Niscemi (Borgo)
(Caltanisetta)
  
  

 

Niscemi rientra nella piana di Gela e nell'area gelese, e ne costituisce la sua parte nord-orientale, a contatto con il territorio di Caltagirone.  

Il centro abitato è situato su un altopiano posto a 332 metri dal livello del mare. Il comune ha una superficie di 9.654 ettari per una densità abitativa di 285 abitanti per chilometro quadrato. Niscemi è situata su una collina rientrata nella parte dei Monti Erei e alle pendici degli Iblei, con un panorama occidentale sulla vallata del fiume Maroglio e la Piana di Gela. Dista 77 km da Caltanissetta, 92 km da Catania, 67 km da Enna, 188 km da Messina, 192 km da Palermo, 60 km da Ragusa, 127 km da Siracusa e 298 km da Trapani.

Il territorio di Niscemi si inserisce in un contesto geologico caratterizzato da colline argillose mioceniche, ricoperte da un ampio mantello di sabbie plioceniche, tufi calcarei e conglomerati.  

Sull'origine del nome sono state formulate varie ipotesi. Secondo alcuni documenti il nome del feudo su cui fu costruito il borgo ha sempre avuto nome Niscemi: in alcuni documenti antichi, tale nome è riportato in latino come Nixenum, ma fu anche chiamato Nixima e successivamente Niscimi. Secondo questa teoria il nome è di derivazione araba ed è dato dalla composizione di Ni che è quasi certamente la contrazione dell'arabo beni, cioè uomini e scemi, che significherebbe siriani: in virtù di questa considerazione Niscemi potrebbe significare Uomini Siriani o Gente Siriana.  

La presenza di insediamenti umani nel territorio di Niscemi, risale all'epoca neolitica, in particolare tra il III ed il II millennio a.C., come testimoniato dalla presenza di numerose tombe a forno scavate nella roccia.

Tracce attribuibili alla cultura sicana risalgono, invece, ad un periodo risalente alla prima età dei metalli. Si trattava, principalmente, di piccoli villaggi che vivevano di caccia e agricoltura e che vivevano in capanne di paglia. Durante questo periodo erano diffuse l'industria litica, della ceramica e quella relativa alla produzione di utensili di uso quotidiano.

Successive testimonianze di insediamenti nel territorio di Niscemi si possono ricostruire grazie alla presenza delle necropoli caratterizzate da tombe a tholos e a forno nel periodo castellucciano, risalenti al XIII secolo a.C. realizzate durante la tarda età del bronzo. A conferma di ciò, un passo del secondo volume del Dizionario Topografico della Sicilia, redatto da Vito Amico, riporta: «sia nei fianchi che nelle falde del colle occorrono sepolcri anche per corpi giganteschi, monete di ogni metallo, vasi, lucerne, ampolle, e più di un pavimento saccheggiato coll'epigrafe Alba si è rinvenuto». Durante questo secolo i villaggi castellucciani si trasformarono progressivamente in insediamenti fortificati, probabilmente a causa dell'avvento dei siculi, che costrinsero gran parte delle popolazioni più pacifiche a spostarsi verso territori più tranquilli.

A partire dal VII secolo a.C., successivamente all'insediamento dei coloni rodio-cretesi nel territorio di Gela, le campagne del territorio niscemese furono occupate per poter essere coltivate intensamente: sorsero numerose fattorie, i terreni furono lottizzati e le risorse naturali sfruttate al massimo.

Tuttavia, a partire dal V secolo a.C., in seguito alla seconda invasione cartaginese, la relativa tranquillità degli insediamenti nel territorio di Niscemi fu sconvolta e molti abitanti furono costretti a fuggire e ad abbandonare le loro fattorie.

Nel III secolo d.C. la vasta plaga, situata circa ad un chilometro ad occidente del centro abitato odierno, compresa tra il fiume Achates ed il fiume Gela, fu assegnata al patrizio Calvisio e prese il nome di Plaga Calvisiana. Sorse un fiorente villaggio che sopravvisse fino al IX secolo d.C., quando gli arabi lo distrussero definitivamente.

Successivamente gli arabi costruirono un borgo fortificato sulla collina dove sorge l'attuale centro abitato e vi diedero il nome Fata-nascim traducibile come passo dell'olmo, accorciato in un successivo momento in Nasciam. Durante l'occupazione araba il regime della proprietà fondiaria ed i sistemi di coltivazione della terra cambiarono radicalmente: i vasti latifondi furono suddivisi in piccoli lotti, eccetto per le proprietà demaniali. Inoltre la coltivazione dei cereali e la pastorizia furono ristrette solo ai terreni adatti, si provvedette alla ripopolazione del manto boschivo, si intensificò la produzione di olio e si introdussero le coltivazioni di carrubbo, gelso, pistacchio e nocciolo. Nella metà del XIII secolo, tuttavia, a causa delle lotte interne tra musulmani e normanni, la cittadina fu completamente distrutta e i suoi abitanti furono costretti a fuggire in cerca di un luogo più sicuro dove vivere.

