Centro
agricolo del versante meridionale dell'Aspromonte, situato sul fianco destro
della media valle della fiumara omonima, tra il monte Grappida (682 m)
e il monte Carruso (619 m). L'abitato si raggruppa ai piedi di
uno spuntone roccioso coronato dai resti di un castello. Il suo
territorio comprende le quattro frazioni di:
-
Palizzi Marina, dove si trova il punto più meridionale della penisola italiana
- Palizzi
Superiore
-
Pietrapennata, posta a 673 metri s.l.m. sull'Aspromonte meridionale
-
Spropoli, ad ovest del Capo Spartivento
-
Nonché la località abitata di Contrada Gruda, situata sul litorale.
Dal
punto di vista geologico i calanchi bianchi di Palizzi Marina sono dei calcari
marnosi misti ad argille formatisi in seguito al deposito di organismi marini
sul fondo dello Jonio che un tempo sommergeva queste aree.
La
SS 106 immette a Palizzi
Marina, un antico
approdo che l’erudito calabrese Gerolamo Marafioti definì, alla fine del XVI
secolo, “comodissimo
alli vasselli del mare”.
Porto
Palizze, così era chiamata questa baia tra Sette e Ottocento, non a caso
conserva un lungomare che sebbene piccolissimo, è l’unico ad avere vita
marinara anche d’inverno. Dell’attracco costiero non vi è più traccia,
fatta eccezione per una torre di avvistamento, del 1595, detta Torre Mozza, per
via dello squassamento delle parti superiori della struttura, di cui rimane un
unico angolare, impostato su una base rettangolare. Il paese è diviso dalla
fiumara in due contrade: Murrotto e Stracia, chiaramente
allusive a testimonianze del passato. Da entrambi i quartieri si partono due
strade che conducono rispettivamente alle frazioni di Palizzi Superiore e
Pietrapennata, attraverso una percorso costellato dai più pregiati vigneti
dell’Area Grecanica.
Ma
il cuore pulsante del comune di Palizzi è il centro storico posto più in alto,
a circa 272 m s.l.m. rispetto alla frazione Marina.

Palizzi
raggruppa tutti gli elementi dei borghi delle favole: un castello posto
su una rupe, un borgo
medievale ai suoi
piedi e un ponte
a sella d’asino che
fin dal Trecento sovrasta un corso d’acqua.
Nel
1322 il feudo fu venduto da Bartolomeo Busca a Guglielmo Ruffo di Calabria,
conte di Sinopoli, possidente di un vasto tenimento che comprendeva gran parte
della Calabria Meridionale. Alla sua morte, il nipote Antonello dovette spartire
il baronato con lo zio Folco, generando così il ramo dei Ruffo di
Palizzi-Brancaleone, sopravvissuto per quattro generazioni, non senza bruschi
intervalli, determinati dai contrasti dinastici tra Angiò e Aragona.
Nel
1479 Palizzi era in mano a Bernardino Maldà de Cadorna ma già nel 1498 tornò
ai Ruffo, a cui si devono i lavori sul fianco nord orientale del castello, dove
evidenti sono i segni delle novità architettoniche, importante nel Regno di
Napoli da Francesco Giorgio Martini e Bernardo Rossellino.
Il
matrimonio di Geronima Ruffo e Alfonso de Ayerbo d’Aragona nel 1505, inaugurò
una ripetuta serie di avvicendamenti dinastici che videro il baronato passare
prima a Troiano Spinelli, poi di nuovo agli Ayerbo d’Argona e quindi nel 1580
ai Romano di Messina.
Spetta
a Giacomo Colonna Romano l’inserimento dello stemma araldico che campeggia
all’ingresso del castello, posto forse al termine di una campagna di
restauri.
Proprietà
degli Arduino di Messina dal 1666, la terra di Palizzi fu venduta nel 1751 ai De
Blasio, i quali la mantennero fino al 1806, apportando notevoli ristrutturazioni
al castello, che in parte definiscono l’aspetto attuale.
La
parrocchiale ha subito nel 1960 un rifacimento quasi completo:
sussiste l'abside sinistra, elemento di grande importanza, consistente in uno
spazio quadrato, racchiuso entro una sorta di torre in miniatura pure quadrata e
coronato da una cupola che all'interno rivela la sua origine medievale. La
chiesa possiede inoltre una statua di Sant'Anna, difficilmente databile per
il suo stile arcaico, ma probabilmente del Cinquecento.
