Niscemi rientra
nella piana di Gela e
nell'area gelese, e ne costituisce la sua parte nord-orientale, a
contatto con il territorio di Caltagirone.
Il
centro abitato è situato su un altopiano posto
a 332 metri dal livello del mare.
Il comune ha una superficie di 9.654 ettari per una densità abitativa
di 285 abitanti per chilometro quadrato. Niscemi è situata su una
collina rientrata nella parte dei Monti
Erei e alle pendici degli Iblei,
con un panorama occidentale sulla vallata del fiume Maroglio e la Piana
di Gela. Dista 77 km da Caltanissetta,
92 km da Catania,
67 km da Enna,
188 km da Messina,
192 km da Palermo,
60 km da Ragusa,
127 km da Siracusa e
298 km da Trapani.
Il
territorio di Niscemi si inserisce in un contesto geologico
caratterizzato da colline argillose mioceniche, ricoperte da un ampio
mantello di sabbie plioceniche, tufi calcarei e conglomerati.
Sull'origine
del nome sono state formulate varie ipotesi. Secondo alcuni documenti il
nome del feudo su cui fu costruito il borgo ha sempre avuto nome
Niscemi: in alcuni documenti antichi, tale nome è riportato in latino
come Nixenum, ma
fu anche chiamato Nixima e successivamente Niscimi.
Secondo questa teoria il nome è di derivazione araba ed è dato dalla
composizione di Ni che è quasi certamente la
contrazione dell'arabo beni, cioè uomini e scemi,
che significherebbe siriani: in virtù di questa
considerazione Niscemi potrebbe significare Uomini
Siriani o Gente Siriana.
La
presenza di insediamenti umani nel territorio di Niscemi, risale
all'epoca neolitica, in particolare tra il III ed
il II millennio a.C.,
come testimoniato dalla presenza di numerose tombe a forno scavate nella
roccia.
Tracce
attribuibili alla cultura sicana risalgono,
invece, ad un periodo risalente alla prima età dei metalli. Si
trattava, principalmente, di piccoli villaggi che vivevano di caccia e
agricoltura e che vivevano in capanne di paglia. Durante questo periodo
erano diffuse l'industria litica, della ceramica e quella relativa alla
produzione di utensili di uso quotidiano.

Successive
testimonianze di insediamenti nel territorio di Niscemi si possono
ricostruire grazie alla presenza delle necropoli caratterizzate da tombe
a tholos e a forno nel periodo
castellucciano, risalenti al XIII secolo
a.C. realizzate durante
la tarda età del bronzo. A conferma di ciò, un passo del secondo
volume del Dizionario Topografico della Sicilia, redatto da Vito
Amico, riporta: «sia nei
fianchi che nelle falde del colle occorrono sepolcri anche per corpi
giganteschi, monete di ogni metallo, vasi, lucerne, ampolle, e più di
un pavimento saccheggiato coll'epigrafe Alba si è rinvenuto».
Durante questo secolo i villaggi castellucciani si trasformarono
progressivamente in insediamenti fortificati, probabilmente a causa
dell'avvento dei siculi,
che costrinsero gran parte delle popolazioni più pacifiche a spostarsi
verso territori più tranquilli.
A
partire dal VII secolo a.C.,
successivamente all'insediamento dei coloni rodio-cretesi nel territorio
di Gela,
le campagne del territorio niscemese furono occupate per poter essere
coltivate intensamente:
sorsero numerose fattorie, i terreni furono lottizzati e le risorse
naturali sfruttate al massimo.
Tuttavia,
a partire dal V secolo a.C.,
in seguito alla seconda invasione cartaginese, la relativa tranquillità
degli insediamenti nel territorio di Niscemi fu sconvolta e molti
abitanti furono costretti a fuggire e ad abbandonare le loro fattorie.
Nel III
secolo d.C. la vasta
plaga, situata circa ad un chilometro ad occidente del centro abitato
odierno, compresa tra il fiume Achates ed il fiume Gela, fu assegnata al
patrizio Calvisio e prese il nome di Plaga Calvisiana.
Sorse un fiorente villaggio che sopravvisse fino al IX
secolo d.C., quando gli arabi
lo distrussero definitivamente.
Successivamente
gli arabi costruirono un borgo fortificato sulla collina dove sorge
l'attuale centro abitato e vi diedero il nome Fata-nascim traducibile
come passo dell'olmo,
accorciato in un successivo momento in Nasciam. Durante
l'occupazione araba il regime della proprietà fondiaria ed i sistemi di
coltivazione della terra cambiarono radicalmente: i vasti latifondi
furono suddivisi in piccoli lotti, eccetto per le proprietà demaniali.
Inoltre la coltivazione dei cereali e la pastorizia furono ristrette
solo ai terreni adatti, si provvedette alla ripopolazione del manto
boschivo, si intensificò la produzione di olio e si introdussero le
coltivazioni di carrubbo, gelso, pistacchio e nocciolo. Nella metà del
XIII secolo, tuttavia, a causa delle lotte interne tra musulmani e
normanni, la cittadina fu completamente distrutta e i suoi abitanti
furono costretti a fuggire in cerca di un luogo più sicuro dove vivere.
A
seguito della conquista normanna, con diploma del 1143 fu fondata una
nuova città con il nome di Nixenum. Diventato un feudo
rustico il territorio subì radicali mutamenti fin quando, nel 1324,
un ramo della famiglia Branciforte, si trasferì da Piacenza in Sicilia
(nel XIII secolo) e comprò la terra di Nixenum.
Il
ritrovamento del quadro della Madonna
Una
raffigurazione di Maria Santissima del BoscoSecondo la
tradizione popolare, la fondazione di Niscemi risalirebbe al
ritrovamento di un quadro della Madonna ad
opera di un pastore niscemese di nome Andrea Armao.
Il
pastore, il 16 maggio del 1599, pascolando il proprio gregge ai
limiti di un bosco in contrada Castellana, si addentrò tra la
fitta vegetazione nell'intento di ritrovare il proprio bue
favorito, di nome Portagioia, sfuggitogli due giorni
prima.
Lì
vi scorse l'animale, inginocchiato e immobile di fronte ad una
raffigurazione della Madonna con a destra Gesù bambino
benedicente, recante sulla sinistra un globo sormontato da una
croce.
In
prossimità del luogo del ritrovamento era presente una fonte
naturale di acqua.
Il
pastore informò immediatamente la popolazione e gli abitanti
raggiunsero il luogo del ritrovamento: stupefatti dallo
straordinario evento raccolsero l'icona e la portarono in
processione per le vie del borgo fino alla chiesetta di Maria
SS. della Grazia.
