Pizzo Calabro (Borgo)
(Vibo Valentia)
 


Pizzo è un comune italiano della provincia di Vibo Valentia. Il borgo è rinomato per la produzione del tartufo di Pizzo.  

Pizzo è un borgo sulla costa, arroccato su di un promontorio al centro del Golfo di Sant'Eufemia. Il suo territorio comprende una costa frastagliata, contraddistinta da spiagge sabbiose in alcuni tratti e da scogli in altri. Sulla costa Nord Est, dalla pineta Mediterranea fino alla rocca si estendono quasi 9 km di ampie spiagge sabbiose. Al termine della contrada Marinella si alza la montagna di Vibo, che fa da cortina al territorio, che ha il suo confine con Maierato e Vibo Valentia in alto, sul crinale delle colline. Più a Sud, dove si innalza il masso tufaceo su cui nasce e si sviluppa Pizzo, la costa diventa rocciosa con numerose calette e zone ricche di scogli naturali, nonché diverse grotte, fra cui la Grotta Azzurra, riaperta negli ultimi anni, dopo vari interventi per la protezione dal moto ondoso.

Nella zona centrale c'è la spiaggia della Seggiola, piccolo fiordo al centro del masso tufaceo su cui è arroccato l'abitato su cui domina il Castello Aragonese eretto nella seconda metà del XV secolo da Ferrante d'Aragona e la Marina, graziosa località balneare nonché ritrovo notturno.

Come per molte altre località calabresi, nei secoli scorsi è stata cercata una origine nell'antica Magna Grecia, con qualche eroe eponimo. Così oggi alcuni ripetono che Pizzo è stata fondata da Nepeto ai tempi dell'antica Grecia. Ma non c'è nessuna evidenza di ciò, anche se localmente qualcuno usa per motivi commerciali la dizione Napitia "napizia", e la voce "napitini" per gli abitanti. Ci sono notizie certe dell'esistenza di un forte e di un borgo solo a partire dal 1300, e dell'esistenza di una comunità di monaci Basiliani, mentre restano tracce nel territorio di un'antica attività di pesca, specialmente del tonno. Il nome Pizzo ( = becco d'uccello, punto sporgente) si attaglia perfettamente al promontorio tufaceo che sporge sul mare, elevandosi dalla foce del fiume Angitola, fino alla spiaggia della Marina, dove fu collocato nel XV secolo anche il piccolo forte Aragonese, detto oggi Castello Murat, per i tragici eventi del 13 ottobre 1815.

La posizione privilegiata e il castello favorirono la crescita del borgo marinaro, anche per la fortunata attività di pesca del tonno. Per secoli, i tonni dominarono i mari raggiungendo a migliaia le spiagge del golfo di Sant'Eufemia; qui sorsero i famosi tonnocastelli di Bivona e di Pizzo. Proprio a fianco della Chiesa della Piedigrotta, nella spiaggia denominata Prangi, nella zona detta Centofontane, per l'esistenza ancora attuale di moltissime fonti di acqua dolce, il rais ed i suoi uomini collocavano, fino agli anni settanta la tonnara che veniva tenuta da cavi che partivano dalle rocce a terra, sotto l'attuale Chiesa di San Francesco di Paola. Nelle rocce a mare ci sono le tracce di questa attività. È crollato l'arco di pietra che teneva il cavo, ma si notano piscine, scale, scavi, vaschette, irrorati dalle fonti di acqua dolce, oggi poco copiose, dove probabilmente si lavavano i tonni. Nel mare appaiono sommersi oggi cinque lunghi moli perpendicolari, in località Prangi /Cento Fontane/grotta del Bue.

Nella zona Piedigrotta/Prangi sono quasi crollate le grotte del Bue (si pensa che ci fosse ancora in epoca ottocentesca la foca monaca, detta bue marino da cui il none), e del Saraceno /Centofontane. La grotta del Saraceno, immensa, è oggi pericolante ed è oggetto di una tradizione secondo cui per anni fosse usata dai pirati saraceni e barbareschi, come deposito delle prede e delle persone catturate nelle incursioni nei paesi dell'interno. Ciò è possibile considerando che quella zona del litorale era rimasta spopolata per secoli proprio a causa dell'incessante azione banditesca di pirati di diversa origine, impegnati nella cattura di schiavi. Pizzo era famosa in epoca borbonica come località di arrivo della nave postale da Napoli, anche se non aveva un porto vero e proprio, e come posto di provenienza di pesci prelibati, in primis il tonno, fresco o sott'olio. I re Borboni spesso facevano richiesta di tonno ed altri pesci, per cui Pizzo andava famosa.

