Taurianova
(Reggio Calabria)

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Situato su un terrazzo alluvionale ai piedi della dorsale che salda le serre all'Aspromonte, Taurianova è uno dei più importanti centri della provincia. È situata nella parte più meridionale della piana di Gioia Tauro, anticamente denominata "Vallis Salinarum" a circa 15 chilometri dal mare, 6 chilometri dalla montagna e a 800 metri dal corso d'acqua più vicino, il torrente Razzà.

Il nome deriverebbe da Nuova Taurianum, toponimo a sua volta derivante dall'antico insediamento della Magna Grecia, un tempo abitata dai calcidei di Zancle (l'odierna Messina) e dai bruzi della colonia Tauriana (o Taureana), quest'ultima distrutta intorno al 950-986 d.C. quando la più feroce delle incursioni saracene rase al suolo l’antica e florida città costiera di Taureana, disperdendone gli abitanti.  

Tra i vari paesi sorti o incrementati dai fuggiaschi, sicuramente dovevano esserci anche i due piccoli nuclei di Radicena e Iatrinoli, ipotesi avvalorata anche dal fatto che a Radicena sorgeva un monastero di monaci calabro-greci, intorno al quale erano ben sviluppate importanti attività agricole. L'avvento dei Normanni nel secolo XI, segna un'importante svolta nella storia della Piana, in quanto furono proprio loro ad introdurre il feudalesimo nel Mezzogiorno d'Italia

Con la sconfitta di Manfredi a Benevento, ai Normanni subentrarono i Francesi Angioini che si preoccuparono soltanto di depredare le terre conquistate. Ad accrescere lo stato di prostrazione del popolo della Piana, sopraggiunsero gli Spagnoli Aragonesi, che iniziarono a contendersi il dominio delle regioni meridionali agli Angioini. Pertanto il territorio della piana di Gioia Tauro, si trasformò spesso in campo di battaglia e proprio a causa del perdurare di tale situazione di depressione del popolo locale, si sviluppò il fenomeno del Brigantaggio, come sorta di ritorsione criminosa nei confronti di quello sfruttamento, che veniva esercitato dai Feudatari della zona. 

Così vanno le cose fino al 1738, quando per effetto del trattato di Vienna, si insedia a Napoli Carlo III di Borbone, dando inizio ad una nuova dinastia che dovrà durare, salvo la breve parentesi napoleonica, fino all'Unità d'Italia. Nel Febbraio 1783 il più terribile evento storico colpisce la zona della Piana, un tremendo terremoto sconvolge il territorio al punto di cambiarne l'orografia. La frazione di San Martino sede di un antico castello, viene spazzata via ed analoga sorte tocca a tutte le altre città della zona. Per tutto l'anno la terra continuò a tremare ed alla fine in tutta la Calabria si contarono, secondo lo storico Pietro Colletta sessantamila morti e duecento città o paesi distrutti. 

Solo a seguito dell'avvento del governo Francese, nel 1808 Napoleone Bonaparte nomina Gioacchino Murat Re di Napoli, il quale abolisce definitivamente il sistema feudale. Nel 1908 la situazione si ripete, ma in termini ancora ben più drammatici, il terremoto e maremoto di Messina e Reggio Calabria produce oltre 77.000 vittime di cui circa 17.000 tra il territorio di Palmi e Reggio. Iatrinoli e Radicena vedono sorgere rapidamente ai margini dell'abitato baraccamenti per profughi che diventano ben presto dei veri e propri quartieri. Oramai i due paesi si toccano e la nuova ferrovia, entrata in funzione nel 1924, contribuisce con la stazione comune, a saldarne i reciproci vincoli.

La città di Taurianova nasce ufficialmente come macro-comune il 12 marzo 1928, dal preesistente comune di Terranova (il quale riacquisterà poi la sua indipendenza amministrativa il 23 aprile 1946), unito alle località di Radicena e Jatrinoli, più l'annessione di frazioni e contrade quali San Martino, Amato, Pegara e Scroforio (quest'ultima poi riceduta al comune di Terranova Sappo Minulio.

Lo sviluppo dei due centri di Radicena e Iatrìnoli, all'origine dell'odierno nucleo urbano, e dell'attuale frazione San Martino, tutti antichi casali di Terranova, che per la loro posizione geografica si trovano al centro di un importante sistema viario, può considerarsi parallelo.

Attendibile è l'esperto di storia bizantina italiana André Guillou, il quale, richiamandosi a un documento di donazione, dimostra che Radicena esisteva fin dal 1050 e menziona dello stesso periodo il monastero di Santa Lucia situato ad ovest del suddetto centro. Padre Fiore, storiografo del Settecento, afferma che la loro fondazione è stata opera dei profughi provenienti da Tauriana, importante e fiorente centro della costa tirrenica, distrutto nel 986 dalle incursioni saracene dell'emiro di Palermo, Hasan-Ibn Alì, di casa Kelbita, il quale per il mancato tributo dovutogli dai Bizantini decise di occupare tutta la Calabria. Padre Fiore così si esprime: «Ond'è da trarre in conseguenza quanto grande e popolata fosse la già distrutta Taureana, mentre le sue reliquie furono bastanti a fondare la nuova città di Seminara, a riabitar Terranova, accrescere San Giorge, e forse ancora a dar principio a tutto dalla maggior parte dei villaggi i quali sono sotto la giurisdizione di Terranova, cioè Rizziconi, San Leo, San Martino, Cristò, Vatone, Radicena, Iatrinole, Bracade, Curtulade, Galatoni, Scroforio e Molochio».