Con
il passare del tempo si diffusero nel circondario voci secondo
cui l'acqua della fonte, nei pressi del luogo di ritrovamento
del quadro, fosse miracolosa: molti devoti decisero quindi di
trasferirsi nel borgo, dove fu necessario costruire un santuario
in onore della Madonna, che divenne così la patrona della città. |

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Nel
1624, la nobildonna Giovanna Branciforte, vedova di Giovanni Branciforte
Barrese, principe di Butera, a nome del figlio Giuseppe (1619-1675),
prese possesso della baronia di Niscemi. Due anni dopo, per far
conferire i titoli nobiliari al figlio, chiese ed ottenne dal cardinale
Giovanni Doria la licentia populandi del feudo di
Niscemi. La neonata baronia di Niscemi era costituita da quattro feudi,
anche se taluna documentazione ne riporta l'esistenza di quattordici.
Il centro del borgo fu scelto vicino al bosco di Castellana, ove la
leggenda narrava del ritrovamento del quadro della Madonna.
Le strutture preesistenti, a causa delle precarie condizioni economiche,
non furono distrutte, ma riutilizzate. Non fu costruito un castello, ma
si scelse di adoperare, come avamposto di difesa, una torretta sita in
contrada Castellana.
Il
Principe Branciforte, per privilegio dato dal re Filippo
IV di Spagna il 25 marzo
1627, esecutoriato il 18 maggio dell'anno medesimo, ottenne il titolo di I
Principe di Niscemi. Nel
1640, lo stesso feudatario decise di dare un nuovo assetto urbanistico
al borgo, disegnando una nuova planimetria secondo le pratiche
urbanistiche del tempo, che prevedevano la presenza di una piazza
centrale in cui emergeva la Chiesa Madre. Il Principato
di Niscemi durò fino al 1661, quando il Branciforte vendette il relativo titolo
a Vitale Valguarnera
Lanza, duca dell'Arenella, e
perciò venne ridotto a rango di semplice terra baronale.
Nel
1693 il terremoto del Val di
Noto, che distrusse buona
parte della Sicilia
orientale, danneggiò buona
parte del borgo di Niscemi, pur non provocando vittime.
Si rese necessaria la ricostruzione di gran parte dell'abitato, tuttavia
la planimetria non mutò e le principali chiese furono ricostruite nel
luogo originale di edificazione.
Il
19 marzo 1790 le
terre a sud del centro abitato furono sconvolte da un rivolgimento
tellurico di proporzioni paurose, caratterizzato da aperture della terra
e dall'emissione di calore ed emissioni nauseabonde.
Sorse, inoltre, un piccolo cono vulcanico che emetteva vapore e calore.
Lo sconvolgimento, tra lo spavento della popolazione, durò per otto
giorni consecutivi.
Il
10 ottobre 1838 Re Ferdinando
II, con tutto il suo seguito, passò da Niscemi, lamentandosi con
l'amministrazione della città per il pessimo stato delle strade. Il 12
gennaio 1848 la
città prese parte all'insurrezione popolare contro il governatore
borbonico: in quest'occasione
Salvatore Masaracchio fu insignito del ruolo di comandante della Guardia
nazionale. Il 24 maggio 1860 la
città aderì alla rivoluzione garibaldina. La sera del 26 luglio 1860 i
soldati garibaldini furono ospitati presso la Chiesa di Sant'Antonio da
Padova e, nella stessa chiesa, si votò, il 21 ottobre dello stesso anno
il plebiscito che sancì l'annessione della Sicilia all'Italia.
Successivamente
all'unità d'Italia il paese fu scosso da violenze, furti e rapine a
danno principalmente di nobili: la banda, a cui capo vi era Salvatore Di
Benedetto, soprannominato Parachiazza, imperversò nelle
campagne per diversi anni, finché fu definitivamente sgominata.
Il figlio di Parachiazza, Matteo Di Benedetto, uccise nel 1864 Salvatore
Masaracchio, all'epoca dei fatti sindaco di Niscemi.
Nel 1891 un
gruppo di giovani intellettuali niscemesi fondò il Fascio dei
Lavoratori, secondo in tutta
la Sicilia dopo quello di Catania.
Di ispirazione socialista, consentì ai contadini di ottenere nel 1897 la
lottizzazione e l'assegnamento delle terre demaniali ex feudali.
Nel 1922,
subito dopo l'instaurazione del regime fascista,
il militante socialista Salvatore Noto fu assassinato nella piazza
principale del paese da squadristi fascisti.
Tra
le due guerre mondiali, Niscemi fu caratterizzata da un nuovo periodo
turbolento caratterizzato da rapine, scassinamenti e violenze varie,
causate principalmente dalla miseria e dalla disoccupazione.
Molti lavoratori si organizzarono in associazioni e lottarono per la
concessione delle terre incolte. Gli stessi fenomeni si verificarono
anche dopo la seconda
guerra mondiale: nel 1947 una manifestazione
popolare, a cui parteciparono più di quattromila lavoratori, degenerò
in violenze e saccheggiamenti.
Le proteste dei lavoratori si conclusero nel 1951,
quando gran parte dei lavoratori, preferirono emigrare in cerca di
lavoro.
Negli anni
quaranta del XX
secolo imperversò il banditismo nel
territorio e prese piede la cosiddetta Banda dei Niscemesi i cui capi
erano Rosario Avila e Salvatore Rizzo.
Rosario Avila fu trovato morto nel 1946, dopo che su di lui era stata
messa una taglia. Con la sua morte l'intera banda si disgregò e tutti i
suoi componenti furono tutti catturati o uccisi.
Il
12 ottobre 1997 si
verificò un evento
franoso. La frana non causò
vittime ma provocò il danneggiamento di decine di edifici e lo
sfollamento di 117 famiglie del
quartiere Sante Croci della città. Complessivamente rimasero senzatetto
circa cinquecento persone. Risultò particolarmente danneggiata la
Chiesa delle Sante Croci che, successivamente, fu demolita.
Gran parte delle case che furono danneggiate erano state costruite
abusivamente nel corso degli anni
sessanta. Solo dopo
quattordici anni dall'evento, nel 2011,
le famiglie colpite sono state risarcite del danno subito.
Successivamente, sono stati definitivamente abbattuti i ruderi delle
abitazioni inagibili.
Tra
gli anni ottanta e
gli anni novanta,
la città è stata soggetta ad una escalation di problemi di legalità
che hanno causato, nel 1992 e
nel 2003,
il commissariamento della giunta comunale per condizionamento mafioso.
Il
21 settembre 2014,
a seguito di un referendum confermativo, la popolazione di Niscemi ha
votato a favore del distacco dal Libero
Consorzio dei Comuni di Caltanissetta e
dell'adesione al Libero
Consorzio Comunale di Catania.
In seguito alla delibera del consiglio comunale di giorno 26 ottobre
2015 Niscemi dichiara la volontà di aderire alla Città
metropolitana di Catania.
L'adesione è stata tuttavia bocciata dalla commissione Affari
istituzionali dell'ARS.
