Pentedattilo
è
una frazione del Comune di Melito
Porto Salvo.
Posto
a 250 metri s.l.m., Pentedattilo sorge
arroccato sulla rupe del Monte Calvario dalla caratteristica forma che
ricorda quella di una ciclopica mano con cinque dita (Pentedattilo
deriva da penta
+ daktylos = cinque dita).
Pentedattilo,
borgo carico di fascino e mistero, è immerso in un paesaggio incantevole, la Vallata
Sant’Elia, dove è possibile ammirare le bizzarre rocche arenarie
di Santa
Lena e di Prasterà in
mezzo alle distese di ginestra, agli ulivi, ai gelsi e ai fichi d’India, e in
primavera ai mandorli in fiore e alle mimose.
La
Vallata custodisce inoltre, distribuiti nel territorio tra Pentedattilo e
Fossato, diversi mulini dalla tipologia a ruota greca, in passato alimentati
dalle acque della fiumara Sant’Elia, risorsa importantissima per l’economia
della vallata.
Ma
l’elemento che più di ogni altro cattura l’attenzione è la maestosa rupe
di arenaria sovrastante il borgo.
Quello
che era l'antico paese, a 320 metri di altitudine, è stato definitivamente
abbandonato nel 1971, dopo che, tre anni prima, era stato dichiarato
inabitabile: la popolazione era infatti migrata leggermente più a valle
formando un nuovo piccolo centro dal quale si poteva ammirare il vecchio paese
fantasma.
Solo ultimamente nel
borgo stanno risorgendo una serie di attività: artigiani locali hanno aperto
alcune botteghe per la vendita dei propri prodotti, ed è presente un
ristorante. Il parziale ripristino del borgo ha compreso il rifacimento della
pavimentazione della stradina principale ed il restauro di alcuni edifici.
Il
piccolo paese mantiene inalterato il suo fascino e costituisce un vero
patrimonio storico da conoscere e da tutelare.
Pentedattilo
è uno dei borghi più pittoreschi e misteriosi dell’intera Calabria, ed il
suo fascino catturò la sensibilità anche di artisti stranieri, come il
viaggiatore inglese Edward
Lear incantato dalle “meravigliose rocce scoscese di
Pentedattilo” e il litografo olandese Maurits
Cornelis Escher che dai numerosi disegni realizzati su
Pentedattilo trasse quattro splendide incisioni.

Colonia calcidese nel 640
a.C.,
fu per tutto il periodo greco-romano un
fiorente centro economico della zona; durante il dominio romano divenne inoltre
un importante centro militare per la sua strategica posizione di controllo sulla fiumara Sant'Elia,
via privilegiata per raggiungere l'Aspromonte.
Come
indica la “Vita” di Sant’Elia di Enna, il centro esisteva già nel IX
secolo, fungendo probabilmente da torre di guardia dell’asse di collegamento
tra Reggio e Bova. Alla fine dell’era bizantina, il castellion venne
inglobato tra i beni fondiari monastici di Santa Maria di Terreti e San Nicola
di Calamizzi, per passare nel 1144 all’archimandrita del Santisimo Salvatore
di Messina, tra i beni fondiari di Valle Tuccio. Con gli Angiò la fortezza
acquisì notevole importanza nella guerra contro gli Aragona. Nel 1274 vi
risiedevano un castellano e quattro “servientes” mentre
nel 1282, durante la guerra del Vespro, è menzionata tra i castelli da
rifornire di orzo e frumento in vista di rappresaglie.
L’anno
dopo, Pentedattilo, veniva però presa dagli Almogaveri, i mercenari al servizio
degli aragonesi nella guerra contro i provenzali. Potrebbero risalire a questi
anni le grandi cisterne su cui un tempo si innalzavano i piani alti della
fortezza, murature identiche per colore e forme alle architetture rocciose della
rupe che domina le valle. A partire dal Trecento, il borgo passò ai Letizia e
nel 1476 ai Francoperta che lo detennero fino al 1589, quando per problemi
fiscali, fu venduto all’asta e aggiudicato a Simonello degli Alberti di Messi.