Lo storico Giuseppe Romeo Toscano arriva alla conclusione che essendo "piazza Garibaldi" di Radicena tuttora denominata "Chianu 'i San Basili" (Piano di San Basilio), potrebbe darsi che ivi già sorgesse uno dei 137 monasteri italo-greci che lo storiografo polistenese Girolamo Marafioti afferma esservi stati nella Piana di San Martino, tra SeminaraRosarno e Galatro, e che un certo numero di profughi di Taureana vi avesse trovato rifugio dando origine all'antico nucleo cittadino. A sostegno di questa tesi il fatto che a Radicena dagli "Atti di visita pastorale" emerge che esisteva una chiesa di San Basilio nel 1586 e che dagli atti notarili di fine Seicento si incontra spesso la definizione "quarterio di San Basilio".

La derivazione di Radicena e Iatrìnoli da San Martino, invece, è dimostrata da Domenico Valensise, storico polistenese, per il quale le genti fuggite da Taureana decisero di stanziarsi nelle zone oltre il fiume Metauros, dove costruirono un casale a cui diedero il nome di San Martino (noto per la Sua divina protezione). Molti vi rimasero, altri proseguirono andando a popolare le zone circostanti, fissandosi in piccoli nuclei abitativi, tra cui Radicena e Iatrinoli, facenti però sempre capo a San Martino che divenne il più importante centro civile e religioso della Piana, sede di chiese e conventi e munito di un Castello. Quest'ultimo mantenne una posizione di grandezza, di progresso e di tranquillità fino alla discesa dei Normanni. Nel 1058 Ruggiero d'Altavilla saccheggiò e devastò San Martino e l'anno successivo nel 1059 represse presso la cittadina le ultime resistenze delle fiere genti di questa parte di Calabria, che furono costrette a riconoscere i Normanni come loro feudatari. San Martino perse la sua importanza, in particolare, quando dall'altra parte del torrente Marro sorse un altro borgo che i profughi di Taureana chiamarono con il nome della loro patria, "Tauriana Nova" poi "Terranova". La località, ritenuta dai Normanni più sicura, fu promossa a Contea e successivamente a Ducato. Così Radicena, Iatrinoli e San Martino ne diventarono casali seguendone le sorti.

Dopo il dominio feudale dei Laurìa, vi fu quello dei Sanseverino, dei Sant'Angelo, dei Caracciolo, dei de Cordoba, dei De Marini e dei Grimaldi.

Furono sottoposti a vari feudatari, tra cui il più lungo fu il dominio feudale dei Lauria, venendo poi acquistati dalla famiglia Grimaldi di Gerace nel 1574. Nel corso del Cinquecento risulta dagli atti notarili che a Radicena e Iatrìnoli abbondavano le coltivazioni di grano e di gelseti, quest'ultima era l'unica pianta che producesse una rendita perpetua, e importante era anche l'allevamento dei cavalli e dei bovini.

Nel corso del Seicento, nonostante le difficoltà del banditismo e della carenza delle vie di comunicazione, molte famiglie si spostarono principalmente dal nord e dal centro Italia e andarono ad abitare nei due casali. Si trovano così cognomi nuovi come gli Zerbi, di origine ligure, i Sofia, da Santa Margherita Ligure, i Loschiavo, dalla Campania. S'intrecciarono matrimoni con altre famiglie illustri del luogo e dei paesi vicini: Contestabile residenti a Stilo, De Leonardis di Gerace, Luvarà di Terranova. Alla fine del Seicento si collocarono altre famiglie al centro degli interessi economici della zona: Drago, di origine greca, e Ganini, con questi ultimi che si distinsero in particolare a Iatrìnoli. Nei due casali esistevano notevoli coltivazioni di grano, linooliveti e vigne e molti erano i benestanti, tra cui le famiglie già menzionate. Ai proprietari privati si affiancava, da quanto si evince dagli atti notarili, anche il Convento di Santa Maria della Misericordia dei Domenicani di Radicena come il maggiore detentore di beni, infatti faceva compravendita con privati, permutava e dava soldi in prestito.

Radicena, Jatrinoli e San Martino furono anticamente delle contrade e casali sotto l'amministrazione di Terranova Sappo Minulio. Radicena risale almeno al 1050, data di donazione della monaca Kometo, vedova di Giovanni, discendente da Elia Erotikes, alla chiesa di Oppido Mamertina

Ai primi del Settecento si verificò una crisi profonda dell'agricoltura, cardine dell'economia, e molti subivano il carcere per non poter pagare le tasse e vendevano tutto quello che possedevano per poter sostenere la propria famiglia. La proprietà ecclesiastica era molto estesa nei due casali e le terre venivano date a censo ai grandi esponenti della nobiltà e della borghesia. Il terremoto del 5 febbraio del 1783 distrusse completamente sia Terranova che San Martino, mentre a Radicena e Iatrìnoli si provocarono danni non ingenti: venne distrutta la Chiesa di Santa Maria della Misericordia o del Rosario, la torre dei Gemelli annessa alla Chiesa matrice di Radicena. Le chiese e gli edifici importanti distrutti o danneggiati vennero ricostruiti in forme barocche e neoclassiche. Dalle statistiche emerge che a Radicena ci furono 756 morti e a Iatrìnoli 312. Costituita la Cassa sacra, all'indomani del terremoto, Radicena fece parte del Comprensorio D (assieme ad AnoiaLaureanaOppidoPolistenaSan Giorgio MorgetoSeminara e Terranova) e il suo distretto comprendeva, oltre alla città, Iatrìnoli, San Martino e Vatoni. Ma la trasformazione sociale, subentrata dopo il terremoto, non mutò la condizione delle plebi rurali che sentivano sempre più il peso del proprietario borghese, col minuscolo pezzo di terra gravato di censo bollare (contratto con cui veniva data in prestito una somma di denaro dietro garanzia, che veniva restituita dal richiedente con gli interessi). Per questo stato di cose dilagava il brigantaggio. Nel periodo dell'istituzione della Repubblica Partenopea, molti sanfedisti, fautori dei Borboni, approfittarono al passaggio del cardinale Ruffo per diffondere disordine. A Radicena seminavano disordine due bande di malfattori: una ad opera di Domenico Moretti e l'altra capeggiata da Domenico Sicari, responsabili di molti delitti compiuti nei paesi vicini.