Visitare
il borgo
Su
un altopiano proteso verso la Piana di Gela, Niscemi - secondo
un'interpretazione - rivelerebbe nel suo nome, mediato dall'arabo,
un'origine per parte di gente siriane. E' in ogni caso all'epoca araba
che si deve l'incremento nella coltivazione degli ulivi e l'introduzione
di varietà come carrubi, pistacchi, noccioli e gelsi.
Una
realtà di felice sviluppo che dovette però interrompersi alla metà
del XII secolo, a causa delle contese fra Musulmani e Normanni per il
controllo di questa terra: Niscemi fu rasa al suolo e gli abitanti
dovettero abbandonarla. Rifondata divenne due secoli più tardi feudo
dei Branciforte, qui giunti dal Piacentino, e tale rimase fino al 1661,
quando passò ai baroni dell'Arenella.
Se
il terribile terremoto che colpì nel 1693, la Val di Noto, pur
distruggendo gran parte del borgo, non fece vittime, un successivo,
curioso evento nel marzo 1790 spaccò in alcuni punti il suolo facendone
uscire calde esalazioni pestilenziali, che per giorni sconvolsero la
popolazione suggerendo la presenza di forze oscure e maligne,
Il centro
storico risale alla
seconda metà del XVII
secolo. La piazza Vittorio
Emanuele III ha forma rettangolare e su di essa si affacciano la
Chiesa Santa Maria d'Itria e la Chiesa dell'Addolorata, oltre che il
Palazzo di Città.
Chiesa
di Santa Maria D'Itria

La Chiesa
Madre di Santa Maria dell’Itria è tra le più
scenografiche strutture religiose della città
di Niscemi, oltre ad essere
tra i suoi principali luoghi di culto ancora oggi attivi. Si tratta di
una splendida rappresentazione architettonica dello stile Barocco
siciliano, con bellissimi decori presenti sia al suo esterno che
al suo interno, in cui custodisce meravigliose opere d’arte secolari
dal grande valore culturale.
L’attuale
edificio della Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria a Niscemi è
stato costruito a partire dal 1742, sorgendo nello stesso luogo in cui
era situata la storica Chiesa Madre di Niscemi, andata totalmente distrutta dal
devastante terremoto del 1693.
L’edificio
è Intitolato a Maria Santissima dell’Itria, un culto originario
dell’epoca bizantina, tanto da essere tra le figure religiose più
venerate nell’antica Costantinopoli. A Niscemi, così come nel resto
della Sicilia, il culto verso la Madonna dell’Itria si diffuse
principalmente in epoca medievale, resistendo ancora oggi con diversi
edifici a lei dedicati.
L’edificazione
della Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria a Niscemi non fu celere,
tanto che le sue opere di completamento proseguirono fino alla seconda
metà dell’Ottocento,
con la realizzazione degli ultimi dettagli e della scenografica facciata
che la caratterizza.
È
proprio la facciata della Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria che
conferisce all’edificio un particolare splendore, in quanto
caratterizzata da 3 ordini separate da cornici ricche di dettagli.
L’unico
portale d’ingresso si presenta maestoso e contornato da due gruppi di
colonne che culminano in meravigliosi capitelli, che aggiungono alla
struttura un maggior prestigio.
Ai
lati del primo e secondo ordine sono presenti 4 edicole votive, ognuna
delle quali presenta una statua di alcuni dei principali personaggi
della religione cattolica, ovvero gli evangelisti Marco e Giovanni,
oltre agli apostoli Paolo e Pietro.
L’ultimo
ordine è caratterizzato da una triplice cella campanaria con arcate a
tutto sesto, al cui vertice è posta una statua che raffigura
Cristo.
Entrando
nella Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria è impossibile non
restare incantati dall’eleganza e dalla raffinatezza che caratterizza
tutta la struttura, articolata in una pianta basilicale a 3 navate, ognuna delle quali è separata
dall’altra da una fila di pilastri che compongono delle arcate
aggraziate dalla presenza di numerosi decori nelle colorazioni oro e blu
zaffiro. Nelle pareti laterali sono situate diverse cappelle in marmo e
numerose opere d’arte, oltre agli affreschi presenti nella volta, realizzati durante
l’Ottocento. La Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria presenta
anche dei sotterranei, in cui sono situate le antiche cripte che, al tempo, ospitavano i corpi dei personaggi
più illustri di Niscemi.
Chiesa
dell'Addolorata
La
chiesa venne costruita tra il 1752 ad il 1764 a spese della
confraternita del SS.mo Crocifisso e della congregazione di Maria SS.ma
Addolorata, nello stesso posto di una «Aedicula rusticana», gravemente
danneggiata dal terremoto dell'11 gennaio 1963. La chiesa su progetto
dell' Architetto Rosario Gagliardi, la cui presenza a Niscemi e
documentata nell'anno 1751(1), venne costruita dall'esperto capomastro
Silvestro Gugliara, seguace della maniera architettonica di Rosario
Gagliardi.
La
chiesa è una pregevole opera di architettura barocca per la sobrietà e
l'eleganza dell'impostazione generale e delle decorazioni interne. E' a
pianta ottagonale allungata, quasi ellittica, modellata all'esterno
dall'elegante facciata convessa nella zona centrale, che presenta un
raffinato gioco di membrature in pietra scura, messo in risalto dal
contrasto dell' intonaco chiaro della parete di fondo.
La
facciata è suddivisa in tre parti da quattro lesene in pietra locale
lavorata in stile composito che ne mettono in risalto la concavità
della parete. La superficie centrale risulta elegantemente modellata
dalle sculture del portale d’ingresso artisticamente decorato con
colonne piatte a leggero aggetto e dagli intagli decorativi che adornano
il finestrone posto in simmetria con col portale. Il frontone del
coronamento leggermente ricurvo è diviso dall'ordine inferiore dal
cornicione lievemente aggettante che segue la convessità della
superficie muraria.
Su
di essa è posta la cella campanaria a tre luci con lesene in stile
ionico dal disegno fluido ed elegante su cui poggia il raffinato
finimento con un’artistica croce di ferro battuto. Le campane della
chiesa furono fuse nel 1760 a Niscemi dai fonditori palermitani Giuseppe
Milazzo e Onofrio Di Marco. Quella di centro venne dedicata a Maria
Santissima Addolorata, quella di destra al Santissimo Crocifisso e
quella di sinistra San Filippo Neri e la più piccola a San Giuseppe.
L’illuminazione è affidata agli occhi che si aprono sotto la volta e
al finestrone centrale.
Sopra
il soppalco del portone d’entrata si costruì la cantoria dove venne
collocato un organo di ottima fattura, opera di Giacomo Andronico di
Palermo eseguito nel 1767.