Originario
di Pentedattilo era Pietro Vitale, l’abate di Grottaferrata che perorò la
causa dell’unione delle chiese d’Oriente e d’Occidente nel Concilio di
Firenze del 1439.
Ad
accogliere i visitatori è la chiesa dei Santi Corifei Pietro e Paolo, che
associa al campanile cuspidato della facciata di gusto barocco, una cupola in
tardo stile neo bizantino all’estremità opposta della navata.
All’interno,
sull’altare, una copia della tela di Antonio Alberti detto il Barbalonga,
Marchese di Pentedattilo, formatosi a Roma al seguito di Domenichino.
Interessante documento storico è la lapide affissa sul fianco destro, che
ricorda il prete Domenico Toscano di Bova, fiero di essere stato il primo
arciprete latino di Pentedattilo. Il marmo, recante la data 1655, è frutto
della latinizzazione sostenuta, alla fine del Cinquecento, dall’arcivescovo
Annibale D’Afflitto, il quale durante le visite pastorali, annotava
infastidito che il clero di queste periferie sapeva scrivere solo in greco.
Sostenitori della Chiesa di Roma erano a quel tempo i Domenicani, chiamati nel
borgo nel 1554 dal barone Demetrio Francoperta. Ai frati il barone cedette le
rendite dell’antica chiesa bizantina della Candelora, ai piedi del paese,
arricchendola nel 1564 con la statua della Madonna con Bambino, attribuita oggi
ad una personalità vicina tanto ai modi dello scultore Giovan Angelo Montorsoli
che a quelli di Martino Montanini. Ma il convento ebbe vita breve. La sua
soppressione nel 1651, mise fine alla vicenda dell’insediamento Domenicano più
a Sud della Calabria, dal momento che l’Ordine non riuscì mai a penetrare
nella diocesi greca di Bova.
Circa
trent’anni dopo, un altro evento, ben più drammatico sconvolse il borgo: la
Strage degli Alberti.
Protagonisti
di questa vicenda furono i membri di due nobili famiglie; quella degli Alberti,
marchesi di Pentidattilo, e quella degli Abenavoli, baroni di Montebello
Ionico ed
ex feudatari di Pentidattilo.
Fra
le due famiglie per lungo tempo vi era stata un'accesa rivalità per questioni
relative ai confini comuni; tuttavia verso il 1680 le tensioni fra le due casate
sembravano andare scemando sia per pressioni del Viceré, che intendeva
pacificare la zona, sia perché il capostipite della famiglia Abenavoli, il
barone Bernardino, progettava di prendere in moglie Antonietta, figlia del
marchese Domenico Alberti.
Nel
1685 il marchese Domenico morì e gli succedette il figlio Lorenzo, che alcuni
mesi dopo la morte del padre sposò Caterina Cortez, figlia di don Pedro Cortez,
consigliere del Viceré di Napoli, Gaspar
Méndez de Haro y Guzmán.
In occasione di tale matrimonio da Napoli giunse
in Calabria un
lungo e sontuoso corteo che comprendeva, oltre alla sposa, don Pedro Cortez con
la moglie e il figlio Don Petrillo Cortez. Don Petrillo ebbe quindi occasione di
conoscere Antonietta e, rimasto dopo le nozze con la madre a Pentidattilo, causa
una sua improvvisa malattia, ebbe l'occasione di frequentarla e di
innamorarsene; chiese dunque a Lorenzo di poter sposare Antonietta ed il
marchese Alberti acconsentì alle nozze della sorella.
La
notizia del fidanzamento ufficiale fra Don Petrillo Cortez e Antonietta Alberti
mandò su tutte le furie il barone Bernardino Abenavoli che, ferito nei
sentimenti e nell'orgoglio, decise di vendicarsi su tutta la famiglia Alberti.
Nella notte del 16 aprile 1686 Bernardino, grazie al tradimento di Giuseppe
Scrufari, servo infedele degli Alberti, si introdusse all'interno del castello
di Pentidattilo con un gruppo di uomini armati. Giunto nella camera da letto di
Lorenzo, lo sorprese durante il sonno sparandogli due colpi di archibugio e
finendolo con 14 pugnalate.
