La chiesa di San
Domenico, insieme all'annesso convento dei frati domenicani, costituisce un complesso monumentale monastico ubicato
nel centro storico, che si affaccia sulla prospiciente piazza Riccardo
Colajanni, in prossimità del corso Vittorio Emanuele.
La chiesa dedicata a San
Domenico di Guzman è una rettoria della Basilica
di Maria santissima del Mazzaro, ed appartiene alla Diocesi
di Piazza Armerina.
La chiesa e l'annesso convento dei frati
predicatori furono fondati dal nobile mazzarinese Antonio
Alegambe nel 1480, che li dedicò inizialmente a Maria santissima del Soccorso. Successivamente, la chiesa assunse la denominazione di San
Domenico.
Il convento fu eretto sul lato destro della
chiesa e ospitò i Padri
predicatori domenicani, che ivi soggiornarono sino al 1866, allorquando furono soppressi
gli ordini religiosi.
Il convento era rinomato per la presenza di
una ricca biblioteca che, tuttavia, a seguito della soppressione e del
successivo trasferimento al demanio andò in gran parte dispersa.
Sino al 1876 l'interno della chiesa di san
Domenico risultava incompleto, essendo stati realizzati soltanto gli
affreschi della volta, opera di Emanuele "Catanese", mentre
gli stucchi della stessa erano frutto della maestria di Vincenzo
Signorelli da Catania.
Il completamento degli stessi fu eseguito,
successivamente, dai fratelli Fantauzzi nel 1876.
L'interno della chiesa, per le sue
decorazioni in stucco, presenta gli elementi tipici del tardo-barocco siciliano del val di
Noto.
Dal 1867 sino ai primi decenni del XX secolo
la struttura del convento fu adibita a caserma dei Carabinieri.
Oggi il convento, appartenente alla provincia
regionale di Caltanissetta, ha
ospitato il liceo musicale Vincenzo Bellini di Caltanissetta.
L'intero edificio è stato recentemente
restaurato e al suo interno è stato allestito un piccolo museo della
civiltà contadina.
Esterno
- La semplice facciata è suddivisa in due ordini separati da un
marcapiano.
Nel primo ordine si trova il portale di
ingresso con un arco a tutto sesto, inglobato in una mostra
rettangolare. Al secondo ordine, più stretto, si trova una finestra
rettangolare, collocata entro una cornice con ai lati delle volute e
delle ali in pietra intagliata.
Il prospetto è coronato da un timpano
triangolare.
Sul lato sinistro del secondo ordine, si
eleva la torre campanaria, sormontata da una loggia a base quadrata.
Interno - La chiesa presenta un'unica navata, con longitudine rivolta a ponente,
possiede cinque altari laterali semicircolari, oltre al maggiore.
Il primo altare di destra è dedicato a San Vincenzo Ferreri con statua del santo in un'apposita nicchia, il
secondo al santissimo crocifisso, con grande crocifisso scolpito in
legno, il terzo espone l'urna del 1772 contenente il Cristo morto in
pelle di addace del 1630.
Il primo altare di sinistra espone la statua
lignea della Beata
Vergine Maria del rosario, di ignoto autore, che porge la coroncina a san Domenico
di Guzman, il secondo altare è invece dedicato a san Domenico, nel vano
successivo è presente un'apertura sul corso Vittorio Emanuele.
Le cappelle laterali semicircolari, sono
racchiuse in arcate a tutto sesto, decorate con stucchi che riportano
motivi floreali, putti e festoni, e sono alternate da paraste binate sormontate da capitelli corinzi.
Le decorazioni in stucco vennereo eseguite
tra la fine del '700 e la prima metà dell'800 dal Signorelli e dai
Fratelli Fantaguzzi da Barrafranca.
La volta della chiesa, a botte, è decorata
da quattro affreschi del "Catanese", e rappresentano
nell'ordine:
1. S. Vincenzo Ferreri nell'atto di fermare
un muri fabbro mentre cade da un ponteggio;
2. S.Tommaso di Aquino che con la Summa
Teologica confonde gl'increduli e si sente dire dal Crocifisso: «Bene
scripsisti de me, Thoma»
3. S. Domenico,
4. La gloria di Maria Vergine in cielo.
Il pavimento della chiesa è rivestito da
piastrelle in maiolica policrome.