La
chiesa dotata di tre altari mirabilmente scolpiti nel 1764 da Domenico
Viola di Catania con disegni barocchi ed in marmi policromi rari e
pregiati. L’altare maggiore è dedicato al SS.mo Crocifisso e alla
Vergine Addolorata. Esso venne completato e abbellito nel 1797 dallo
scultore Giuseppe Orlando di Catania occupando tutta la superficie
semicircolare dell’abside con due belle colonne in marmo policromo
pregiato portanti artistici capitelli corinzi, che sostengono
l’architrave, il fregio e su questo il finimento. Ai due lati, sulla
cornice del fregio, sono collocate due artistiche statue in marmo
bianco, a grandezza naturale, che simboleggiano la carità e il martirio
e in alto, circondato da angeli, tra nuvole e raggi di sole, un grande
bassorilievo del Cristo benedicente. Nella cappella dell’altare
maggiore si conserva un pregevole Crocifisso di palmi sette, simile a
quello esistente nella chiesa del Santissimo salvatore di Licata,
scolpito in legno di cipresso, artistico, espressivo e di eccellente
fattura, opera dello scultore Antonino La Verde di Licata eseguito nel
1760.
Le
decorazioni della chiesa vennero eseguite nel 1760 da Francesco Sajola
di Catania, mentre il pittore Gasperino Vizzini ne affrescò la volta
con un grande quadro simbolico dove sono raffigurati Gesù Cristo, la
Madonna e San Giovanni Evangelista, artisticamente racchiuso in una
cornice a stucco, con decorazioni di angeli a rilievo. Ignoti risultano
gli autori dei quadri della Madonna della Mercede, di San Filippo Neri,
dell’Addolorata e del Cristo morto.
La
chiesa accoglie sotto il pavimento una cripta sotterranea con un altare,
gli essiccatoi, gli ossai e le sepolture per i frati e le
consorelle.
La
chiesa venne consacrata il 10 giugno del 1764 dal vescovo di Siracusa
mons. Giuseppe Antonio De Requensens e dedicata alla Vergine Addolorata
e a Gesù Crocifisso.
Chiesa
di Sant'Antonio da Padova
Una
prima testimonianza dell’esistenza della Chiesa di San Antonio di
Padova risale agli anni 1817 – 1819 da documenti che fanno risalire la
fondazione della Chiesa Sacramentale di Sant'Antonio al 1683. Altri
documenti conservati nell'archivio Vescovile di Siracusa datati
18/10/1700 provano la presenza della stessa in quanto il Vescovo di
allora Mons. Asdrubale Termini ebbe a visitarla e si lamentò del
“puzzo dei cadaveri ivi sepolti” consigliando di provvedere alla
lapide che chiude la sepoltura. Questa prima chiesa, nel terremoto del
11/01/1693 (1) subì gravi danni, per cui l’impianto che noi vediamo
adesso è quello ricostruito più ampio di quello primiero, ma nello
stesso posto, la ricostruzione fu voluta dalla Confraternita di Maria
SS.ma della Concezione.
Nel
1746, secondo una relazione del Vicario Foraneo di Niscemi al Vescovo di
Siracusa, i muri perimetrali erano stati alzati di circa sei metri, e
misuravano 103 palmi di lunghezza per 34 di larghezza. Dagli atti della
stessa chiesa si rileva che agli inizi del 1800 la chiesa si andava
completando e arricchendo di sacre suppellettili grazie alle elemosine e
alle contribuzioni degli stessi confrati. Intorno al 1810 risale
l’imponente organo istallato sopra l’architrave (coro) realizzato
all'ingresso principale, detto organo costò la somma di 400 onze.
Nel
1817 si trova in costruzione l’imponente anche se snello campanile,
collocato al lato Nord – Ovest dell’abside, dietro la sagrestia,
realizzato in pietra delle cave comunali intagliata e scolpita da
scalpellini del luogo, il costo fu di altre 400 onze. Il campanile della
Chiesa di Sant'Antonio di Padova è a forma di parallelepipedo con base
quadrata ed è il solo esistente a Niscemi, mentre le altre chiese si
sono servite del fastigio finale della facciata per ricavarne le campate
dove sono collocate le campane. La sera del 20/07/1860 ospitò i soldati
della colonna garibaldina comandata da Nino Bixio che passarono da
Niscemi e che dormirono su strati di paglia sparsi sul pavimento della
chiesa. Nel 1924 – 25 fu incaricato il pittore Giuseppe Barone di
Vizzini il quale affrescò la chiesa e la dotò di quadri ad olio e a
tempera.
Intorno
al 1650, si costituì la congregazione e confraternita di Maria SS.ma
della Concezione che aveva come scopo le onoranze funebri, le opere di
pietà e gli esercizi spirituali. Verso il 1680 essi, per lo svolgimento
delle pratiche spirituali e delle opere di pietà, costruirono una
chiesa con le elemosine raccolte in mezzo alla cittadinanza e con i
contributi versati dagli stessi confrati. La chiesa, secondo la
relazione sui sacri edifici di Niscemi inviata nel 1746 dal vicario
foraneo don Antonino Mauceri al vescovo di Siracusa mons. Matteo
Trigona, misurava palmi 56, metri 14, in lunghezza, palmi 20, metri 5,
di larghezza e conteneva un cimitero sotto il pavimento della navata ad
uso dei confrati. La testimonianza dell'esistenza della confraternita e
della chiesa si ricava indirettamente dai documenti esistenti
nell'archivio della chiesa.
La
prima testimonianza scritta la troviamo nella relazione sulla sacra
visita fatta a Niscemi dal vescovo di Siracusa mons. Asdrubale Termini
in data 18 ottobre 1700. Nel corso di quella visita il vescovo visitò
l' ecclesiam Divi Antonij Patavini Immacolate Virgin is Conceptione
dicatam e fece rilevare che per il cimitero costruito sotto la chiesa
“si deve provvedere alia lapide che chiude la sepoltura per evitare la
fuoruscita del puzzo dei cadaveri ivi sepolti.” In seguito al rovinoso
terremoto dell’11 gennaio 1693, che investi buona parte della Sicilia
e in modo assai grave il Val di Noto, la struttura della chiesa subì
gravi danni, per cui si rendeva necessario un profondo restauro. I
confrati ritennero pera opportuno ricostruirne una nuova più grande e
spaziosa nella stesso posta in cui si trovava la vecchia e cadente
chiesa, sempre ricorrendo alle elemosine e alla contribuzione volontaria
dei confrati. La costruzione venne iniziata nel 1741 e già troviamo che
nel 1746 i muri perimetrali della nuova chiesa erano stati alzati a sei
metri circa, secondo la relazione del vicario foraneo di Niscemi al
vescovo di Siracusa.