A seguito della conquista normanna, con diploma del 1143 fu fondata una nuova città con il nome di Nixenum. Diventato un feudo rustico il territorio subì radicali mutamenti fin quando, nel 1324, un ramo della famiglia Branciforte, si trasferì da Piacenza in Sicilia (nel XIII secolo) e comprò la terra di Nixenum.  

Il ritrovamento del quadro della Madonna

Una raffigurazione di Maria Santissima del BoscoSecondo la tradizione popolare, la fondazione di Niscemi risalirebbe al ritrovamento di un quadro della Madonna ad opera di un pastore niscemese di nome Andrea Armao. 

Il pastore, il 16 maggio del 1599, pascolando il proprio gregge ai limiti di un bosco in contrada Castellana, si addentrò tra la fitta vegetazione nell'intento di ritrovare il proprio bue favorito, di nome Portagioia, sfuggitogli due giorni prima. 

Lì vi scorse l'animale, inginocchiato e immobile di fronte ad una raffigurazione della Madonna con a destra Gesù bambino benedicente, recante sulla sinistra un globo sormontato da una croce. 

In prossimità del luogo del ritrovamento era presente una fonte naturale di acqua. 

Il pastore informò immediatamente la popolazione e gli abitanti raggiunsero il luogo del ritrovamento: stupefatti dallo straordinario evento raccolsero l'icona e la portarono in processione per le vie del borgo fino alla chiesetta di Maria SS. della Grazia. 

Con il passare del tempo si diffusero nel circondario voci secondo cui l'acqua della fonte, nei pressi del luogo di ritrovamento del quadro, fosse miracolosa: molti devoti decisero quindi di trasferirsi nel borgo, dove fu necessario costruire un santuario in onore della Madonna, che divenne così la patrona della città.

Nel 1624, la nobildonna Giovanna Branciforte, vedova di Giovanni Branciforte Barrese, principe di Butera, a nome del figlio Giuseppe (1619-1675), prese possesso della baronia di Niscemi. Due anni dopo, per far conferire i titoli nobiliari al figlio, chiese ed ottenne dal cardinale Giovanni Doria la licentia populandi del feudo di Niscemi. La neonata baronia di Niscemi era costituita da quattro feudi, anche se taluna documentazione ne riporta l'esistenza di quattordici. Il centro del borgo fu scelto vicino al bosco di Castellana, ove la leggenda narrava del ritrovamento del quadro della Madonna. Le strutture preesistenti, a causa delle precarie condizioni economiche, non furono distrutte, ma riutilizzate. Non fu costruito un castello, ma si scelse di adoperare, come avamposto di difesa, una torretta sita in contrada Castellana.

Il Principe Branciforte, per privilegio dato dal re Filippo IV di Spagna il 25 marzo 1627, esecutoriato il 18 maggio dell'anno medesimo, ottenne il titolo di I Principe di Niscemi. Nel 1640, lo stesso feudatario decise di dare un nuovo assetto urbanistico al borgo, disegnando una nuova planimetria secondo le pratiche urbanistiche del tempo, che prevedevano la presenza di una piazza centrale in cui emergeva la Chiesa Madre. Il Principato di Niscemi durò fino al 1661, quando il Branciforte vendette il relativo titolo a Vitale Valguarnera Lanza, duca dell'Arenella, e perciò venne ridotto a rango di semplice terra baronale.

Nel 1693 il terremoto del Val di Noto, che distrusse buona parte della Sicilia orientale, danneggiò buona parte del borgo di Niscemi, pur non provocando vittime. Si rese necessaria la ricostruzione di gran parte dell'abitato, tuttavia la planimetria non mutò e le principali chiese furono ricostruite nel luogo originale di edificazione.

Il 19 marzo 1790 le terre a sud del centro abitato furono sconvolte da un rivolgimento tellurico di proporzioni paurose, caratterizzato da aperture della terra e dall'emissione di calore ed emissioni nauseabonde. Sorse, inoltre, un piccolo cono vulcanico che emetteva vapore e calore. Lo sconvolgimento, tra lo spavento della popolazione, durò per otto giorni consecutivi.

Il 10 ottobre 1838 Re Ferdinando II, con tutto il suo seguito, passò da Niscemi, lamentandosi con l'amministrazione della città per il pessimo stato delle strade. Il 12 gennaio 1848 la città prese parte all'insurrezione popolare contro il governatore borbonico: in quest'occasione Salvatore Masaracchio fu insignito del ruolo di comandante della Guardia nazionale. Il 24 maggio 1860 la città aderì alla rivoluzione garibaldina. La sera del 26 luglio 1860 i soldati garibaldini furono ospitati presso la Chiesa di Sant'Antonio da Padova e, nella stessa chiesa, si votò, il 21 ottobre dello stesso anno il plebiscito che sancì l'annessione della Sicilia all'Italia.

Successivamente all'unità d'Italia il paese fu scosso da violenze, furti e rapine a danno principalmente di nobili: la banda, a cui capo vi era Salvatore Di Benedetto, soprannominato Parachiazza, imperversò nelle campagne per diversi anni, finché fu definitivamente sgominata. Il figlio di Parachiazza, Matteo Di Benedetto, uccise nel 1864 Salvatore Masaracchio, all'epoca dei fatti sindaco di Niscemi.

