Mazzarino (Borgo)
(Caltanisetta)
  
  

 

Chiesa di San Domenico e convento dei Domenicani

La chiesa di San Domenico, insieme all'annesso convento dei frati domenicani, costituisce un complesso monumentale monastico ubicato nel centro storico, che si affaccia sulla prospiciente piazza Riccardo Colajanni, in prossimità del corso Vittorio Emanuele.

La chiesa dedicata a San Domenico di Guzman è una rettoria della Basilica di Maria santissima del Mazzaro, ed appartiene alla Diocesi di Piazza Armerina.

La chiesa e l'annesso convento dei frati predicatori furono fondati dal nobile mazzarinese Antonio Alegambe nel 1480, che li dedicò inizialmente a Maria santissima del Soccorso. Successivamente, la chiesa assunse la denominazione di San Domenico.

Il convento fu eretto sul lato destro della chiesa e ospitò i Padri predicatori domenicani, che ivi soggiornarono sino al 1866, allorquando furono soppressi gli ordini religiosi.

Il convento era rinomato per la presenza di una ricca biblioteca che, tuttavia, a seguito della soppressione e del successivo trasferimento al demanio andò in gran parte dispersa.

Sino al 1876 l'interno della chiesa di san Domenico risultava incompleto, essendo stati realizzati soltanto gli affreschi della volta, opera di Emanuele "Catanese", mentre gli stucchi della stessa erano frutto della maestria di Vincenzo Signorelli da Catania.

Il completamento degli stessi fu eseguito, successivamente, dai fratelli Fantauzzi nel 1876.

L'interno della chiesa, per le sue decorazioni in stucco, presenta gli elementi tipici del tardo-barocco siciliano del val di Noto.

Dal 1867 sino ai primi decenni del XX secolo la struttura del convento fu adibita a caserma dei Carabinieri.

Oggi il convento, appartenente alla provincia regionale di Caltanissetta, ha ospitato il liceo musicale Vincenzo Bellini di Caltanissetta.

L'intero edificio è stato recentemente restaurato e al suo interno è stato allestito un piccolo museo della civiltà contadina.

Esterno - La semplice facciata è suddivisa in due ordini separati da un marcapiano.

Nel primo ordine si trova il portale di ingresso con un arco a tutto sesto, inglobato in una mostra rettangolare. Al secondo ordine, più stretto, si trova una finestra rettangolare, collocata entro una cornice con ai lati delle volute e delle ali in pietra intagliata.

Il prospetto è coronato da un timpano triangolare.

Sul lato sinistro del secondo ordine, si eleva la torre campanaria, sormontata da una loggia a base quadrata. 

Interno - La chiesa presenta un'unica navata, con longitudine rivolta a ponente, possiede cinque altari laterali semicircolari, oltre al maggiore.

Il primo altare di destra è dedicato a San Vincenzo Ferreri con statua del santo in un'apposita nicchia, il secondo al santissimo crocifisso, con grande crocifisso scolpito in legno, il terzo espone l'urna del 1772 contenente il Cristo morto in pelle di addace del 1630.

Il primo altare di sinistra espone la statua lignea della Beata Vergine Maria del rosario, di ignoto autore, che porge la coroncina a san Domenico di Guzman, il secondo altare è invece dedicato a san Domenico, nel vano successivo è presente un'apertura sul corso Vittorio Emanuele.

Le cappelle laterali semicircolari, sono racchiuse in arcate a tutto sesto, decorate con stucchi che riportano motivi floreali, putti e festoni, e sono alternate da paraste binate sormontate da capitelli corinzi.

Le decorazioni in stucco vennereo eseguite tra la fine del '700 e la prima metà dell'800 dal Signorelli e dai Fratelli Fantaguzzi da Barrafranca.