“il
permesso di portarla a compimento, in considerazione che essa può
subito definirsi perche il governatore don Domenico La Iacona e disposto
a fare lo sborzo alli confrati di detta chiesa per poi restituirglielo
con la loro comodità.” Ciò perché il vescovo di Siracusa aveva
disposto la sospensione della costruzione di qualsiasi edificio sacro a
Niscemi se prima non fosse stata ultimata l'unica chiesa parrocchiale,
gravemente danneggiata dal terremoto dell’11 gennaio 1693.
La
nuova chiesa misurava palmi 103, metri 26, di lunghezza e palmi 34,
metri 8,60 di larghezza. La facciata molto semplice è divisa in tutta
la sua lunghezza in tre parti da lesene in leggero aggetto. La sezione
centrale, che si prolunga oltre il cornicione del tetto per costituire
il finimento, è arricchita dell'artistico portale d'ingresso in pietra
locale ben lavorata, ornato con due colonne piatte in leggero rilievo di
stile ionico complete di fregio e trabeazione che si incurvano al centro
verso l'alto e racchiudono il portone con un arco a tutto sesto.
L'interno è ad una sola navata, il coro di forma quadrata è separato
dal resto dell'edificio da due pilastri laterali che sorreggono un
grande arco a tutto sesto con alti piedritti.
La
chiesa appare molto ariosa e luminosa per la grande altezza della volta
a botte lunettata poggiante su alti pilastri che si innalzano dal
cornicione della trabeazione a forte aggetto, che circonda tutti i muri
della chiesa, in continuazione delle lesene del piano terra. La chiesa
è stata sempre aperta ai fedeli e ha solennizzato pubblicamente la
festa dell'Immacolata Concezione con la relativa processione. II 17
maggio 1801 il sindaco e i giurati del tempo, a nome di tutta
l'università di Niscemi, dedicarono una Cappella all'Immacolata
Concezione.
La
sera del 20 luglio 1860 ospitò i soldati della colonna garibaldina
comandata da Nino Bixio che dormirono su strati di paglia sparsa sopra
il pavimento della chiesa. In essa si voto il 21 ottobre 1860 per il
plebiscito sull'annessione della Sicilia al resto dell'Italia, in quanta
il consiglio civico la scelse per le operazioni elettorali perché la più
capace e centrale. Per questo fatto la piazzetta antistante la chiesa
venne denominata Piazza Plebiscito, nome che in seguito cadde in oblio e
venne completamente dimenticato.
Negli
anni successivi all'Unita d'Italia venne utilizzata come sede di seggio
elettorale in tutte le elezioni politiche e amministrative, si può dire
fino ad epoca recente. II comune erogava un contributo in denaro per il
sagrestano che aveva il compito di suonare appositamente la campana per
annunziare l'apertura e la chiusura delle operazioni elettorali. La
chiesa all'inizio del 1800 si andava completando e arricchendo di sacre
suppellettili. Verso il 1810 comprarono l'imponente organo che venne
installato sul soppalco costruito dietro il portone d'entrata.
Nel
1817 venne costruito l'agile e snello campanile collocato a nord-ovest
dell'abside, dietro la sagrestia, realizzato con grazia ed eleganza in
pietra locale intagliata e scolpita con bravura. Negli anni 1924- 1925,
il rettore can. Rosario Placenti e il procuratore Salvatore Artesi
fecero rimettere completamente a nuovo la chiesa con le elemosine
raccolte dai confratelli. Incaricarono il bravo pittore Giuseppe Barone
di Vizzini, il quale esegui con molta perizia un lavoro di affresco
fatto con sobrie decorazioni ed ottimi quadri ad olio e a tempera.
Chiesa
Maria SS. della Grazia
La Chiesa
Maria Ss. delle Grazie (Chiesa
Santa Lucia) fu la prima Chiesa costruita a Niscemi nel 1733,
ed il punto iniziale di espansione della città. Inizialmente il nome
era “Chiesa
della Madonna” e dopo il ritrovamento del quadro della Madonna
del Bosco, dove in seguito venne costruita l’attuale Chiesa della
Ss. Maria del Bosco, venne rinominata “Chiesa
della Piazza”. La chiesa fu oggetto di varie controversie tra
la famiglia Branciforte, Iacona, il Comune di Niscemi e la Provincia di
Caltanissetta e cadde in uno stato di abbandono, prima del restauro nel
1947.
L’interno
è a unica navata e ricche decorazioni a fresco tipicamente barocche.
Alla chiesa appartiene il dipinto che propone uno degli episodi del Martirio
di S. Lucia e l’affresco raffigurante le Sante
Agata, Ninfa, Rosalia e Apollonia.
Il 13
dicembre, di ogni anno, si festeggia Santa
Lucia che, fino a qualche anno fa, vedeva la gente recarsi
all’interno della chiesa per rendere omaggio alla Santa e per portare
i famosi “cuddureddi”,
che sono dolci tipici niscemesi che simboleggiano il martirio della
Santa essendo a forma di occhi, di palma o di pane, e che vengono
venduti alla gente. Oggi la festa, e la conseguente vendita dei
“cuddureddi”, avvengono all’interno della Chiesa Ss. Maria
d’Itria.

Santuario
Maria SS. del Bosco
Sorge
su resti di una piccola cappella distrutta dal terremoto.
Fu edificato tra il 1749 ed
il 1758 sotto
la direzione del capomastro e architetto Silvestro Gugliara. La chiesa
è ad una sola navata con pianta ellittica allungata, la facciata è in
stile barocco e presenta un'equilibrata compostezza e sobrietà nelle
decorazioni.
La
chiesa conserva in una piccola nicchia le pietre costituite da due
candelieri e dalla base che sosteneva la croce, rinvenute, secondo la
tradizione, nel 1599 in
occasione del rinvenimento del quadro della Madonna.
L'altare
maggiore raffigura angeli che, guidati dalla mano di Dio,
reggono il sacro dipinto della Madonna nel gesto di portarlo verso la
fonte del ritrovamento.
Dietro
la pala, una nicchia custodisce una copa del quadro, opera di un monaco
di Caltagirone,
perché l'opera originale si perse in occasione di un incendio
verificatosi nel 1769 mentre
si trovava presso la chiesa Santa Maria d'Itria. I due altari laterali
sono dedicati a San
Benedetto e San
Giovanni Nepomuceno. La cripta sottostante conserva il pozzetto con la vena d'acqua in cui, si
narra, venne trovato il sacro velo con l'immagine della Madonna:
indicata come Cappella dell'acqua Santa,
dal 1998 è
anche battistero.
Chiesa
di San Giuseppe
La
Chiesa di San Giuseppe, fu costruita intorno al 1815 con
pietra e calce ricavate dalle cave locali e venne aperta al pubblico nel
1818.
La
facciata ad un solo ordine, presenta una certa sobria eleganza, la
superficie risulta armoniosamente scandita da quattro colonne piatte in
leggero aggetto di stile corinzio che sorreggono la trabeazione e il
finimento che racchiude da un lato un orologio e nell’altro una cella
campanaria con al centro una croce in ferro battuto.