Nella controfacciata, in una apposita
cantoria, sorretta da due pilastri a sezione quadrata, è collocato un
antico organo a canne.
Opere
d'arte - La tela della Madonna del Rosario di Filippo Paladini[-
Collocato nell'abside semicircolare si trova
l'altare maggiore in marmi policromi, sormontato da colonne in stucco
che sorreggono un timpano a sua volta sormontato da putti e figure allegoriche. Al centro dello stesso è esposta una grande e pregevole
pala d'altare raffigurante la vergine
del Rosario, opera del 1608 del pittore fiorentino Filippo Paladini, che ai piedi della Vergine volle dipingere se stesso a
mani giunte, vestito col cappuccio domenicano.
In basso, ai piedi della Vergine, si legge: Filippus
Paladini Pn, ex devotio Pasca. Rondello 1608. La tela fu,
infatti, commissionata a spese e per devozione da Pasquale Rondello.
Il
simulacro del Cristo morto - Degno di nota è il simulacro del Cristo morto in pelle di antilope
africana, di dimensioni naturali, e movibile, che viene portato in
processione il venerdì santo, all'interno dell'urna del 1772, dalla
confraternita di Maria SS. Rosario.
Le notizie storiche sul artistico simulacro
sono riportate da Pietro di Giorgio - Ingala:
«Esistendo nella Chiesa di S. Domenico la
Compagnia dei Bianchi, dal titolo del SS. Sacramento, composta di
civili, ed avente per regola lo accompagnamento dei giustiziati al
patibolo, circa il 1630, essendone superiore un certo Don Vittorio
Bellanti, si acquistò in Genova in nome della Compagnia, e pel valsente
di onze 80 (L. 1020), il Cristo morto custodito nell'urna, che
conservossi fino al 1881 in detto Oratorio, e da quell'anno in poi, in
S. Domenico, ma di proprietà della locale Congregazione di Carità,
essendo l'Oratorio costituito in ente morale.
Col tempo la Compagnia si
estinse, e fu con atto del 13 marzo 1805, presso il notaro Benedetto
Jozzo, che ad impulso dei PP. Predicatori ebbe origine la Congrega del
SS. Rosario, concedendo essi provvisoriamente l'uso dell'Oratorio, fino
a che la confraternita novella non avrebbesi eretto il proprio, nella
terra che gli stessi Padri accordavano, attiguamente all'ingresso del
loro convento, ed obbligandoli ad aversi, in perpetuo, a direttore
spirituale uno dei detti Padri. La costruzione non ebbe vigore e la
Congrega ebbesi, fino al 1881, l'uso dell'Oratorio in parola, nel quale
anno si chiuse ai divini uffici»
(Pietro
di Giorgio Ingala, Mazzarino, Ricerche e considerazioni storiche, 1900)
Il
convento dei frati predicatori domenicani[
- L'attiguo convento dei frati
predicatori domenicani presenta una struttura architettonica molto
semplice, come prescriveva la regola dell'ordine. Vi si accede
direttamente dalla piazza Riccardo Colajanni, che immette sull'ampio
cortile caratterizzato da un porticato con archi a tutto sesto sorretti
da pilastri a sezione quadrata in pietra arenaria, cui si aprono gli
ingressi che conducono ai piani superiori in cui erano ubicate le
antiche celle dei monaci, il refettorio e la ricca biblioteca.
Chiesa di Santa
Lucia
Stando alle fonti storiche pervenute,
l'origine della chiesa è sconosciuta, tuttavia lo storico e abate Rocco Pirri riporta che fino al 1530 esistesse nelle adiacenze della
chiesa attuale un'abbazia di monaci benedettini e che la chiesa fosse
annessa alla stessa.
Il convento tuttavia cessò di esistere già
nel corso del XV secolo.