Borboni fecero qualche intervento per Pizzo, e c'è traccia del viaggio del 1854 del Re Ferdinando II, che venne in Calabria con l'esercito napoletano in esercitazione armata, e con il figlio Francesco (da lui chiamato Ciccillo). Una notte il Re era rimasto impantanato alla foce del fiume Angitola, ed i Pizzitani gli offrirono ospitalità, in case signorili, ma il re volle accettare l'ospitalità del convento di San Francesco di Paola, cui era devotissimo. Si tramanda che il convento fosse assolutamente impreparato a ricevere il re e che non avessero nemmeno l'acqua. Sul corso c'è la targa che ricorda l'evento. Il castello testimonia la presenza degli aragonesi nel XV secolo.

Proprio in questo luogo, il castello Aragonese, fu tenuto prigioniero e in seguito condannato a morte Gioacchino Muratre di Napoli e cognato di Napoleone Bonaparte. Venne fucilato il 13 ottobre 1815, dopo alcuni giorni di prigionia e un processo fatto nella sala principale del castello e fu poi sepolto nella chiesa di San Giorgio. Oggi il castello aragonese di Pizzo viene denominato Castello Murat. All'interno del Castello c'è il museo provinciale murattiano.

Economicamente la città vive di mare, di turismo e di arte culinaria. Ricca di piatti semplici e genuini apprezzati dagli ospiti. La cucina "pizzitana" rappresenta un'esplosione di sapori, colori e tradizioni che si fondono in piatti tipici che da anni si tramandano con grande cura. 

Pizzo è stata approdo di diversi popoli, Greci, Normanni, Arabi, Angioini, Spagnoli, Francesi. Ognuna di queste culture ha lasciato una traccia indelebile nalla tradizione alimentare locale. Le varie spezie e gli aromi come la cannella, i chiodi di garofano, la noce moscata, il peperoncino, conferiscono ai dolci e alle pietanze a base di pesce, elemento principale della cucina "pizzitana", un sapore unico.

Innumerevole la lista di tutte le specialità, ma non possiamo non menzionare alcuni prodotti che rendono la gastronomia di Pizzo unica ed irripetibile; fra questi, oltre al pesce fresco, quello che primeggia per sapore e tradizione, è il tonno all'olio. Per la sua lavorazione, una tecnica arcaica ripete ogni anno le esperienze secolari che rendono unico ed originale il prodotto. Su tutto il pescato locale, il tonno primeggia anche in cucina. Preparato con arte e in mille modi, il gustosco pesce è presente nel periodo primaverile su tutte le tavole.

Per ultimo, ma non certo per importanza, si ricorda il locale e a volte introvabile vino "zibibbo", nettare bianco ricavato dall'omonima e dolcissima uva locale che qui trova una perfetta maturazione sulle colline dell'attraente città.

Altro omaggio va fatto al gelato e, in modo particolare al "Tartufo di Pizzo", una tipica specialità artigianale che da anni richiama e soddisfa i palati di tutti i visitatori ed al quale Pizzo deve parte della sua fama. I maestri gelatai di Pizzo, con i loro segreti nel dosare gli ingredienti, preparano tartufi, cassate, torte gelato e tante altre specilità dal gusto squisito e impareggiabile, tanto da meritarsi la citazione su riviste specializzate ed accreditarsi gli apprezzamenti dei clienti più golosi, esigenti e raffinati. 

Chiesa Matrice di San Giorgio

La Chiesa Matrice di S.Giorgio Martire sorge nel cuore del centro storico di Pizzo.

Edificata nella seconda metà del ‘500 sulle fondamenta di una preesistente chiesetta, è la prima e la più antica Collegiata della Diocesi di Mileto. Solennemente consacrata nel 1587 e dedicata alla Vergine Maria e a S.Giorgio, come riporta la scritta posta sull’architrave, che reca la data 1632.