Nel 1891 un gruppo di giovani intellettuali niscemesi fondò il Fascio dei Lavoratori, secondo in tutta la Sicilia dopo quello di Catania. Di ispirazione socialista, consentì ai contadini di ottenere nel 1897 la lottizzazione e l'assegnamento delle terre demaniali ex feudali.

Nel 1922, subito dopo l'instaurazione del regime fascista, il militante socialista Salvatore Noto fu assassinato nella piazza principale del paese da squadristi fascisti.

Tra le due guerre mondiali, Niscemi fu caratterizzata da un nuovo periodo turbolento caratterizzato da rapine, scassinamenti e violenze varie, causate principalmente dalla miseria e dalla disoccupazione. Molti lavoratori si organizzarono in associazioni e lottarono per la concessione delle terre incolte. Gli stessi fenomeni si verificarono anche dopo la seconda guerra mondiale: nel 1947 una manifestazione popolare, a cui parteciparono più di quattromila lavoratori, degenerò in violenze e saccheggiamenti. Le proteste dei lavoratori si conclusero nel 1951, quando gran parte dei lavoratori, preferirono emigrare in cerca di lavoro.

Negli anni quaranta del XX secolo imperversò il banditismo nel territorio e prese piede la cosiddetta Banda dei Niscemesi i cui capi erano Rosario Avila e Salvatore Rizzo. Rosario Avila fu trovato morto nel 1946, dopo che su di lui era stata messa una taglia. Con la sua morte l'intera banda si disgregò e tutti i suoi componenti furono tutti catturati o uccisi.

Il 12 ottobre 1997 si verificò un evento franoso. La frana non causò vittime ma provocò il danneggiamento di decine di edifici e lo sfollamento di 117 famiglie del quartiere Sante Croci della città. Complessivamente rimasero senzatetto circa cinquecento persone. Risultò particolarmente danneggiata la Chiesa delle Sante Croci che, successivamente, fu demolita. Gran parte delle case che furono danneggiate erano state costruite abusivamente nel corso degli anni sessanta. Solo dopo quattordici anni dall'evento, nel 2011, le famiglie colpite sono state risarcite del danno subito. Successivamente, sono stati definitivamente abbattuti i ruderi delle abitazioni inagibili.

Tra gli anni ottanta e gli anni novanta, la città è stata soggetta ad una escalation di problemi di legalità che hanno causato, nel 1992 e nel 2003, il commissariamento della giunta comunale per condizionamento mafioso.

Il 21 settembre 2014, a seguito di un referendum confermativo, la popolazione di Niscemi ha votato a favore del distacco dal Libero Consorzio dei Comuni di Caltanissetta e dell'adesione al Libero Consorzio Comunale di Catania. In seguito alla delibera del consiglio comunale di giorno 26 ottobre 2015 Niscemi dichiara la volontà di aderire alla Città metropolitana di Catania. L'adesione è stata tuttavia bocciata dalla commissione Affari istituzionali dell'ARS.

Visitare il borgo

Su un altopiano proteso verso la Piana di Gela, Niscemi - secondo un'interpretazione - rivelerebbe nel suo nome, mediato dall'arabo, un'origine per parte di gente siriane. E' in ogni caso all'epoca araba che si deve l'incremento nella coltivazione degli ulivi e l'introduzione di varietà come carrubi, pistacchi, noccioli e gelsi. 

Una realtà di felice sviluppo che dovette però interrompersi alla metà del XII secolo, a causa delle contese fra Musulmani e Normanni per il controllo di questa terra: Niscemi fu rasa al suolo e gli abitanti dovettero abbandonarla. Rifondata divenne due secoli più tardi feudo dei Branciforte, qui giunti dal Piacentino, e tale rimase fino al 1661, quando passò ai baroni dell'Arenella. 

Se il terribile terremoto che colpì nel 1693, la Val di Noto, pur distruggendo gran parte del borgo, non fece vittime, un successivo, curioso evento nel marzo 1790 spaccò in alcuni punti il suolo facendone uscire calde esalazioni pestilenziali, che per giorni sconvolsero la popolazione suggerendo la presenza di forze oscure e maligne,

Il centro storico risale alla seconda metà del XVII secolo. La piazza Vittorio Emanuele III ha forma rettangolare e su di essa si affacciano la Chiesa Santa Maria d'Itria e la Chiesa dell'Addolorata, oltre che il Palazzo di Città.

Chiesa di Santa Maria D'Itria

La Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria è tra le più scenografiche strutture religiose della città di Niscemi, oltre ad essere tra i suoi principali luoghi di culto ancora oggi attivi. Si tratta di una splendida rappresentazione architettonica dello stile Barocco siciliano, con bellissimi decori presenti sia al suo esterno che al suo interno, in cui custodisce meravigliose opere d’arte secolari dal grande valore culturale.

