Tropea (Borgo)
(Vibo Valentia)

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La sua morfologia si divide in due parti: la parte superiore, dove si trova la popolazione e dove si svolge la vita quotidiana del paese, e una parte inferiore (chiamata "Marina"), che si trova a ridosso del mare e del porto di Tropea.

Tra le altre zone periferiche, vi sono la località "Carmine" e la località "Campo" (divisa a sua volta in "Campo di sopra", prevalentemente occupato da orti e campagne con qualche zona residenziale, e "Campo di Sotto", dove hanno sede la locale caserma dei carabinieri e l'ospedale).

La città, nella parte superiore, si presenta costruita su una roccia a picco sul mare, con un'altezza s.l.m. che varia tra circa 50 metri nel punto più basso e 61 metri nel punto più alto.

L'abitato storico era un tempo cinto di mura e incastellato su un lato; vi si poteva accedere solo attraverso delle porte provviste di sistemi di difesa. Con una superficie territoriale di 3,66 Kmq, Tropea è il secondo comune meno esteso della Calabria, preceduto da Piane Crati.  

La leggenda vuole il fondatore sia stato Ercole quando, di ritorno dalle Colonne d'Ercole (attuale Gibilterra), si fermò sulle coste del Sud Italia.

Nelle zone limitrofe sono state rinvenute tombe di origine magno-greca.

La storia di Tropea inizia in epoca romana, quando lungo la costa Sesto Pompeo sconfisse Cesare Ottaviano. A sud di Tropea i romani avevano costruito un porto commerciale, vicino all'attuale Santa Domenica, a Formicoli (toponimo derivato da una corruzione di Foro di Ercole), di cui parlano Plinio e Strabone.

Per la sua caratteristica posizione di terrazzo sul mare, Tropea ebbe un ruolo importante, sia in epoca romana (attestato dalla cava di granito che sorge a circa 2 km dall'abitato, nell'attuale comune di Parghelia) sia in epoca bizantina; molti sono i resti lasciati dal bizantini, come la chiesa sul promontorio o le mura cittadine (chiamate appunto "mura di Belisario").

Dopo un lungo assedio, la città fu strappata ai bizantini dai pirati arabi, per poi essere riconquistata dai Normanni, sotto i quali prosperò.

Tropea continuò a prosperare anche sotto il dominio degli Aragonesi.

Nota località balneare, sorge in un alto promontorio di tufo, affacciato sul Mar Tirreno, nella costa occidentale della Calabria, in provincia di Vibo Valentia.

Di notevole interesse è il centro storico della città, con molti palazzi nobiliari del XVIII E DEL XIX secolo, arroccati sulla rupe che strapiomba sulla spiaggia sottostante. Tra questi è doveroso menzionare Palazzo Toraldo, eretto a fine del XIX secolo, che si trova all'inizio del centro storico. Al suo interno, dietro appuntamento, può essere visitata una ricca biblioteca privata con antichi documenti.

SedileNobili.jpg (201332 byte)Sempre nel centro storico c'è Piazza Ercole - dedicata all'eroe leggendario. In questa piazza è possibile trovare il monumento al filosofo Galluppi e il Sedile dei Nobili con l'antico orologio. E' qui che si sviluppa la vita notturna a Tropea, poichè nei dintorni della piazza ci sono tanti locali aperti fino a tarda notte.

Simbolo della città è il santuario di Santa Maria dell'Isola, che sorge su un promontorio di fronte alla cittadina. Le numerose chiese, costruite in varie epoche fuori e dentro la cinta muraria della città antica, costituiscono un patrimonio di notevole importanza artistica.

Chi si avventura alla scoperta del centro storico di Tropea, tra le molteplici bellezze disseminate tra i palazzi patrizi, chiese e conventi, non può fare a meno di scorgere tra i larghi e i vicoli del borgo, la presenza diffusa delle edicole votive, in dialetto locale definite cresiolee, ossia piccole chiese. L’impiego di altari di piccole dimensioni, in legno, ceramica o muratura, con immagini sacre o di altro genere ha origini antichissime, probabilmente diffusosi dall’ambiente magnogreco a quello romano-italico. Tale utilizzo si manterrà in età cristiana e per tutto il Medio Evo, eccetto la gravosa parentesi del periodo delle lotte iconoclaste (VIII-IX secolo). La presenza delle edicole votive nella Tropea antica aveva molteplici funzioni. 

La popolazione più umile e di condizioni meno abbienti che viveva nei seminterrati affollati degli edifici nobiliari, desiderosa di evadere da quei bassifondi malsani, durante i mesi primaverili ed estivi si radunava nei larghi e nei vicoli spaziosi per raccogliersi in preghiera intorno le sacre icone collocate nelle edicole. Questi rituali collettivi non avevano solo una funzione religiosa, ma anche sociale, in queste occasioni, infatti, la gente più povera conversava e interagiva su questioni quotidiane. Altro elemento importante era legato al fatto che non tutta la popolazione poteva avere accesso nelle chiese del centro storico, i fedeli meno avvantaggiati potevano, per mezzo delle edicole votive, espletare le funzioni religiose come la recita del rosario durante le novene.  

Le edicole votive essendo sempre illuminate da torce, lanterne o lumini, funsero per secoli come illuminazione pubblica, riuscendo a rischiarare gli angoli più bui. Le immagini sacre predilette nelle edicole votive sono la Madonna di Romania, patrona della città, San Francesco di Paola, molto venerato dai pescatori, San Giuseppe, patrono di falegnami e artigiani, poi vi abbiamo i Santi medici Cosma e Damiano, San Nicola, la Madonna della Pietà e del Carmelo. 