In
seguito, assieme ai suoi uomini, si lanciò all'assalto delle varie stanze del
castello uccidendo gran parte degli occupanti compreso Simone Alberti,
fratellino di 9 anni di Lorenzo, mortalmente sbattuto contro una roccia. Da tale
massacro furono risparmiati Caterina Cortez, Antonietta Alberti, la sorellina
Teodora, il fratellino Luca, la madre Donna Giovanna e Don Petrillo Cortez,
preso in ostaggio come garanzia contro eventuali ritorsioni del Viceré verso
gli Abenavoli.
Dopo
la strage Bernardino trascinò nel suo castello a Montebello
Ionico l'ostaggio
Don Petrillo Cortez e l'amata Antonietta, che sposò nella chiesa dittereale di San
Nicola il
19 aprile 1686. La notizia della strage in pochi giorni giunse al Governatore di Reggio,
quindi al Viceré che inviò una vera e propria spedizione militare. L'esercito,
sbarcato in Calabria,
attaccò il Castello degli Abenavoli, liberò Petrillo e Antonietta Cortez, e
catturò sette degli esecutori della strage (compreso lo Scrufari), le cui teste
furono tagliate ed appese ai merli del castello di Pentidattilo.
Il
barone Abenavoli, grazie a vari espedienti e appoggi, riuscì a sfuggire alle
truppe del Viceré insieme ad Antonietta e, dopo aver affidato la moglie ad un
convento, scappò prima a Malta ed
in seguito a Vienna dove
entrò nell'esercito austriaco. Nominato capitano, fu ucciso da una palla di
cannone durante una battaglia navale il 21 agosto 1692.
Antonietta
Alberti, il cui matrimonio con Bernardino fu annullato dalla Sacra Rota nel 1690
perché contratto per effetto di violenza, finì i suoi giorni nel convento di
clausura di Reggio
Calabria,
consumata dal dolore e dell'angoscia di essere stata lei l'involontaria causa
dell'eccidio della sua famiglia. Uno dei pochi superstiti che rimasero in vita
fu Luca Alberti, di soli 17 anni, fondatore dell'omonima famiglia nobile che si
insediò nei territori Siciliani e che morì di tubercolosi nel 1734. La storia
della Strage degli Alberti nel corso dei secoli ha dato origini
a varie leggende e dicerie. Una di queste afferma che un giorno l'enorme mano si
abbatterà sugli uomini per punirli della loro sete di sangue. Un'altra dice che
le torri in pietra che sovrastano il paese rappresentano le dita insanguinate
della mano del barone Abenavoli (per questo motivo Pentidattilo è stata più
volte indicata come "la mano del Diavolo").
Un'altra infine narra che la sera, in inverno, quando il vento è violento tra
le gole della montagna si riescono ancora a sentire le urla del marchese Lorenzo
Alberti, mentre nelle sere di sola luna piena, si possono udire lamenti
provenire dall'alto della montagna: probabilmente si tratta dei morti che,
dall'aldilà, reclamano vendetta.
Fino
a pochi decenni fa, la gente del posto indicava in una parete della sala del
palazzo in rovina, l’impronta delle cinque dita insanguinate del marchese
Lorenzo, la cui forma stranamente coincide con quella della rocca di
Pentedattilo.
A
quei tragici anni, o forse alla vigilia del secolo successivo, potrebbe risalire
il San
Cristoforo, affrescato su una roccia che guarda la valle percorsa
dalla fiumara di Pentedattilo, un tempo risorsa idrica per una statio romana: Decastadium.
Scoprire
il centro storico
In
tempi recenti il “paese fantasma” sta rinascendo grazie alle iniziative
promosse dall’Agenzia
Borghi Solidali, che ha consentito di avviare nelle vecchie casette
del borgo importanti attività: la rete dell’ospitalità diffusa, il museo
delle tradizioni popolari, mostre, laboratori didattici, botteghe artigiane.