Sino alla sua erezione a parrocchia,
avvenuta nel 1923, con decreto vescovile del 9 luglio del 1923, la chiesa
era suffraganea della Madrice Santa
Maria della Neve, per l'amministrazione dei sacramenti..
Nel XVIII secolo, a causa delle precarie
condizioni strutturali, venne ristrutturata dalle fondamenta e abbellita
con stucchi per volontà del sacerdote don Antonino Zanchì e dalla di
lui sorella, come riportato dallo storico Pietro di Giorgio Ingala.
Un'iscrizione su uno scudo in pietra riporta
la seguente dicitura:
«R. S. T. D. D. ANTONINUS ZANCHI AC DON
ANGELA GERMANI, TEMPLUM HOC D. LUCIAE SACRATUM A FUNDAMENTIS RESTAURARE
JUSSERUNT.»
Negli anni trenta alla chiesa furono annessi
i locali parrocchiali di via Bartoli.
Descrizione
- La chiesa è ad unica navata con longitudine rivolta ad occidente.
Il prospetto, che si affaccia su Corso
Vittorio Emanuele, presenta un grande portone di ingresso con arco a
tutto sesto, sormontato da un timpano semicircolare a sesto ribassato in
pietra locale, al di sopra del quale si apre una finestra rettangolare
con cornice in pietra intagliata e timpano spezzato. Agli angoli due
grandi paraste in pietra.
Completano la prospettiva nel fastigio
sommitale una trabeazione e un timpano triangolare.
La chiesa ha cinque altari, compreso il
maggiore.
Degno di nota è l'altare di destra in
stucchi con colonne tortili e putti che sorreggono scudi e inscrizioni,
in cui è collocata una tela del 1878 riproducente Maria
Ausiliatrice, opera di Domenico
Provenzani. Analogamente sull'altare nel lato sinistro vi è una
tela raffigurante la madonna del Lume, opera del Catanese,
pittore locale di origini catanesi.
Seguono l'altare del santissimo crocifisso e
del Sacro Cuore di Gesù.
L'altare maggiore, in marmi, è dedicato a
santa Lucia, la cui statua è posta in una nicchia sull'altare, cui fa
velo un quadro della Santa martire siciliana.
Ai lati dell'altare si trovano due nicchie
che ospitano due angeli cherubini.
Le pareti della chiesa sono decorate con
stucchi settecenteschi in stile tardo barocco siciliano, con colonne tortili, putti, capitelli corinzi e motivi floreali.
Chiesa Maria
Santissima della Lacrima
Ebbe origine da un fatto accaduto alla
vista di tutti nel 1638, quando nella casa di un certo Giuseppe Peloso, si vede
lacrimare un quadro della Santa Vergine.
La casa venne demolita e dalle
sue ceneri, per volere del popolo e per carità del conte Giuseppe
Branciforte, fu eretta la chiesa attuale avente
forma circolare, a tre navate,
secondo la tradizione del diametro della cupola di San
Pietro a Roma. Vi
si venera Santa Rita la cui festa ricorre nel mese di maggio.
Chiesa di Santa
Maria del Gesù e convento dei Padri Minori Riformati
Con annesso convento, si presenta con
una sola navata. Eretta nel 1425 e
dedicata a Sant'Ippolito, annesso alla chiesa, nel 1573,
venne costruito il convento di Santa Maria del Gesù, da cui prese il
nome tutto il complesso. La sua erezione a parrocchia avvenne nel 1943.
Chiesa di Santa
Maria delle Grazie
Eretta intorno
all'XI secolo nelle
vicinanze dell'antica Mazzarino, vi si celebra la Santa Messa una volta
l'anno, il 2 luglio.
Nel 1973 vennero rubati il Crocifisso e
un quadro della Madonna di pietra di gesso,
risalente quest'ultima alla stessa epoca di erezione della chiesa, ove
erano impressi dei geroglifici greci.