La Chiesa ha facciata barocca, con un bellissimo portale in marmo, opera dello scultore Fontana, arricchito da un fastigio contenente il tondo con il rilievo di S.Giorgio a cavallo che trafigge il drago e, in secondo piano, la principessa e una torre sulla roccia. A sinistra lo stemma dei De Mendoza, signori di Mileto e, a destra, lo stemma della città.

La Chiesa, più volte gravemente danneggiata dai terremoti, fu sottoposta ad ampie e vaste ricostruzioni. Fino al XVIII secolo, aveva due alti campanili, dei quali furono poi recise le guglie ed accorciate le torri, per la loro precaria stabilità e scarsa resistenza alle scosse sismiche. In quello di destra vi è un orologio sonoro meccanico del XIX secolo, della Ditta F.lli Solari e in quello di sinistra tre campane in bronzo,grande, media e piccola, la prima del 1727, le altre rifuse rispettivamente nel 1879 e nel 1929.

L’interno, che si presenta ampio e maestoso, è a croce latina, ad una navata centrale, con transetto sormontato da cupola all’incrocio con la navata principale, che poggia su arcate laterali con pseudocolonnato corinzio. L’altare maggiore è in marmi policromi (sec.XIX).

Nella Chiesa si conservano statue marmoree di ottima fattura: Sant'Antonio da Padova (sec. XVI), Madonna con Bambino, tradizionalmente venerata come “Madonna del Popolo” (sec. XVI), provenienti dall’antico Convento di Sant'Antonio, distrutto dal terremoto del 1783, entrambi di scuola del Gagini; San Giovanni Battista (sec. XVI), proveniente dal Monastero di Sant’Agostino, distrutto nel 1783, tradizionalmente attribuita a Pietro Bernini; Santa Caterina d’Alessandria (sec.XVI), opera dello scultore Carlo Canale; San Francesco d’Assisi (sec. XVII), proveniente dal Convento di Sant'Antonio, di autore ignoto.

E ancora: lastra marmorea con bassorilievo, riproducente la Pietà e lunotto con Dio Padre (1a metà del ‘500), di Bartolomeo e Antonino Berrettaro. 

Numerosi dipinti, olio su tela: l’Annunciazione (sec. XVII) e San Francesco di Paola (sec. XVII, datata 1717), di autore ignoto; la Madonna, detta “La Salvatrice” (sec. XIX, datata 1832), dono del re Ferdinando IV di Borbone e opera del pittore Michele Foggia; Cristo in gloria (sec. XIX, datato 1833), di Brunetto Aloi, pittore della scuola di E. Paparo; il Miracolo di San Nicola di Bari (sec. XIX), di scuola napoletana; il Battesimo di Gesù, tondo inserito nel Fonte battesimale (sec. XIX), di scuola napoletana; Santa Barbara, Angeli Oranti, la Madonna di Pompei e medaglioni del Rosario, degli inizi del ‘900 di A. Barone, di Zimatore e Grillo.

Nella zona dell’abside: San Giorgio a cavallo (1923) e l’Ultima Cena (1925), di Zimatore e Grillo.

Sul soffitto della navata centrale: il Martirio di San Giorgio (1825), di E. Paparo e Santa Cecilia (1924) di Zimatore.

Sui lati delle arcate: Via Crucis in ceramica (1973), dello scultore G. Curatolo.

Sul primo altare a destra della Chiesa, si conserva un Crocifisso ligneo, opera tardo-settecentesca.

Nella attigua Cappella di Sant'Anna, si conserva, inoltre, un pregevole Crocifisso ligneo del 1400, tradizionalmente detto “il Padre della Rocca”, proveniente da Rocca Angitola, città-fortezza oggi scomparsa.

Nella Chiesa è sepolto il poeta e scienziato Antonino Anile, nato a Pizzo nel 1869.

Nei sotterranei, in una delle fosse comuni della navata centrale, e precisamente la terza partendo dall’ingresso, fu sepolto il re Gioacchino Murat, dopo la fucilazione avvenuta nel castello di Pizzo il 13 ottobre 1815.  

