Roghudi è
un comune
italiano della città
metropolitana di Reggio Calabria.
La
caratteristica principale del comune di Roghudi è quella di essere suddiviso in
due differenti porzioni non confinanti poste a grande distanza l'una dall'altra
(circa 40 km).
La prima di esse è posta nelle vicinanze di Melito
di Porto Salvo, del cui territorio comunale costituisce un'enclave,
contenente l'attuale sede comunale e l'abitato di Roghudi Nuovo; la seconda è
posta all'interno, sulle pendici meridionali dell'Aspromonte,
nella quale si trova il borgo, ormai abbandonato, di Roghudi Vecchio (a poca
distanza da quest'ultimo vi è anche la frazione Ghorìo, a sua volta
disabitata).
L'appellativo di Nuovo, connota la
fondazione recente, in contrapposizione al termine Vecchio, attribuito dal 1972
al centro storico originario, ormai abbandonato e divenuto metafora della
condizione in cui versano molti borghi interni dell'Area Grecanica. Tuttavia nel
nuovo paese è possibile trovare ancora oggi molti parlanti l'antico idioma
greco, detentori di un bagaglio di tradizioni che prendono forma nell'intimità
dell'ambiente casalingo e in occasione delle ricorrenze religiose.
Nel
1971 Roghudi contava una popolazione residente di circa 1.650 persone, ma esso, essendo
stato edificato in una delle zone più piovose della Calabria, veniva spesse
volte colpito da eventi alluvionali estremi, fino ad arrivare a quello del 1971,
che in due giorni fece precipitare sulla zona l’equivalente della pioggia che
normalmente cadeva in un anno.
L’evento
rese il paese isolato per diverso tempo, provocò diversi morti e dispersi e
rese inagibili diverse abitazioni.
Successivamente
l’allora sindaco, Angelo Romeo, il 16/02/1971, firmava l’ordinanza con la
quale imponeva lo sgombero di tutte le famiglie presenti.
Questa,
venne accolta da gran parte della popolazione, che venne spostata nell’odierna
Roghudi, delocalizzata in un territorio a valle che all’epoca venne concesso
dal comune di Melito Porto Salvo.
Alcuni
irriducibili, per lo più anziani legati a doppio filo al loro territorio,
ignorarono l’ordinanza e continuarono a vivere con estremi disaggi nella loro
borgata, ma dovettero cedere di nuovo alla forza della natura che si ripresentò
in modo ancora più violento nella notte del 29/12/1973. Da allora a Roghudi
venne annoverato il triste titolo di Città Fantasma.
Una
piccola curiosità del luogo: ai muri esterni delle abitazioni venivano fissati
grossi chiodi a cui venivano legate delle corde, all’altro capo delle funi
venivano legati i bambini per le caviglie. Questa che può sembrare una pratica
barbara era invece resa necessaria per evitare che gli stessi cadessero dagli
altissimi dirupi presenti in ogni dove, e venne adottata dopo la morte di
numerosissimi bambini.
Alcuni
giurano che recandosi in quei luoghi, di notte, si possono sentire ancora i loro
lamenti salire dai dirupi verso il paese, ma questa è solo leggenda….
Il
toponimo, come altri in Calabria,
potrebbe derivare da lingue del Vicino Oriente, portate nell'estrema penisola italiana durante
il III millennio avanti Cristo. Roghudi avrebbe la sua radice nell'amarico ruha (respiro,
vento) seguita da un suffisso indicativo di località (-adi). "Ruhadi",
descrittivo di un luogo molto ventoso, come è in realtà. Appartenendo
all'area
grecofona, il nome potrebbe più probabilmente derivare dal greco rhogodes ("pieno
di crepacci") o da rhekhodes ("aspro").
La vecchia
Roghudi sorge al centro del letto della grande fiumara Amendolea, a circa 500 m.
s.l.m. In seguito alle alluvioni dei primi anni '70 fu decretato il
trasferimento dell'abitato nell'attuale nuovo sito, un'isola amministrativa
all'interno del territorio del comune di Melito Porto Salvo. Il nuovo centro
abitativo, assolutamente privo di caratteristiche significative architettoniche,
ancora oggi manca di alcuni servizi primari per la popolazione.
Nel territorio
di Roghudi rientra la frazione di Chorio, sempre viva, ubicata in una zona
riparata. Vi abitano intagliatori e tessitrici di ginestra, che ripetono gli
antichi motivi ornamentali della tradizione greco-latina. La qualità del
formaggio locale (i cui stampi sono realizzati dagli intagliatori, insieme ad
una miriade di altri oggetti caratteristici) è pregiata: si tratta di un
prodotto molto ricercato dagli abitanti dei paesi limitrofi. L'economia di
questo centro è agricola, con una buona produzione di grano e olive.
Roghudi
era sorto intorno al 1050 da alcuni gruppi di pastori nomadi che decisero di
insediarsi e costruire le prime abitazioni. Con i dissesti dell’inizio del
1971 i 1650 abitanti del borgo aspromontano dovettero abbandonare le proprie
dimore e si sparsero nelle zone limitrofe della provincia di Reggio Calabria.
Alcuni, stoici, resistettero, riparando nella frazione di Ghorio di Roghudi (o
Chorio – in greco “Paese”), ma presto, con i nuovi smottamenti del 1973,
dovettero cedere al volere della natura.
Così
Roghudi fu abbandonata e, come già detto, sul finire degli anni ottanta nacque
una enclave nel territorio di Melito di Porto Salvo dove sorse la nuova Roghudi.