Nel
1986, don Giuseppe Giugno, fece eseguire diversi lavori di
consolidamento della struttura muraria e la fece restaurare
all’interno con la risistemazione degli altari, del pavimento e delle
decorazioni.

Chiesa
Anime del Purgatorio
La Chiesa delle Anime del Purgatorio fu
costruita nel 1846, grazie al dono della signora Gaetana Cona che
donò ai sacerdoti don Vincenzo Carbone e don Arcangelo Camiolo quattro
case con lo scopo di far costruire una chiesa dedicata alle Anime
Purganti.
Lo
stile architettonico si richiama a quello della chiesa di S. Francesco
di Paolo di Napoli, la pianta della chiesa configura la forma di una
grossa tartaruga la cui testa indica la forma e la posizione
dell’altare maggiore.
La
copertura del tetto poggia su archi a pieno sesto sorretti da otto
colonne singole in stile toscano con basamento e plinto posti in
perfetto cerchio all’interno dell’unica navata circolare.
Chiesa
Sante Croci
Edificata
sul luogo in cui sorgeva in precedenza una piccola cappella senza
altare, fu dotata di un piccolo cimitero. Restò lesionata dallo
sconvolgimento tellurico che colpì Niscemi nel 1790.
La
frana dell'ottobre del 1997 lesionò gravemente l'immobile in maniera
tale da richiederne la demolizione, avvenuta pochi anni dopo.
L'altare
maggiore era dedicato al Crocifisso ed era realizzato in marmo bianco
con disegni a rilievo in stile barocco e intarsi in marmi colorati. Gli
altri due altari erano rispettivamente dedicati a Sant'Alfonso dei
Liquori ed a Santa Rita da Cace.
Palazzo
di Città
Il
palazzo di città (Municipio) venne costruito in stile neoclassico tra
il 1870 ed il 1882, con progetto dell’architetto Rosario Crescimone,
dai fratelli Saverio e Giuseppe Barbagallo, nello stesso luogo della
vecchia struttura. È un elegante esempio di tradizionale forma cubica
tipica dell’architettura civile fiorentina del Rinascimento
classico.
Fino
al 1870, i locali del Comune erano composti da un piano terra
parzialmente costruito di quattro vani, di cui due adibiti a biliardo,
mentre al piano superiore vi erano gli uffici della cancelleria e del
corpo di guardia. Negli ultimi cento anni, per le mutate esigenze
cittadine, ha ricevuto diversi interventi di ampliamento e
ristrutturazione.
Venne
ampliato tra 1929 e il 1931, ad opera di Angelo e Carmelo La Rosa, e del
pittore decorativo Carmelo Malannino, tra il 1940 e il 1941, con
l’intervento degli operai Francesco Barbagallo e i fratelli Iudica,
un’altra volta nel 1975, ed infine ristrutturato nel 1981.
L’impianto,
ad un solo piano, si presenta come un blocco compatto, ben definito
dalle colonne angolari esterne, equilibrato e composto nelle
proporzioni, sobrio nelle decorazioni, con un elegante portico a tre
archi a pieno centro. La superficie della facciata risulta sapientemente
divisa da due ordini di colonne sovrapposti, ionico e corinzio, scandita
secondo un partito di composta euritmia, con corpi leggermente
aggettanti agli angoli e al centro del fabbricato, che rendono
movimentate le pareti. Inoltre, la facciata è resa monumentale
dall’elegante portico costruito a tre arcate a pieno centro che
poggiano su pilastri fiancheggiati da due colonne ioniche sui cui
capitelli si estende la trabeazione che regge col suo coronamento il
pavimento di una lunga balconata. Tutto il complesso poggia su una
zoccolatura che riprende la modanatura della base delle colonne.
Al
primo piano si aprono tre balconi, in corrispondenza delle arcate del
piano terra, incorniciati da eleganti stipiti, gli architravi sono
sormontati da pannelli rettangolari con motivi decorativi a rilievo, con
coronamento a cornice triangolare per due balconi laterali e con
un’aquila rampante a tutto rilievo in quello centrale. I balconi sono
fiancheggiati da due colonne in approssimativo stile corinzio che
scandiscono molto bene la continuità della superficie.
Il
complesso presenta un raffinato effetto cromatico per il susseguirsi
degli elementi architettonici in contrasto con la parete di fondo. Tutte
le decorazioni del prospetto sono state realizzate in pietra locale di
Pilacane, finemente lavorata da scalpellini locali, mentre la superficie
di fondo è elegantemente scandita da un bugnato geometrico, nitidamente
inciso sul muro.
Palazzo
Branciforte
Palazzo
Branciforte venne fatto costruire, nel 1824, da Margherita
Branciforte all’epoca del suo esilio niscemese cominciato tre anni
prima.
L’edificio,
decorato con pietra di Pilacane, è ad un solo piano ed è definito ai
lati da semipilastri angolari e presenta un portale ad arco a tutto
sesto, con gancio a voluta che collega la chiave di volta al fregio
dorico sovrastante, e la cornice spezzata di un balcone con motivo
decorativo a forma di conchiglia, entro cui è inscritta una testina a
rilievo.
Nella
parte occidentale e meridionale aveva un ampio giardino, oggi perduto.
Tale costruzione portò le famiglia nobili niscemesi a costruire,
anch’essi, loro palazzi.
Palazzo
Masaracchio
Palazzo
Masaracchio venne costruito nel 1840, in via Regina Margherita, con la
facciata scandita da un ordine unico di paraste su alti plinti, balconi
sorretti da mensoloni con decorazione fitomorfa, e lo stemma di famiglia
posto sopra il portone d’ingresso.
Si
narra che anche questo palazzo, come il Palazzo Alfonso Malerba, aveva una galleria che
conduceva fuori dal paese.
Il
palazzo ospitò, la sera del 20 luglio 1860, il comandante Nino Bixio, che passò da Niscemi
durante la sua marcia nella Sicilia centro meridionale.
Palazzi
Palazzi
Malerba, costruiti tra la metà e la fine del XIX secolo in: via
Regina Margherita sorgono due di questi palazzi, il
primo (Palazzo
Alfonso Malerba) costruito nel 1835 si presentava come
un blocco compatto ad un solo piano e sobrio nelle decorazioni in calda
pietra di Pilacane, con nella parte centrale un elegante portone
d’ingresso ad arco a tutto sesto poggiante su alette e piedritti,
arricchiti ai lati da due colonne toscane a tutto tondo su snelli ed
alti piedistalli che rendevano più slanciato il portale.