In particolare, tra il XI e il XIII secolo, la frazione di San Martino ebbe un ruolo protagonista, tanto da dare anch'essa il nome alla stessa Piana, per un certo periodo. San Martino ospitò diversi nobili e sovrani, oltre che il pontefice Onorio IV. Ruggiero il Normanno vi celebrò qui il proprio matrimonio. La frazione Amato invece, fu fondata nei primi decenni del XIX secolo, su iniziativa del marchese Gagliardi, allora totale possidente dell'intera Piana.

Con gli anni della ricostruzione post-terremoto del 1783 e l'abolizione della feudalità nel 1806, il breve periodo dell'Amministrazione Francese contribuì non poco a dare a questa parte di Calabria una fisionomia diversa, e lasciarvi fermenti culturali che lieviteranno idee e comportamenti nuovi. Si tratta di pochi provvedimenti amministrativi che da soli non sono sufficienti a cambiare in maniera radicale le sorti della zona, ma che tuttavia sono caratterizzate da un'inusuale sintesi politica i cui effetti segneranno profondamente la coscienza civile e il pensiero politico di una collettività fino ad allora relegata nel limbo del vassallaggio più servile. Per la prima volta, forse, si può parlare di storia, intesa nel senso nobile della parola, perché per la prima volta si avverte la presenza attiva di uno Stato che, eliminato il padrone e la sua ingordigia, ridimensionato il censo alla Chiesa e l'egoismo della borghesia, guarda alla collettività e ne riconosce i meriti e le necessità. Radicena e Iatrìnoli con l'ordinamento amministrativo disposto dai Francesi per la legge 19 gennaio 1807, diventarono Università nel cosiddetto Governo di Casalnuovo (oggi Cittanova). 

Nel 1815 fu istituito il Distretto di Palmi che comprendeva 35 comuni tra cui le due cittadine di Radicena e Iatrìnoli. I comuni erano governati da sindaci, dai decurioni, dal capourbano, dal sottocapourbano, dal conciliatore e dal supplente giudiziario. Durante il ricostituito governo borbonico furono emanate per Radicena diverse ordinanze come l'autorizzazione di un mercato nel sabato di ciascuna settimana e la fiera di Sant'Orsola che si celebrava dal precedente giovedì fino all'ultima domenica di settembre e proseguiva per otto giorni. Era molto rinomata e conosciuta per tutte le province del Regno. 

Il primo gennaio 1842 il Circondario di Casalnuovo fu diviso in due circondari distinti: l'uno formato da Casalnuovo, l'altro si compose del comune di Radicena, che fu capoluogo, del comune di Iatrìnoli e dei villaggi di San Martino e Terranova. Molti furono i liberali che lottarono contro il governo borbonico. Tra i più importanti ricordiamo: Girolamo Zerbi e Antonio Fera, medico chirurgo. Il primo partecipò a tutti i movimenti insurrezionali e soprattutto a quello del 2 settembre 1847. Fu arrestato e processato il 23 aprile 1851 e condannato a morte. La condanna venne commutata in 24 anni di carcere; ma solo dopo sette anni di tormentosa prigionia, morì. Antonio Fera cominciò a congiurare insieme agli altri patrioti reggini il 27 agosto del 1847, riunitosi nel palazzo di Casimiro de Lieto, e per questo fu condannato all'ergastolo. Molte sono le testimonianze e lettere autografe del suo coraggio e della sua abnegazione patriottica. Dopo l'unità d'Italia nelle campagne di Radicena e Iatrìnoli abbondavano la raccolta del lino e degli agrumeti. 

Il 9 settembre 1894 avvenne il miracolo di "Maria Santissima della Montagna", patrona di Radicena. Verso mezzanotte, come riferisce su "Pro Fide" di quell'anno lo scrittore taurianovese Francesco Sofia Moretti: "La luna pallida, spettatrice agli umani eventi, questa volta fu attraversata da due raggi di luce, come il gran segno di Costantino - due enormi fasci luminosi che incrociano sul petto del gran disco; e quasi indescrivibile è questa volta lo spettacolo di una Croce formatasi improvvisamente". Agli albori del Novecento Radicena era un importante centro agricolo e commerciale, capoluogo di mandamento e quindi sede di uffici governativi, quali la Pretura, l'agenzia delle Imposte, l'Ufficio del Registro, la Caserma dei Carabinieri, oltre che un distaccamento del ventesimo Reggimento Fanteria per la guardia delle Carceri, di una Banca Agricolo-Industriale, di un teatro di prosa; mentre a Iatrinoli veniva inaugurato l'ospedale Principessa di Piemonte, sorto per opera dei lasciti di alcuni esponenti delle famiglie benestanti. 