È così che terminò il secolare isolamento della popolazione di Roghudi, una
distanza e impossibilità di intrecci con i paesi più vicini constatabile ancor
oggi: per arrivare al borgo abbandonato non esistono infatti strade asfaltate;
dopo aver percorso la strada provinciale bisogna procedere per stradine
accidentate, piene di buche e in preda alla vegetazione.
Il
lungo isolamento di Roghudi ha portato al mantenimento di un particolarissimo
dialetto, il grecanico (o greco calabrese), una lingua che è una mescolanza tra
l’antico greco dei territori della Magna Grecia e il dialetto calabrese. Tra i
poeti grecanici Roghudi ha dato i natali a Mastr’Angelo Maesano, Francesca
Tripodi, Salvatore Siviglia e Salvino Nucera; di quest’ultimo esistono alcune
opere come Agapào na Graspo (Città del Sole Edizioni) e Chalònero
(Qualecultura). Il grecanico è una lingua affascinante ed enigmatica, un idioma
del quale oggi sono in pochissimi i conoscitori e che, come il vecchio borgo, è
destinato a sparire.
In
quello che fu il centro di Roghudi e nelle frazioni di Ghorio e Ghalipò le case
sono costruite in pietra e oggi risultano ricoperte di piante, fogliame, rovi e
muffa.
Le
piccole abitazioni – ma tante, considerati i 1650 abitanti al tempo
dell’esodo – oggi sono divenute dimora di topi e pipistrelli, a loro agio
tra le tenebre e la vegetazione. Generano un misto tra malinconia e inquietudine
i letti, le sedie, i mobili e gli armadi totalmente distrutti ma ancora presenti
in molte case, segno di una vita che c’era e che ora non c’è più. Tra i
vicoli muti di Roghudi spirano venti di tempi passati, di vecchie leggende
greche che si tramandano tra i più anziani, bambini nella Roghudi che fu, ora
lontani dal paese natio.
Nella
frazione di Ghorio di Roghudi esistono due rocce che, modellate da secoli di
vento e di pioggia, hanno acquisito una particolare conformazione: la “Rocca
tu dracu”, Roccia del drago, ha una forma che ricorda la testa di un drago, e
leggenda vuole che fosse lui a decidere il destino del borgo e a regolarne le
alluvioni e gli smottamenti; le cosiddette “Vastarùcia“, le Caldaie del
latte, sono altre rocce che, modellate dagli agenti atmosferici, hanno assunto
una forma sferica in alcune parti, e secondo leggenda servirono da nutrimento
per il drago padrone del borgo.
Altre
leggende vogliono che di notte i coraggiosi visitatori del centro disabitato
sentano le urla dei bambini cascati in passato nel burrone che dà sulla fiumara
Amendolea o le sirene delle Anarade, donne con zoccoli di mulo al posto dei
piedi in ricerca perenne di uomini da sedurre.
La
chiesetta di San Nicola, recentemente
ristrutturata, nonostante il paese sia disabitato, è un luogo sacro umile e che
conserva tutto il suo stile contadino che forse anche per questo la rende unica
e preziosa. All'interno, sul grazioso altare, è deposta una croce costruita con
dei piccoli rametti di legno.
Meta
di pellegrini e appassionati dell'atmosfera unica di Roghudi, la chiesetta di
San Nicola, è stata edificata nella piccola piazza del borgo costruito ai piedi
della Fiumara Amendolea.

Leggende
Come è giusto
che sia, a tramandare le leggende di questo luogo sono gli anziani che hanno
trascorso la loro infanzia nell’antico borgo. Una delle leggende più
conosciute del posto ruota attorno alla figura delle Narade o Anarade, delle
donne con dei piedi a forma di zoccoli che vivevano nella contrada di Ghalipò,
subito difronte Roghudi. Secondo la leggenda si narra che le anarade
cercassero di attirare le donne del paese spingendole verso il fiume per lavare
i panni per poterle uccidere, cosi che gli uomini potessero accoppiarsi solo con
loro. I trucchi per attirare le donne erano diversi, come assumere la voce di
familiari o conoscenti. Per proteggersi dalle loro irruzioni vennero
costruiti tre cancelli, collocati in tre differenti entrate del paese: uno a
“Plachi”, uno a “Pizzipiruni” e uno ad “Agriddhea”.
Altra leggenda
che si tramanda ha come luogo una frazione del borgo chiamata Ghorio ed
anch’essa oggi completamente abbandonata. Questa frazione si caratterizza per
la presenza di un masso dalla strana forma e chiamata Rocca
tu Dracu, il cui significato risale al termine ellenistico Draku che
vuol dire occhio. La leggenda in questione vuole che quella roccia sia in realtà
la testa di un drago che custodiva un inestimabile tesoro. Questo tesoro poteva
essere assegnato solo ad un coraggioso guerriero il quale però avrebbe dovuto
superare una terribile prova: sacrificare un neonato un capretto ed un gatto
nero. Nessuno ebbe mai il coraggio di sfidare il furioso drago fin quando
un giorno venne alla luce un bambino con delle malformazioni, che venne affidato
a due uomini affinché se ne sbarazzassero. Cosi i due uomini, pensando alla
vecchia leggenda, decisero di prepararsi alla prova di coraggio per il
sacrificio e ottenere il tesoro del drago. Dopo aver sacrificato i due animali,
gli uomini passarono al neonato ma un violenta tormento li scaraventò nelle
caldaie del drago uccidendo uno dei due uomini e salvando la vita al
neonato.
- Fonte
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