La volta della chiesa, a botte, è decorata da quattro affreschi del "Catanese", e rappresentano nell'ordine:

1. S. Vincenzo Ferreri nell'atto di fermare un muri fabbro mentre cade da un ponteggio;

2. S.Tommaso di Aquino che con la Summa Teologica confonde gl'increduli e si sente dire dal Crocifisso: «Bene scripsisti de me, Thoma»

3. S. Domenico,

4. La gloria di Maria Vergine in cielo.

Il pavimento della chiesa è rivestito da piastrelle in maiolica policrome.

Nella controfacciata, in una apposita cantoria, sorretta da due pilastri a sezione quadrata, è collocato un antico organo a canne.

Opere d'arte - La tela della Madonna del Rosario di Filippo Paladini[- Collocato nell'abside semicircolare si trova l'altare maggiore in marmi policromi, sormontato da colonne in stucco che sorreggono un timpano a sua volta sormontato da putti e figure allegoriche. Al centro dello stesso è esposta una grande e pregevole pala d'altare raffigurante la vergine del Rosario, opera del 1608 del pittore fiorentino Filippo Paladini, che ai piedi della Vergine volle dipingere se stesso a mani giunte, vestito col cappuccio domenicano.

In basso, ai piedi della Vergine, si legge: Filippus Paladini Pn, ex devotio Pasca. Rondello 1608. La tela fu, infatti, commissionata a spese e per devozione da Pasquale Rondello.  

Il simulacro del Cristo morto - Degno di nota è il simulacro del Cristo morto in pelle di antilope africana, di dimensioni naturali, e movibile, che viene portato in processione il venerdì santo, all'interno dell'urna del 1772, dalla confraternita di Maria SS. Rosario.

Le notizie storiche sul artistico simulacro sono riportate da Pietro di Giorgio - Ingala:

«Esistendo nella Chiesa di S. Domenico la Compagnia dei Bianchi, dal titolo del SS. Sacramento, composta di civili, ed avente per regola lo accompagnamento dei giustiziati al patibolo, circa il 1630, essendone superiore un certo Don Vittorio Bellanti, si acquistò in Genova in nome della Compagnia, e pel valsente di onze 80 (L. 1020), il Cristo morto custodito nell'urna, che conservossi fino al 1881 in detto Oratorio, e da quell'anno in poi, in S. Domenico, ma di proprietà della locale Congregazione di Carità, essendo l'Oratorio costituito in ente morale. 

Col tempo la Compagnia si estinse, e fu con atto del 13 marzo 1805, presso il notaro Benedetto Jozzo, che ad impulso dei PP. Predicatori ebbe origine la Congrega del SS. Rosario, concedendo essi provvisoriamente l'uso dell'Oratorio, fino a che la confraternita novella non avrebbesi eretto il proprio, nella terra che gli stessi Padri accordavano, attiguamente all'ingresso del loro convento, ed obbligandoli ad aversi, in perpetuo, a direttore spirituale uno dei detti Padri. La costruzione non ebbe vigore e la Congrega ebbesi, fino al 1881, l'uso dell'Oratorio in parola, nel quale anno si chiuse ai divini uffici» (Pietro di Giorgio Ingala, Mazzarino, Ricerche e considerazioni storiche, 1900)

Il convento dei frati predicatori domenicani[ - L'attiguo convento dei frati predicatori domenicani presenta una struttura architettonica molto semplice, come prescriveva la regola dell'ordine. Vi si accede direttamente dalla piazza Riccardo Colajanni, che immette sull'ampio cortile caratterizzato da un porticato con archi a tutto sesto sorretti da pilastri a sezione quadrata in pietra arenaria, cui si aprono gli ingressi che conducono ai piani superiori in cui erano ubicate le antiche celle dei monaci, il refettorio e la ricca biblioteca.

Chiesa di Santa Lucia

Stando alle fonti storiche pervenute, l'origine della chiesa è sconosciuta, tuttavia lo storico e abate Rocco Pirri riporta che fino al 1530 esistesse nelle adiacenze della chiesa attuale un'abbazia di monaci benedettini e che la chiesa fosse annessa alla stessa.