Il terremoto del 1908 provocò lievi danni a Radicena e Iatrinoli: il crollo della cupola della Chiesa matrice di Iatrinoli e del campanile di Radicena. Questo, che ha dato adito alle voci di Miracolo operato dalla Patrona di Radicena “Maria Ss.ma della Montagna” che avrebbe concesso la sua protezione ai due comuni. Con regio decreto del 16 febbraio 1928 Radicena, Iatrìnoli e Terranova Sappo Minulio (che dal 1946 ritornò ad essere comune autonomo) formarono il Comune di Taurianova. Durante la seconda guerra mondiale Taurianova ospitava gli uffici provinciali della Rai e l'ufficio zootecnico, sfollati da Reggio, e divenne anche sede del Comando della 104ª Divisione fanteria "Mantova" e della 7ª Divisione fanteria "Lupi di Toscana". Nella sua immediata periferia s'installò un deposito per l'approvvigionamento di un'intera armata e di una polveriera; nelle vicinanze s'accampò una grossa divisione tedesca Panzergrenadier.

Tra il 1989 ed il 1991 Taurianova è stata teatro di una violentissima faida di 'ndrangheta che ha causato la morte di oltre trenta persone. A seguito delle violenze mafiose l'allora Governo Andreotti VII approvò un decreto legge contro le infiltrazioni mafiose negli enti locali, una risposta forte alla violenza e prepotenza dei mafiosi che specie nei piccoli centri comprime significativamente la democrazia. Sul territorio di Taurianova sono attive alcune 'ndrine che gestiscono le attività illecite e si sono infiltrate anche nell'economia legale, l'ambito politico-amministrativo non è immune da tali penetrazioni tanto che il consiglio comunale della cittadina è stato sciolto per infiltrazioni mafiosetre volte: la prima nel 1991 (il primo comune ad essere sciolto per tale motivo in Italia proprio con il cosiddetto decreto Taurianova poi convertito in legge), la seconda nel 2009 e la terza nel 2013.

Monumenti e luoghi d'interesse

Il comune di Taurianova nasce ufficialmente nel 1928 dall'unione di tre piccoli borghi preesistenti: Terranova Sappo Minulio, Radicena, Jatrinoli e l'assegnazione di una serie di frazioni e contrade tra le quali San Martino, Amato, Pegara e Scroforio.

Secondo la tradizione storica tutti questi centri abitati sarebbero stati fondati dai profughi dell'antica città costiera di Tauriana distrutta dai Saraceni nel X secolo d.C. In modo particolare fra questi va ricordata la frazione San Martino, che nel medioevo dava il nome a tutta l’attuale piana di Gioia Tauro, denominata Plana Sancti Martini e nel corso dei secoli XI, XII e XIII, rivestì un ruolo importante per tutta la Calabria in campo politico e religioso. Infatti, qui Ruggero il Normanno celebrò il proprio matrimonio con Giuditta di Gautmesmil, nel castello del quale oggi resta soltanto qualche rudere, elevandola a contea, al pari di GeraceMammolaOppidoSan Giorgio.

Luoghi religiosi

Santa Maria delle Grazie - Il Duomo di Radicena, ora rione del nuovo comune di Taurianova, è situato in Piazza Macrì (un tempo intitolata a Re Umberto I). L'edificio è in stile romanico, con influenze gotiche e moresche. La chiesa originaria, in cui veniva venerata Santa Maria Ambasiade, venne distrutta dal terremoto del 1736, ricostruita e consacrata da Monsignor Carafa il 4 giugno 1737.

Duomo2.jpg (88744 byte)Il culto per Maria Santissima della Montagna a Radicena ebbe inizio nel 1763, sostenuto dall'Arciprete don Domenico Antonio Zerbi, devotissimo fin dalla più tenera età alla Vergine di Polsi, allorquando nell'anno 1757 ancora sacerdote a Capistrano, un suo nipote si aggravò gravemente e trovandosi sul punto di morire don Zerbi gli pose sul capo un'immaginetta della Verginella del Sacro Monte e l'ammalato istantaneamente guarì. Fu allora che per devozione, l'Arciprete acquistò una grande immagine scolpita in legno, rivestita di un vestito in seta e ne dotò la chiesa. Nel 1783 un ulteriore crollo provocò la caduta della torre dei Gemelli, annessa alla chiesa, distrutta poi dal terremoto del 1908. I lavori per la costruzione di una nuova chiesa terminarono il 5 ottobre 1929 e vennero effettuati a cura dell'architetto Vittorio Paron.

Duomo MariaSantissimaMontagnaRadicena.jpg (89302 byte)L'imponente facciata è decorata con arcatelle e un rosone ed è fiancheggiata da due torri campanarie, che la superano in altezza e che ricevano luce da alcune trifore. Nella torre di destra è installato, al centro del quadrante, un grande orologio. Delle tre campane, già appartenenti al Monastero di Santa Caterina di Terranova, la maggiore è opera di Jacopo Musurra, fonditore siciliano del sec. XVI. L'interno è a tre navate e una balaustra in marmo bianco divide la navata centrale dal presbiterio, dove è collocato l'altare maggiore. Ad uno dei pilastri che separa la navata centrale dalla laterale è addossato un pulpito ligneo. L'altare maggiore è in marmo e su di esso è posta l'attuale statua della Vergine della Montagna, donata in segno di voto nell'anno 1787 dal sig. Vincenzo Sofia, allorché la figlia ammalatasi gravemente, il povero padre, si rivolse fiducioso alla Vergine, alla quale promise, a grazia ottenuta, che avrebbe offerto alla chiesa una statua d'argento raffigurante la Madonna stessa. Nonostante la giovinetta morisse, il Sofia volle egualmente sciogliere il voto, almeno in parte, e fece scolpire nel legno, anziché modellare in argento, le sembianze della Vergine d'Aspromonte, da artisti napoletani della seconda metà del secolo XVIII. La statua venne successivamente collocata al posto dell'immagine antica che è ora custodita dai Padri Cappuccini presso il locale Convento Francescano. Nel 1994 Maria Santissima della Montagna è stata incoronata Regina di Taurianova.

