Vibo Valentia

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Siti archeologici

Mura Greche di Hipponion - Situate in località Trappeto Vecchio, sono le mura difensive della città della Magna Grecia Hipponion. In origine queste mura dovevano essere lunghe circa 6-7 kilometri, alte 10 metri e ad una distanza variabile tra i 25 e i 40 metri erano presenti delle torri. 

Le più imponenti di esse presentavano un diametro di 10 metri e raggiungevano i 15-17 metri di altezza. Oggi l’unico tratto portato alla luce misura circa 500 metri e presenta otto torri, la più alta di esse raggiunge i 4 metri di altezza. Questo tratto, ubicato nei pressi del cimitero cittadino venne descritto per la prima volta nel 1753 dai fratelli Pignatari, mentre nel 1832 Vito Capialbi pubblicò la pianta del tracciato. Gli scavi che lo portarono alla luce avvennero però tra il 1916 e il 1917 e tra il 1921 e il 1922, condotti dall’archeologo Paolo Orsi, il quale scoprì anche i basamenti di edifici e templi riconducibili alla polis greca.  

La cinta muraria dell'antica colonia di Hipponion fu indagata nel suo tratto Nord-Est tra il 1916 e il 1922. 

Sullo scorcio del secolo scorso l'analisi delle foto aeree e alcune verifiche del terreno hanno permesso di approfondire la conoscenza sulla tecnica costruttiva e di accertare la successione di diverse fasi edilizie. Le mura greche di Hipponion erano dotate di varchi, piccole porte e porte monumentali, nelle quali sfociavano i più significativi assi viari di comunicazione fra il settore urbano e le aree extraurbane. 

Il tratto di mura greche visitabile, lungo circa 500 metri, risulta essere quello che cingeva la città a Nord-Est ed è stato oggetto di ben cinque fasi edilizie nel corso di oltre duecento anni. Nella prima fase edilizia, che va dalla seconda metà del VI agli inizi del V secolo a.C. la cinta muraria consiste in una struttura rettilinea con zoccolo di pietre scistose cavate in loco e messe in opera a secco ed un elevato in mattoni crudi, realizzati con terra argillosa e paglia e semplicemente essiccati al sole senza essere cotti in fornace.

Nella seconda fase viene utilizzata una tecnica edilizia più evoluta, che prevede l'impiego di blocchi di arenaria locale messi in opera a secco. La cinta muraria di Hipponion viene fiancheggiata sul lato interno da un terrapieno, dove vengono edificate delle torri a pianta rettangolare. Nella terza fase edilizia, cominciata qualche decennio dopo la distruzione operata da Dionigi il Vecchio di Siracusa nel 388 a.C. viene ristrutturata almeno parte della cortina.

Nella quarta fase costruttiva, avvenuta tra il IV ed il III secolo a.C. le mura greche di Hipponion vennero dotate di quattro poderose torri esterne a base quadrata, sporgenti rispetto alla linea delle mura greche. La cinta era difesa ulteriormente in questa fase da un fossato largo circa quattro metri, oggi non più visibile. Nella quinta ed ultima fase (prima metà del III secolo a.C.) quasi contemporanea alla precedente, viene aggiunto a partire dalla torre V un tratto di cortina Ovest di circa 280 metri, intervallato da quattro torri cilindriche dotate di porta di sortita e scale per accedere a un piano superiore.

Le cinque fasi edilizie attestano da una parte la continua espansione della colonia locrese sino almeno al III secolo a.C. e d'altra parte testimoniano i continui conflitti che dovevano esserci tra Hipponion e Locri Epizefiri prima, e contro le popolazione brettie successivamente.  

In epoca contemporanea, le mura greche di Hipponion rappresentano la cinta muraria ellenica più imponente presente in Italia ed il sito archeologico potrebbe espandersi in futuro se verranno condotte nuove campagne di scavo in diverse aree della città in cui sono stati individuati altri tratti di questa fortificazione.

Terme e domus romane di Vibonia - Situati in località Sant'Aloe. Constano di un impianto termale riferito alla città romana di Vibonia del II secolo d.C. e diverse domus, di una è presente il peristilio, quasi tutte pavimentate con mosaici policromi. Il complesso termale è articolato in frigidarium, calidarium e palestra, forse connesso a un'abitazione a carattere pubblico. L'impianto termale è arricchito da diversi mosaici policromi figuranti divinità, creature mitologiche o animali.