Il convento tuttavia cessò di esistere già nel corso del XV secolo.

Sino alla sua erezione a parrocchia, avvenuta nel 1923, con decreto vescovile del 9 luglio del 1923, la chiesa era suffraganea della Madrice Santa Maria della Neve, per l'amministrazione dei sacramenti..

Nel XVIII secolo, a causa delle precarie condizioni strutturali, venne ristrutturata dalle fondamenta e abbellita con stucchi per volontà del sacerdote don Antonino Zanchì e dalla di lui sorella, come riportato dallo storico Pietro di Giorgio Ingala.

Un'iscrizione su uno scudo in pietra riporta la seguente dicitura:

«R. S. T. D. D. ANTONINUS ZANCHI AC DON ANGELA GERMANI, TEMPLUM HOC D. LUCIAE SACRATUM A FUNDAMENTIS RESTAURARE JUSSERUNT.»

Negli anni trenta alla chiesa furono annessi i locali parrocchiali di via Bartoli.

Descrizione - La chiesa è ad unica navata con longitudine rivolta ad occidente.

Il prospetto, che si affaccia su Corso Vittorio Emanuele, presenta un grande portone di ingresso con arco a tutto sesto, sormontato da un timpano semicircolare a sesto ribassato in pietra locale, al di sopra del quale si apre una finestra rettangolare con cornice in pietra intagliata e timpano spezzato. Agli angoli due grandi paraste in pietra.

Completano la prospettiva nel fastigio sommitale una trabeazione e un timpano triangolare.

La chiesa ha cinque altari, compreso il maggiore.

Degno di nota è l'altare di destra in stucchi con colonne tortili e putti che sorreggono scudi e inscrizioni, in cui è collocata una tela del 1878 riproducente Maria Ausiliatrice, opera di Domenico Provenzani. Analogamente sull'altare nel lato sinistro vi è una tela raffigurante la madonna del Lume, opera del Catanese, pittore locale di origini catanesi.

Seguono l'altare del santissimo crocifisso e del Sacro Cuore di Gesù.

L'altare maggiore, in marmi, è dedicato a santa Lucia, la cui statua è posta in una nicchia sull'altare, cui fa velo un quadro della Santa martire siciliana.

Ai lati dell'altare si trovano due nicchie che ospitano due angeli cherubini.

Le pareti della chiesa sono decorate con stucchi settecenteschi in stile tardo barocco siciliano, con colonne tortili, putti, capitelli corinzi e motivi floreali.

Chiesa Maria Santissima della Lacrima

Ebbe origine da un fatto accaduto alla vista di tutti nel 1638, quando nella casa di un certo Giuseppe Peloso, si vede lacrimare un quadro della Santa Vergine. 

La casa venne demolita e dalle sue ceneri, per volere del popolo e per carità del conte Giuseppe Branciforte, fu eretta la chiesa attuale avente forma circolare, a tre navate, secondo la tradizione del diametro della cupola di San Pietro a Roma. Vi si venera Santa Rita la cui festa ricorre nel mese di maggio.

Chiesa di Santa Maria del Gesù e convento dei Padri Minori Riformati

Con annesso convento, si presenta con una sola navata. Eretta nel 1425 e dedicata a Sant'Ippolito, annesso alla chiesa, nel 1573, venne costruito il convento di Santa Maria del Gesù, da cui prese il nome tutto il complesso. La sua erezione a parrocchia avvenne nel 1943.

Chiesa di Santa Maria delle Grazie

Eretta intorno all'XI secolo nelle vicinanze dell'antica Mazzarino, vi si celebra la Santa Messa una volta l'anno, il 2 luglio.

Nel 1973 vennero rubati il Crocifisso e un quadro della Madonna di pietra di gesso, risalente quest'ultima alla stessa epoca di erezione della chiesa, ove erano impressi dei geroglifici greci.