Opere di rilievo: Pulpito ligneo, Altare in marmo del Sacro Cuore di Gesù con fregio realizzato da Vincenzo Romeo, Altare centrale in marmo.  

CHIESA DEL ROSARIO - La chiesa, anticamente dedicata a San Basilio, ospitò nel 1535 l'imperatore Carlo V d'Asburgo e venne concessa dal popolo, insieme con alcuni orti, al Convento dei Domenicani di Radicena fondato il 12 marzo 1537 da P. Niccolò Severino.

Nel corso del Seicento i Domenicani ingrandirono la chiesa e la dedicarono a Santa Maria della Misericordia, mentre all'interno del Convento nel 1604 si era formata la Confraternita di Sant'Orsola che organizzava nel mese di settembre, in occasione della Festa della Santa Reliquia della vergine, una grande fiera molto importante dal punto di vista economico e commerciale.

Anticamente la chiesa ospitava la cappella di Sant'Orsola e quella del Sacro Cuore di Gesù e nel 1757 venne edificata quella dedicata a Vincenzo Ferreri; nel 1783 l'edificio religioso venne danneggiato da un grave terremoto e ricostruito, con l'aiuto dello Stato, nel 1803, come riportato nell'iscrizione sul portale della chiesa " Templum Misericordiae Matri dicatum funditus cecidit terra trementi A.D. 1783 at Deo Propitio Magnificentibus resurrexit A. 1803 Vitae Portam Deus O Quaerntibus Istam".

Il 7 agosto 1809, dopo questa data al suo interno nel 1818 FORTUNATO MORANO da Polistena vi lavorò abellendola di Stucchi e di altari mentre Emanuele Paparo eseguì dei dipinti in seguito secondo la disposizione di Gioacchino Murat, il Convento e la chiesa vennero chiusi al culto, ma al momento della soppressione i monaci avevano già abbandonato la struttura, e resto chiusa per moltissimni anni.

La chiesa, in seguito intitolata al Santissimo Rosario, venne nuovamente danneggiata dal Terremoto di Messina del 1908, ma presto restaurata; nel 1986. Prima di questa data unica volta che trovai la porta aperta in essa ancora si conservavano gli stucchi gli altari ed un quadro sistemato in alto all'altare maggiore pitturato in olio. In seguito fu nuovamente chiusa per il rovinoso crollo del tetto che però venne ricostruito. In atto (2015) la Chiesa è in fase finale di restauro, soprattutto per quel che riguarda alcuni altari laterali e il pavimento (danneggiati dal crollo del tetto sopracitato); inoltre non è aperta al culto, ma è comunque consacrata e viene utilizzata per svariate iniziative religiose e culturali.  

La chiesa è di gusto settecentesco, con linee neoclassiche e alcuni elementi ispirati al barocco. La facciata è dominata da un portale in tufo fiancheggiato da due colonne con capitelli corinzi e sormontato da una cimasa al centro della quale, in una lastra marmorea, è raffigurato lo stemma dei Domenicani ed è riportata la data della ricostruzione della chiesa. Al di sopra del portale, invece dell'usuale rosone, è presente una grande finestra rettangolare con fastigio decorato da un volto di angelo e le sue ali.  

La navata unica è di forma rettangolare e termine con l'abside e l'altare centrale realizzato in marmi e stucchi colorati, al centro di esso si apre una nicchia in cui è posta una piccola scultura della Madonna di Pompei. L'altare centrale è sormontato dalla tela dell'Annunciazione, mentre subito dopo la chiusura al culto degli ignoti hanno trafugato due grandi tele che fiancheggiavano l'altare maggiore raffiguranti una il Giudizio e l'altra San Gaetano; venne anche rubata una statua in marmo raffigurante Pietro apostolo posta sull'architrave che collega l'altare alla parete.

Lungo il lato destro della chiesa si trovano: l'altare di Francesco da Paola, l'altare della Madonna del Carmine realizzato in marmo e stucco da Michele Barillari agli inizi del 1800; l'altare di Santa Rita; un medaglione in marmo del 1500 raffigurante la Vergine avvolta in un abbondante panneggio che tiene in braccio Gesù Cristo bambino completamente nudo, le figure sono sormontante da quattro teste di cherubini. L'opera è attribuita a Girolamo Santacroce.

Lungo il lato sinistro della Chiesa si trovano: l'altare del Cristo Risorto che ospita una statua in legno alta 1.30 m. e realizzata nel corso dell'800; l'altare di San Domenico; l'altare di San Giovanni Evangelista che ospita una statua in legno realizzata nel 1700, un confessionale in legno con sopra il pulpito ed una nicchia in legno sormontata da un medaglione in marmo.

