Il centro
abitato di Santa Cristina d'Aspromonte sorge in una zona
collinare della Piana
di Gioia Tauro ed è situato nella parte più interna della costa
settentrionale dell'Aspromonte del
versante tirrenico.
L'origine del
nome di Santa Cristina d'Aspromonte, di derivazione greca, può essere
identificato tramite due ipotesi:
Nel VI secolo d.C. gli
abitanti hanno assegnato il nome al loro paese in onore di Santa
Cristina di Bolsena, appassionati dalla vita della Santa.
Il nome gli è
stato assegnato per la presenza del fiume Cristina che scorreva vicino al centro
abitato.
L'origine del
paese è ancora oggi sconosciuta, ma la prima fonte scritta che documenta
l'esistenza del centro abitato risale al X secolo d.C.,
in un brano della Vita di Sant'Elia
il Giovane, nel quale viene riportato che il Santo visse per un periodo,
tra l'880 ed il 902, nel castello di Santa Cristina predicando la fede cristiana e
profetizzando l'invasione dei Saraceni. All'epoca
quasi tutta la Calabria era
governata dai Bizantini,
i quali la suddivisero in "turme"; Santa Cristina faceva parte della
turma delle Saline che corrispondeva in parte con l'attuale territorio della piana
di Gioia Tauro. Per alcuni secoli Santa Cristina non comparirà in
alcun documento pubblico, a differenze dei suoi casali che risultano documentati
in un atto di donazione alla diocesi
di Oppido.

Nel XIII secolo
Santa Cristina riuscì a difendersi da numerosi attacchi grazie alle sue
fortificazioni. Durante il dominio svevo, Fulcone Ruffo di Sinopoli,
nipote di Pietro
Ruffo e capitano del suo esercito, nel 1255 si
rifugiò a Santa Cristina per sfuggire all'attacco dell'esercito di Manfredi che
aveva assoggettato la Calabria tranne il castello cristinese e quello di Motta
Bovalina. Fulcone rafforzò le mura del castello, difatti Manfredi non
riuscì ad invadere Santa Cristina se non nel 1258 quando
Ruffo si arrese. Nel 1269,
grazie a Carlo
d'Angiò, Fulcone si riprese Santa Cristina dove governò fino al 1272,
anno della sua morte. A lui, durante la guerra tra Angioini e
Aragonesi, seguirono gli altri membri della famiglia
Ruffo Enrico, Guglielmo e, dal 1462,
Carlo.
Nella seconda
metà del XV secolo Ferrante consegnò
Santa Cristina e i suoi casali a Vincenzo Malatesta di Aversa per poi venderli a
Florio Ravarello per 2.000 ducati.
Successivamente il feudo di Santa Cristina fu separato definitivamente dalla
Contea di Sinopoli e,
sul finire del secolo, fu acquistato da Carlo
Spinelli per 3.000 ducati. Alla morte di Carlo, nel 1540,
gli successe il figlio Pietroantonio, al quale seguì il primogenito Carlo II
nel 1554,
che fu il primo conte di Santa Cristina, elevato il 28 aprile 1559 da Filippo
II.
Nel 1565 Carlo
II vendette la Contea ed i casali a Pietro Giacomo Brancaleone, a patto che
avesse avuto la possibilità di ricomprarli, ma nel 1568 morì
e nel 1570 il
figlio, Scipione I, riscattò i beni del padre divenendo così il secondo conte
di Santa Cristina. Carlo, subentrato al padre Scipione I, fu proclamato terzo
conte nel 1604;
alla sua morte, nel 1614,
la Contea passò al figlio Scipione II. Nel 1659 Scipione
II morì e gli successe il figlio Carlo Filippo Antonio. Nel 1684,
dopo un'aspra contesa con Pietro
Taccone, Carlo Filippo Antonio fu costretto a cedergli il casale di Sitizano,
già staccatosi da Santa Cristina tra il 1666 e il 1670.