Chiesa dell'Addolorata (Spirito Santo)

La chiesa dello spirito Santo venne eretta nel XVI secolo per volontà del conte Giuseppe Branciforte, è ad unica navata, la facciata è in blocchi di pietra squadrati, ai lati presenta due semi colonne che sorreggono il cornicione di finimento, alla sommità si trova la vela campanaria tripartita sormontata da un timpano semicircolare. Nel 1680 il principe Carlo Maria Carafa vi istituì la confraternita dell'addolorata.  

Chiesa di San Giuseppe

La chiesa di San Giuseppe risale al XVI secolo, è ad unica navata, ha un artistico campanile con griglia conica in mattoni maiolicati policromi.  

Cappella del Calvario

L'edificio venne eretto nel 1812 con fondi raccolti tramite pubblica beneficenza, per riparare durante il Venerdì Santo i Simulacri protagonisti dei Misteri Pasquali.

Chiesa del San Salvatore

Venne eretta nel VI-VII secolo quando Macharina (attuale Mazzarino) era ubicata nella pianura, è considerata la prima chiesa della Mazzarino medievale sino all'anno mille.  

Chiesa del santissimo Crocifisso dei Miracoli o di Sant'Agata

L'impianto della chiesa risale al IV-V secolo dopo Cristo. Anticamente era dedicata a Sant'Agata oggi vi si venera il Santissimo Crocifisso detto dei Miracoli. Lo stile originario dell'edificio era quello tipico greco-bizantino con tre navate, la chiesa nel corso dei secoli ha subito diversi rimaneggiamenti, in particolare nel corso dell'800 allorquando venne ricostruita la prospettiva e la chiesa arricchita degli stucchi interni ad opera dei fratelli Fantauzzi. Nel 1865 fu edificato il campanile.

Questa chiesa fu la prima "Madrice" della Città di Mazzarino.  

Chiesa di San Francesco di Paola

La chiesa di san Francesco di Paola è attualmente annessa alla ex Casa del Fanciullo Boccone del Povero.

La chiesa, secondo le fonti, venne edificata nel XIII secolo, come cappela palatina ed era attigua ad un convento di padri eremiti.

L'edificio presenta tipici elementi architettonici d'arte medievale. L'edificio è prospiciente l'antico castello (U Cannuni).

Castello di Mazzarino "U cannuni"

'U Cannuni (come chiamato dagli abitanti) è il castello di Mazzarino (nome reale non conosciuto); Fortezza militare di origine normanna, edificata intorno al XII secolo, conserva un'unica torre superstite di forma cilindrica e alcune pareti. Sono ancora visibili le grandi finestre che illuminavano gli ambienti, i camini scavati nella spessa muratura e alcune stanze della torre e la merlartura. Fu dapprima una avamposto militare, per essere trasformato, successivamente, nella residenza dei signori della città: i Branciforte, Principi di Butera e Conti di Mazzarino.

Il castello venne progressivamente abbandonato già nel corso del 1500, a causa delle frane che interessarono le aree adiacenti la fortezza, che lo resero isolato e che indussero i Branciforti ad edificare il nuovo palazzo, nel centro dell'attuale abitato, che divenne il fulcro della vita politica ed economia della città, determinandone l'espansione urbanistica.  

Il Castello di Mazzarino è noto come “U cannuni”, con l’unica torre cilindrica, quasi “cannone”, che si erge verso il cielo; sorge su una lieve altura a 582,8 m s.l.m., in prossimità del centro storico, precisamente a nord-ovest ed è tanto vicino a questo da dare l’illusione di poterlo toccare, allungando la mano dallo spiazzale dell’Immacolata. 

La data di origine del Castello è incerta, ma una cosa è certa che “Mazzarino e il suo Castello” furono acquistati da Stefano Branciforti fra il 1282 e il 1292 e da ciò si può dedurre che esisteva prima di questa data e serviva da residenza a Signori e a Conti di Mazzarino. 