Durante i lavori di restauro della chiesa sono state ritrovate al di sotto del pavimento delle ossa umane, probabilmente risalenti a monaci: sappiamo infatti che nei pressi del Convento veniva regolarmente praticata la sepoltura.

Inoltre al centro dell'edificio sono stati ritrovati alcune botole che conducevano sotto terra: queste adesso sono protette da un vetro che permette di vedere la scala e illuminate dall'interno.

La chiesa, dalla fine del '900, viene raramente utilizzata per funzioni religiose (eccezion fatta per i matrimoni), ma è invece molto sfruttata per iniziative di tipo culturale quali concerti, convegni, presentazioni di libri, mostre artistiche, degustazioni, premiazioni ed altre iniziative.

CHIESA DELL'IMMACOLATA (di Radicena) - La chiesa dell'Immacolata di Radicena, così chiamata per distinguerla dall'omonima nel rione Jatrinoli venne edificata al posto di quella del Ss. Sacramento, probabilmente nel corso del 1800. Qualificata come chiesa sussidiaria rientra nella parrocchia di Maria Ss. delle Grazie ed è sita in Via Roma, nei pressi di Piazza Concordia. 

Nella chiesa è contenuto un importante gruppo in marmo di Rinaldo Bonanno raffigurante Maria con il braccio destro, armato di clava, alzato per difendere Gesù in braccio a lei da un mostro;ai piedi della donna vi è un putto. 

La chiesa fu decorata in stucchi da Fortunato e Vincenzo Morani da Polistena nel 1898 che poi furono distrutti dal terremoto del 1908 per come afferma l'Arc. Francesco Maria De Luca, nella monografia di Iatrinoli stampata nel 1922.

Opere di rilievo: Gruppo marmoreo raffigurante la Madonna del Soccorso con il Bambino in braccio (1587), Lastra di ciborio scolpita a bassorilievo raffigurante angeli in preghiera.  

CHIESA DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO - La chiesa matrice (duomo di jatrinoli) sita nel rione Jatrinoli, anticamente era composta da tre navate con una copula all'incrocio dei bracci. A seguito dei vari movimenti tellurici venne demolita su ordine del Regio Genio Civile e vennero lasciati soltanto alcuni muri e i pilastri della navata centrale. 

Tra le opere importanti si annovera una statua in marmo attribuita da alcuni studiosi ad Antonello Gaggini, vissuto tra il 1400 ed il 1500, collocata in una nicchia nella facciata principale della chiesa. Per permettere a tutti di ammirare tale opera è stato progettato il ripristino di due cappelle interne alla chiesa, dove sono stati collocati la statua in marmo e un antico crocifisso ligneo.

Opere di rilievo: Statua in marmo (1400-1500), Olio su tela "Sant'Antonio con Bambino" (1600), Statua di san Pietro, Statua di San Paolo, Quadro di Nostra Signora del Rosario, Crocifisso ligneo.  

ALTRI EDIFICI RELIGIOSI

Chiesa di San Giuseppe (Radicena)

Chiesa di San Nicola

Chiesa di Santa Lucia

Chiesa dell'Addolorata

Chiesa di San Giuseppe (Jatrinoli)

Chiesa dell'Immacolata (Jatrinoli)

Chiesa del Sacro Cuore di Gesù

Chiesa di Maria Ss. della Colomba (San Martino)

Chiesa di San Pio X (Amato)  

CIMITERO MONUMENTALE DI RADICENA - Di grande rilievo artistico è uno dei due cimiteri comunali, quello di Radicena, nei pressi della chiesa del Calvario. L'ingresso monumentale è sormontato da tre angeli, uno collocato più in alto rappresentato in piedi mentre suona una tromba, gli altri in due più in basso sono leggermente piegati. 

Tra gli altri elementi decorativi ci sono numerose colonne dal capitello corinzio di diverse dimensioni. All'interno del cimitero vi sono numerose opere di artisti taurianovesi e cappelle riccamente decorate; vi è anche una piccola chiesa, dove viene celebrata la messa il 2 novembre, e nel terzo ampliamento è stato realizzato un altare. Nello stesso Cimitero si trova in altorilievo il " Cristo che porta la Croce " realizzato da Francesco Jerace per la tomba Ciano.

Palazzi

Nel comune di Taurianova si trovano numerosi palazzi storici di grande bellezza, i quali si lasciano ammirare in particolar modo per i loro portali. Alcuni rientrano tra le Dimore storiche italiane

Poiché Taurianova nasce nel 1928 dalla fusione di due centri abitati (Radicena e Jatrinoli), i palazzi si trovano negli originali centri dei due comuni, generalmente lungo le piazze o le vie principali (soprattutto lungo Via Roma).

VILLA ZERBI - Il palazzo, situato all'inizio di Via Roma, venne realizzato nel 1786 sulle rovine di un casale cinquecentesco distrutto da un violento terremoto; l'architetto dell'opera, commissionata dai baroni Calfapietra, fu Filippo Frangipane.

La facciata, realizzata da artisti provenienti da Siracusa che utilizzarono una pietra della loro terra, è caratterizzata da un ampio portale in granito grigio fiancheggiato da lesene e sormontato da un'ampia finestra, mentre i balconi sono in ferro battuto e i loro sostegni sono decorati da volti tutti diversi tra loro. La struttura è composta da un corpo centrale e due ali, alle quali si accede grazie a due rampe di scale che si affacciano sul vasto cortile; sul retro oltre un antico arco si apre il giardino ispirato alle residenza nobiliari calabresi. Nel giardino è possibile trovare una fontana in pietra, una vasca piscina e due tronchi di ulivi secolari bruciati da un fulmine e modellati dalla natura come due vere e proprie sculture.