Chiesa
dell'Addolorata (Spirito Santo)
La chiesa dello spirito Santo venne
eretta nel XVI secolo per volontà del conte Giuseppe
Branciforte, è ad unica navata, la facciata è in
blocchi di pietra squadrati, ai lati presenta due semi colonne che
sorreggono il cornicione di finimento, alla sommità si trova la vela
campanaria tripartita sormontata da un timpano semicircolare. Nel 1680
il principe Carlo Maria Carafa vi istituì la confraternita
dell'addolorata.
Chiesa di San
Giuseppe
La chiesa di San Giuseppe risale
al XVI secolo, è ad unica navata, ha un artistico campanile con
griglia conica in mattoni maiolicati policromi.
Cappella del
Calvario
L'edificio venne eretto nel 1812 con
fondi raccolti tramite pubblica beneficenza, per riparare durante il Venerdì Santo i
Simulacri protagonisti dei Misteri Pasquali.
Chiesa del San
Salvatore
Venne eretta nel VI-VII
secolo quando
Macharina (attuale Mazzarino) era ubicata nella pianura, è considerata
la prima chiesa della Mazzarino medievale sino
all'anno mille.
Chiesa del
santissimo Crocifisso dei Miracoli o di Sant'Agata
L'impianto della chiesa risale al IV-V
secolo dopo Cristo. Anticamente era dedicata a Sant'Agata oggi vi si
venera il Santissimo Crocifisso detto dei Miracoli. Lo stile originario
dell'edificio era quello tipico greco-bizantino con tre navate, la
chiesa nel corso dei secoli ha subito diversi rimaneggiamenti, in
particolare nel corso dell'800 allorquando
venne ricostruita la prospettiva e la chiesa arricchita degli stucchi
interni ad opera dei fratelli Fantauzzi. Nel 1865 fu edificato il
campanile.
Questa chiesa fu la prima
"Madrice" della Città di Mazzarino.
Chiesa di San
Francesco di Paola
La chiesa di san Francesco di
Paola è attualmente annessa alla ex
Casa del Fanciullo Boccone del Povero.
La chiesa, secondo le fonti, venne
edificata nel XIII secolo, come cappela palatina ed era attigua ad un convento di
padri eremiti.
L'edificio presenta tipici elementi
architettonici d'arte medievale. L'edificio è prospiciente l'antico castello (U
Cannuni).
Castello di
Mazzarino "U cannuni"
'U Cannuni (come chiamato dagli abitanti) è il castello di Mazzarino (nome reale non conosciuto); Fortezza militare di
origine normanna, edificata intorno al XII secolo, conserva un'unica torre
superstite di forma cilindrica e alcune pareti. Sono ancora visibili le
grandi finestre che illuminavano gli ambienti, i camini scavati nella
spessa muratura e alcune stanze della torre e la merlartura. Fu dapprima
una avamposto militare, per essere trasformato, successivamente, nella
residenza dei signori della città: i Branciforte, Principi di Butera
e Conti di Mazzarino.
Il castello venne progressivamente
abbandonato già nel corso del 1500, a causa delle frane che
interessarono le aree adiacenti la fortezza, che lo resero isolato e che
indussero i Branciforti ad edificare il nuovo palazzo, nel centro
dell'attuale abitato, che divenne il fulcro della vita politica ed
economia della città, determinandone l'espansione urbanistica.
Il Castello di Mazzarino è noto come “U cannuni”, con l’unica
torre cilindrica, quasi “cannone”, che si erge verso il cielo; sorge
su una lieve altura a 582,8 m s.l.m., in prossimità del centro storico,
precisamente a nord-ovest ed è tanto vicino a questo da dare
l’illusione di poterlo toccare, allungando la mano dallo spiazzale
dell’Immacolata.
La data di origine del Castello è incerta, ma una
cosa è certa che “Mazzarino e il suo Castello” furono acquistati da
Stefano Branciforti fra il 1282 e il 1292 e da ciò si può dedurre che
esisteva prima di questa data e serviva da residenza a Signori e a Conti
di Mazzarino.