Ogni vicolo o palazzo è ornato da questi piccoli altarini, le “cresiolee” tanto care alle anziane che vivono nel borgo antico. Da un punto di vista artistico e architettonico, si tratta di piccole nicchie prive di decorazioni e in alcuni casi con colonne e cornici in stucco, mentre le immagini sacre dipinte sul muro o su tavole lignee sono opera di un artigianato creativo e vivace che nei secoli, tra terremoti e modifiche antropiche, ha saputo plasmare con coscienza e originalità l’aspetto estetico del centro storico. Secondo un approssimativo censimento, il centro storico di Tropea conta una cinquantina di queste icone, ma molte sono conservate anche all’interno dei palazzi e, quindi, difficilmente catalogabili.

“Solo i portali, numerosi e possenti, ostentano ancora intatta, nella squadrata robustezza delle loro bugne granitiche e nel complesso giro compositivo, l’opulenza di un’antica nobiltà e la vibrante dinamica di maestranze operose e sensibili.” Con questa descrizione in prosa poetica dello studioso Francesco Pugliese, per i tropeani “il Teologo”, vi abbiamo una precisa narrazione del nucleo monumentale del centro storico di Tropea e dei suoi famosi portali dei palazzi patrizi, delle chiese e dei conventi. 

Il portale rappresenta di per sé l’elemento architettonico che caratterizza un insieme di fattori, non solo artistici, ma anche e soprattutto rappresentativi del gusto delle ricche committenze della nobiltà tropeana, desiderose di esprimere il loro potere e prestigio, e in modo particolare, dell’abile creatività delle maestranze locali che nei secoli hanno saputo plasmare originali soluzioni stilistiche tra i vicoli suggestivi che si articolano fra i larghi e gli affacci panoramici protesi sul mare. La maggior parte dei portali risalgono al periodo barocco (XVII-XVIII secolo), altri sono stati rimaneggiati in seguito a diverse modifiche che subì il tessuto urbano fra il sisma del 1783 e la creazione dell’attuale Corso Vittorio Emanuele III verso la fine del XIX secolo.  

Portale4.png (1085198 byte)Portale5.png (1308659 byte)Portale2.png (1416442 byte)Portale.png (1205628 byte)Portale3.png (1055925 byte)Molti sono realizzati in granito e tufo locale, rari quelli in marmo e muratura, composti da un massiccio rivestimento e con una elegante disposizione decorativa tipica dello stile bugnato, spesso circondati da una cornice continua alternata a bugne a cuscino rettangolare scanalate ai lati e doppie bugne a diamante (Palazzo Collareto-Galli in Largo Galluppi, Palazzo Pelliccia-Cesareo in Via Boiano, Palazzo Pelliccia Bongiovanni in Via Pietro Vianeo, Palazzo Tocco in  Largo Guglielmini, Palazzo Caputo in Largo Mercato). Altri sono realizzati con una semplice cornice a bugna rettangolare posizionata in modo lineare e continuo su tutta la superficie sia dell’arco che dei piedritti (Palazzo Sant’Anna in Largo Padre Di Netta, Palazzo Caputo in Largo Ruffa). Altri ancora sviluppano una varietà di stili e di influenze con la cornice caratterizzata da  un bassorilievo continuo, sia sui piedritti che sull’arco, raffigurante forme geometriche e floreali (Palazzo Mottola Braccio e Pontoriero Barone Adesi in Via Aragona) altri con la cornice composta da due basi strette e lunghe a forma di plinti incorniciati su cui appoggiano due colonne altrettanto strette e proiettate verso il capitello in rilievo (Portale ingresso meridionale della Cattedrale) e sempre con le colonne ioniche in rilievo (Palazzo Zinnato in Via Boiano e Palazzo Mottola in Largo Migliarese).

Il più sontuoso e rappresentativo è portale di Palazzo Braghò in Via Boiano, realizzato in granito locale nel 1721. La cornice è ricca di elementi decorativi: piedritti con lesene da ambo i lati simmetricamente con ulteriori decori in bassorilievo con grandi foglie e conchiglie e con due piccoli felini in rilievo e due vasi fioriti.  Le lesene continuano anche sull’arco superiormente, interrotte da cunei con inseriti rilievi di foglie e alla cui estremità superiore sono poste sei grandi conchiglie. L’elemento centrale in chiave d’arco presenta una ghirlanda con frutta, verdura e fiori. Sono tutti elementi simboleggianti la ricchezza data dal mare e dalla terra. Ai portali si uniscono gli stemmi nobiliari, sempre disposti sulla chiave d’arco. Diffuse sono le maschere apotropaiche contro il malocchio applicate in chiave d’arco.