Inoltre,
ogni estate l’antico borgo e il suo anfiteatro sono una delle tappe più
importanti del prestigioso festival itinerante Paleariza,
magnifica celebrazione musicale delle antiche radici della cultura grecocalabra,
che accoglie da quasi venti anni migliaia di persone, muovendosi tra
Pentedattilo, Melito Porto Salvo, Bagaladi, Condofuri, Roghudi, San Lorenzo,
Bova, Palizzi, Bova Marina, Staiti e negli ultimi tempi anche Cardeto,
Montebello Jonico e Roccaforte del Greco.
Ed
ancora, nella magica atmosfera di Pentedattilo si svolge, solitamente tra agosto
e settembre, il festival internazionale di cortometraggi “Pentedattilo
Film Festival” che accoglie ogni anno artisti da ogni parte del
mondo.
Indimenticabili
le passeggiate nelle strette stradine del borgo e la vista dell’Etna. Un
panorama unico e suggestivo che offre tramonti carichi di magia.
La
fondazione di Pentedattilo,
risale all’epoca alto medievale e può essere attribuita al diffuso fenomeno
di riorganizzazione del territorio e delle strutture difensive e insediative
che, a partire dal VII secolo e, con maggior frequenza tra il IX e il XII
secolo, consolida la tendenza da parte delle popolazioni ad abbandonare le zone
costiere, ormai insalubri ed insicure a causa degli impaludamenti, provocati da
selvaggi disboscamenti, e dalle scorrerie dei saraceni.
Assieme
a questa risalita lungo le valli, alla ricerca di siti salubri e difendibili,
iniziò il processo di “ellenizzazione medievale”, dovuto alla
colonizzazione monastica orientale.
Tra
le prime opere ci fu la costruzione del Castello
di Pentedattilo, un castello feudale edificato nel XIV secolo posto
a 454 m s.l.m. e distante 32 km da Reggio Calabria.
Pentedattilo,
citata tra le sedi protopapali dell’area reggina durante la dominazione
bizantina, nel periodo della dominazione angioina, pur essendo fondo
ecclesiastico, ha un suo presidio fortificato; mentre nel periodo tra la
dominazione angioina e quella aragonese, appartiene al monastero archimandricale
del SS. Salvatore di Messina.
Alla
fine del XV secolo, i Francoperta da Reggio, furono i primi feudatari laici
della baronia di Pentedattilo trasformando l’aspetto militare del castello in
struttura residenziale. A loro subentrarono gli Alberti di Messina nel 1589, i
quali comprarono la baronia per 15.180 ducati e la tennero fino al 1686.
Risalgono a questo periodo le opere di ampliamento e potenziamento del castello,
che venne dotato di baluardi e ponte levatoio.
Il
XVII secolo è segnato da feroci lotte feudali tra gli Alberti di Messina e gli
Abenavoli di Montebello, ed è nota la vicenda riguardante la strage degli
Alberti perpetrata verso la fine del 1600 da Bernardino Abenavoli Barone di
Montebello.
Dopo
la dolorosa vicenda il maniero fu abbandonato e subì un inevitabile degrado.
Nel 1760 il feudo passò a lorenzo Clemente, marchese di S. Luca, ma il
terremoto del 1783 danneggiò notevolmente l’abitato ed il castello e
Pentedattilo venne indicato tra i centri da ricostruirsi in altro luogo. Ma gli
abitanti del paese incontrarono enormi difficoltà a trasferirsi sulla costa per
l’opposizione del feudatario e per l’estrema povertà in cui versavano.
Il
feudo fu acquistato, nel 1823 dai Ramirez di Reggio, e fu abitato fino al
terremoto del 1908, che assieme a frane ed alluvioni fece sì che il borgo
pittoresco rimanesse disabitato.
I
ruderi del castello si modellano sulle asperità della rupe che domina
l’abitato confondendosi con la roccia.
Tramite
una ripida scalinata è possibile accedere all’interno del castello dove si
possono individuare i vani voltati a botte e parte di un territorio circolare, e
al di sotto di una zona pavimentata, attraverso canali circolari, sono visibili
stanze ancora coperte.

Fonte:
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