Chiesa di Piedigrotta

A circa 2 km dal centro storico della città di Pizzo, in località Prangi, sorge la suggestiva chiesetta di Piedigrotta (detta anche "Madonneja"). Un misto di storia locale e leggenda fanno di questa chiesa un unicum nel suo genere, meta di turisti provenienti da ogni luogo e che è meritoriamente catalogata come espressione originale d'arte popolare.

Da centinaia di anni si tramanda la leggenda di un naufragio avvenuto nel 1670: un veliero, con equipaggio napoletano, navigava nel Golfo ad un miglio a nord di Pizzo, quando improvvisamente una tempesta piegò la resistenza della nave facendola naufragare. Prima che la nave affondasse, i marinai napoletani che vi erano imbarcati fecero voto, davanti ad un quadro della Madonna di Piedigrotta, di erigere, in caso di salvezza, una chiesa nel punto in cui avrebbero toccato la costa.

La nave si inabissò e i marinai a nuoto raggiunsero la riva. Insieme a loro, portarono sul bagnasciuga anche il quadro della Madonna di Piedigrotta e la campana di bordo datata 1632.

Decisi a mantenere la promessa fatta, scavarono nella roccia una piccola cappella e vi collocarono la sacra immagine. Ci furono altre tempeste e il quadro, portato via dalla furia delle onde che penetravano fin nella grotta, fu sempre rinvenuto nel posto dove il veliero si era schiantato contro gli scogli.

Non esistono documenti che possano comprovare questa storia, ma il culto per l’immagine è antico e molto sentito dalla popolazione e non sarebbe inverosimile che il quadro sia davvero il frutto di un naufragio.

Verso il 1880, un artista locale, Angelo Barone, che aveva una piccola cartoleria al centro del paese, decise di dedicare la sua vita a quel luogo; ogni giorno raggiungeva a piedi il posto e a colpi di piccone ingrandì la grotta, ne creò altre due laterali e riempi gli ambienti di statue rappresentanti la vita di Gesù e dei Santi. Angelo morì il 19 maggio 1917, subentrò il figlio Alfonso che dedicò alla Chiesa 40 anni della sua vita. Per sua mano, essa assunse il suo aspetto definitivo. Egli scolpi altri gruppi di statue, capitelli con angeli, bassorilievi con scene sacre, affreschi sulla volta della navata centrale e su quella dell’altare maggiore. Alla sua morte non ci furono continuatori.

Purtroppo agli inizi degli anni ’60 la Chiesa fu oggetto di atti vandalici. Un ragazzo (o forse due), vi penetrò all’interno e con un bastone decapitò e ruppe gli arti a diverse statue! Fortunatamente alla fine di quello stesso decennio, un nipote di Angelo e Alfonso Barone, di nome Giorgio, decise di tornare a Pizzo dal Canada dove si era trasferito e diventato un rinomato scultore, Sarebbe dovuto rimanere nel suo luogo natale per sole due settimane, ma dopo essere andato a visitare la chiesetta e averla trovata ridotta ad un ammasso di macerie, decise di provare a restaurarla. Rimase a Pizzo diversi mesi lavorando ininterrottamente per fare risorgere il capolavoro creato dai suoi zii. Il restauro si concluse nel ’68 ed ottenne il riconoscimento ufficiale nel ’69 con un ringraziamento pubblico nella Sala Consiliare del Comune di Pizzo ad opera dell’assessore Mannacio e del Sindaco Amodio.

Impropriamente la chiesa della Madonna di Piedigrotta viene definita una grotta scavata nel tufo.

In realtà non si tratta di una roccia tufacea in quanto il tufo è una roccia magmatica; in particolare è la più diffusa delle rocce piroclastiche ed è composta da brecce, lapilli e ceneri vulcaniche.

Sebbene il nome “tufo” vada propriamente riservato a formazioni di origine vulcanica, esso viene utilizzato per indicare rocce diverse, accomunate dal fatto di essere leggere, di media durezza e facilmente lavorabili. In particolare in alcune regioni italiane prive di giacimenti tufacei vulcanici viene chiamato tufo il calcare poroso.

Piedigrotta, invece sorge su rocce sedimentarie di origine marina classificabili nell’ambito di arenarie e ruditi.

La facciata è semplicissima in pietra, povera nelle forme e nei materiali. Sul tetto solamente una Croce in ferro e la statua della Madonna con il Bambino che protegge la gente di mare.