Tutti
i balconi sorretti da mensole in asso con le porte del piano terra,
erano incorniciati da semplici ed eleganti stipiti ed architravi che
terminavano con un timpano a cornice triangolare. Fu uno dei pochi
palazzi fornito di servizi igienici, avendo nell’androne un pozzo che
serviva per attingervi l’acqua per gli usi domestici. Si narra che tra
la bocca del pozzo ed il livello dell’acqua era stata scavata una
galleria che conduceva fuori dal paese da adoperare in caso di
pericolo.
Il
palazzo venne demolito dall’amministrazione comunale nel 1966 per
presunta instabilità e ad oggi non resta che parte della facciata
settentrionale; il secondo (Palazzo
Antonino Malerba) costruito nel 1890 e che introduceva
alcuni elementi architettonici nuovi nella tipologia tradizionale dei
palazzi niscemesi, costituito di due piani con decorazioni in pietra
bianca di Comiso e in terra cotta di Caltagirone, con un grande portone
che immette in un androne che ha di fronte un giardino.

Nel
lato sinistro prende inizio lo scalone che conduce alle stanze e ai
saloni del piano nobile; Un terzo palazzo, l’unico ristrutturato e che
oggi è residenza privata, venne costruito all’inizio del XX secolo all’angolo
tra la via Mazzini e la via Buonarroti.
Palazzo
Buscemi, costruito nel 1936 caratterizzato dal doppio
ordine di bugnato liscio della facciata e dalle eleganti cornici in
pietra delle aperture, era decorato al piano terra da blocchi di pietra
di Pilacane, al piano superiore si trovava un balcone retto da mensole
con ringhiera in ferro battuto adornato con un artistico timpano a
volute e decorazioni barocche.
Palazzo
Iacaona Castronovo, costruito nel 1895 presenta
un’estesa facciata che prospetta sulla via Umberto I. L’edificio ad
un solo piano, ha la superficie del piano terra estesa senza soluzione
di continuità. Il piano terra, in origine, aveva al centro della
facciata il solo grandioso portone d’ingresso ad arco a tutto sesto
con chiave di volta decorata ad agrafe poggiante su alette e piedritti
incorniciato da lesene leggermente aggettanti incise con linee
orizzontali ben marcate sulla pietra, mentre nei due riquadri verticali
vi erano due finestre decorate con semplici cornici. Il complesso è
decorato da pietra di Pilacane e pietra bianca di Comiso.
Palazzo
Romano sito tra via Regina Elena e via Purgatorio
Palazzo
Camiolo sito tra via XX Settembre, via Mazzini e via Popolo
Palazzo
Samperi
Palazzo
Tinnirello sito tra via IV Novembre, via Garibaldi e via
Menzo
Palazzo
Gagliano sito in piazza Vittorio Emanuele III
Palazzo
Le Moli sito in via Le Moli
Palazzo
Gagliano sito in via Gagliano
Casa
Guariglia sita in via IV Novembre
Palazzo
Maugeri (Preti-Buscemi)
sito in via Regina Margherita
Palazzo
Polizzi sito tra via XX Settembre, via Vacirca e via Le Moli
Casina
Samperi sita in corso Gramsci
Terrazzo
del Belvedere
Il
Belvedere è una terrazza panoramica che sorge sul punto più alto di
Niscemi, a 332 metri sul livello del mare, offrendo una magnifica vista
sulla Piana di Gela e sulla vallata verde del fiume Maroglio, con la
possibilità di scorgere anche la cima del Monte Formaggio, e osservare
tramonti mozzafiato. È considerato uno dei più bei panorami
dell’intera Sicilia.
Racchiuso
da una ringhiera e panche in ferro battuto, per la sua forma
rotondeggiante è anche conosciuto come “U Tunnu”. Vi si accede da
un maestoso cancello, sempre aperto, e rappresenta la meta finale della
caratteristica passeggiata del centro storico, che inizia nella grande
Piazza Vittorio Emanuele III proseguendo nel Corso IV Novembre, sempre
affollato e movimentato nelle sere di festa.
Recentemente
è stato restaurato il camminamento posto sotto la terrazza, che
permette di scendere attraverso una leggera scalinata (con accesso per
disabili) e prolungare la passeggiata per giungere ad una piazzola
panoramica arredata con una fontana tondeggiante realizzata in pietra
locale.
Il
18 ottobre 2008, il viale è stato dedicato ad Angelo D’Arrigo,
aviatore e deltaplanista siciliano, tragicamente scomparso nel marzo
2006. Detentore di diversi primati mondiali di volo sportivo, era solito
volare nella zona sottostante il Belvedere, dove tutt’ora, vengono
praticati voli con deltaplano e parapendio.
Fu
costruito agli inizi del XIX secolo, in stile barocco. Cominciò ad
essere valorizzato intorno alla metà del XVIII secolo. Il panorama era
molto apprezzato dai cittadini, che valorizzarono spontaneamente il
luogo, facendone la meta preferita delle loro passeggiate, per cui, agli
inizi del 1800, l’amministrazione decise di farne un’opera pubblica,
e quindi di procedere con le opere murarie di terrazzamento, dandogli la
forma baroccheggiante che mantiene tutt’oggi. Inizialmente, era
costituito da due piani diversamente livellati, comunicanti con una
scalinata centrale; il primo, più ampio, aveva lo stesso livello della
strada di accesso, la via Tondo, il secondo, digradava di oltre un
metro. I lati avevano i parapetti in muratura alti circa 1,50 metri, i
sedili in pietra e due torrette all’entrata, sopra i quali erano
sistemate due lanterne per l’illuminazione.
Nel
1884 venne fornito di una ringhiera e nel 1911 il pavimento in mattoni
grezzi venne sostituito con un altro in cemento. La superficie era quasi
la metà di quella attuale; dai 248 metri quadri di allora, si è
passati ai 504 di oggi. L’ingrandimento ha una precisa motivazione
storica: la frana del 1921, che causò l’improvvisa caduta del muro di
cinta di sud-ovest, nel piano inferiore. Gaetano Samperi, quale
commissario straordinario, provvedette alla ricostruzione, con un
progetto che includeva l’abbattimento del piano superiore, e appunto,
l’ampliamento di quello superiore. I lavori furono ultimati ai primi
di marzo del 1925, con una spesa di £. 51.080.80, affrontata con denaro
pubblico e con indennità fornite dallo stesso Samperi, come recitava
una lapide che era stata collocata sul muro ovest della casa Rizzo,
confinante con il Belvedere. Oltre a ricostruire le opere murarie, lo
volle dotare di tutti i lavori in ferro, che costituiscono il ricco ed
artistico ammobiliamento del vasto terrazzo.
Il
Belvedere venne chiuso da un’artistica cancellata in ferro battuto,
costituita da tre ante delimitate da quattro piantoni di sostegno, di
cui due laterali fisse, che reggono un artistico vaso in fusione di
bronzo, abbrunito di stile greco a forma di cratere dal corpo largo del
tipo Lebés poggiante su un piedistallo a modanatura semplice, di cui,
le due laterali fisse, mentre quella centrale, mobile, molto più ampia,
si apre a due battenti che ruotano su cerniere a maschiettatura.