Tempio dorico di Persefone - Rinvenuto da Paolo Orsi nel 1916, è situato all'interno del Parco delle Rimembranze, località Belvedere Grande-Telegrafo. Il tempio è periptero riferibile al VI-V secolo a.C. Le dimensioni sono di 17,10 × 37,45 m.

Tempio ionico di Kore-Persefone-Demetra - In località Cofino sono presenti i resti archeologici di un tempio ionico dedito al culto di Persefone e Demetra. A Cofino sono stati portati alla luce i resti di un tempio ionico (fine V-inizi IV secolo a.C.). Sono stati ritrovati due depositi sacri, uno individuato da strutture e l'altro da statuette raffiguranti Demetra, madre di Persefone, con i tradizionali attributi del porcellino e della fiaccola a croce. Il santuario ubicato sull'altura del Cofino fu utilizzato dalla fine del VI secolo a.C. e almeno fino al IV secolo a.C.; il sito sembra essere stato abbandonato in pieno periodo romano, quando nella zona furono costruite alcune abitazioni.

Necropoli greca - Sita in località Scrimbia, una necropoli del VII secolo a.C. da cui provengono numerosi reperti ospitati all'interno del Museo archeologico statale Vito Capialbi.

Tempio dorico Cava Cordopatri - Sito nei pressi della Cava Cordopatri, nelle immediate vicinanze del Castello normanno-svevo, è un tempio dorico, naiskos, databile al V secolo a.C.

Battistero paleocristiano, edificio ellenico, domus romana di Piazza San Leoluca - Situati in piazza San Leoluca, sono stati scoperti il 5 febbraio 2014 durante i lavori di rifacimento della piazza. Gli scavi hanno messo in luce le vestigia di un edificio di epoca ellenica, una domus romana di età imperiale ornata con un mosaico e un battistero di epoca paleocristiana, scoperta di particolare interesse unica nel suo genere in Calabria.

Fornaci Romane - Sito archeologico rinvenuto nel 2009 al di sotto del palazzo municipale, in piazza Martiri D'Ungheria, durante i lavori di ampliamento di questo. Si tratta di un intero quartiere artigianale di epoca Romana comprensivo di tre fornaci di diverso tipo, un pozzo e una cava di estrazione dell'argilla.

Complesso di Santa Chiara

Il complesso è attualmente sede del Sistema Bibliotecario Vibonese e sorge a valle del castello normanno-svevo dove ha sede il Museo archeologico nazionale. È un monumento di grande attrattiva sia culturale, sia di memoria storica ed è una visita da non perdere. 

Fu costruito alla fine del XVI secolo. Originariamente fu destinato a monastero di Santa Chiara d’Assisi. Fu gestito in pratica dai padroni dell’allora Monteleone, i Pignatelli, attraverso le Badesse Pignatelli. Divenne ben presto molto esclusivo frequentato da fanciulle di nobili origini che apportavano enormi ricchezze per entrarvi. Ma le sorti del complesso furono segnate dal terribile terremoto del 1783 che fece, anche a Monteleone, moltissime vittime e rase al suolo moltissimi fabbricati. I danni riportati dal complesso spinsero verso la decisione di chiuderlo. 

L’edificio fu parzialmente ricostruito per ordine di Giacchino Murat, re di Napoli, che liberò Monteleone dall’oppressione dei Pignatelli ed espropriò tutti i beni demaniali ed ecclesiastici. Il complesso divenne rifugio dei Minimi di San Francesco di Paola fino a quando l’Ordine non fu soppresso. 

Oggi è completamente ristrutturato e ospita una delle più importanti biblioteche della regione. È sede di numerosi eventi ed è un luogo molto attivo sul piano culturale a livello regionale, grazie ad una gestione accurata e a una visione attenta al territorio.

Palazzi gentilizi

Palazzo Romei è ubicato in via Cordopatri, ma è in pessimo stato di conservazione. È stato costruito alla fine del 1400 da Giovanni Andrea Romei. La famiglia Romei è di origine spagnola e si stabilì originariamente in Sicilia. Passò poi in Calabria dove ottenne molti feudi, fra i quali Monteleone. 

L’edificio ha la forma di parallelogramma ed è posto su tre livelli. Di bellezza particolare i balconcini con ringhiera in ferro battuto a “pancia”. Grandiose e monumentali le rampe di scale sulle quali si poteva accedere anche a cavallo. Un passaggio segreto, ora crollato, lo collegava al castello Normanno.  