Il
castello di origini medievali, fu rifatto come palazzo in grandiose e semplici
forme nel Seicento. Molto pittoresco è anche il centro di Pietrapennata,
di carattere alpestre; la chiesa di origine medievale (basiliana), ma rifatta
nei secoli XV-XVI, conserva la Madonna dell'Alica, statua di marmo
alabastrino del Cinquecento.
La
tesi su quale delle fiumare del versante jonico reggino fosse il fiume Alece -
confine naturale tra le due polis magnogreche di Reggio e Locri
Epizefiri - è dibattuta da tempo. Alcuni studiosi ritengono fosse
l'Amendolea, altri la Fiumara
di Palizzi.
L'importanza
strategica del confine naturale era enorme, poiché divideva le due più
importanti città magnogreche della zona. Dopo molti scontri le due città
stabilirono tacitamente il loro confine proprio sul corso d'acqua.
Scoprire
il centro storico e la cittadina
Immerso
in una superba natura, il borgo è abbarbicato ad una rupe d’arenaria ai piedi
dell’imponente castello. Il paese affascina subito il visitatore per il suo
centro medievale unico: “palazziate e solarate” di fantasiose soluzioni
architettoniche, catoi, sottopassaggi, scalette e tetti di ceramide (tegole
ricurve) danno la visione di un paesaggio naturale quasi incontaminato.
La
passeggiata parte dal ponte dello “schiccio”, sotto il quale scorrono le
acque della fiumara di Palizzi, dal quale può scorgersi un antico mulino.
Arrivati
al centro del paese, si può visitare la chiesa
parrocchiale di Sant’Anna che
custodisce al suo interno un interessante corpus di
statue di santi e madonne, tra cui la scultura lignea della santa titolare,
commissionata nel 1827 dall’ultimo barone di Palizzi, Tiberio De Blasio.
In
fondo all’abside si staglia la statua in marmo di Sant'Anna e la
Madonna, tra le prime opere
a tutto tondo sopraggiunte nella diocesi di Bova, entro lo scadere della seconda
metà del Cinquecento.
Dello
stesso periodo, ma di matrice artistica diversa, è la cupola che si innesta
nella navata sinistra, testimonianza della persistenza architettonica bizantina,
chiaramente percettibile all’esterno nell’uso del coccio per alleggerire la
struttura.
In
questa parrocchia, il vescovo Stavriano, istituì (1574) la prima comunia latina
della diocesi, alla quale devolvette tutte le proprietà delle chiese di
Palizzi. Vi potevano entrare a far parte solo chierici latini.
I
greci, così esclusi e ridotti in miseria, sopravvissero dedicandosi
all’agricoltura e alla pastorizia. Morirono lasciando eredi che mai si
sognarono di succedere al ministero dei genitori, irrimediabilmente sconfitti
dagli eventi.

Il
Castello
-
Il
Castello domina Palizzi Superiore elevandosi su un mastodontico costone roccioso
a 300 m s.l.m. con pareti a picco, in posizione dominante rispetto al centro
abitato. Era
considerato un baluardo difensivo per sfuggire alle incursioni dei nemici dei
secoli della pirateria turchesca. L’unica possibilità di accesso è la via
Castello a riprova della strategica posizione.
Non
si hanno notizie certe relative alla data di costruzione dell’edificio, ma su
una lapide posta all’ingresso si legge in latino che nel 1580 era “cadente
per vecchiaia”. La prima edificazione della rocca potrebbe risalire al XIII
secolo ma è probabile che il castello sia stato edificato dai Ruffo nel XIV
secolo.
Negli
anni, numerosi sono stati gli interventi a cui è stato sottoposto e che lo
hanno condotto all’aspetto con cui si mostra adesso.
L’impianto
difensivo venne rimaneggiato dai Romano, dai Colonna e dagli Erbo nel XVI
secolo, dagli Arduino di Alcontres nel XVIII secolo e fu poi trasformato in
palazzo residenziale dalla famiglia baronale dei De Blasio nel 1866 (nella
persona di Tiberio che decise di ricostruire il castello di Palizzi ad un
anno esatto della morte del padre avvenuta proprio nelle sue stanze) che sul
lato ovest edificarono il palazzo tutto in laterizio.