Lo spettacolo che si apre agli occhi del visitatore quando entra all’interno di essa è davvero unico: tre grotte con statue create dalla stessa roccia sedimentaria che raccontano scene delle Sacre Scritture: ai lati della porta d’ingresso 4 Angeli reggono le due acquasantiere la cui basi poggiano su dei leoni. Subito a sinistra la cappella della Madonna di Pompei che racchiude sul bellissimo altare il bassorilievo della Madonna di Pompei, il Sacerdote che celebra la Messa, Angeli, fedeli inginocchiati. Due Evangelisti accolgono i fedeli ai lati dell’arco d’entrata delimitato da un grande pesce in buono stato di conservazione.

Subito dopo San Francesco di Paola che attraversa lo Stretto di Messina sul suo mantello; quasi di fronte Sant’Antonio da Padova con gli orfanelli. Uno di fronte all’altro, il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria. Si giunge ad una grande grotta dove, nel rispetto della prospettiva, è rappresentato un grande presepe con al centro della scena Gesù in braccio a Maria, San Giuseppe, i pastori in adorazione, il bue e l’asinello e in fondo il paesaggio arabo con i Re Magi che giungono sui loro cammelli.  

Sul lato sinistro dell’altare maggiore, in un’altra grotta, c’è il gruppo che riproduce la parabola di Gesù della moltiplicazione dei pesci: Gesù tra gli apostoli e, ai suoi piedi una donna seduta con delle ceste dalle quali fuoriesce un certo numero di pesci. Subito due medaglioni che riproducono Papa Giovanni XXIII e Kennedy. Questi ultimi opera del sopra menzionato Giorgio Barone al quale si deve il rifacimento della Chiesa alla fine degli anni ’60.

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Si passa poi alla grotta dove è posizionata una statua in gesso della Madonna di Lourdes (probabilmente ritrovata agli inizi degli anni ’50 in un bosco tra Polia e Filadelfia), inginocchiata la veggente Bernardette e il bassorilievo che rappresenterebbe la moltitudine di gente che si reca a Lourdes con la speranza di ricevere il miracolo della guarigione.

Davanti il Santo protettore di Pizzo, San Giorgio che trafigge il drago.

Nella grotta posta sul lato sinistro rispetto all’entrata un gruppo scultoreo di notevole bellezza che rappresenta l’Angelo della Morte che pone una corona sulla testa di Santa Rita prostrata ai suoi piedi.

Sull’altare principale è collocata una copia del quadro della Madonna di Piedigrotta. L’originale, dopo un restauro durato diversi anni avvenuto presso la Sovrintendenza di Cosenza, al momento è custodito dentro il Santuario di San Francesco di Paola ed è in attesa di una definitiva collocazione.

Il soffitto della volta della navata centrale è decorato con affreschi oggi purtroppo molto rovinati: si intravedono: un Pellegrinaggio a Lourdes, il vascello in balia delle onde, la Battaglia di Lepanto, lo Sposalizio della Madonna.

Sull’altare 5 medaglioni con affreschi: i quattro laterali non sono più decifrabili, su quello centrale si intravede l‘Ascensione. Tutti gli affreschi sono opera di Alfonso Barone che era anche un bravo pittore.

Oggi la Chiesa è il secondo monumento più visitato in Calabria dopo i Bronzi di Riace.

Altre chiese

Chiesa Maria SS. Immacolata e San Ferdinando Re (detta della "Marina"), risalente al XVIII secolo. Sorge sulle rovine del Convento dei Padri Agostiniani distrutto dal terremoto del 1783. Custodisce la statua della Madonna Addolorata, festeggiata in settembre, e una statua di San Ferdinando.

Chiesa di San Sebastiano, (Sec. XVI) sede dal 1729 con la creazione dell'Arciconfraternita del nome di SS. Maria. All'interno è possibile ammirare stucchi, statue lignee (San Giuseppe, festeggiato a marzo, San Sebastiano, festeggiato a gennaio, SS. Nome di Maria, festeggiato a settembre; inoltre sono custodite le statue della passione e morte di Gesù, utilizzate per la tradizionale processione del Venerdì Santo, detta " di l'Angeleji") decorazioni e ori ed altre opere di artisti calabresi come Zimatore, Morani, Murmura, Grillo, Carioti. Interessanti gli stalli in noce intagliati del XVIII secolo.