Il sito dove anticamente sorgeva il Castello di Tropea è oggi occupato da Palazzo Toraldo-Serra. Il Castello si estendeva all’ingresso della città, in corrispondenza dell’inizio del Corso Vittorio Emanuele III, su un ammasso roccioso alto quindici metri d’altezza sulla strada che, ancora oggi, conduce alla zona della Marina. La possente fortificazione a pianta trapezoidale, con quattro torri angolari, due giardini con un’antichissima chiesa addossata alle mura dedicata a Santa Maria del Bosco, possedeva anche una Torre Mastra e una torre centrale alta circa 30 m., detta “Torre Lunga”, essa faceva parte di un compatto sistema difensivo costiero voluto da Don Pietro di Toledo, viceré di Napoli sotto Carlo V, per far fronte alle incursioni turchesche che imperversavano in queste aree. Dalla cima della “Torre Lunga” si poteva ammirare il passaggio delle navi e delle imbarcazioni dal golfo si Sant’Eufemia e golfo di Gioia Tauro.

Nei secoli questo sistema difensivo rese Tropea inespugnabile, fu più volte adibito a carcere e sede del governatore regio. La più antica fase della Cinta Muraria, che si articolava fino alla Porta di Mare ad oriente e alla Porta Vaticana ad occidente, risale ai tempi della guerra Greco-Gotica (535 d.C.), opera del generale bizantino Belisario che volle rendere Tropea una roccaforte inespugnabile. Le uniche testimonianze rimaste oggi costeggiano la strada che porta alla Marina, dal giardino prospicente Palazzo Toraldo-Serra fino alla Cattedrale.

Dopo il terremoto del 1783, fu ricavata una terza porta, Porta Nuova, corrispondente all’attuale inizio del Corso. Durante le fasi della demolizione del Castello, avvenuta tra il 1825 e il 1876, furono rinvenute diverse decine di epigrafi funerarie paleocristiane (V sec. d.C.) con nomi di religiosi come Monses Presbiter (il prete Mosé) e Leta Presbitera (una donna prete!) e di Hirene Conductrix Massae Trapeianae, la prima attestazione del nome Tropea. Insieme alle epigrafi trovate nello scavo archeologico avvenuto in Largo Duomo nel 1980, oggi visitabili presso il Museo Diocesano, Tropea vanta il più grande e considerevole patrimonio epigrafico di età paleocristiana della Calabria.

Nella cultura antropologica meridionale rientrano le maschere apotropaiche ossia quelle facce mostruose che si trovano sugli stipiti delle porte e sui balconi per allontanare il malocchio e le energie negative, queste riflettono lo spirito scaramantico tropeano. Presenti in molte culture, ma specialmente diffuse nel Mezzogiorno, avevano il compito di allontanare gli spiriti maligni. La loro iconografia è molto varia, ma di solito hanno forma antropomorfica di Satiri e Gòrgoni in pietra o terracotta che ornavano per lo più le entrate dei templi greci e romani. Tutto ciò richiama il teatro greco dove le maschere avevano un ruolo importante legato alla religione e alla cultura della Magna Graecia.

Come risulta dagli scavi archeologici, l’uso nella regione è antico, nelle maschere moderne vengono aggiunte le corna, per simboleggiare il diavolo. Nell’atto di provocare vengono rappresentate con lingua penzolante, naso storto, occhi sporgenti capelli arruffati e con le immancabili corna. Inoltre i tropeani spesso si circondavano di diversi simboli: ferro di cavallo posizionati a corna, scope inchiodate o corna di bue ma ormai questa tradizione nelle nuove generazioni sta venendo meno.

 Era inoltre anche diffuso inchiodare gli uccelli, preferibilmente notturni, sugli stipiti delle porte, rito molto antico di origine romana. Si credeva che le forze ostili trovassero così una barriera, e la casa diventava così uno spazio protetto. Nel portale di un palazzo patrizio del centro storico viene raffigurato il mito dell’uomo preadamita, secondo alcune tradizioni ebraiche e cristiane, vissuto prima di Adamo. Questi uomini presentavano tre occhi, quello posto sulla fronte rappresentava la conoscenza divina, ma quando l’uomo cadde nel peccato perse questo status ed è per questo che in alcune maschere è rappresentato cadente.

Altro mascherone è quello dei Rosacroce, una confraternita di ricercatori spirituali la cui origine risale al XIV secolo in Germania. La confraternita dei Rosacroce insegnava la vera religione e la vera filosofia e tramandava le scienze più segrete. Ma solo chi ne erano degni potevano superare dei “passaggi” per ricevere l’illuminazione della conoscenza divina.

Santuario Santa Maria dell'Isola

Sul lato nord di Tropea, antica città del Tirreno calabrese sorta su un grosso frammento di roccia, sorge, staccato dalla massa principale, lo scoglio di Santa Maria dell'Isola. Un tempo tutto circondato dal mare, da qui il suo nome storico rimasto immutato nel tempo.

Fin dall'Alto Medioevo, l'isola fu meta di comunità monastiche, ricercatori di solitudine e spiritualità, luogo di stimolo alla preghiera ed al raccoglimento. Nulla di certo sappiamo della sua erezione, ma dalla ricerca di alcuni storici emerge l'ipotesi, verosimile, che vi fosse un primo insediamento di monaci eremiti greci.

A cavallo tra il 1066 e il 1090 la chiesa di Santa Maria dell'Isola e alcuni territori dei dintorni, furono donati dai Normanni all'abate di Montecassino, Desiderio, divenuto poi papa Vittore III. A testimonianza di ciò vi è un'incisione su di una formella della porta bronzea della Basilica di Montecassino la quale attesta la proprietà di "Sancta Maria de Tropea cum omnibus pertinentiis suis". Ancora oggi, il Santuario e tutto lo scoglio dell'Isola sono proprietà dell'Abazia di Montecassino.