L’attuale edificio della Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria a Niscemi è stato costruito a partire dal 1742, sorgendo nello stesso luogo in cui era situata la storica Chiesa Madre di Niscemi, andata totalmente distrutta dal devastante terremoto del 1693

L’edificio è Intitolato a Maria Santissima dell’Itria, un culto originario dell’epoca bizantina, tanto da essere tra le figure religiose più venerate nell’antica Costantinopoli. A Niscemi, così come nel resto della Sicilia, il culto verso la Madonna dell’Itria si diffuse principalmente in epoca medievale, resistendo ancora oggi con diversi edifici a lei dedicati. 

L’edificazione della Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria a Niscemi non fu celere, tanto che le sue opere di completamento proseguirono fino alla seconda metà dell’Ottocento, con la realizzazione degli ultimi dettagli e della scenografica facciata che la caratterizza.

È proprio la facciata della Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria che conferisce all’edificio un particolare splendore, in quanto caratterizzata da 3 ordini separate da cornici ricche di dettagli.

L’unico portale d’ingresso si presenta maestoso e contornato da due gruppi di colonne che culminano in meravigliosi capitelli, che aggiungono alla struttura un maggior prestigio. 

Ai lati del primo e secondo ordine sono presenti 4 edicole votive, ognuna delle quali presenta una statua di alcuni dei principali personaggi della religione cattolica, ovvero gli evangelisti Marco e Giovanni, oltre agli apostoli Paolo e Pietro

L’ultimo ordine è caratterizzato da una triplice cella campanaria con arcate a tutto sesto, al cui vertice è posta una statua che raffigura Cristo. 

Entrando nella Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria è impossibile non restare incantati dall’eleganza e dalla raffinatezza che caratterizza tutta la struttura, articolata in una pianta basilicale a 3 navate, ognuna delle quali è separata dall’altra da una fila di pilastri che compongono delle arcate aggraziate dalla presenza di numerosi decori nelle colorazioni oro e blu zaffiro. Nelle pareti laterali sono situate diverse cappelle in marmo e numerose opere d’arte, oltre agli affreschi presenti nella volta, realizzati durante l’Ottocento. La Chiesa Madre di Santa Maria dell’Itria presenta anche dei sotterranei, in cui sono situate le antiche cripte che, al tempo, ospitavano i corpi dei personaggi più illustri di Niscemi.  

Chiesa dell'Addolorata

La chiesa venne costruita tra il 1752 ad il 1764 a spese della confraternita del SS.mo Crocifisso e della congregazione di Maria SS.ma Addolorata, nello stesso posto di una «Aedicula rusticana», gravemente danneggiata dal terremoto dell'11 gennaio 1963. La chiesa su progetto dell' Architetto Rosario Gagliardi, la cui presenza a Niscemi e documentata nell'anno 1751(1), venne costruita dall'esperto capomastro Silvestro Gugliara, seguace della maniera architettonica di Rosario Gagliardi. 

La chiesa è una pregevole opera di architettura barocca per la sobrietà e l'eleganza dell'impostazione generale e delle decorazioni interne. E' a pianta ottagonale allungata, quasi ellittica, modellata all'esterno dall'elegante facciata convessa nella zona centrale, che presenta un raffinato gioco di membrature in pietra scura, messo in risalto dal contrasto dell' intonaco chiaro della parete di fondo. 

La facciata è suddivisa in tre parti da quattro lesene in pietra locale lavorata in stile composito che ne mettono in risalto la concavità della parete. La superficie centrale risulta elegantemente modellata dalle sculture del portale d’ingresso artisticamente decorato con colonne piatte a leggero aggetto e dagli intagli decorativi che adornano il finestrone posto in simmetria con col portale. Il frontone del coronamento leggermente ricurvo è diviso dall'ordine inferiore dal cornicione lievemente aggettante che segue la convessità della superficie muraria. 

Su di essa è posta la cella campanaria a tre luci con lesene in stile ionico dal disegno fluido ed elegante su cui poggia il raffinato finimento con un’artistica croce di ferro battuto. Le campane della chiesa furono fuse nel 1760 a Niscemi dai fonditori palermitani Giuseppe Milazzo e Onofrio Di Marco. Quella di centro venne dedicata a Maria Santissima Addolorata, quella di destra al Santissimo Crocifisso e quella di sinistra San Filippo Neri e la più piccola a San Giuseppe. L’illuminazione è affidata agli occhi che si aprono sotto la volta e al finestrone centrale. 

Sopra il soppalco del portone d’entrata si costruì la cantoria dove venne collocato un organo di ottima fattura, opera di Giacomo Andronico di Palermo eseguito nel 1767. 

La chiesa dotata di tre altari mirabilmente scolpiti nel 1764 da Domenico Viola di Catania con disegni barocchi ed in marmi policromi rari e pregiati. L’altare maggiore è dedicato al SS.mo Crocifisso e alla Vergine Addolorata. Esso venne completato e abbellito nel 1797 dallo scultore Giuseppe Orlando di Catania occupando tutta la superficie semicircolare dell’abside con due belle colonne in marmo policromo pregiato portanti artistici capitelli corinzi, che sostengono l’architrave, il fregio e su questo il finimento. Ai due lati, sulla cornice del fregio, sono collocate due artistiche statue in marmo bianco, a grandezza naturale, che simboleggiano la carità e il martirio e in alto, circondato da angeli, tra nuvole e raggi di sole, un grande bassorilievo del Cristo benedicente. Nella cappella dell’altare maggiore si conserva un pregevole Crocifisso di palmi sette, simile a quello esistente nella chiesa del Santissimo salvatore di Licata, scolpito in legno di cipresso, artistico, espressivo e di eccellente fattura, opera dello scultore Antonino La Verde di Licata eseguito nel 1760.