Chiesa del Purgatorio, del 1651, è anche detta "dei Morti" per via della cripta, che ospita una fossa sotterranea di tumulazione caratterizzata da numerose nicchie a parete che ospitano scheletri seduti o verticali, mantenuti da un gancio (putridarium, colatoio dei morti).

Chiesa della Madonna del Carmine (1579): è la chiesa più antica di Pizzo, e tra i numerosi affreschi presenti, le statue più caratteristiche sono: Madonna del Carmine (lignea) festeggiata a luglio, e Santa Rita da Cascia (lignea) festeggiata a maggio.

Chiesa dell'Immacolata (1630). Sull'altare maggiore si trova una statua lignea dell'Immacolata, di notevole pregio, festeggiata a dicembre insieme a Santa Lucia.

Di rilievo il convento dei padri minimi di San Francesco di Paola, risalente al 1579, come la corrispondente chiesa, ricostruita dopo il terremoto del 1905. Dal 2013 la Parrocchia di San Rocco e San Francesco di Paola è stata elevata a Santuario Diocesano

Chiesa della Stazione, chiamata così perché situata vicino alla stazione di Pizzo, è dedicata alla Madonna di Piedigrotta. Più volte danneggiata dai terremoti e restaurata recentemente, ora è Parrocchia e custodisce una statua lignea della Madonna di Piedigrotta seduta su un trono, festeggiata a luglio e invocata come "Madonnina del Mare" o "dei marinai".

Castello Murat

Il castello di Pizzo è noto anche come Castello Murat, in ricordo di Gioacchino Murat, fu eretto nella seconda metà del XV secolo (dal 1486 al 1492) da Ferdinando I d'Aragona a difesa del Regno. Si erge sulla parte occidentale del paese consacrato a San Giorgio ed è costituito da un massiccio corpo quadrangolare con due torri cilindriche angolari di cui la grande torre, detta torre "Mastra", è di origine angioina (1380 circa).

Il maniero, dalla parte che si affaccia sul mare, scende perpendicolarmente sulla rupe, dall'altro, una strada ha oggi preso il posto del preesistente fossato che lo circondava e sul quale un ponte levatoio ed una porta consentivano l'accesso.

La costruzione attuale, di forma quadrangolare, da un lato a picco sul mare e dall'altro circondata da un profondo fossato, racchiude i vari edifici costruiti nel corso del tempo. In origine era stata eretta una torre di avvistamento, detta Torre maschia e risalente alla fine del 1300, che apparteneva al sistema di Torri costiere costruito nel corso del XIV secolo per contrastare le incursioni dei pirati saraceni, pirati che regolarmente attaccavano le zone costiere del regno di Napoli durante il periodo angioino.

Gli attacchi saraceni perdurarono anche durante il dominio aragonese, pertanto Ferdinando I di Napolire di Napoli, con un decreto del 12 novembre 1480 ordinò di fortificarlo ulteriormente, all'interno di un sistema di difesa che prevedeva il rafforzamento delle difese di Reggio nonché l'edificazione di altri castelli, tra i quali quello di CrotoneCariatiCorigliano e Belvedere. Vennero quindi aggiunti alla preesistente torre angioina delle mura, un corpo centrale ed una torretta di guardia, conferendo l'aspetto attuale al maniero, al quale si accedeva tramite un ponte levatoio costruito in mezzo a due torrioni, ora sostituito da un ponte tradizionale in pietra calcarea.

Nelle sue sale si svolse l'avvenimento che, come scrisse Alessandro Dumas, fece divenire Pizzo "Una delle stazioni omeriche dell'Iliade napoleonica". Giocchino Murat, re di Napoli e cognato di Napoleone, in un estremo tentavivo di riconquistare il suo regno, sbarcò alla Marina di Pizzo domenica 8 ottobre 1815, tentando di far sollevare la popolazione nei confronti di Ferdinando IV di Borbone. Ma il tentavio non riuscì. Gioacchino e il suo piccolo drappello furono sopraffatti e rinchiusi nel castello, dove 5 giorni dopo, a seguito di un processo sommario, l'ex re di Napoli fu condannato a morte dal governo borbonico.