Effettivamente tutti i documenti visionati, raccontano di una chiesa probabilmente di grande rilevanza che senza dubbio amministrava cospicui beni. Narra una leggenda che in tempi remotissimi una nave dall’Oriente approdò sull’isolotto di Tropea e non riprese più il largo fin quando la statua lignea della Vergine non fu sbarcata. L'effige miracolosa fu posta in una grotta, poi traslata in una caverna sotterranea su cui nacque la basilica. Tuttavia della statua miracolosa si sono perse le tracce.

Nel corso dei secoli, quindi, a causa dei violenti terremoti e, probabilmente, delle varie incursioni, il complesso ha subito vari restauri e rifacimenti tanto da non conservare più l'assetto originario. Solamente all'interno della chiesa sono rintracciabili alcuni elementi architettonici tipici delle epoche che il Santuario ha attraversato.

In origine fu costruito un edificio di culto a forma quadrata con vano centrale circondato da peribolo con volta a botte, delimitato dal vano centrale da pilastri ed archi a conci tufacei. Del peribolo rimangono intatti un lato e la maggior parte del secondo. Sono tutt’ora indenni anche le volte a botte nella zona pilastrata.

In età gotica l’edificio fu restaurato e riadattato con costruzione di ambienti con volta a crociera gotica costolana. Vi rimane una semicrociera nel vano tra l’Altare, la Cisterna e la parte terminale dell’edificio primitivo. A questi lavori seguì una consacrazione del tempio come è indicato da una iscrizione ancora sul posto: Anno Domini MCCCLXXXXVII XXIII mensis aprilis indictione quinta consecrata est ecclesia sanctae Mariae de Insula de Tropea. Riguardano questa età alcune sculture sepolcrali conservate anche se non in condizioni di integrità.

Qualche secolo dopo l’edificio subì una radicale trasformazione. Fu sventrato nella parte centrale. Vi furono aggiunti i pilastri ed archi con volta a botte. L’interno prese la forma di piccola basilica con le irregolarità dovute alla conservazione delle parti salvabili del primitivo edificio. L’esterno prese l’aspetto di parallelepipedo sormontato dalla volta della navata centrale con l’estradosso allo scoperto, di effetto stranamente arabeggiante.

Verso la fine del Seicento vi fu aggiunto un portico che diede la possibilità di costruire nel piano superiore una serie di stanzette per abitazione degli eremiti.  

Più tardi il portico fu in parte eliminato murando gli archi che sono tutt’ora rilevabili sotto la muratura. Ne rimasero aperti solo tre. Da un lato vi si ricavò la sacrestia, dall’altro il deposito. In fondo si aprì una porta, si sventrò il muro terminale della navata centrale e della navatella destra e si allungò la pianta della chiesa.

Nel 1810 esistevano nell’orto, nella parte nord dell’edificio altri vani che furono poi eliminati senza lasciarvi tracce visibili.  

L'ultimo rifacimento risale al 1908, dopo che il terremoto del 1905 ha distrutto una parte del portico. Mentre il restauro della facciata è datato 2010-2011.

Dopo il terremoto del 1905 fu rifatta tutta la facciata che aveva subito il crollo dell’arco centrale del portico, dandole l’aspetto non certo felice che conserva tutt’oggi. Oggi la Chiesa, ospita le statue della Sacra famiglia (al momento sistemate presso la chiesa del Rosario), portate in processione in mare ad ogni 15 di agosto. Per raggiungere la Chiesa a tre navate si accede attualmente da una ripidissima scalinata scavata nel tufo, prima però ci si poteva inerpicare sull’isola Bella attraverso gli scogli. Sul percorso era comunque possibile ammirare una chiesetta dedicata a San Leonardo che però venne utilizzata dai pescatori per custodire gli arnesi. Inoltre un bellissimo museo custodisce i segreti del Santuario.  

L'attenzione, entrando all'interno della piccola chiesa, viene rapita dalle statue rappresentanti la Sacra Famiglia opera del Settecento, venerata tutt'oggi dalla popolazione tropeana con una tradizionale processione in mare il 15 agosto.

La devozione alla Madonna dell'Isola nasce, molto probabilmente, in epoca bizantina. Per lunga tradizione sembra che i riferimenti di questo culto fossero due: uno nella cripta esistente nella Chiesa, l'altro a metà della scalinata d'accesso, dove vi si può ammirare una piccola edicola con la scritta in latino "locus ubi steterunt pedes eius". Si riferisce all'uso immemorabile di portare i sofferenti di disturbi gastrici e di stenderli sul masso retrostante. Si racconta che numeroso erano le grazie di guarigioni.

Non conosciamo la realtà iconografica dell'icona venerata all'Isola; sappiamo solo, da documenti, che in un determinato periodo storico era chiamata Sancta Maria ad Praesepe.

Oggi l'Isola è divenuta uno degli emblemi turistici della Calabria, ed è oggetto di interesse e ammirazione di milioni di vistatori, rapiti non solo dall'imponente Scoglio e dalla bellezza del suo Santuario, ma anche dal complesso paesaggistico nel quale è immerso.

Un ulteriore contributo, infatti, è dato, oltre che dal retrostante giardino dove è presente una vasta varietà di vegetazione mediterranea, anche dal suggestivo panorama che si gode, in particolare al calar del sole che all'orizzonte si spegne nelle pendici del vulcano Stromboli.