Di fronte all'edificio si trova la chiesa di San Nicola (in stile barocco e neoclassico) di proprietà della stessa famiglia Zerbi.

Il palazzo, restaurato più volte (l'ultima nel 2002 da Natale Zerbi) rientra oggi tra le dimore storiche calabresi di particolare interesse artistico-culturale. Utilizzato per ricevimenti durante tutto l'anno, è spesso anche location di mostre d'arte ed altre iniziative culturali di grande importanza, tanto da attirare l'attenzione del Corriere della Sera, del TG1 (che su Villa Zerbi ha realizzato un servizio) e della Gazzetta del Sud (che ha scritto un articolo sul palazzo taurianovese).

Tra le iniziative più importanti ricordiamo la "Giornata Nazionale delle Dimore storiche 2015" promossa dall'A.D.S.I. (Associazione Dimore Storiche Italiane): sabato 23 e domenica 24 maggio 2015 il palazzo ha ospitato installazioni artistiche (quadri e opere in ceramica), esibizioni musicali e degustazioni che hanno compreso l'assaggio dell'olio extravergine d'oliva "Radicena" prodotto all'interno della stessa villa.

PALAZZO CONTESTABILE - Il palazzo, sito in Piazza Vittorio Emanuele II (la principale di Jatrinoli), venne progettato nel corso del '700 da Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi, i due architetti della Reggia di Caserta.

I lavori vennero commissionati da Pasquale Contestabile, originario di Stilo, il quale sposò Giulia Sorbilli, nobile locale che possedeva un altro edificio dove adesso sorge il nuovo palazzo; i lavori vennero portati a termine dal figlio di Pasquale, Scipione. Durante il restauro iniziato nel 2002, ad opera dell'architetto Luigi Giuseppe Massara di Cinquefrondi, e finalizzato a proteggere e consolidare l'edificio è emerso che nel corso del Risorgimento i proprietari, borbonici, fecero aggiungere delle feritoie per controllare gli accessi, inoltre era stata disposta una botola per un'eventuale fuga.

Il palazzo, dalla superficie di 2700 m² con l'aggiunta di 800 m² di giardino, è diviso in tre corpi comunicanti: il principale ( a tre piani) dà sulla piazza; vi si accede tramite un ampio portale sul quale è inserito lo stemma della Famiglia Contestabile, raffigurante dei monti (simbolo dei feudi della famiglia), dei gradi militari, l'aquila bicipite (simbolo della famiglia Grimaldi) e i tre moretti (simbolo della famiglia del Capitano Filippo Moretti). Superato il portone si accede alla corte interna dai lastroni in granito, su cui si affacciano i locali delle antiche scuderie e rimesse per carrozze. Da qui, attraverso la scala principale, si accede al piano nobile, dove numerosi ambienti sono riccamente decorati con stucchi e mobilio di diversi colori, ripresi anche dai lampadari in vetro di Murano e nei pavimenti realizzati da artisti siciliani. All'interno dell'edificio è presente una cappella privata.

Questo palazzo, riportato allo splendore originario, viene oggi utilizzato per mostre artistiche ed altre esposizioni; tra le iniziative più importanti vi sono le "Giornate FAI di primavera", organizzate dal Fondo Ambiente Italiano nel 2011, durante le quali gli alunni di un istituto superiore taurianovese hanno accompagnato i visitatori giunti per la visita al palazzo.

ALTRI PALAZZI - Nel patrimonio della città sono inclusi numerosi altri palazzi, alcuni dei quali versano in grave stato di abbandono, mentre altri sono tenuti in condizioni migliori; tra questi ultimi i principali sono:

Palazzo Lo Schiavo (Via Senatore Lo Schiavo): venne realizzato tra il 1850 ed il 1870 da Domenico Genoese Zerbi, ospita oggi la Caserma dei Carabinieri di Taurianova;

Palazzo De Leonardis (Vico de Leonardis-Via Roma): venne realizzato agli inizi del 1800 da Raffaele de Leonardis, ospita oggi alcune attività commerciali;

Ex Palazzo Municipale di Radicena (via XX Settembre): è oggi sede della Consulta delle Associazioni e della Società Civile di Taurianova, dell'orchestra di fiati "Don Pietro Franco" e viene utilizzato per le sedute del Consiglio Comunale dei ragazzi;

Palazzo Conti Pontalto (Via Galliano): venne realizzato intorno al 1850 dal senatore Pasquale Loschiavo e dalla contessa Benilde Rossignani; oggi è sede di attività commerciali;-

Palazzo Pisani (Via Roma): venne realizzato da Vincenzo Zerbi nel 1830;

Palazzo Municipale di Jatrinoli (Piazza della Libertà): oggi sede del Comune di Taurianova.

Monumenti

Monumento ai caduti di Radicena

Monumento ai caduti di Jatrinoli

Monumento ai carabinieri Vincenzo Caruso e Stefano Condello

Monumento ad Antonino Fava

Monumento a Giuseppe Macrì

Monumento a Francesco Sofia Alessio

Monumento a Giovanni Francesco Gemelli Careri

Fontana monumentale di Jatrinoli - Singolare è la storia della fontana monumentale locata in Piazza Vittorio Emanuele II, chiamata talvolta fontana De cumis: l'opera in marmo venne inaugurata il 31 luglio 1853 e fu realizzata dall'artista Michele Barillari, ma venne presto spostata dal lato opposto della strada secondo alcuni per facilitare la viabilità, secondo altri per permettere all'acqua di raggiungerla. Recentemente però la fontana è stata restaurata e ricollocata nel sito originale.