Egli affrontò la sua prigionia e il giudizio, cui venne tanto precipitosamene sottoposto, con orgoglio e dignità, che conservò fino all'ultimo, onorando la sua fama di uomo valoroso. Rimane di quegli ultimi istanti, la nobilissima lettera che scrisse alla moglie e il ricordo della fierezza con cui volle comandare egli stesso il plotone d'esecusione invitando i soldati a mirare al cuore per salvare il viso. 

Il suo corpo, trasportato nella Chiesa Madre di San Giorgio Martire, fu sepolto in una fossa comune al centro della Chiesa dove una lapide ricorda il nome e la memoria di un Re, il quale: "Seppe vincere, seppe regnare, seppe morire".

Gioacchino Murat - “Mirate al petto…non al viso”. Eroiche le ultime parole pronunciate prima di morire. Non c’è paura nel tono della voce. Lo sguardo rivolto verso quel mare che prometteva grandi vittorie e che invece l’ha condotto sino all’ ultimo dei suoi giorni, lo stesso mare che lo separa dai suoi grandi amori: Carolina, Achille, Letizia, Lucien e Luisa.

Dopo la disfatta napoleonica a WaterlooGioacchino Murat, all'epoca re di Napoli, si era riparato in Corsica per sfuggire alla taglia di quarantottomila franchi messa a disposizione dal marchese di Rivière. In Corsica, dove giunse il 25 agosto 1815, fu raggiunto da centinaia di suoi partigiani ma ben presto, stanco dell'attesa dei passaporti provenienti dall'Austria per poter raggiungere la moglie Carolina a Trieste e avendo false notizie sul malcontento dei napoletani, fu convinto a organizzare una spedizione per riprendersi il regno di Napoli. La spedizione, messa in piedi frettolosamente e forte di circa 250 uomini, partì da Ajaccio il 28 settembre 1815. Murat voleva dapprima sbarcare nei dintorni di Salerno ma, dirottato da una tempesta in Calabria e tradito dal capo battaglione Courrand, sbarcò l'8 ottobre nel porticciolo di Pizzo.

Intercettato dalla Gendarmeria borbonica al comando del capitano Trentacapilli, Murat fu da questi arrestato e fatto rinchiudere nelle carceri del castello di Pizzo dove venne raggiunto dal generale Vito NunzianteGovernatore militare delle Calabrie che voleva sincerarsi dell'identità del prigioniero. Ferdinando I, che divenne re delle Due Sicilie in seguito alla Restaurazione, nominò da Napoli una Commissione militare presiudata dal fedelissimo Vito Nunziante, al quale il re aveva ordinato di applicare la sentenza di morte in base al Codice Penale promulgato dallo stesso Gioacchino Murat e di concedere al condannato soltanto una mezz'ora di tempo per ricevere i conforti religiosi.

Nell'ascoltare la condanna capitale Murat non si scompose. Chiese di poter scrivere in francese l'ultima lettera alla moglie e ai figli a Trieste), che consegnò a Nunziante in una busta con dentro alcune ciocche dei suoi capelli.

Volle confessarsi e comunicarsi, prima di affrontare il plotone d'esecuzione che l'attendeva, e venne fucilato nel castello il 13 ottobre 1815. Di fronte al plotone d'esecuzione si comportò con grande fermezza, rifiutando di farsi bendare. Pare che le sue ultime parole siano state:

«Sauvez ma face — visez mon cœur — feu!»»  -  «Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco!»

Charles Gallois narra: «I soldati sono commossi, due colpi partono senza sfiorarlo. "Nessuna grazia! Ricominciamo! Fuoco!" Questa volta dieci colpi detonarono insieme; 6 palle lo hanno colpito. Si mantenne ritto un istante. Poi piomba al suolo fulminato.» Il corpo venne sepolto in una fossa comune nei sotterranei della Chiesa di San Giorgio, mentre una lapide sul pavimento al centro della navata della stessa chiesa ne ricorda la sepoltura.