Cattedrale di Maria Santissima di Romania

La Cattedrale di Tropea fu eretta nel 1163 durante la dominazione normanna e consacrata all’Assunta. Si sviluppa a pianta basilicale su tre navate, con pilastri ottagonali e conci policromi, come da tradizione del romanico siculo-normanno. A causa di terremoti e incendi, venne rimaneggiata più volte nel corso dei secoli. Fu riportata al suo stile “originario” tra il 1926 e il 1931, questi interventi, tuttavia, cancellarono quasi ogni traccia di stile barocco e neoclassico. Sulla facciata si apre l’ingresso principale con un portale ad archeggio sopraelevato in tufo. Il complesso absidale esterno a tre curvature ha archeggi decorativi con pietra tufacea e lavica.

La facciata nord è quella originale di epoca normanna, si apre un altro portale settecentesco di ridotte proporzioni rispetto al principale, sormontato da una struttura in pietra, che riproduce il quadro della Madonna di Romania. Nella prima cappella di destra troviamo sepolture della famiglia Galluppi, risalenti al 1598 e al 1651, e la tomba del filosofo Pasquale Galluppi. Nella seconda cappella è collocato un grande Crocifisso ligneo del XV secolo e la tomba del Beato Francesco Mottola. Andando avanti segue l’ingresso laterale e la tomba della famiglia Gazzetta (1530).

Da qui si accede alla sagrestia e alla sala capitolare che ospita i ritratti dei Vescovi della Diocesi e arredi lignei settecenteschi. Proseguendo si giunge alla cappella della Madonna delle Grazie e del S.S. Sacramento e di Santa Domenica che ospita pregevoli altari in marmo policromi e decorazioni del 1740. I pennacchi della volta e delle lunette ospitano tele di Giuseppe Grimaldi raffiguranti il martirio di Santa Domenica. Uscendo dalla cappella, vi sono l’organo e l’altare con la Madonna del Popolo, opera di Giovanni Angelo Montorsoli, allievo del Buonarroti, scolpita nel 1555. 

Sulla parete dell’abside maggiore è collocata l’icona in legno di cedro della Vergine Maria di Romania, opera di scuola giottesca attribuita a Lippo di Benivieni (prima metà del XIV). La pietà popolare le attribuisce numerosi miracoli che protessero la città da terremoti, pestilenze e dalla distruzione bellica. Nella navata maggiore troviamo il pulpito settecentesco sotto il quale è collocato un bassorilievo della Natività, opera di Pietro Barbalonga (1598).

Passando dalla navata sinistra, nell’abside troviamo un pregevole tabernacolo marmoreo di scuola toscana del XV secolo, commissionato dal Vescovo Pietro Balbo, e sopra la statua della Madonna della Libertà in marmo carrarese (del XVII), ex voto per l’annullamento della vendita di Tropea in favore del Principe Vincenzo Ruffo nel 1615. Sull’uscita laterale verso nord, un bassorilievo raffigurante la Resurrezione, attribuito al Gagini (metà del XVI secolo) e due tondi raffiguranti l’Annunciazione, dello stesso periodo.

Culto della Madonna di Romania - Sull’arrivo del quadro della Madonna di Romania la leggenda tramanda che al tempo delle lotte iconoclaste, giunse un’icona su una imbarcazione proveniente dall’oriente bizantino sospinta da una tempesta nel porto di Tropea: per questo venne denominata Madonna di Romania (con Romània si intendeva l’Impero Romano d’Oriente). Riparati i danni, il capitano cercò di ripartire, ma la nave rimase ferma. Nella stessa notte, il vescovo della città sognò la Madonna che gli chiese di rimanere a Tropea e diventarne la Protettrice. Il sogno si ripeté per varie notti. Alla fine il Vescovo, convocati gli alti funzionari e i cittadini, si recò al porto a prendere il quadro della Madonna. Non appena il quadro fu portato a terra la nave ripartì. 

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Successivamente la Madonna verrà ancora in sogno ad un altro vescovo, Ambrogio Cordova, avvertendolo di un terremoto che avrebbe devastato la Calabria. Questi, il 27 marzo 1638, istituì una processione di penitenza, che coinvolse tutto il popolo tropeano. Durante la processione si scatenò il terremoto che non procurò alcun danno ai tropeani. Da questo avvenimento si rafforzò la devozione di Tropea per questa Madonna, a cui i tropeani riconoscendone la sua intercessione benefica, la proclamarono Protettrice, e tutt’oggi i tropeani ricordano quel 27 di marzo 1638.

Attribuite alla Madonna di Romania furono anche la salvezza dall’epidemia di peste che nel 1656 si espanse in tutto il regno di Napoli e che portò migliaia di vittime e poi, durante la seconda guerra mondiale, la non esplosione di sei grandi ordigni bellici, due di questi custoditi nella Cattedrale di Tropea a ricordo di quella tragedia evitata. Il 9 settembre di ogni anno, anniversario della Incoronazione della Sacra Icona, si svolge la processione che accompagna la venerata Immagine per le vie cittadine insieme a tutte le confraternite religiose. La partecipazione popolare è altissima e la devozione alla Madonna è confermata dagli innumerevoli fedeli, che nei giorni della Novena che precede la festa, partecipano con entusiasmo e devozione, celebrando con inni e canti le lodi alla Madre di Dio.