Nel 600 Carlo Maria Carafa Branciforti trasformò
Mazzarino in un importante centro culturale attirando presso di sé
intellettuali e artisti, ordinando la costruzione di chiese, facendo
ingrandire e decorare sontuosamente il proprio palazzo. Una leggenda del
posto, infatti, narra che due potenti signori, uno di Mazzarino e
l’altro di Garsiliato (due territori vicini fra loro), decidessero di
fondare entrambi una città ai piedi del proprio castello e per far ciò
pare si fossero affidati alla sorte delle armi; sorte che
arrise al signore di Mazzarino che secondo la tradizione era proprio un
Branciforti. Sempre la leggenda narra che fu per tale motivo che il
castello di Garsiliato venne raso al suolo e ancora oggi è possibile
osservarne soltanto i suoi poveri, miseri ruderi.
Il Cannone rappresenta
il monumento maggiormente rappresentativo, anche se oggi rimangono ben
definite, soltanto la parete sud e in parte le cortine a nord ed ovest.
In origine il castello era costituito da quattro torri cilindriche,
occidentali e orientali, all’interno delle quali si sviluppavano
ambienti abitativi e di servizio, oltre a vari cortili interni. Le torri
occidentali, di dimensioni maggiori rispetto a quelle orientali, erano
costituite da tre livelli collegati da scale in pietra ricavate
all’interno delle stesse; l’ingresso avveniva tramite un’apertura
a sesto acuto ubicata fra le due torri occidentali, della quale oggi
restano poche tracce visibili.
La muraglia esterna, che circonda il
“maniero”, era imponente e correva in lunghezza per ben 186 metri.
Con il restauro e la ristrutturazione del castello, nel XIV sec. e nel
secolo successivo, si è operato un intervento di tipo conservativo per
la salvaguardia delle strutture superstiti; lo scavo effettuato
all’interno dell’area, delimitato dal perimetro murario, ha
consentito la ricostruzione planimetrica di alcuni ambienti e
l’individuazione di numerose cisterne interrate per la raccolta di
aridi e liquidi. Al fine di garantire la fruizione e, di conseguenza, la
conservazione, all’esterno del “maniero”, nella parte a sud-est,
è stato costruito un teatro che ha come scenario un vasto panorama sul
quale l’occhio scivola fino all’Etna. In questo teatro è stata
girata anche una puntata della famosa serie TV, La Piovra e si sono
esibite diverse compagnia teatrali, con spettacoli che hanno reso meno
lunga l’estate e riscosso il consenso non solo dei Mazzarinesi, accorsi numerosi, ma anche di persone venute dai paesi
limitrofi.
Castello di
Grassuliato
Su una rupe scoscesa e inaccessibile alta 419 m
sul livello del mare, in contrada Salomone, a pochi chilometri dal
comune di Mazzarino ed in una posizione strategica a guardia di
un’ampia vallata attraverso la quale la grande piana di Gela si
immette, con una serie di altre valli, verso i territori di Enna e
Caltanissetta, si ergono i ruderi del Castello di Garsiliato o Grassuliato o Saliato o, molto
più familiarmente per la gente che abita quei luoghi, Castiddazzu.
Luoghi già ellenizzati (VI a.C.) e poi scelti
dai Romani per controllare le vie di penetrazione nell’isola, luoghi
che proprio per la loro conformazione potevano nascondere truppe e
provvigioni.
A protezione del territorio i Romani costruirono
in quei luoghi due castelli e, mentre al
primo diedero nome di Mazarinum, al secondo diedero quello di Arx Saliatum cioè castello dei
Saliati o Salii, sacerdoti di Marte (pare in numero di
dodici per volere di Numa Pompilio) così chiamati per il saltare che
facevano per le strade nel celebrare la festa in suo onore e che
custodivano il suo simulacro in un tempietto a lui dedicato ed eretto
proprio vicino al castello. Ai piedi dello stesso, vicino alla sponda
sinistra del fiume Gela, era situato anche il villaggio romano.