Nel 600 Carlo Maria Carafa Branciforti trasformò Mazzarino in un importante centro culturale attirando presso di sé intellettuali e artisti, ordinando la costruzione di chiese, facendo ingrandire e decorare sontuosamente il proprio palazzo. Una leggenda del posto, infatti, narra che due potenti signori, uno di Mazzarino e l’altro di Garsiliato (due territori vicini fra loro), decidessero di fondare entrambi una città ai piedi del proprio castello e per far ciò pare si fossero affidati alla sorte delle armi; sorte che arrise al signore di Mazzarino che secondo la tradizione era proprio un Branciforti. Sempre la leggenda narra che fu per tale motivo che il castello di Garsiliato venne raso al suolo e ancora oggi è possibile osservarne soltanto i suoi poveri, miseri ruderi. 

Il Cannone rappresenta il monumento maggiormente rappresentativo, anche se oggi rimangono ben definite, soltanto la parete sud e in parte le cortine a nord ed ovest. In origine il castello era costituito da quattro torri cilindriche, occidentali e orientali, all’interno delle quali si sviluppavano ambienti abitativi e di servizio, oltre a vari cortili interni. Le torri occidentali, di dimensioni maggiori rispetto a quelle orientali, erano costituite da tre livelli collegati da scale in pietra ricavate all’interno delle stesse; l’ingresso avveniva tramite un’apertura a sesto acuto ubicata fra le due torri occidentali, della quale oggi restano poche tracce visibili. 

La muraglia esterna, che circonda il “maniero”, era imponente e correva in lunghezza per ben 186 metri. Con il restauro e la ristrutturazione del castello, nel XIV sec. e nel secolo successivo, si è operato un intervento di tipo conservativo per la salvaguardia delle strutture superstiti; lo scavo effettuato all’interno dell’area, delimitato dal perimetro murario, ha consentito la ricostruzione planimetrica di alcuni ambienti e l’individuazione di numerose cisterne interrate per la raccolta di aridi e liquidi. Al fine di garantire la fruizione e, di conseguenza, la conservazione, all’esterno del “maniero”, nella parte a sud-est, è stato costruito un teatro che ha come scenario un vasto panorama sul quale l’occhio scivola fino all’Etna. In questo teatro è stata girata anche una puntata della famosa serie TV, La Piovra e si sono esibite diverse compagnia teatrali, con spettacoli che hanno reso meno lunga l’estate e riscosso il consenso non solo dei Mazzarinesi, accorsi numerosi, ma anche di persone venute dai paesi limitrofi.

Castello di Grassuliato  

Su una rupe scoscesa e inaccessibile alta 419 m sul livello del mare, in contrada Salomone, a pochi chilometri dal comune di Mazzarino ed in una posizione strategica a guardia di un’ampia vallata attraverso la quale la grande piana di Gela si immette, con una serie di altre valli, verso i territori di Enna e Caltanissetta, si ergono i ruderi del Castello di Garsiliato o Grassuliato o Saliato o, molto più familiarmente per la gente che abita quei luoghi, Castiddazzu.  

Luoghi già ellenizzati (VI a.C.) e poi scelti dai Romani per controllare le vie di penetrazione nell’isola, luoghi che proprio per la loro conformazione potevano nascondere truppe e provvigioni.

A protezione del territorio i Romani costruirono in quei luoghi due castelli e, mentre al primo diedero nome di Mazarinum, al secondo diedero quello di Arx Saliatum cioè castello dei Saliati o Salii, sacerdoti di Marte (pare in numero di dodici per volere di Numa Pompilio) così chiamati per il saltare che facevano per le strade nel celebrare la festa in suo onore e che custodivano il suo simulacro in un tempietto a lui dedicato ed eretto proprio vicino al castello. Ai piedi dello stesso, vicino alla sponda sinistra del fiume Gela, era situato anche il villaggio romano.