La
parte interna venne recintata con una ringhiera a disegno semplice in
ferro battuto, mentre i lati nord, sud ed est vennero forniti di sedili
in ferro battuto, impreziositi da un’artistica spalliera decorata in
fusione. L’opera venne completata con due artistici candelabri a tre
fuochi in lamiera e ferro per l’illuminazione serale. Il 10 maggio
1925 il nuovo Belvedere venne inaugurato alla presenza delle autorità e
dei cittadini.
Siti
archeologici
In
contrada Pitrusa, alle pendici di Niscemi, si trova un sito archeologico
di epoca tardo antica. Sono stati ritrovati i bolli su anfora dei Praedia
Galbana, poderi che appartenevano allo stato e che al loro interno
erano stanziati magazzini annonari. Rimangono odiernamente i resti di
una Mansio,
ovvero una stazione di sosta (età imperiale), gestita dallo Stato per i
viaggiatori. Accanto alla mansio sorgeva una stazione per il cambio dei
cavalli. Si pensa esistesse un'antica strada, che portava alla contrada
Piano Camera, altra zona archeologica.
I
recenti scavi archeologici hanno riportato alla luce un complesso
termale, sempre in
contrada Petrusa. Secondo gli archeologi sono ben visibili e
riconoscibili il calidarium (parte
delle terme destinate ai bagni caldi o ai bagni di vapore) con il forno
di combustione, un vasto vano di tepidarium (parte
delle terme destinate ai bagni tiepidi) e le suspensura (pilastri
a base quadrata che fungevano da sostegno al pavimento) che spargeva il
calore sotto il pavimento, potendo riscaldare così l'acqua.
Sono
presenti anche siti archeologici risalenti all'epoca arcaico-classica,
tra l'ottavo ed il quinto secolo a.C., nelle contrade Castellana, Arcia
e Iacolano, dove sono state rinvenute ceramiche che lasciano intuire la
presenza di insediamenti umani dediti allo sfruttamento agricolo del
territorio, reso possibile anche dalla presenza del vicino fiume
Maroglio.
Testimonianze
di arcaiche forme di culto religioso sono state, invece, riscontrate a
Pisciotto e Valle Madoni, oltre che nella stessa contrada Arcia, dove
sono stati rinvenuti resti di antiche necropoli. Secondo molti studiosi,
questi ultimi ritrovamenti fanno pensare che il territorio di Niscemi
avesse raggiunto un buon livello di organizzazione urbanistica,
caratterizzata sia dalla presenza di aree urbane che di aree extraurbane.
Riserva
naturale orientata Sughereta
La
riserva naturale orientata Sughereta di Niscemi è un'area naturale
protetta situata nel comune di Niscemi, in provincia di Caltanissetta ed
è stata istituita dalla Regione Siciliana nel 1997. La Sughereta di
Niscemi è, assieme al Bosco di Santo Pietro di Caltagirone, il relitto
di quella che un tempo era la più grande sughereta della Sicilia
centro-meridionale.
Fin
dal 1601, epoca in cui il territorio di Niscemi fu concesso in feudo
alla famiglia Branciforti, il bosco iniziò ad essere utilizzato per la
produzione di legname. Già nel 1718 l'uso dissennato di questa risorsa
convinse Stefania Branciforti ad emanare precise disposizioni per
limitare il suo sfruttamento.
Nel
1852 una cospicua porzione del territorio della originaria sughereta fu
acquisita dal demanio comunale, venendo in parte successivamente
assegnata per la coltivazione ai contadini organizzati nel movimento dei
Fasci dei lavoratori. La parte superstite della sughereta (circa 3.000
ettari) è stata dichiarata Riserva con il Decreto Assessoriale n. 475
del 25 luglio 1997 ed affidata in gestione all'Azienda Regionale Foreste
Demaniali.
La
Riserva sorge a 330 m s.l.m., nella parte meridionale dell'altopiano su
cui si colloca il centro abitato di Niscemi. Comprende un'area
complessiva di circa 2.939 ettari, di cui 1179 in zona A (riserva
propriamente detta) e 1760 ettari in zona B (preriserva). La pianta
simbolo della riserva, la quercia da sughero, è tuttora abbastanza
diffusa, con esemplari anche di notevoli dimensioni, e dà vita, insieme
a lecci e roverelle, a lembi residui di foresta mediterranea
sempreverde.
Nei
terreni sabbiosi delle schiarite del querceto è stata rinvenuta di
recente una rara entità floristica, l'Helianthemum sanguineum. Si
tratta di una specie diffusa in Portogallo, Spagna, Marocco ed Algeria,
in passato segnalata anche in Italia, ma che da oltre un secolo non era
più stata osservata, tanto che, prima del rinvenimento nel territorio
della riserva, avvenuto nel 1992, era stata considerata estinta nel
territorio nazionale.
La
vegetazione prevalente è comunque quella tipica della macchia
mediterranea con specie arbustive quali il lentisco, l'olivastro, il
mirto, il corbezzolo, la fillirea, la palma nana, l'erica arborea, la
ginestra spinosa, il citiso, il pungitopo, la dittinella, lo
spazzaforno, la ginestrella, i cisti. Sono presenti inoltre 30
differenti specie di orchidee appartenenti ai generi Anacamptis,
Himantoglossum, Limodorum, Neotinea, Ophrys, Orchis, Serapias e
Spiranthes.
Il
bosco ospita infine diverse specie di funghi quali il porcino nero ed il
porcino giallo, il farinaccio, le mazze di tamburo ed i prataioli. Tra i
mammiferi più comuni nel territorio della riserva vi sono il coniglio,
il riccio, la donnola, la volpe, il moscardino e il quercino. Numerose
le specie di uccelli nidificanti tra cui la poiana, il colombaccio, il
cuculo, la ghiandaia, il barbagianni e il gruccione, l'upupa. Tra i
rettili ricordiamo il gongilo, il colubro leopardino e la vipera comune.
Molto ricca anche l'entomofauna comprendente, tra le altre, numerose
specie di farfalle e coleotteri.
All’interno
della Riserva Naturale Sughereta di Niscemi vi sono diversi percorsi da
fare a piedi, in bicicletta oppure a cavallo e lungo i percorsi sono
presenti anche delle aree attrezzate con tavoli e panche in legno per
godere di un po' d’ombra. Vi è la possibilità di organizzare delle
visite guidate grazie a guide naturalistiche esperte e l’azienda
regionale foreste demaniali che gestisce la Sughereta ha realizzato
anche un percorso ad hoc per non vedenti attraverso l’ausilio di una
corda corrimano che fa da guida e tabelle in braille.

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