Chiesa del Gesù

La Chiesa del Gesù risale agli inizi del 1600, edificata dai Padri Gesuiti giunti a Tropea nel 1594. L’edificio sorge sul sito dell’antica chiesa di “San Nicola della Cattolica” (VIII-IX sec.), Cattedrale di Tropea prima del Duomo attuale, ma di rito greco-ortodosso. Demoliti i resti dell’antica chiesa bizantina, fu costruita la chiesa come la vediamo oggi sul disegno della Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli (a croce greca, con cupola e volte a botte sulle braccia, che però non fu mai completata). 

La facciata è in stile barocco in sintonia con l’interno. Vi abbiamo quattro lesene in rilievo sporgenti dalla parete facciale che reggono il timpano, al cui centro si apre un finestrone con lo stemma dei Padri Gesuiti “I.H.S”: Iesus Hominum Salvator (Gesù Salvatore degli uomini). In mezzo alle lesene vi abbiamo quattro nicchie terminanti a gusci di conchiglia con le statue dei maggiori Santi Dottori della Chiesa d’Occidente: Sant’Agostino, San Gregorio Magno, Sant’Ambrogio e San Girolamo. L’ingresso è composto da una massiccia porta a cassone ornata di croci e rosoni in bronzo. Sopra l’altare maggiore troviamo la tela della “Circoncisione di Gesù” attribuita a Giuseppe Schifino (1580-1640). Sui pennacchi, sulle lunette sotto la cupola e sulle pareti di fondo vi sono effigiate le virtù e scene bibliche a firma del pittore tropeano Giuseppe Gaetano Grimaldi (1690-1748). 

Sempre dello stesso autore abbiamo la grande tela de “La Natività” che si si ammira sopra il portone d’ingresso. L’opera è datata 1731 e occupa ben 38 metri quadrati; raffigura al centro la Madonna col Bambino e intorno scene di vita campestre e pastorale. Sulla sinistra vi abbiamo l’autoritratto del Grimaldi mentre indica la Natività. Entrando in chiesa, sulla sinistra troviamo il busto di Carlo Scattaretica con l’epigrafe in cui viene riportata la sua donazione di 600 ducati nel 1676 per il rifacimento della chiesa e la Cappella di Sant’Alfonso Maria dei Liguori (1696-1787), fondatore della Congregazione dei Missionari Redentoristi. L’altare settecentesco è in tarsie marmoree, fu comprato a Messina dal P. Vito Michele Di Netta e dedicato al santo fondatore dei Redentoristi in occasione della sua canonizzazione nel 1839.

Forse questi marmi appartenevano a chiese distrutte dal terremoto del 1783. A sinistra di questo altare spicca la tela di San Clemente Maria Hofbauer (1750-1820) e sulla destra il Patrono della Calabria, San Francesco di Paola (1416-1507). Prima questa cappella era dedicata a San Nicola. La cappella che si trova sulla destra è dedicata a San Gerardo Maiella (1726-1755). Questo altare è un’imitazione simmetrica in stucco dell’altare di Sant’Alfonso Maria dei Liguori. In questa cappella vi abbiamo le statue della Madonna Addolorata e il Crocefisso, a cui originariamente la cappella era dedicata. Nella parete sinistra troviamo la tomba del Venerabile Servo di Dio P. Vito Michele Di Netta (1787-1849). Avanzando verso il centro della chiesa, sulla sinistra troviamo l’altare di Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore dell’Ordine dei Gesuiti. La tela, opera di Giuseppe Pascaletti (1699-1757), raffigura il santo mentre ha una visione di Gesù che gli dice: “A Roma ti sarò propizio”. 

Ai lati di questo altare si ammirano due tele del Grimaldi: quella di destra raffigura Sant’Ignazio mentre scrive gli esercizi spirituali dettati dalla Madonna, mentre quella sinistra rappresenta la morte del santo. Sopra l’altare si ergono le statue in gesso di San Francesco Borgia (1510-1572) e San Francesco de Geronimo (1642-1716). Al centro di questo altare, in alto, la statua della Immacolata e sulla destra il busto di San Gennaro (+ 305). Sotto l’altare vi è il simulacro di Santa Filomena (+ 311). Sulla destra della chiesa troviamo l’altare di San Francesco Saverio (1506-1552), uno dei primi compagni di Sant’Ignazio chiamato “l’apostolo delle Indie”. Sopra l’altare vi abbiamo un’altra tela di Giuseppe Pascaletti raffigurante il santo. 

Ai lati dell’altare vi troviamo due tele del Grimaldi: sulla sinistra San Francesco Saverio nell’atto di ricevere il crocifisso recuperato da un granchio e sulla destra la morte del santo. Le due statue in gesso poste in alto sull’altare rappresentano a sinistra San Stanislao Kostka col Bambino Gesù (1550-1568) e a destra San Luigi Gonzaga (1568-1591), ambedue santi gesuiti. Il alto al centro vi abbiamo Dio Padre. Sotto l’alare vi abbiamo la statua lignea settecentesca del Cristo Morto che ogni anno, il Venerdì Santo, viene portata in processione insieme a quella della Madonna Addolorata. Il grande lampadario ottocentesco in vetro di Murano fu regalato dal conte Pasquale Gabrielli in segno di riconoscenza ai Missionari Redentoristi.