In quei luoghi, ai Romani seguirono i Bizantini e nell’VIII secolo i Saraceni che distrussero il villaggio, (non fu più ricostruito) ma che mostrarono gran considerazione per l’ottima posizione occupata dal castello nel territorio.

In quella stessa altura, nell’XI secolo, i Normanni, dopo aver scacciato i Saraceni, ripristinarono il castello e costruirono una chiesa dalla quale oggi purtroppo restano sparute tracce.

Le prime notizie storiche riferiscono che nel 1091, in un elenco di donazioni effettuate alla chiesa di Santa Maria della Valle di Giosafat, apparisse fra altri il nome di Salomon de Garsiliat, figlio forse, di Guicone de Garsiliat.

Con Simone de Garsiliat, nome poi corrotto in Grassuliato, si ripristina un piccolo borgo e si riabita il castello. Territorio vastissimo ricco d’ogni bene e composto, inoltre, da ben nove feudi ed ancora una volta la sua postazione particolarmente strategica ne facevano terra ambita.

Tanto potente era il suo signore, Bartolomeo di Grassuliato, che osò sfidare l’autorità regia, riuscendo a coinvolgere alla ribellione anche altri impetuosi nobili, tanto da costringere lo stesso re Guglielmo I (‘il Malo’) a guidare contro di lui un esercito, che ebbe la meglio soltanto dopo un lungo, aspro e rovinoso conflitto. Il Castello messo a ferro e fuoco venne distrutto ed abbandonato.

Al tempo di Federico II di Svevia la contea di Grassuliato risorse, anzi, pare che diventi contea proprio in quel periodo. Nel 1282, durante la guerra del Vespro, troviamo i suoi signori a combattere contro gli Angioini e nel 1299 li troviamo schierati, fedelissimi, al fianco degli Aragonesi.  

La tormentata storia della Sicilia di quei secoli coinvolse, ovviamente, in altrettante alterne vicende anche la contea di Grassuliato; la Guerra dei Novant’anni dilaniò l’sola e tanti furono gli “attori” della contea in quei momenti; da Bernardo Raimondo de Rebellis (difensore della nave di re Federico II d’Aragona nella battaglia di Capo d’Orlando e primo di una famiglia di numerosi uomini d’arme) a suo figlio Giacomo Pietro ed ancora, da Riccardo di Passaneto e suo fratello Ruggero, fino a Guglielmo Pallotta che accusato di fellonia da re Martino I d’Aragona segnerà per sempre la decadenza della famiglia e del suo maniero.

Da quei fatti in poi tutto il territorio di Garsiliato passerà, a ricompensa dei servigi resi alla causa Aragonese, a Niccolò Branciforti signore di Mazzarino e dopo di lui a tutti i suoi discendenti, che dal 1507 furono chiamati Conti di Mazzarino e di Garsiliato.

I Branciforti per ben governare, al contrario di molti altri nobili, non si trasferirono mai nella capitale del regno ma preferirono abitare le proprie terre, non risiedendo mai nel castello di Garsiliato che ben presto mostrò i segni dell’abbandono.

Per questo gli abitanti di Grsiliato, poco alla volta si trasferirono a Marrarino, spopolando la contea, ma, forse, anche perché il territorio di Mazzarino risultava meno isolato ed in una posizione topografica più favorevole.

Così come per altri, anche per il Castello di Garsiliato, storie e credenze popolari si mescolano; ed in questo particolare caso la leggenda popolare accomuna il Castiddazzu  a U Cannuni.

Essa tramanda che, in un tempo non precisato, si accendesse una disputa fra i due più importanti “Signori” del territorio, padroni entrambi di estesi quanto mai limitrofi contadini, per la fondazione di un unico importante agglomerato. Sempre la tradizione narra che la sorte abbia favorito il “Signore” di Mazzarino, per cui, così come stabilito nel patto iniziale stipulato tra i due, la città nuova venne costruita nei pressi del castello vincitore.