Palazzo Murmura - Il palazzo fu fatto costruire dai Marchesi Gagliardi, passando poi all'attuale famiglia in seguito al matrimonio di un rappresentante della stessa con Antonietta Gurgo vedova Gagliardi. 

A due piani, di 1700 m², sorge su piazza Garibaldi, fra il palazzo Gagliardi e la chiesa di Santa Maria degli Angeli. Al piano terra due ampi portali con arco a tutto sesto immettono, attraverso un imponente androne, negli appartamenti padronali

Al secondo piano presenta balconi con cimasa e volute ai cui lati sporgono dei reggi-fiaccole in ferro battuto. Nel retrostante giardino è composto da alberi secolari e siepi di bosco, statue neoclassiche e una cappella padronale. 

Palazzo Stagno d'Alcontres - Il palazzo apparteneva alla famiglia di Francia, quando nel 1927 confluì nel patrimonio della famiglia messinese degli Stagno per lascito testamentario del cavaliere Antonio di Francia alla nipote Teresa Stagno d'Alcontres.

Palazzo di Francia - Il Palazzo di Francia è un palazzo gentilizio di notevole importanza. È stato sottoposto a tutela dal Ministero dei Beni Culturali con decreto del 30 maggio 1981. È alla sommità di via Gioacchino Murat. Il fabbricato ospita attualmente due strutture alberghiere (un albergo e un B&B). Fu costruito alla fine del sec. XVIII su progetto di Giovan Battista Vinci. L’edificio è di forma regolare e costituisce un raro esempio di fabbrica in muratura con telaio in legno. Lo fece costruire Luca Vincenzo di Francia, Tesoriere generale del Regno delle due Sicilie, ma non vi dimorò mai. Ospitò, invece nel 1810, per alcuni giorni, il re Gioacchino Murat che ne fece il quartier generale di una spedizione militare in Sicilia.

La spedizione non ebbe grande fortuna, ma quel soggiorno a Monteleone (questo il nome di Vibo Valentia all’epoca) e la sconfitta subita furono un punto di svolta del re di Napoli. Gioacchino si rese conto che le strategie usate avrebbero dovuto subire delle modifiche profonde e proprio da Monteleone partì la spinta che portò Murat sia a trattare, qualche anno più tardi, con gli austriaci per non perdere il regno di Napoli, sia a lanciare nel 1815 da Rimini l’appello agli italiani per realizzare una nazione nuova e unita. Un particolare del dipinto custodito al Louvre a Parigi che raffigura Gioacchino Murat

A letto con il nemico - Dopo Monteleone Murat sembrava un altro uomo. Probabilmente si era reso conto che avrebbe potuto perdere il regno e tentò di instaurare un rapporto politico con gli austriaci, senza tuttavia recidere il legame con Napoleone di cui era anche il cognato. I contatti con gli austriaci furono facilitati perché Carolina, sorella di Napoleone e sua consorte, era l’amante dell’ambasciatore austriaco a Napoli. Murat, reduce da un’altra sconfitta in Germania, temeva sempre più di perdere il regno e durante il tragitto verso Sud, a Rimini lanciò, furbescamente, un appello agli italiani affinché si unissero e diventare una sola nazione. Pensava di riuscire a salvaguardare il suo potere e il suo trono. Ma nonostante la sua astuzia, non riuscì a evitare la guerra con l’Austria, dichiarata il 30 marzo 1815. Fu una disfatta. Fu costretto alla fuga. Ferdinando di Borbone lo catturò e il 15 ottobre 1815 lo fece fucilare a Pizzo Calabro. 

Palazzo Marzano è situato nel quartiere Marzano vicino alla chiesa di San Michele. Incerta la data di costruzione, sicuramente prima del 1588. 

L’edificio è a forma di E con un bellissimo portale all’ingresso, formato da da una serie di cornici allineate verticalmente, a più file e decorate lateralmente da un motivo a spirale molto originale. 

Al primo piano ci sono 17 stanze con una sola di esse collegata a una botola collegata alla stalla sottostante a evidente uso di via di fuga. La famiglia Marzano ha antichissime origini risalenti, forse, all’età romana. Il palazzo è in buono stato di conservazione, ma necessità di interventi  

Palazzo Capialbi - Sito in via Ruggero il Normanno, ai piedi del Castello, il palazzo, di 1500 m², è stato costruito alla fine del XVII - inizi del XVIII secolo, su preesistenti costruzioni del 400 e 500 forse appartenenti ai Pignatelli e al governo di Monteleone. 