Chiesa della Michelizia

La chiesa della Michelizia, sorta in onore della Madonna della Neve, è un monumento architettonico tra i più rari della Calabria per la sua cupola rinascimentale;

Le origini risalgono al XIII secolo dedicata a Santa Maria della Neve, anche se è conosciuta come “Chiesa di S. Maria Michelizia” o più semplicemente “Chiesa di Michelizia” secondo la tradizione che la ritiene fondata da un ricco mercante siciliano di nome Michele Milizia (da cui Michelizia) che, in una notte di tempesta, trovandosi in pericolo in mezzo al mare, fece voto alla Madonna della Neve che avrebbe edificato una chiesa se si fosse salvato. Immediatamente, apparve una luce lungo la costa e il ricco navigatore si salvò, costruendo proprio in quel luogo la chiesa in onore della Madonna della Neve.

L'edificio consta di due parti distinte anche se accostate: la parte cupolata e la navata longitudinale. La parte più interessante è la cupola. La sua struttura architettonica di influenza bizantino-araba. Infatti, la monumentalità della parte cupolata, la razionalità delle forme geometriche, il movimento ascensionale, dal cubo sottostante al tamburo centrale, sono elementi che creano una forma estetica di alto valore e di piena originalità. L'edificio può essere ammirato dal porto di Tropea o dall'orto retrostante la chiesa, che un tempo campeggiava su un grande agrumeto e forniva ai suoi visitatori la possibilità di ammirare un paesaggio stupendo della rupe di Tropea. 

Altri luoghi d'interesse

La chiesa di San Francesco di Paola, fondata nel 1552, testimonia il passaggio a Tropea di S. Francesco di Paola, che volle costruire fuori dalle mura della città una chiesa e un convento, attualmente la chiesa si contraddistingue per un elaborato portale granitico, il convento invece oggi è una villa privata;

La cappella di S. Margherita invece è un monumento funebre del XIV sec. di notevole interesse storico, infatti presenta uno stemma misterioso che induce gli studiosi ad attribuirlo ad una casa regnante, purtroppo attualmente la zona, pur essendo nel centro storico, è in totale abbandono;

La Chiesa dei Gesuiti o dei Liguorini è una costruzione seicentesca, la cui facciata è stata trasformata in età recente; all'edificio è annesso l'antico collegio dei Gesuiti, che ora è diviso tra il Comune, che vi ha sede, e i padri Liguorini;

La chiesa del Carmine, sorta nel 1569 fuori dal centro città per generosa iniziativa del nobile tropeano Alessandro D'Aquino, fu affidata ai padri carmelitani, annesso alla chiesa vi era un convento, che oggi non esiste più. La chiesa del Carmine è stata modificata nel Settecento, come testimonia l'interessante facciata e la sua splendida scalinata;

La chiesa dell'Annunziata, costruita su volere dell'imperatore Carlo V nel 1521 lontano dal centro storico di Tropea, è un edificio ad una sola navata, in cui si distinguono per pregio l'altare in marmi scuri, opera del Cinquecento con aggiunte del Seicento e il grande soffitto rinascimentale-barocco a cassettoni.

Inoltre la città ospita, negli antichi locali del Vescovato, il museo diocesano, contenente ori e argenti della cattedrale e parecchie opere pittoriche, sculture e affreschi, manufatti e arredi. Recentemente, inoltre, è stata aperta la sezione archeologica.

Un luogo divenuto il centro culturale cittadino è poi il complesso di Santa Chiara, recentemente restaurato; esso ospita una sala congressi nell'antica chiesa medievale, mentre le sale che furono un tempo parte del convento delle clarisse sono state destinate al Museo civico del mare.

Numerosi e caratteristici sono gli affacci a mare, chiamati anche villette, tra cui l'affaccio Raf Vallone o dei Sospiri, considerato uno degli affacci più belli del Sud Italia.

Nel 2020, in occasione della festa della Repubblica, alla presenza delle più alte autorità, è stata inaugurata la nuova piazza della città, piazza Vittorio Veneto.

La Cipolla Rossa

Le prime coltivazioni della cipolla di Tropea risalgono al periodo fenicio, quando venne introdotta nelle zone del vibonese e successivamente nelle aree circostanti, per poi diffondersi lungo tutta la fascia del mar Tirreno. A causa del suo forte odore distintivo e spesso poco piacevole, la cipolla di Tropea e più in generale tutti i tipi di cipolle sono sempre state bistrattate ed incomprese.

Tuttavia, grazie alle qualità e potenzialità anche curative della cipolla di Tropea, quest’ultima è riuscita nel tempo ad ottenere i meritati riconoscimenti. Si dice addirittura che Plinio il Vecchio citi, in un suo scritto, una certa qualità di cipolla prodotta in Calabria, dalle particolari attività benefiche per la salute, diventando così un prodotto indispensabile nella vita quotidiana dei romani. Conobbe un più importante sviluppo durante il periodo borbonico, e venne così introdotta anche sui mercati del nord Europa nei quali era sempre più richiesta ed apprezzata. Le prime testimonianze scritte di una coltivazione più sviluppata e redditizia sulla cipolla in Calabria si hanno intorno alla prima metà del ‘900, con dati statistici riscontrabili all’interno dell’Enciclopedia agraria Reda e grazie agli scambi commerciali che la resero famosa anche nei mercati d’oltre oceano.  