E’ rilevante notare come le dicerie popolari spesso traggano spunti da fatti storici.

Gli studiosi , parlando del castello di Grassuliato, asseriscono che era accessibile solo da un fronte e per un viottolo d’accesso ripido e difficile da percorrere. Sicuramente la morfologia del territorio ha condizionato la costruzione dello stesso che poggiava le sue fondamenta su vari livelli e su di un terreno formato prevalentemente da roccia gessosa. Il maniero medievale pare avesse salde mura merlate, con porte e finestre a sesto acuto e con volte a crociera; aveva anche ampi saloni e vaste cisterne e ovviamente un sotterraneo che lo metteva in comunicazione con la sottostante valle.

Il suo abbandono, risalente al secolo XVI, non ha certo favorito la sua conservazione; ed ai nostri giorni risulta difficile riconoscere dai pochi elementi, molto slegati fra loro, la grandiosità del vecchio castello. Possiamo sicuramente confermare che, rispetto all’abitato, doveva risultare molto imponente e, inoltre, anche dominante per un ampio raggio della vallata del fiume Gela e dei luoghi circostanti.

Area archeologica di Sofiana

L'area archeologica rinvenuta nei pressi del fiume Nociara o Gela, a confine con il territorio comunale di Piazza Armerina, era una antica statio di epoca tardo-antica, lungo l’itinerario stradale che collegava Catania ad Agrigento e subì notevoli trasformazioni nelle epoche successive fino a scomparire nel XIII secolo.

Gli scavi condotti negli anni hanno riportato alla luce architetture (la domus gentilizia, l'impianto termale e, nella necropoli, la basilica) e materiali che ne confermano la continua esistenza dall’epoca arcaica (VI sec. a.C.) fino a quella federiciana, cioè per circa duemila anni.

Area archeologica di Monte Bubbonia

L'area archeologica rinvenuta da Paolo Orsi nei primi del novecento sulle pendici di Monte Bubbonia, presenta, secondo l'archeologo Orlandini i resti dell'antica città sicula di Maktorion, città, per l'appunto, abitata da popoli indigeni (Siculi) ed ellenizzata da greci (Rodio-cretesi provenineti dalla colonia di Ghelas) nel V-VI secolo avanti cristo e citata da Erodoto nelle sue Storie.

Tradizioni e folclore

Settimana santa[- Venerdì Santo - Il giorno del venerdì santo si susseguono per l'intera giornata momenti che rievocano la passione di Cristo con la processione dei simulacri del Cristo carico della croce, dell'Addolorata, della Veronica e di San Giovanni apostolo.

A mezzogiorno nella piazza principale avviene l'incontro tra la San Giovanni Apostolo, la Vergine Addolorata e il Cristo carico della croce, segue quello con la veronica. La processione dei simulacri prosegue, quindi, sino al calvario, in cui viene rievocata la crocifissione. La sera, invece, ha luogo la deposizione di Gesù dalla croce e la processione del Cristo morto adagiato nell'urna di cristallo, fin verso la chiesa di San Domenico.

La domenica di Pasqua "A Giunta" - La domenica di Pasqua, a mezzogiorno, in piazza Madrice, innanzi il Palazzo dei Principi di Butera, si volge a giunta", ovvero l'incontro festoso tra il Cristo risorto e la Vergine Maria, tra gli apostoli, San Pietro e Paolo, e gli stendardi delle diverse confraternite cittadine.  

Festa del Santissimo Crocifisso "dell'olmo", compatrono della città - La festa esterna del Santissimo Crocifisso dell'Olmo, compatrono della città, ricorre, annualmente, la seconda domenica di maggio.

L' antico Crocifisso, scolpito in legno di cipresso, risalente all'epoca normanna, alto circa un metro, viene collocato su un fercolo in legno e ferro battuto dorato (detta a vara), realizzata alla fine del '600, da cui si dipartono quattro travi in legno (dette "baiarde").