Nel 1711 Lubrichi, Paracorio, Pedavoli, Santa
Giorgia e Scido,
pur restando casali di Santa Cristina, cercarono di amministrarsi autonomamente, per
poi essere costretti a riconciliarsi. Nel 1714,
quando Carlo Filippo Antonio morì, non avendo eredi, Santa Cristina e i suoi
casali passarono al nipote Scipione III, figlio di suo fratello Giovanbattista. Tra
il 1715 e il 1738 Santa Cristina perse il casale di Cuzzapodine a causa
dell'estinzione della popolazione. Nel 1770 Scipione
III donò la Contea al primogenito Giovanbattista II. Il 5 febbraio 1783 Santa
Cristina, come tutta la Calabria meridionale, fu colpita da un violento
terremoto che la rase al suolo, distruggendo anche il castello e le
7 chiese, e che causò la morte di circa 800 persone, più della metà
dell'intera popolazione. I sopravvissuti alla calamità si spostarono in un sito
vicino, chiamato "Scoffetta", dove si stabilirono e formarono il primo
nucleo del nuovo paese.
Con l'arrivo
dei francesi e
la conseguente abolizione del sistema
feudale, la famiglia Spinelli mantenne Santa Cristina e i casali
fino al 1806. Con il Decreto del 4 maggio 1811 Paracorio e Pedavoli si
separarono da Santa Cristina per diventare due comuni autonomi. Il 1º
gennaio 1838 Scido
e Santa Giorgia si divisero da Santa Cristina per formare un comune autonomo con
sede principale Scido. Con il Decreto nº1795 dell'8 maggio 1864 Santa
Cristina cambiò denominazione in "Santa Cristina d'Aspromonte".
Il 16 novembre 1894 Santa
Cristina fu colpita da un terremoto,
che causò morti e danneggiò le abitazioni. Negli anni successivi si
susseguirono diversi eventi sismici, uno
nel 1905 e un
altro nel 1907. Il più catastrofico fu però quello
del 1908, che danneggiò tutte le abitazioni, ma non causò morti. Durante
la prima guerra
mondiale persero la vita 45 militari di Santa Cristina d'Aspromonte, mentre
nella seconda
guerra mondiale ne morirono 23.
Monumenti
e luoghi d'interesse
CHIESA DI
SAN NICOLA DI MIRA - La chiesa intitolata a San Nicola di Mira, Santo
patrono di Santa Cristina d'Aspromonte, è stata ricostruita intorno agli ultimi
decenni del XVIII secolo in un percorso di riedificazione avviato a seguito del
disastroso sisma del 1783.
L'impianto
strutturale a tre navate è di stampo basilicale, caratterizzato da muratura in
cemento armato secondo quanto stabilito dalle normative in materia edilizia
approvate a seguito del terremoto.
La chiesa al
suo interno vanta numerosi elementi decorativi particolarmente eleganti, la cui
realizzazione viene attribuita a Giuseppe Geraci, che si occupò a partire dal
1935 della realizzazione dell'abside e delle decorazioni in stucco, negli anni
'40 Antonio Geraci, diede avvio alla creazione dei fregi e dei capitelli.
Il soffitto a
finti cassettoni lignei completa un interno già armonioso, in cui le navate
laterali sono divise da quella principale mediante archi a tutto sesto poggianti
su lesene sormontate da capitelli corinzi. Molti arredi ed elementi costitutivi
posti all'interno della chiesa provengono dalla struttura originaria, come il
fonte battesimale, alcuni stemmi e due acquasantiere.

CHIESA DI
SAN FANTINO - Edificata nella frazione Lubrichi dopo il terremoto del 1783,
al suo interno è visibile un fonte battesimale in marmo di notevole pregio
datato 1735.
La chiesa di S.
Fantino si erge su un basamento lapideo preceduto da una scalinata
semicircolare. Il prospetto a capanna, delimitato alle estremità da due lesene
architravate, con un antico portale d'ingresso incorniciato da lesene ioniche e
timpano spezzato curvilineo con iscrizione.
L’impianto
strutturale primario denota una maestosità dimensionale, marcata anche dalla
scalinata attraverso la quale si accede alla chiesa. In pianta la chiesa è a
navata unica con nicchie laterali e abside semicircolare sopraelevata. La
decorazione interna è sobriamente realizzata dalla composizione delle lesene,
di diverse dimensioni, e dalle cornici. L'interno è scandito da un'unica
navata, arricchita dal ritmo delle arcate interne, il presbiterio e l'altare
maggiore sono inquadrati dall'arco santo
Per alcuni
storici dell’arte, opera del pittore di Taverna Mattia Preti, è lo splendido
quadro della Madonna
del Rosario in cui la Vergine, vestita con abito bianco e un
mantello azzurro, ha in braccio il Bambinello e ai piedi i Santi Domenico e
Caterina.