All’interno del maniero una ricostruzione storica con dei manichini in costume riproduce gli ultimi giorni di vita di Gioacchino Murat: nei semi sotterranei un corridoio lungo e stretto conduce  alle celle nelle quali furono rinchiusi Murat ed alcuni soldati della sua spedizione; al primo piano la sala in cui si svolse il sommario processo contro l’ex Re di Napoli, la cella in cui egli trascorse gli ultimi momenti della sua vita, nella quale si confessò con il Canonico Masdea e, infine, scrisse la lettera di addio alla moglie Carolina e ai suoi 4 figli. Sul ballatoio, il luogo in cui venne fucilato il 13 ottobre del 1815.

Nella sala del processo è presente una collezione di monete, ottimamente conservate, provenienti da una raccolta privata che è stata donata al Comune di Pizzo.

Attraverso questa collezione il visitatore effettua un viaggio nel tempo ripercorrendo le tappe storiche fondamentali vissute dall’Italia meridionale. Sono presenti monete bizantine con il Follis di Tiberio II (578-582), si passa poi ai Normanni con il Doppio Follaro di Ruggero I (1072- 1101), e ancora agli angioino-aragonesi con il Carlino di Roberto D’Angiò (1309 – 1343), Il Cavallo di Filippo IV (1621 – 1655), il Grano (1648) della Repubblica napoletana di Masaniello, e il Mezzo Ducato di Filippo V (1700 – 1707).

Non mancano, inoltre, le monete del periodo borbonico, da Carlo III (1734 – 1759), dalla Piastra del 1735, all’Oncia d’oro del 1737. I nove Cavalli del 1732 di Ferdinando IV (1759 – 1825).

Il periodo Murattiano (1808 – 1815) spazia dal Grana del 1810 alla Mezza Lira del 1813. Chiudono la Piastra del 1825 di Francesco I, ritornano i Borboni con una serie dedicata a Ferdinando II, dalla Piastra del 1834 ai 10 Tornesi del 1859 – 1860.

Busto di Gioacchino Murat - Nella sala dì ingresso del primo piano è esposto un busto in marmo raffigurante Gioacchino Murat. L’opera fino ai primi anni del 2000 era attribuita ad autore ignoto. Finalmente nel 2005, quando venne esposta per alcuni mesi in una sala della Reggia di Caserta durante la mostra internazionale “Casa di Re”, un’equipe di esperti lo ha esaminato attentamente ed ha stabilito trattasi di un lavoro artistico unico e interessante. L’autore del busto è lo scultore francece Jean Jacques Castex, amico personale del Murat. Esso è stato datato al 1812, è alto 110 cm, è stato eseguito “di memoria”, come si legge nell’iscrizione sulla base del ritratto.

Il busto giunse in treno a Pizzo nel mese di dicembre del 1950, direttamente da Parigi. All’arrivo in stazione la cassa  dell’imballaggio subì uno scossone per cui il naso si staccò dalla testa e gli fu subito dopo malamente incollato da un marmista locale.

Otto mesi prima, nel ,mese di aprile, era giunto in visita a Pizzo il signore Stefano  Vlasto. Costui fu bene accolto dagli allora Soci del “Circolo degli Intellettuali del Castello Murat” e si propose di collaborare alla realizzazione di un nuovo museo permanente. Poiché aveva delle strette amicizie con gli eredi della famiglia Murat, riusci a convincerli a donare al castello qualche cimelio che ricordasse alla città di Pizzo ed ai numerosi visitatori del Castello, il loro illustre avo. Dopo una fitta corrispondenza epistolare tra Pizzo – Roma e Pizzo – Parigi, la principessa Nicole Murat inviò in omaggio il busto che oggi si trova esposto dentro l’antico maniero.

Elmo in marmo - Anch’esso si trova nella sala d’ingresso al primo piano ed è collocato in una vetrina accanto al busto di Gioacchino Murat. Opera del Canova e De Vivo. Fu distrutta nel 1860 da una brigata garibaldina in sosta a Pizzo. L’elmo di marmo è l’unico reperto rimasto della statua di Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, che era stata collocata in Piazza al centro della “Spuntone” alta ben 5 metri, acquistata dai Borboni per 500 ducati e regalata alla città di Pizzo.

Dalle terrazze del Castello una vista sul Golfo di Sant’Eufemia e sullo Stromboli fumante, da qui inoltre, si può ammirare la piazza di Pizzo luogo di riunione storico per gli abitanti della cittadina.

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