Il fercolo, pesante circa 15 quintali, è portato a spalla da oltre cento confrati dell'omonima confraternita, vestiti soltanto con un camice bianco e scalzi, come da tradizione secolare, in segno di penitenza e ringraziamento.

L'origine della festa, infatti, risale al 1693, come ringraziamento e gratitudine della cittadinanza, e dei Conti di Mazzarino, per la divina protezione e lo scampato pericolo in seguito al disastroso terremoto del Val di Noto.

Lungo il tragitto della processione, il fercolo viene ricoperto da migliaia di collane di margherite gialle, lanciate dai fedeli in segno di devozione, che, aumentandone il peso, conferiscono il caratteristico movimento sussultorio e ondulatorio all'andatura della vara.

La processione si snoda lungo le vie antiche della cittadina ed è seguita da numerosi fedeli provenienti anche dai paesi limitrofi che compiono il cosiddetto "viaggiu o Signuri", alcuni dei quali, scalzi, per devozione o grazia ricevuta.

Dal 1814 il santissimo Crocifisso dell'olmo è compatrono della città di Mazzarino allorquando la Madonna del Mazzaro, venne proclamata patrona della città.  

Festa di Maria Santissima del Mazzaro, Patrona principale della città di Mazzarino - Sin dal ritrovamento dell'icona, nel 1125, la Madonna delle grazie detta anche del "Mazzaro", è venerata come patrona della città di Mazzarino.

Con decreto della Sacra Congregazione dei riti del 18 settembre 1814, la Madonna del Mazzaro, venne proclamata ufficialmente patrona della città di Mazzarino assegnandole la terza domenica di settembre per la ricorrenza della festa patronale, come da antica consuetudine.

Il decreto venne successivamente approvato con Breve pontificio il 6 settembre del 1834.

I solenni festeggiamenti in onore della patrona, ricorrono, annualmente, la terza domenica di settembre.

La processione della statua lignea di Maria Santissima del Mazzaro, collocata su una vara argentea (dal peso di circa 16 quintali) e portata a spalla da oltre cento confrati, vestiti di un camice azzurro, si snoda a partire dal tardo pomeriggio, e fino a la tarda serata, lungo il corso Vittorio Emanuele, addobbato per l'occasione con luminarie.

La processione domenicale è preceduta, nel primo pomeriggio, dalla tradizionale processione della Madonnina detta dal popolo "a dumannareddra", scortata dagli stendardi e da cavalli bardati, che percorre le vie del centro storico per la raccolta delle offerte (voti) in natura costituiti da frumento, fave e mandorle, offerti alla confraternita in segno di devozione.

In coincidenza dei giorni della festa patronale lungo il corso principale si svolge la tradizionale fiera di settembre.

La festa patronale è preceduta dal solenne novenario in onore di Maria Santissima del Mazzaro.  

Festa di Maria Santissima del Rosario. Prima domenica di ottobre - Processione della statua di Maria santissima del Rosario dalla chiesa di San Domenico.  

Festa dell'Immacolata Concezione. L'8 dicembre - L' 8 dicembre di ogni anno in occasione della solennità dell'Immacolata Concezione si svolge processione della settecentesca statua lignea di Maria Santissima Immacolata per le vie del centro storico della città, portata a spalla dai membri dalla Confraternita "Figli di Maria SS. Immacolata". Nei dodici giorni che precedono la festa, prima della messa vespertina, in chiesa, viene cantato il tradizionale "stellario", ovvero l'inno di preghiera in preparazione alla festività.

Anticamente, il giorno della festa, in serata a conclusione della processione, innanzi al sagrato della chiesa, si dava fuoco a "u pagghiaru" , ovvero al falò, formato da cataste di legna, paglia e residui della potatura di ulivi, che i cittadini e bambini contribuivano a formare nei giorni precedenti la festa. Tradizionalmente in occasione della festività dell'Immacolata si prepara il tipico "muffoletto" dolce mazzarinese.  

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