In quei luoghi, ai Romani seguirono i Bizantini
e nell’VIII secolo i Saraceni che distrussero il villaggio,
(non fu più ricostruito) ma che mostrarono gran considerazione per
l’ottima posizione occupata dal castello nel territorio.
In quella stessa altura, nell’XI secolo, i Normanni, dopo aver scacciato i
Saraceni, ripristinarono il castello e
costruirono una chiesa dalla quale oggi purtroppo restano sparute
tracce.
Le prime notizie storiche riferiscono che nel
1091, in un elenco di donazioni effettuate alla chiesa di Santa Maria
della Valle di Giosafat, apparisse fra altri il nome di Salomon de
Garsiliat, figlio forse, di Guicone de Garsiliat.
Con Simone de Garsiliat, nome poi corrotto in
Grassuliato, si ripristina un piccolo borgo e si riabita il castello.
Territorio vastissimo ricco d’ogni bene e composto, inoltre, da ben
nove feudi ed ancora una volta la sua postazione particolarmente
strategica ne facevano terra ambita.
Tanto potente era il suo signore, Bartolomeo di
Grassuliato, che osò sfidare l’autorità regia, riuscendo a
coinvolgere alla ribellione anche altri impetuosi nobili, tanto da
costringere lo stesso re Guglielmo I (‘il Malo’) a guidare contro di
lui un esercito, che ebbe la meglio soltanto dopo un lungo, aspro e
rovinoso conflitto. Il Castello messo a ferro e fuoco venne distrutto ed abbandonato.
Al tempo di Federico II di Svevia la contea di
Grassuliato risorse, anzi, pare che diventi contea proprio in quel
periodo. Nel 1282, durante la guerra del Vespro, troviamo i suoi signori
a combattere contro gli Angioini e nel 1299 li troviamo schierati,
fedelissimi, al fianco degli Aragonesi.
La tormentata storia della Sicilia di quei
secoli coinvolse, ovviamente, in altrettante alterne vicende anche la
contea di Grassuliato; la Guerra dei Novant’anni dilaniò l’sola e
tanti furono gli “attori” della contea in quei momenti; da Bernardo
Raimondo de Rebellis (difensore della nave di re Federico II d’Aragona
nella battaglia di Capo d’Orlando e primo di una famiglia di numerosi
uomini d’arme) a suo figlio Giacomo Pietro ed ancora, da Riccardo di
Passaneto e suo fratello Ruggero, fino a Guglielmo Pallotta che accusato
di fellonia da re Martino I d’Aragona segnerà per sempre la decadenza
della famiglia e del suo maniero.
Da quei fatti in poi tutto il territorio di
Garsiliato passerà, a ricompensa dei servigi resi alla causa Aragonese,
a Niccolò Branciforti signore di Mazzarino e dopo di lui a tutti i suoi
discendenti, che dal 1507 furono chiamati Conti di Mazzarino e di
Garsiliato.
I Branciforti per ben governare, al contrario di
molti altri nobili, non si trasferirono mai nella capitale del regno ma
preferirono abitare le proprie terre, non risiedendo mai nel castello di
Garsiliato che ben presto mostrò i segni dell’abbandono.
Per questo gli abitanti di Grsiliato, poco alla
volta si trasferirono a Marrarino, spopolando la contea, ma, forse,
anche perché il territorio di Mazzarino risultava meno isolato ed in
una posizione topografica più favorevole.
Così come per altri, anche per il Castello di
Garsiliato, storie e credenze popolari si mescolano; ed in questo
particolare caso la leggenda popolare accomuna il Castiddazzu a U Cannuni.
Essa tramanda che, in un tempo non precisato, si
accendesse una disputa fra i due più importanti “Signori” del
territorio, padroni entrambi di estesi quanto mai limitrofi contadini,
per la fondazione di un unico importante agglomerato. Sempre la
tradizione narra che la sorte abbia favorito il “Signore” di
Mazzarino, per cui, così come stabilito nel patto iniziale stipulato
tra i due, la città nuova venne costruita nei pressi del castello
vincitore.
E’ rilevante notare come le dicerie popolari
spesso traggano spunti da fatti storici.