Festeggiamenti in onore di Maria Santissima della Montagna  

I festeggiamenti in onore della Patrona di Taurianova, Maria Santissima della Montagna, hanno inizio il 29 agosto: in questa data si svolge infatti "u 'mbitu" ("l'invito"), un'antica tradizione taurianovese. Alla fine di una celebrazione le autorità religiose, politiche e militari assistono all'accensione dei "luppinazzi", ovvero steli secchi di piante di lupini, nella piazza di fronte alla Chiesa Matrice per simboleggiare l'inizio della novena e invitare i paesi vicini alla festa patronale del paese. Anticamente era tradizione che il fuoco venisse acceso dal sindaco, infatti una poesia recita "Ndavi l'onori ca davanti a chiazza, na vota a l'annu aduma i luppinazza" e valeva come gesto di vicinanza da parte del sindaco al popolo. Adesso accanto alla figura del sindaco c'è quella del parroco del Duomo di Taurianova durante l'accensione, mentre in piazza e nelle vie adiacenti giungono migliaia di persone, compresi migranti che tornano a Taurianova per l'occasione.

Diversi studiosi del folklore si sono interessati di questa manifestazione, andando a cercare le sue origini tra il sacro ed il profano. Infatti il fuoco è spesso utilizzato da Dio come mezzo di comunicazione con l'uomo, ma è anche un segno che si ripete spesso nella cultura popolare con altri significati. Era anche il modo migliore per invitare gli altri paesi alla festa, infatti in mancanza di altri mezzi di comunicazione il fumo che si innalzava dal rogo e il chiarore da esso provocato erano facilmente visibili ed efficaci.

Molte leggende avvolgono questo rito, una riguarda la scelta di bruciare proprio piante di lupini anziché parti di altri alberi di cui la zona è ricca. Si racconta che Maria, per fuggire da Erode, si nascose con Gesù in un campo di lupini secchi, che però fecero un rumore tale da attirare le guardie di Erode, allora Maria maledisse questa pianta, infatti molto amara, e quindi i taurianovesi la bruciano come segno di spregio e vendetta. La mattina del 29 giungono in Piazza Macrì carri trainati da buoi, bardati a festa e con l'icona della Madonna al centro della fronte, carichi di "luppinazza" (anticamente questi venivano offerti dai contadini delle zone vicine, specialmente da Sambiase). Gli anziani in base alla direzione delle fiamme e alla loro altezza formulavano ipotesi e supposizioni sull'andamento dell'agricoltura e del commercio, mentre adesso rimane un'occasione di unione per il popolo taurianovese e spesso è accompagnato da altre manifestazioni per dare inizio ai festeggiamenti.

Con "u 'mbitu" si dà inizio alla novena, periodo di preparazione alla festa patronale che vede impegnati i fedeli sia durante le celebrazioni che in altre manifestazioni. Per esempio in questo periodo è usanza creare delle stelle votive illuminate con l'immagine della Patrona di Taurianova, da appendere ai balconi delle case, e ormai da alcuni anni si svolge anche un concorso che vede premiata la stella votiva più bella. In questi giorni le vie del paese sono animate dalla "cerameda", solitamente composta da quattro musicisti che suonano strumenti tipici della zona.

La festa in onore di Maria Santissima della Montagna ha il suo culmine religioso e civile in tre giorni: 7, 8 e 9 settembre: l'8 si svolge la solenne processione per le vie del paese, al termine di questi la statua viene fatta fermare davanti all'ingresso del Duomo taurianovese, quasi come per assistere allo spettacolo pirotecnico. Il 9 settembre invece avviene la rievocazione del miracolo. Secondo la storia un benestante del luogo, Don Vincenzo Sofia, nel 1787 ordinò una scultura in legno della Madonna ad un artigiano di Serra San Bruno con bottega a Napoli. Durante il viaggio, la nave che trasportava la preziosa opera, si trovò in una tempesta e i marinai cercarono di alleggerirla cercando di gettare il carico in mare, ma ciò risultò impossibile e apparve una donna con le sembianza di Maria che salvò la nave dalla sciagura. Arrivata a Taurianova si sentì l'esigenza di venerare questa statua, e mentre una grande folla era radunata in chiesa l'effigie iniziò a muovere i suoi occhi. Partì subito una processione che venne interrotta da un altro avvenimento: apparve una croce nella luna. Questo evento ci viene raccontato da diverse opere scritte, compresa una poesia di un illustre taurianovese: il latinista Francesco Sofia Alessio.

Il 16 novembre dello stesso anno Maria manifestò la sua vicinanza al popolo Taurianovese salvando la cittadina dal terremoto che danneggiò gravemente gli altri paesi vicini. Da allora in questi tre giorni moltissime persone vengono a rendere omaggio alla sacra immagine della Madonna e la festa religiosa è accompagnata da altre manifestazioni civili come l'esibizione di artisti, anche noti a livello nazionale, sia di musica contemporanea che di musica tipica o di complessi bandistici.

È ormai tradizione che il 10 settembre, a festa terminata, al termine di una celebrazione eucaristica il popolo si appresti a baciare il piede della Madonna per poi riporre la statua nella nicchia posta sull'altare della Chiesa Matrice.

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