Le decorazioni della chiesa vennero eseguite nel 1760 da Francesco Sajola di Catania, mentre il pittore Gasperino Vizzini ne affrescò la volta con un grande quadro simbolico dove sono raffigurati Gesù Cristo, la Madonna e San Giovanni Evangelista, artisticamente racchiuso in una cornice a stucco, con decorazioni di angeli a rilievo. Ignoti risultano gli autori dei quadri della Madonna della Mercede, di San Filippo Neri, dell’Addolorata e del Cristo morto. 

La chiesa accoglie sotto il pavimento una cripta sotterranea con un altare, gli essiccatoi, gli ossai e le sepolture per i frati e le consorelle.  

La chiesa venne consacrata il 10 giugno del 1764 dal vescovo di Siracusa mons. Giuseppe Antonio De Requensens e dedicata alla Vergine Addolorata e a Gesù Crocifisso.  

Chiesa di Sant'Antonio da Padova

Una prima testimonianza dell’esistenza della Chiesa di San Antonio di Padova risale agli anni 1817 – 1819 da documenti che fanno risalire la fondazione della Chiesa Sacramentale di Sant'Antonio al 1683. Altri documenti conservati nell'archivio Vescovile di Siracusa datati 18/10/1700 provano la presenza della stessa in quanto il Vescovo di allora Mons. Asdrubale Termini ebbe a visitarla e si lamentò del “puzzo dei cadaveri ivi sepolti” consigliando di provvedere alla lapide che chiude la sepoltura. Questa prima chiesa, nel terremoto del 11/01/1693 (1) subì gravi danni, per cui l’impianto che noi vediamo adesso è quello ricostruito più ampio di quello primiero, ma nello stesso posto, la ricostruzione fu voluta dalla Confraternita di Maria SS.ma della Concezione. 

Nel 1746, secondo una relazione del Vicario Foraneo di Niscemi al Vescovo di Siracusa, i muri perimetrali erano stati alzati di circa sei metri, e misuravano 103 palmi di lunghezza per 34 di larghezza. Dagli atti della stessa chiesa si rileva che agli inizi del 1800 la chiesa si andava completando e arricchendo di sacre suppellettili grazie alle elemosine e alle contribuzioni degli stessi confrati. Intorno al 1810 risale l’imponente organo istallato sopra l’architrave (coro) realizzato all'ingresso principale, detto organo costò la somma di 400 onze. 

Nel 1817 si trova in costruzione l’imponente anche se snello campanile, collocato al lato Nord – Ovest dell’abside, dietro la sagrestia, realizzato in pietra delle cave comunali intagliata e scolpita da scalpellini del luogo, il costo fu di altre 400 onze. Il campanile della Chiesa di Sant'Antonio di Padova è a forma di parallelepipedo con base quadrata ed è il solo esistente a Niscemi, mentre le altre chiese si sono servite del fastigio finale della facciata per ricavarne le campate dove sono collocate le campane. La sera del 20/07/1860 ospitò i soldati della colonna garibaldina comandata da Nino Bixio che passarono da Niscemi e che dormirono su strati di paglia sparsi sul pavimento della chiesa. Nel 1924 – 25 fu incaricato il pittore Giuseppe Barone di Vizzini il quale affrescò la chiesa e la dotò di quadri ad olio e a tempera. 

Intorno al 1650, si costituì la congregazione e confraternita di Maria SS.ma della Concezione che aveva come scopo le onoranze funebri, le opere di pietà e gli esercizi spirituali. Verso il 1680 essi, per lo svolgimento delle pratiche spirituali e delle opere di pietà, costruirono una chiesa con le elemosine raccolte in mezzo alla cittadinanza e con i contributi versati dagli stessi confrati. La chiesa, secondo la relazione sui sacri edifici di Niscemi inviata nel 1746 dal vicario foraneo don Antonino Mauceri al vescovo di Siracusa mons. Matteo Trigona, misurava palmi 56, metri 14, in lunghezza, palmi 20, metri 5, di larghezza e conteneva un cimitero sotto il pavimento della navata ad uso dei confrati. La testimonianza dell'esistenza della confraternita e della chiesa si ricava indirettamente dai documenti esistenti nell'archivio della chiesa. 

