Col
termine “motta” un tempo si indicava un centro fortificato eretto sulla cima
di una rupe, inaccessibile e allo stesso tempo panoramico. L’origine di Motta
San Giovanni è però incerta, anche se il centro abitato si è sviluppato
intorno al 1500 probabilmente dopo la distruzione della fortezza di S. Niceto.
Come
gli altri paesi grecanici è stato distrutto dal terremoto del 1908, ma venne
poi ricostruito in un punto poco più a valle.
Sorta
come appendice del castrum di
San Niceto, Motta San Giovanni finì con l’assorbirlo quando quest’ultimo fu
distrutto nel Quattrocento.
Nel
1507 divenne feudo autonomo con gli Aragona di Montalto, passando
successivamente nelle mani di quattro patriziati messinesi: i Minutolo (1561), i
Marquett (1565), i Villadicane (1576) e gli Ioppolo che soffocati dai debiti, lo
perdettero. Messo all’asta a 46000 ducati, fu comperato nel 1605 da Carlo
Ruffo di Bagnara che di ducati ne dovette sborsare 33.450.00. Nel Seicento il
borgo era ancora un’enclave di preti greci. Qui risiedeva Nicola Stavriano,
parente del vescovo Giulio Stavriano che nel 1572 aveva abolito il rito greco a
Bova. Ironia della sorte volle che, proprio Nicola, fosse prete greco a Motta
San Giovanni.
Quando
i Ruffo di Bagnara ottennero da Filippo IV il titolo di principi, lo
trasferirono nel 1682 al borgo a dimostrazione dell’importanza che gli
attribuirono, fino all’avversione della feudalità, decretata dal governo
francese nel 1806.
Da
sempre Motta San Giovanni è nota per la lavorazione artigianale della pietra
reggina: una roccia sedimentaria calcarea molto utilizzata in
edilizia, estratta principalmente nelle cave di contrada Sarto in Motta San
Giovanni e dalle cave del promontorio di Capo d’Armi, il costone calcareo
battezzato dai Greci Leocupetra (pietra bianca), che sorge a Lazzaro, frazione
di Motta San Giovanni, cresciuta alla fine del Settecento ai margini di un
approdo attivo in età romana. Nel 44 a.C. sbarcò qui Cicerone, ospite nella
villa di Publio Valerio, mentre era diretto in Grecia, in fuga da Antonio.

Il centro
storico di Motta ha un singolare aspetto di cono inclinato con la punta nella
quota più elevata. Arrivando a Motta, si noterà subito la Chiesa di
S. Michele, che si erge tra le abitazioni e alle sue spalle il monumento
ai caduti, dove trova posto anche un cannone della seconda guerra mondiale.
Proseguendo
verso la via Garibaldi si arriva a Piazza
Borgo, il cuore di Motta dove un affaccio paronimico si apre verso il
mare. Sull’antica piazza si affaccia, tra gli altri, il Palazzo
Malara. Da Piazza Borgo, una breve salita porta alla Chiesa
di S. Giovanni Evangelista dove una ripida scalinata risale il
quartiere Praci.
Scorci pittoreschi e panoramici si susseguono lungo il percorso, dove le
abitazioni sono costruite direttamente sulla roccia. Sito su di un’altra
collinetta, sporge il suggestivo quartiere Suso, rappresentato
da incantevoli panorami sullo Stretto di Messina e sull’Etna.
Ritornando al
centro del paese, si arriva a Piazza Alecce. Qui ha sede il Municipio e non
passa di certo inosservata la fontana monumentale“Alecce”
così chiamata dal nome dell’illustre ricercatore mottese nel campo della
farmacia.Tra i palazzi gentilizi si distingue particolarmente Palazzo
Spinelli, risalente alla seconda metà del sec. XIX.
Risalendo verso
la parte alta di Motta si arriva ai quartieri S.
Basilio, Leandro e Sant’Antonio fino
ad arrivare al Castagneto
di Pitea, la frazione più elevata di Motta dove si raggiungono i 1000 m
slm.
Castello
di San Niceto
Un
panorama da togliere il fiato, letteralmente, così come lo tolse nell'estate
del 1847 allo scrittore inglese Edward Lear nel suo giro a piedi per la
Calabria. E' lo spettacolo che si gode affacciandosi dal castello di San Niceto,
nei pressi di Motta San Giovanni, piccolo centro posto sulle ultime propaggini
dell'Aspromonte calabrese, a pochi chilometri da Reggio Calabria. Lo sguardo da
quassù abbraccia tutto lo Stretto di Messina, da Taormina fino alla città dei
Bronzi di Riace, la costa calabrese e quella siciliana. E davanti c'è l'Etna,
con la sua imponente mole azzurro-nera e il suo scialle di neve. "Come
assomigliava ad un enorme opale, l'Etna, quando il sole si levò illuminando
l'immenso panorama che si godeva verso sud!" scrisse rapito Lear dalla
fortezza di San Niceto nel suo Diari di viaggio in Calabria e nel Regno di
Napoli.