Dopo
la ricostruzione il castello fu utilizzato come residenza estiva da Don Tiberio
fino alla sua morte avvenuta nel 1873, all’età di soli 46 anni.
Dell’antico
impianto originario rimangono le alte mura di cinta con i possenti bastioni con
scarpa e toro di separazione, le bocche da fuoco a più livelli che seguono
l’andamento del costone roccioso e alcune tracce di merli e feritoie. Vi sono,
infine, due
torri, una cilindrica merlata sul versante est e una angolare sul versante
opposto.
La
porta d’ingresso, sovrastata da una caditoia, reca ancora lo stemma con
l’epigrafe di Francesco Colonna che lo restaurò nel 1580 e conserva ancora la
ghiera d’arco di pietra. Nel 1943 Carlo de Blasio vi si rifugiò, quando
Reggio venne bombardata dagli anglo-americani. Tra gli anni 1950-1960
Ferdinando, detto Nandino, utilizzò il castello nei mesi estivi con la
moglie donna Noemi e i suoi figli. Don Nandino provvide a fare apportare dei
piccoli restauri alla parte abitabile, che comunque risultarono insufficienti ad
arrestare il progressivo deterioramento.
Oggi,
anche quella parte abitabile restaurata, è quasi senza più copertura. Da un
certificato del Mastro d’atti di Palizzi, Saverio Grimaldi, risulta che nel
1751 il castello era cinto da mura con due torrioni. All’interno c’era una
grande scala con una sola finestra, la cucina “con sua ciminera focolare”,
una camera con soffitto di tavole rotto, “un’antecamera anche rustica
insuffitata di tavole”, una serie di altre stanze, magazzini e cantine.
L’impianto
è articolato e ciò è dovuto ai rimaneggiamenti e alle aggiunte delle
dominazioni succedutesi nei secoli. Corpi circolari merlati in posizione
sporgente rispetto alle cortine murarie dell’edificio principale movimentano
lo schema planimetrico. Tutti i prospetti sono arricchiti con cornicioni ad
elementi lineari, sottolineati sulla facciata principale da piccole forature
ovali. Numerose sono le bucature sui prospetti, finestre con arco a tutto sesto
segnano il piano terra, finestre ogivali e più complesse il piano
superiore.

L’ingresso
principale e quello sulla terrazza che domina il paese sottostante si collocano,
rispetto alla muratura, su un corpo avanzato merlato e dai contorni
smussati.
L’interno
presenta evidenti interventi di restauro (ancora in corso) con elementi di
rinforzo delle strutture in ferro e nuovi solai con travi in legno. Una
passerella in legno consente il camminamento nelle stanze principali.
Al
piano terra si rilevano selle ed altri elementi di periodo molto recente in cui
il castello fu destinato a ricovero animali. Le altre stanze, di cui quelle al
piano superiore inagibili a causa del crollo della copertura non ancora rifatta,
erano destinate a stalle, cucine, magazzini e stanze private. Il castello era
inoltre dotato di carceri ricavate nella roccia viva.
A
livello tecnico-costruttivo, si ha una muratura di pietrame informe posta a
letti orizzontali regolati con molta malta, mentre toro, cornici e beccatelli
sono in pietra calcarea. Su tutte le cortine ci sono interventi di zeppature in
laterizio e tegole rotte. Il corpo più recente eretto dai De Blasio è in
muratura portante.
Il
castello è stato dichiarato Monumento Nazionale dal Ministero dei Beni
Culturali e oggi risulta in fase di restauro.
La
fontana
commemorativa a Bruno Misefari
fu edificata nel 1973. Realizzata
in pietra bianca calcarea, è situata nella piazza principale del Comune. Nella
roccia della fontana è posizionata una lapide di marmo nero
del Belgio, contenente le ossa dell'"anarchico di Calabria".
Di
recente edificazione la frazione marina che si estende sulla magnifica
costa meta nidificatoria delle Tartarughe
Marine Caretta Caretta.
Palizzi, infatti, è comune capofila del progetto
Life Caretta Calabria che
si inserisce a partire dal 2013 nel programma Life della DG Ambiente della
Commissione Europea.

Fonte:
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