La prima testimonianza scritta la troviamo nella relazione sulla sacra visita fatta a Niscemi dal vescovo di Siracusa mons. Asdrubale Termini in data 18 ottobre 1700. Nel corso di quella visita il vescovo visitò l' ecclesiam Divi Antonij Patavini Immacolate Virgin is Conceptione dicatam e fece rilevare che per il cimitero costruito sotto la chiesa “si deve provvedere alia lapide che chiude la sepoltura per evitare la fuoruscita del puzzo dei cadaveri ivi sepolti.” In seguito al rovinoso terremoto dell’11 gennaio 1693, che investi buona parte della Sicilia e in modo assai grave il Val di Noto, la struttura della chiesa subì gravi danni, per cui si rendeva necessario un profondo restauro. I confrati ritennero pera opportuno ricostruirne una nuova più grande e spaziosa nella stesso posta in cui si trovava la vecchia e cadente chiesa, sempre ricorrendo alle elemosine e alla contribuzione volontaria dei confrati. La costruzione venne iniziata nel 1741 e già troviamo che nel 1746 i muri perimetrali della nuova chiesa erano stati alzati a sei metri circa, secondo la relazione del vicario foraneo di Niscemi al vescovo di Siracusa.

“il permesso di portarla a compimento, in considerazione che essa può subito definirsi perche il governatore don Domenico La Iacona e disposto a fare lo sborzo alli confrati di detta chiesa per poi restituirglielo con la loro comodità.” Ciò perché il vescovo di Siracusa aveva disposto la sospensione della costruzione di qualsiasi edificio sacro a Niscemi se prima non fosse stata ultimata l'unica chiesa parrocchiale, gravemente danneggiata dal terremoto dell’11 gennaio 1693. 

La nuova chiesa misurava palmi 103, metri 26, di lunghezza e palmi 34, metri 8,60 di larghezza. La facciata molto semplice è divisa in tutta la sua lunghezza in tre parti da lesene in leggero aggetto. La sezione centrale, che si prolunga oltre il cornicione del tetto per costituire il finimento, è arricchita dell'artistico portale d'ingresso in pietra locale ben lavorata, ornato con due colonne piatte in leggero rilievo di stile ionico complete di fregio e trabeazione che si incurvano al centro verso l'alto e racchiudono il portone con un arco a tutto sesto. L'interno è ad una sola navata, il coro di forma quadrata è separato dal resto dell'edificio da due pilastri laterali che sorreggono un grande arco a tutto sesto con alti piedritti.

 La chiesa appare molto ariosa e luminosa per la grande altezza della volta a botte lunettata poggiante su alti pilastri che si innalzano dal cornicione della trabeazione a forte aggetto, che circonda tutti i muri della chiesa, in continuazione delle lesene del piano terra. La chiesa è stata sempre aperta ai fedeli e ha solennizzato pubblicamente la festa dell'Immacolata Concezione con la relativa processione. II 17 maggio 1801 il sindaco e i giurati del tempo, a nome di tutta l'università di Niscemi, dedicarono una Cappella all'Immacolata Concezione.

La sera del 20 luglio 1860 ospitò i soldati della colonna garibaldina comandata da Nino Bixio che dormirono su strati di paglia sparsa sopra il pavimento della chiesa. In essa si voto il 21 ottobre 1860 per il plebiscito sull'annessione della Sicilia al resto dell'Italia, in quanta il consiglio civico la scelse per le operazioni elettorali perché la più capace e centrale. Per questo fatto la piazzetta antistante la chiesa venne denominata Piazza Plebiscito, nome che in seguito cadde in oblio e venne completamente dimenticato. 

Negli anni successivi all'Unita d'Italia venne utilizzata come sede di seggio elettorale in tutte le elezioni politiche e amministrative, si può dire fino ad epoca recente. II comune erogava un contributo in denaro per il sagrestano che aveva il compito di suonare appositamente la campana per annunziare l'apertura e la chiusura delle operazioni elettorali. La chiesa all'inizio del 1800 si andava completando e arricchendo di sacre suppellettili. Verso il 1810 comprarono l'imponente organo che venne installato sul soppalco costruito dietro il portone d'entrata. 

Nel 1817 venne costruito l'agile e snello campanile collocato a nord-ovest dell'abside, dietro la sagrestia, realizzato con grazia ed eleganza in pietra locale intagliata e scolpita con bravura. Negli anni 1924- 1925, il rettore can. Rosario Placenti e il procuratore Salvatore Artesi fecero rimettere completamente a nuovo la chiesa con le elemosine raccolte dai confratelli. Incaricarono il bravo pittore Giuseppe Barone di Vizzini, il quale esegui con molta perizia un lavoro di affresco fatto con sobrie decorazioni ed ottimi quadri ad olio e a tempera.

Chiesa Maria SS. della Grazia

La Chiesa Maria Ss. delle Grazie (Chiesa Santa Lucia) fu la prima Chiesa costruita a Niscemi nel 1733, ed il punto iniziale di espansione della città. Inizialmente il nome era “Chiesa della Madonna” e dopo il ritrovamento del quadro della Madonna del Bosco, dove in seguito venne costruita l’attuale Chiesa della Ss. Maria del Bosco, venne rinominata “Chiesa della Piazza”. La chiesa fu oggetto di varie controversie tra la famiglia Branciforte, Iacona, il Comune di Niscemi e la Provincia di Caltanissetta e cadde in uno stato di abbandono, prima del restauro nel 1947.

L’interno è a unica navata e ricche decorazioni a fresco tipicamente barocche. Alla chiesa appartiene il dipinto che propone uno degli episodi del Martirio di S. Lucia e l’affresco raffigurante le Sante Agata, Ninfa, Rosalia e Apollonia. 

