facciata rettangolare con volta a botte e portale ad arco acuto, sormontato da una bifora e da un piccolo campanile a vela.

All'interno era possibile ammirare un'acquasantiera su pilastro ottagonale, realizzata in marmo pario e abbellita da elementi decorativi a foglie. Oggi l'acquasantiera si trova nel Museo Diocesano di Santa Severina. Nel complesso la chiesa di Santa Filomena è composta da due piani: quello inferiore era, secondo un'antica leggenda di Santa Severina, adibito a pozzo e venne trasformato in cripta in seguito ad un miracoloso accadimento.

La chiesa vera e proprio invece si trova al secondo piano, ma data la pendenza del terreno su cui poggia, l'ingresso alla chiesa avviene dal piano terra. Tra le chiese più interessanti della Calabria per i dettagli architettonici, la piccola chiesa di Santa Filomena sorge sopra un costone roccioso posto proprio sotto uno dei baluardi del castello normanno. Dalla chiesa si ha una vista panoramica sulla bassa valle del fiume Neto, con lo sguardo si scorgono molti dei paesi del Marchesato di Crotone.

Musei e archivi

Il Museo Diocesano di Arte sacra ha sede nel palazzo arcivescovile ed è uno dei più interessanti musei di Calabria, in quanto gli oggetti conservati al suo interno consentono di ricostruire l’importanza di Santa Severina come centro religioso nei vari momenti storici. 

Da vedere il tesoro della Cattedrale, composto da paramenti, arredi sacri e documenti ecclesiastici, il più antico dei quali è una bolla papale di Lucio III del 1184, oltre ad un pregevole un dipinto di stile bizantino dell’VIII-IX secolo raffigurante il volto di Cristo.

L'Archivio storico diocesano e la Biblioteca diocesana sono ospitati sempre nel palazzo arcivescovile e custodiscono un patrimonio inestimabile per la storia dell’intera Calabria. L’Archivio, meta costante di studiosi, conserva centinaia di pergamene e manoscritti che raccontano le vicende della Metropolia bizantina e delle singole parrocchie, mentre la Biblioteca raccoglie materiale prevalentemente religioso. 

Il Museo Archeologico è ospitato in alcune sale del castello. Si articola in due sezioni che conservano materiale proveniente dagli scavi del mastio e delle aree del castello stesso e dal territorio di Santa Severina e da altre località della zona. Interessanti reperti che vanno dall'età del ferro all'età classica; alcuni frammenti di affreschi e oggetti ceramici e metallici di età bizantina; alcune monete e ceramiche da mensa e da dispensa che documentano la fase normanna.

Per il periodo svevo, ma soprattutto per quello angioino, si segnalano delle ceramiche ornate con decorazioni in ocra, bruno e ramina su fondo bianco; per i periodi successivi sono conservati oggetti d'uso in osso, vetro e metallo, oggetti d'uso quotidiano e piccole suppellettili.

La sezione dedicata al territorio di S. Severina espone oggetti dell'età del bronzo. Nella mostra sui castelli e le fortificazioni sono illustrate le diverse tipologie architettoniche di castelli, torri costiere e fortificazioni presenti in Calabria, oltre a una documentazione sull'evoluzione architettonica del castello di Santa Severina.

 

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