CHIESA
DI MARIA SANTISSIMA ASSUNTA - Chiamata anche "Oratorio", fu
costruita su richiesta del Priore della Confraternita della Santissima Assunta,
Nunzio La Cava, con l'approvazione dal Vescovo il 28 maggio 1838. Fu finita
di costruire intorno al 1860.
Nel 2009 la
chiesa è stata ristrutturata su progetto dell'architetto Giuseppe Portolese.
La chiesa è
formata da un'unica navata che culmina con un'abside semicircolare sopraelevata
su due gradini. A destra del presbiterio si trova una cappella. La navata è
divisa in tre campate con semipilastri incassati alle pareti e collegati da
archi a tutto sesto. Il campanile si erge nella parte sinistra della chiesa e
presenta una forma quadrata.
PALAZZO
LONGO MAZZAPICA - Uno dei palazzi più signorili del borgo, edificato agli
inizi dell’Ottocento, conserva un portale in pietra squadrata con arco a tutto
sesto, decorato alla chiave di volta. Ha due entrate, una delle quali porta alla chiesetta
dell’Assunta.
In passato
quest’ala venne utilizzata per accogliere minori in difficoltà, da qui la
denominazione di “oratorio”. Sulla facciata principale, in un ovale in
pietra, si può osservare lo stemma della famiglia Mazzapica. E’ il primo
edificio di Santa Cristina costruito dopo il terremoto del 1783.

TORRE
DELL'OROLOGIO - Non si conosce con precisione la data di costruzione della
torre dell'orologio. In un documento comunale del 1832 è attestata la sua
presenza già a partire dal 1831.
Intorno al 1954
fu modificato l'aspetto strutturale: furono livellate le pareti ed eliminate le
strisce trasversali, fu innalzato il quadrante di qualche metro e fu aggiunto un
secondo quadrante su una facciata laterale. Intorno al 1970 fu installata una
sirena. Nell'agosto del 2014 si sono conclusi i lavori di ristrutturazione che
hanno riportato la struttura all'aspetto originario.
MONUMENTO AI
CADUTI - Situato nella piazza principale del comune. Fu realizzato dallo
scultore Concesso
Barca nel suo laboratorio a Firenze e
fu eretto nel 1928 in onore ai caduti della prima
guerra mondiale.
Il monumento è
composto da un piedistallo a pianta quadrata sopraelevato su due gradini e da
una scultura di bronzo raffigurante due soldati in combattimento: uno ferito a
terra e l'altro in piedi che lo difende.
PIANI DI
ZERVO' - Area di 167 ettari ricadenti
per l'89,6% nel comune di Santa Cristina d'Aspromonte. La maggior parte del
territorio è ricoperta da faggi,
in minima parte misti ad abeti,
e da lecci.
La superficie,
tra il 1924 ed il 1925, fu concessa dai comuni di Santa Cristina d'Aspromonte, Scido, Oppido
Mamertina, Platì e Varapodio all'ONIG per la costruzione del
"Sanatorio Antitubercolare della Calabria", un centro di cura per
i militari affetti da tubercolosi durante
la prima guerra
mondiale.
Il complesso
edilizio fu inaugurato il 28 ottobre 1929 e fu intitolato a Vittorio
Emanuele III. Nel 1934 l'ONIG chiuse e vendette il Sanatorio all'INFPS; quest'ultimo
solo nel 1954 proclamò la chiusura definitiva, consegnando, nel 1959, i terreni
ai rispettivi comuni.
Nel 1996 i
comuni di Oppido Mamertina, Santa Cristina d'Aspromonte e Scido concessero le
strutture ed i terreni dell'ex Sanatorio a don
Gelmini con lo scopo di creare una Comunità Incontro. A
seguito della morte del presbitero, nel 2014, la Comunità cessò la sua attività
nel territorio di Zervò. Nel 2015 il complesso è stato ceduto ad una
Cooperativa Sociale.
Fonte:
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