Il 13 dicembre, di ogni anno, si festeggia Santa Lucia che, fino a qualche anno fa, vedeva la gente recarsi all’interno della chiesa per rendere omaggio alla Santa e per portare i famosi “cuddureddi”, che sono dolci tipici niscemesi che simboleggiano il martirio della Santa essendo a forma di occhi, di palma o di pane, e che vengono venduti alla gente. Oggi la festa, e la conseguente vendita dei “cuddureddi”, avvengono all’interno della Chiesa Ss. Maria d’Itria.

Santuario Maria SS. del Bosco

Sorge su resti di una piccola cappella distrutta dal terremoto. Fu edificato tra il 1749 ed il 1758 sotto la direzione del capomastro e architetto Silvestro Gugliara. La chiesa è ad una sola navata con pianta ellittica allungata, la facciata è in stile barocco e presenta un'equilibrata compostezza e sobrietà nelle decorazioni. 

La chiesa conserva in una piccola nicchia le pietre costituite da due candelieri e dalla base che sosteneva la croce, rinvenute, secondo la tradizione, nel 1599 in occasione del rinvenimento del quadro della Madonna

L'altare maggiore raffigura angeli che, guidati dalla mano di Dio, reggono il sacro dipinto della Madonna nel gesto di portarlo verso la fonte del ritrovamento. 

Dietro la pala, una nicchia custodisce una copa del quadro, opera di un monaco di Caltagirone, perché l'opera originale si perse in occasione di un incendio verificatosi nel 1769 mentre si trovava presso la chiesa Santa Maria d'Itria. I due altari laterali sono dedicati a San Benedetto e San Giovanni Nepomuceno. La cripta sottostante conserva il pozzetto con la vena d'acqua in cui, si narra, venne trovato il sacro velo con l'immagine della Madonna: indicata come Cappella dell'acqua Santa, dal 1998 è anche battistero.

Chiesa di San Giuseppe

La Chiesa di San Giuseppe, fu costruita intorno al 1815 con pietra e calce ricavate dalle cave locali e venne aperta al pubblico nel 1818. 

La facciata ad un solo ordine, presenta una certa sobria eleganza, la superficie risulta armoniosamente scandita da quattro colonne piatte in leggero aggetto di stile corinzio che sorreggono la trabeazione e il finimento che racchiude da un lato un orologio e nell’altro una cella campanaria con al centro una croce in ferro battuto. 

Nel 1986, don Giuseppe Giugno, fece eseguire diversi lavori di consolidamento della struttura muraria e la fece restaurare all’interno con la risistemazione degli altari, del pavimento e delle decorazioni.

Chiesa Anime del Purgatorio

La Chiesa delle Anime del Purgatorio fu costruita nel 1846, grazie al dono della signora Gaetana Cona che donò ai sacerdoti don Vincenzo Carbone e don Arcangelo Camiolo quattro case con lo scopo di far costruire una chiesa dedicata alle Anime Purganti. 

Lo stile architettonico si richiama a quello della chiesa di S. Francesco di Paolo di Napoli, la pianta della chiesa configura la forma di una grossa tartaruga la cui testa indica la forma e la posizione dell’altare maggiore. 

La copertura del tetto poggia su archi a pieno sesto sorretti da otto colonne singole in stile toscano con basamento e plinto posti in perfetto cerchio all’interno dell’unica navata circolare.

ChiesaSanteCroci.jpg (139296 byte)Chiesa Sante Croci

Edificata sul luogo in cui sorgeva in precedenza una piccola cappella senza altare, fu dotata di un piccolo cimitero. Restò lesionata dallo sconvolgimento tellurico che colpì Niscemi nel 1790. 

La frana dell'ottobre del 1997 lesionò gravemente l'immobile in maniera tale da richiederne la demolizione, avvenuta pochi anni dopo.

L'altare maggiore era dedicato al Crocifisso ed era realizzato in marmo bianco con disegni a rilievo in stile barocco e intarsi in marmi colorati. Gli altri due altari erano rispettivamente dedicati a Sant'Alfonso dei Liquori ed a Santa Rita da Cace.

Palazzo di Città

Il palazzo di città (Municipio) venne costruito in stile neoclassico tra il 1870 ed il 1882, con progetto dell’architetto Rosario Crescimone, dai fratelli Saverio e Giuseppe Barbagallo, nello stesso luogo della vecchia struttura. È un elegante esempio di tradizionale forma cubica tipica dell’architettura civile fiorentina del Rinascimento classico. 

Fino al 1870, i locali del Comune erano composti da un piano terra parzialmente costruito di quattro vani, di cui due adibiti a biliardo, mentre al piano superiore vi erano gli uffici della cancelleria e del corpo di guardia. Negli ultimi cento anni, per le mutate esigenze cittadine, ha ricevuto diversi interventi di ampliamento e ristrutturazione. 

Venne ampliato tra 1929 e il 1931, ad opera di Angelo e Carmelo La Rosa, e del pittore decorativo Carmelo Malannino, tra il 1940 e il 1941, con l’intervento degli operai Francesco Barbagallo e i fratelli Iudica, un’altra volta nel 1975, ed infine ristrutturato nel 1981. 