Il Castello
di Santo Niceto (o San Niceto) o anche Motta Santo Niceto è
una fortificazione bizantina costruita
nella prima metà dell'XI
secolo sulla cima di un'altura rocciosa, tra quelle che dominano la
città di Reggio
Calabria, nei pressi del centro abitato di Motta
San Giovanni. Rappresenta uno dei pochi esempi di architettura alto
medievale calabrese, nonché una delle poche fortificazioni bizantine sottoposte
a lavoro di restauro e recupero.
Edificato
durante l'impero
romano d'oriente la fortificazione è di fatto un Kastron bizantino che
serviva a mettere in salvo le merci (soprattutto la preziosissima seta prodotta
nel territorio reggino per sostenere l'economia di Costantinopoli)
e tenere al sicuro la popolazione di Reggio durante
le incursioni.
Anche
dopo il 1060 quando
la città fu presa dai Normanni,
il castello non perse la sua funzione di avvistamento e di rifugio per
la popolazione reggina, in seguito all'intensificarsi delle scorribande saracene lungo
le coste calabresi e siciliane.
Da questo momento ci rimangono documenti che ne danno notizia.
Nel
corso del XIII
secolo il castello divenne il centro di comando del
fiorente feudo di Santo Niceto che nel 1200 fu
tormentato dalle guerre tra Angioini ed Aragonesi che
si avvicendavano sul territorio reggino e, come molte altre zone della Calabria,
passò in diverse mani; nel 1321 fu
consegnato agli Angioini.
Nel 1434 Santo
Niceto diventa baronia e domina sui territori di Motta
San Giovanni, Montebello e Paterriti (un
riferimento antecedente a Motta San Giovanni si trova in un documento del 1412).
Nel XV
secolo Santo Niceto, al pari delle altre
motte filo-angioine, entrò in conflitto con la città stessa di Reggio appoggiata
dagli Aragonesi.
Nel 1459,
con il beneplacito del Duca
Alfonso di Calabria, i reggini espugnarono Santo Niceto attraverso uno
stratagemma: durante una notte buia, le squadre di armigeri reggini si
appostarono in una valle nei pressi del castello, e dal lato opposto di esso
lasciarono vagare un gregge di capre a cui erano stati applicate dei lumini
accesi sulle corna. I castellani, scambiando il gregge per un esercito nemico,
si lanciarono su di esso lasciando sguarnito Sant'Aniceto: i soldati reggini,
approfittando della situazione, assalirono ed invasero il castello, mettendolo a
ferro e fuoco.
In
un documento del 1604 Santo
Niceto è detto appartenere alla Baronia di Motta San Giovanni.

La dedica del castello a
Santo Niceto tradisce l'origine siciliana di parte dei fondatori: in quegli anni
infatti in Sicilia era particolarmente diffusa la devozione all'ammiraglio
bizantino San
Niceta, vissuto fra il VII e
l'VIII secolo.
Sbarcati in Calabria con il sostegno del governo bizantino, i profughi siciliani
parteciparono con le popolazioni locali alla edificazione di un kastron,
chiamandolo col nome del loro santo protettore.
Il
castello presenta una pianta irregolare, che ricorda la forma di una nave con
la prua rivolta
alla montagna e la poppa al
mare.
In
prossimità dell'ingresso sono visibili due torri quadrate ed ai piedi della
breve salita che la collega con la pianura sottostante vi è una chiesetta
munita di una cupola affrescata con un dipinto del Cristo
Pantocratore, soggetto tipico dell'arte bizantina.
Le
mura hanno un'altezza variabile da 3 a 3,5 metri,
uno spessore di circa un metro e sono ancora in ottimo stato di conservazione. I
materiali di costruzione utilizzati sono per lo più costituiti da pietra squadrata,
laterizi e malta molto
resistente.
All’interno
della cinta muraria, al centro in posizione dominante, c’è il Mastio a pianta
quadrangolare che ospita una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.
Nella parte centrale della struttura, il donjon
residentiel risulta protetto da una seconda cinta muraria, e
mostra resti di sepolture, macine in pietra e cisterne; il castello era quindi
attrezzato per resistere ad assedi di lunga durata.
Successivamente
venne costruito il palazzo lungo la cinta nord e quello centrale, e suddiviso lo
spazio realizzando un secondo settore difensivo, aggiungendo le scarpe per la
difesa piombante.
Sul
sito negli ultimi anni sono stati effettuati due restauri entrambi condotti da
Francesca Martorano, Ordinaria di Storia dell’Architettura dell’Università
di Reggio Calabria.
Il
Castello di Santo Niceto, fino a qualche anno fa in completo stato di abbandono
da parte degli organi competenti, è entrato a far parte di quei complessi
architettonici che sono stati restaurati per consentire la loro conservazione
futura e soprattutto la loro valorizzazione storica e culturale.

Fonte:
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