Gli studiosi , parlando del castello di
Grassuliato, asseriscono che era accessibile solo da un fronte e per un
viottolo d’accesso ripido e difficile da percorrere. Sicuramente la
morfologia del territorio ha condizionato la costruzione dello stesso
che poggiava le sue fondamenta su vari livelli e su di un terreno
formato prevalentemente da roccia gessosa. Il maniero medievale pare
avesse salde mura merlate, con porte
e finestre a sesto acuto e con volte a crociera; aveva anche
ampi saloni e vaste cisterne e ovviamente un sotterraneo che lo metteva
in comunicazione con la sottostante valle.
Il suo abbandono, risalente al secolo XVI,
non ha certo favorito la sua conservazione; ed ai nostri
giorni risulta difficile riconoscere dai pochi elementi, molto slegati
fra loro, la grandiosità del vecchio castello. Possiamo sicuramente
confermare che, rispetto all’abitato, doveva risultare molto imponente
e, inoltre, anche dominante per un ampio raggio della vallata del fiume
Gela e dei luoghi circostanti.
Area
archeologica di Sofiana
L'area archeologica rinvenuta nei
pressi del fiume Nociara o Gela, a confine con il territorio comunale di Piazza Armerina,
era una antica statio di epoca tardo-antica, lungo
l’itinerario stradale che collegava Catania ad Agrigento e subì notevoli trasformazioni nelle
epoche successive fino a scomparire nel XIII secolo.
Gli scavi condotti negli anni hanno
riportato alla luce architetture (la domus gentilizia,
l'impianto termale e, nella necropoli, la basilica) e materiali che ne
confermano la continua esistenza dall’epoca arcaica (VI sec. a.C.)
fino a quella federiciana, cioè per circa duemila anni.
Area archeologica
di Monte Bubbonia
L'area archeologica rinvenuta da Paolo Orsi nei
primi del novecento sulle pendici di Monte Bubbonia,
presenta, secondo l'archeologo Orlandini i
resti dell'antica città sicula di Maktorion, città, per l'appunto, abitata da popoli indigeni (Siculi)
ed ellenizzata da greci (Rodio-cretesi provenineti dalla colonia di Ghelas) nel V-VI secolo avanti cristo e citata da Erodoto nelle
sue Storie.
Tradizioni
e folclore
Settimana santa[-
Venerdì Santo
- Il giorno del venerdì santo si
susseguono per l'intera giornata momenti che rievocano la passione di
Cristo con la processione dei simulacri del Cristo carico della croce,
dell'Addolorata, della Veronica e di San Giovanni apostolo.
A mezzogiorno nella piazza principale
avviene l'incontro tra la San Giovanni Apostolo, la Vergine Addolorata e
il Cristo carico della croce, segue quello con la veronica. La
processione dei simulacri prosegue, quindi, sino al calvario, in cui
viene rievocata la crocifissione. La sera, invece, ha luogo la
deposizione di Gesù dalla croce e la processione del Cristo morto
adagiato nell'urna di cristallo, fin verso la chiesa di San Domenico.
La domenica di
Pasqua "A Giunta"
- La domenica di Pasqua, a mezzogiorno,
in piazza Madrice,
innanzi il Palazzo dei Principi di Butera, si volge " a giunta", ovvero l'incontro festoso tra il Cristo risorto e la
Vergine Maria, tra gli apostoli, San Pietro e Paolo, e gli stendardi
delle diverse confraternite cittadine.
Festa del
Santissimo Crocifisso "dell'olmo", compatrono della città
- La festa esterna del Santissimo Crocifisso dell'Olmo, compatrono della città, ricorre, annualmente, la
seconda domenica di maggio.
L' antico Crocifisso, scolpito in legno
di cipresso, risalente all'epoca normanna,
alto circa un metro, viene collocato su un fercolo in legno e ferro
battuto dorato (detta a vara), realizzata alla fine del
'600, da cui si dipartono quattro travi in legno (dette
"baiarde").