Le caratteristiche specifiche della Cipolla di Tropea, che la rendono così famosa ed apprezzata, non solo nel commercio nazionale ma anche internazionale, sono determinate dalla particolare composizione della zona di produzione in cui viene coltivata. Si tratta di un territorio tipicamente sabbioso e argilloso, molto fertile e ricco di sostanze organiche, il quale, insieme ad un microclima mediterraneo, crea le condizioni perfette per la crescita e lo sviluppo di questo prodotto.

Questa eccellenza del territorio viene coltivata lungo la costa tirrenica in vari comuni delle province di Cosenza, Vibo Valentia e Catanzano, ma deve il nome a Tropea perchè era dal suo porto che veniva spedita in tutto il mondo.

Le sue peculiarità spiegano come sia diventata un’importantissima risorsa per l’agricoltura calabrese non solo economica ma anche culturale; la cipolla di Tropea infatti, per le sue singolari proprietà organolettiche ha creato uno stretto legame con il suo territorio d’origine, che corrisponde principalmente ai territori calabresi delle province di Vibo Valentia e Catanzaro. 

Dalla caratteristica forma a trottola, un po’ allungata ai lati e tondeggiante al centro, la Cipolla di Tropea è unica nel suo genere ed è protetta dal bollino IGP, proprio per tutelare e assicurarne la sua originalità. Nonostante non rappresenti un’alta percentuale della produzione e del commercio calabrese, la sua appetibilità è apprezzata e ricercata in tutto il mondo, sia sui mercati nazionali che su quelli esteri.

La preparazione dei vivai per la crescita delle Cipolle di Tropea avviene tra l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre; i vivai vengono ricoperti con delle felci per proteggere la germinazione del bulbo.

Il trapianto dei fili di cipolla, tolti dai vivai, avviene poi verso novembre e si dovrà aspettare fino a febbraio per veder germogliare i primi cipollotti, mentre da aprile/maggio sarà possibile raccogliere le primizie.

La Cipolla di Tropea viene commercializzata in modi differenti:

- il cipollotto, ad esempio viene venduto in mazzi;

- la cipolla da consumo, che presenta dimensioni maggiori rispetto al cipollotto si trova in commercio fresca;

- la cipolla da serbo, invece, ha un colore violaceo e presenta bulbi disidratati, spesso viene venduta in trecce.

Il suo inimitabile e distintivo color rosso intenso è dato dalla sua particolare composizione organica ricca di antocianine. Si tratta di composti polifenolici solforati che appartengono alla famiglia dei flavonoidi e caratterizzano il prodotto in maniera unica e riconoscibile.

Le specificità della cipolla rossa di Tropea sono dovute principalmente all’interazione con l’ambiente, al tipo di terreno, e a caratteristiche quali vicinanza con il mare, temperatura, umidità e ore di esposizione ai raggi solari. Sembrano elementi scontati ma sono proprio le peculiarità del territorio e del clima che conferiscono delle specifiche qualità fisiche ed organolettiche ad un qualsiasi prodotto, cipolla di Tropea inclusa.

Le suevarie tipologie differiscono per forma, che può essere più tondeggiante o allungata, e per maturazione. Quest’ultima determina tre sottoprodotti:

- la precoce, viene raccolta tra aprile e maggio;

- la medio-precoce è raccolta tra maggio e giugno;

- la varietà tardiva raggiunge maturazione nei mesi di giugno e luglio.

Anche il colore e la pezzatura possono cambiare e variare tra il rosso intenso e quello più tenue per la prima caratteristica, mentre può essere media o media-grossa per la seconda.
 

Prevalentemente composta da acqua, la cipolla presenta uno scarso livello di macronutrienti, nel dettaglio circa l’1% di proteine e grassi. I carboidrati sono formati in quasi totalità da zuccheri semplici tra cui un polimero del fruttosio che dal punto di vista nutrizionale risulta importante per l’equilibrio della flora batterica. 

Si tratta di una fibra insolubile che permetterebbe la proliferazione di batteri della flora bifida a scapito di quella putrefattiva, producendo benefici sulla salute. Rilevanti sono infine alcuni elementi minerali quali potassio, ferro, calcio e fosforo.

La cipolla, nonostante sia poco amata per il suo odore persistente e poco gradevole, sembrerebbe avere numerose qualità salutari. Si pensa infatti abbia poteri afrodisiaci, caratteristiche antisettiche, diuretiche ed anestetiche: in quest’ultimo caso ad esempio veniva utilizzata contro le punture di medusa per ridurre il bruciore e l’infezione. 

Sembrerebbe essere un ottimo aiuto contro i reumatismi, il mal di testa, gli ascessi, le verruche e le punture di insetti: sfregandone una parte sulla puntura, infatti, si alleviano il dolore ed il prurito. 

Evita inoltre raffreddori ed influenze; in questo caso il consiglio è di posare una cipolla tagliata a metà sul comodino o quanto più vicino al naso per permettere la respirazione dei fumi salutari durante il sonno. È inoltre un buon alleato contro il diabete, allontana il rischio tumorale e preserva dall’invecchiamento cellulare.

La Cipolla rossa di Tropea sprigiona il suo massimo gusto se mangiata cruda, in insalata di pomodori, grazie alla sua polpa carnosa e croccante. Tuttavia è possibile utilizzarla come ingrediente per sfiziose frittate o sottoforma di confettura per delle crostate alternative. È ottima come sott’aceto, oppure fresca come ingrediente per sughi o soffritti.

Fonte
https://it.wikipedia.org
https://tropea-tourism.com/storia-e-cultura
https://www.facebook.com/SantaMariadellIsola