Presenta una facciata in muratura mista, a vista, su cui si apre il portale d'ingresso con arco a tutto sesto in granito, formato da conci diversamente lavorati. Al suo interno è custodita una ricca collezione archeologica e un'importante biblioteca, tra cui spicca un foglio autografo di Giacomo Leopardi, ospite in passato del palazzo, contenente la poesia da egli composta, L'infinito.

Palazzo Gagliardi - Alla fine del XVIII secolo, sull'area occupata precedentemente dalla chiesa dei Santi Marco e Luca, sorgeva il primo palazzo Gagliardi, di dimensioni ridotte e che aveva pregevoli pitture di Emanuele Paparo e Michele Pagano

Nel 1860 vi soggiornò Giuseppe Garibaldi, come è ricordato da una lapide sull'attuale facciata. L'edificio venne demolito nel XIX secolo per dar posto a un altro più grande. 

Fu donato nel 1952/53 all'Associazione per il Mezzogiorno per utilizzarlo a scopi culturali e successivamente dall'Associazione passò al Comune della città. In passato ha ospitato il Museo archeologico. È attualmente sede dell'Istituto Italiano di Criminologia

Il fabbricato, di 2200 metri quadrati, si sviluppa su tre piani rivestiti da mattoncini. Le ghiere modanate al piano terra, interrotte dal portone d’ingresso danno un effetto molto bello di una fuga di arcate simmetriche. Edificio grandioso che necessita di opere di restauro.  

Palazzo Cordopatri - Il palazzo fu fatto costruire da Antonino Cordopatri nel 1784, su alcuni ruderi di un'antica costruzione del 600 andata distrutta durante il terremoto del 1783. 

Ubicato nella via omonima, sorge nel cuore della Vibo vecchia ed è una fra le prime costruzioni sorte dopo il 1783, come è evidenziato dagli elementi decorativi neoclassici del prospetto principale. Lo stato di conservazione dell'edificio, soprattutto della parte centrale, è pessimo. Lesioni, parti mancanti, crepe, umidità stanno avendo il sopravvento sulle strutture murarie interne ed esterne.  

Palazzo Romei - Il palazzo, ubicato in via F. Cordopatri, venne costruito alla fine del Quattrocento da Giovanni Andrea Romei su progetto di Leon Battista Alberti

L'edificio ha la forma di un parallelogramma, posto su tre livelli. Di una bellezza particolare sono i suoi balconcini con ringhiera in ferro battuto a "pancia", realizzati con listelli volutiformi e applicazioni floreali. All'interno è visibile un affresco con lo stemma gentilizio della famiglia Sacco, in possesso del palazzo dalla metà del 1600 al 1730.

Palazzo Froggio - Fatto costruire alla fine del '700 dal Barone Domenico Antonio Froggio (i Froggio vennero conosciuti fino ad ottocento inoltrato come "Baroni di Santo Stefano") ed è appartenuto a questa famiglia fino al 2013. È situato in Via Marconi (antica Piazza di Majo). Si tratta di una palazzina che richiama, non certo per la sontuosità, l'architettura civile settecentesca napoletana (forse unico esempio di questo stile tra i palazzi vibonesi). Degni di rilievo sono l'atrio e la bella scalinata.

Vibo Marina

Vibo Marina è un centro urbano e turistico situato sulla litorale nord-occidentale del Monte Poro e dotato di un piccolo porto con l'approdo turistico più sicuro ed attrezzato tra Salerno e Reggio Calabria. Il litorale di Vibo Valentia è soprattutto esaltazione della natura, delle sue suggestioni infinite, pronte a sorprendere il viaggiatore a ogni passo, dietro ogni insenatura e ogni promontorio. Una natura per certi versi ancora incontaminata perché aliena a un turismo di massa ed allo stesso tempo riplasmata dall’opera sapiente di generazioni di agricoltori. 

Lungo il litorale della Costa degli Dei si presenta uno spettacolo unico per il suo genere, unico perché si trovano tutte le tipologie di coste presenti in Italia. In provincia di Vibo Valentia ci sono alcune delle spiagge più belle della Calabria. 

Capo Vaticano, poco distante da Vibo, è un promontorio proteso su uno dei mari più azzurri e limpidi d'Italia. Nella zona portuale è di suggestivo interesse assistere al rientro delle barche dalla pesca, la vendita all'asta del pesce nel centro di raccolta, la costruzione delle barche in legno con le antiche tecniche dei maestri d'ascia. 