Il fercolo, pesante circa 15 quintali,
è portato a spalla da oltre cento confrati
dell'omonima confraternita, vestiti soltanto con un camice bianco e
scalzi, come da tradizione secolare, in segno di penitenza e
ringraziamento.
L'origine della festa, infatti, risale
al 1693, come ringraziamento e gratitudine della cittadinanza, e dei Conti di Mazzarino, per la divina protezione e lo
scampato pericolo in seguito al disastroso terremoto
del Val di Noto.
Lungo il tragitto della processione, il
fercolo viene ricoperto da migliaia di collane di margherite gialle,
lanciate dai fedeli in segno di devozione, che, aumentandone il peso,
conferiscono il caratteristico movimento sussultorio e ondulatorio
all'andatura della vara.
La processione si snoda lungo le vie
antiche della cittadina ed è seguita da numerosi fedeli provenienti
anche dai paesi limitrofi che compiono il cosiddetto "viaggiu
o Signuri", alcuni dei quali, scalzi, per devozione o grazia
ricevuta.
Dal 1814 il santissimo Crocifisso
dell'olmo è compatrono della città di Mazzarino allorquando la Madonna
del Mazzaro, venne proclamata patrona della città.
Festa di Maria
Santissima del Mazzaro, Patrona principale della città
di Mazzarino
- Sin dal ritrovamento dell'icona, nel
1125, la Madonna delle grazie detta anche del "Mazzaro", è venerata come patrona della città di Mazzarino.
Con decreto della Sacra
Congregazione dei riti del
18 settembre 1814, la Madonna del Mazzaro, venne proclamata
ufficialmente patrona della città di Mazzarino assegnandole la terza
domenica di settembre per la ricorrenza della festa patronale, come da
antica consuetudine.
Il decreto venne successivamente
approvato con Breve pontificio il 6 settembre del 1834.
I solenni festeggiamenti in onore della
patrona, ricorrono, annualmente, la terza domenica di settembre.
La processione della statua lignea di
Maria Santissima del Mazzaro, collocata su una vara argentea (dal peso
di circa 16 quintali) e portata a spalla da oltre cento confrati,
vestiti di un camice azzurro, si snoda a partire dal tardo pomeriggio, e
fino a la tarda serata, lungo il corso Vittorio Emanuele, addobbato per
l'occasione con luminarie.
La processione domenicale è preceduta,
nel primo pomeriggio, dalla tradizionale processione della Madonnina
detta dal popolo "a dumannareddra", scortata dagli
stendardi e da cavalli bardati, che percorre le vie del centro storico
per la raccolta delle offerte (voti) in natura costituiti da frumento,
fave e mandorle, offerti alla confraternita in segno di devozione.
In coincidenza dei giorni della festa
patronale lungo il corso principale si svolge la tradizionale fiera di
settembre.
La festa patronale è preceduta dal
solenne novenario in onore di Maria Santissima del Mazzaro.
Festa di Maria
Santissima del Rosario. Prima domenica di ottobre
- Processione della statua di Maria
santissima del Rosario dalla chiesa di San Domenico.
Festa
dell'Immacolata Concezione. L'8 dicembre
- L' 8 dicembre di ogni anno in occasione
della solennità dell'Immacolata Concezione si svolge processione della
settecentesca statua lignea di Maria Santissima Immacolata per le vie del centro storico della città, portata
a spalla dai membri dalla Confraternita "Figli di Maria SS.
Immacolata". Nei dodici giorni che precedono la festa, prima
della messa vespertina, in chiesa, viene cantato il tradizionale "stellario",
ovvero l'inno di preghiera in preparazione alla festività.
Anticamente, il giorno della festa, in
serata a conclusione della processione, innanzi al sagrato della chiesa,
si dava fuoco a "u pagghiaru" , ovvero al falò,
formato da cataste di legna, paglia e residui della potatura di ulivi,
che i cittadini e bambini contribuivano a formare nei giorni precedenti
la festa.
Tradizionalmente in occasione della festività dell'Immacolata si
prepara il tipico "muffoletto" dolce mazzarinese.