Vibo Marina offre anche attrattive di tipo storico e architettonico, come il Castello di Bivona costruito nel 1442 per proteggere il porto di Bivona dalle incursioni piratesche, adoperato a fini militari e spesso per attività economiche, attualmente è allo stato di rudere.

Monte Poro

L’altopiano di Monte Poro, definito balcone sul mar Tirreno e sul golfo di Gioia Tauro, è uno dei luoghi più suggestivi della provincia di Vibo Valentia. Oltre alle sue splendide coste, il territorio circostante Vibo possiede un ricchissimo patrimonio naturale sotto forma di un panorama prevalentemente collinare e montuoso, ricco di biodiversità. 

Il monte Poro può essere definito come il fulcro dell'entroterra vibonese. Affacciato sullo splendido paesaggio della Costa degli Dei, incastonato in posizione panoramica tra le montagne e il mare, è caratterizzato da prati molto estesi che vengono utilizzati ancora oggi per il pascolo. L’altitudine non molto elevata, ha permesso lo sviluppo di una ricca vegetazione tra pascoli verdeggianti, oliveti, vigneti e filari di pioppi. 

Sul Monte Poro si produce il Pecorino che ha preso il nome del luogo e che è da molti considerato il migliore dell'Italia meridionale, in quanto il latte degli allevamenti locali è reso speciale proprio dalle essenze dell'altopiano, sul quale si pratica il pascolo estensivo. Questo formaggio rappresenta un'eccellenza locale che si differenzia da altri prodotti simili per via di alcuni accorgimenti durante il processo di produzione.

Tonnara di Bivona

Il fabbricato, molto ben conservato, è una palazzina gentilizia a due piani. È composto da una capiente loggia, dai magazzini del sale e dei galleggianti, dalle stanze necessarie all’amministrazione dell’attività di vendita e da una piccola cappella a navata unica intitolata a Sant’Antonio di Padova. 

La cappella era utilizzata non solo per le funzioni religiose, ma anche dai riti propiziatori della pesca. Il primo piano era composto da appartamenti gentilizi provvisti di tutti i servizi compresa un’ampia cucina e perfino una sala da fumo. 

La struttura presto sarà adibita a Museo del Mare e diventerà la testimonianza dell’antico legame fra i calabresi e il mare. Sarà la memoria storica delle tecniche e delle tradizioni marinare, del rispetto che il marinaio aveva per la natura, dell’evoluzione di un’attività che tanto ha dato alle popolazioni rivierasche e che sta continuando a dare grazie a una classe imprenditoriale capace e attenta alle innovazioni. Una visita da non perdere. 

Marineria

Da queste parti il mare è uno stile di vita e svolgere il lavoro del pescatore, per quanto duro (a volte anche pericoloso) possa essere, è un destino ineludibile. Partire con la barca nel cuore della notte, cercare la zona buona, trovare il momento adatto, scegliere gli strumenti più idonei per prendere il pesce che desideri è un’arte. Per questo a Vibo una flotta di pescherecci parte ogni notte e arriva puntualmente la mattina scaricando pesce fresco. Ottimo e locale. 

Il pescato è trasportato nel vicino locale dove si svolge l’asta con banditore a voce, un sistema di vendita tradizionale che avviene secondo una ritualità e una gestualitá caratteristica che è molto apprezzata anche dai turisti. Qui il banditore stabilisce il prezzo del pesce, un vero e proprio spettacolo, anche perché raro, dove vi assistono grossisti, dettaglianti e ristoratori che cercano di aggiudicarsi la migliore qualitá di pesce pregiato.

Gastronomia

La storia e la cultura di Vibo Valentia si proiettano anche nelle tradizioni gastronomiche ricche di sapori. Tra i prodotti più noti figurano le conserve, il tonno, l'olio d'oliva, le castagne, i funghi, i dolci. Ma il prodotto per eccellenza della provincia è la celebre ‘Nduja di Spilinga, salame morbido dal gusto estremamente piccante, la fileja, pasta all’uovo arrotolata a mano in lunghe treccine e, infine, il celebre tartufo di Pizzo. 

Da non dimenticare la degustazione dei vini, tra i quali si segnala lo Zibibbo, un bianco prodotto a Pizzo e Briatico. 

Tra i dolci tipici della cucina locale da assaggiare i ciciriati, biscotti ripieni di un impasto a base di caffè, ceci, cacao e noci; le pittapie, biscotti riempiti con un impasto di uva passa, noci, pinoli e cioccolato ed il sanguinaccio, sangue di maiale fatto bollire con zucchero, noci, cioccolato fondente e pinoli.

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