L’impianto, ad un solo piano, si presenta come un blocco compatto, ben definito dalle colonne angolari esterne, equilibrato e composto nelle proporzioni, sobrio nelle decorazioni, con un elegante portico a tre archi a pieno centro. La superficie della facciata risulta sapientemente divisa da due ordini di colonne sovrapposti, ionico e corinzio, scandita secondo un partito di composta euritmia, con corpi leggermente aggettanti agli angoli e al centro del fabbricato, che rendono movimentate le pareti. Inoltre, la facciata è resa monumentale dall’elegante portico costruito a tre arcate a pieno centro che poggiano su pilastri fiancheggiati da due colonne ioniche sui cui capitelli si estende la trabeazione che regge col suo coronamento il pavimento di una lunga balconata. Tutto il complesso poggia su una zoccolatura che riprende la modanatura della base delle colonne. 

Al primo piano si aprono tre balconi, in corrispondenza delle arcate del piano terra, incorniciati da eleganti stipiti, gli architravi sono sormontati da pannelli rettangolari con motivi decorativi a rilievo, con coronamento a cornice triangolare per due balconi laterali e con un’aquila rampante a tutto rilievo in quello centrale. I balconi sono fiancheggiati da due colonne in approssimativo stile corinzio che scandiscono molto bene la continuità della superficie. 

Il complesso presenta un raffinato effetto cromatico per il susseguirsi degli elementi architettonici in contrasto con la parete di fondo. Tutte le decorazioni del prospetto sono state realizzate in pietra locale di Pilacane, finemente lavorata da scalpellini locali, mentre la superficie di fondo è elegantemente scandita da un bugnato geometrico, nitidamente inciso sul muro.

Palazzo Branciforte

Palazzo Branciforte venne fatto costruire, nel 1824, da Margherita Branciforte all’epoca del suo esilio niscemese cominciato tre anni prima. 

L’edificio, decorato con pietra di Pilacane, è ad un solo piano ed è definito ai lati da semipilastri angolari e presenta un portale ad arco a tutto sesto, con gancio a voluta che collega la chiave di volta al fregio dorico sovrastante, e la cornice spezzata di un balcone con motivo decorativo a forma di conchiglia, entro cui è inscritta una testina a rilievo. 

Nella parte occidentale e meridionale aveva un ampio giardino, oggi perduto. Tale costruzione portò le famiglia nobili niscemesi a costruire, anch’essi, loro palazzi.

Palazzo Masaracchio

Palazzo Masaracchio venne costruito nel 1840, in via Regina Margherita, con la facciata scandita da un ordine unico di paraste su alti plinti, balconi sorretti da mensoloni con decorazione fitomorfa, e lo stemma di famiglia posto sopra il portone d’ingresso.

Si narra che anche questo palazzo, come il Palazzo Alfonso Malerba, aveva una galleria che conduceva fuori dal paese.

Il palazzo ospitò, la sera del 20 luglio 1860, il comandante Nino Bixio, che passò da Niscemi durante la sua marcia nella Sicilia centro meridionale.

Palazzi

Palazzi Malerba, costruiti tra la metà e la fine del XIX secolo in: via Regina Margherita sorgono due di questi palazzi, il primo (Palazzo Alfonso Malerba) costruito nel 1835 si presentava come un blocco compatto ad un solo piano e sobrio nelle decorazioni in calda pietra di Pilacane, con nella parte centrale un elegante portone d’ingresso ad arco a tutto sesto poggiante su alette e piedritti, arricchiti ai lati da due colonne toscane a tutto tondo su snelli ed alti piedistalli che rendevano più slanciato il portale.

Tutti i balconi sorretti da mensole in asso con le porte del piano terra, erano incorniciati da semplici ed eleganti stipiti ed architravi che terminavano con un timpano a cornice triangolare. Fu uno dei pochi palazzi fornito di servizi igienici, avendo nell’androne un pozzo che serviva per attingervi l’acqua per gli usi domestici. Si narra che tra la bocca del pozzo ed il livello dell’acqua era stata scavata una galleria che conduceva fuori dal paese da adoperare in caso di pericolo. 

Il palazzo venne demolito dall’amministrazione comunale nel 1966 per presunta instabilità e ad oggi non resta che parte della facciata settentrionale; il secondo (Palazzo Antonino Malerba) costruito nel 1890 e che introduceva alcuni elementi architettonici nuovi nella tipologia tradizionale dei palazzi niscemesi, costituito di due piani con decorazioni in pietra bianca di Comiso e in terra cotta di Caltagirone, con un grande portone che immette in un androne che ha di fronte un giardino. 

Nel lato sinistro prende inizio lo scalone che conduce alle stanze e ai saloni del piano nobile; Un terzo palazzo, l’unico ristrutturato e che oggi è residenza privata, venne costruito all’inizio del XX secolo all’angolo tra la via Mazzini e la via Buonarroti.

Palazzo Buscemi, costruito nel 1936 caratterizzato dal doppio ordine di bugnato liscio della facciata e dalle eleganti cornici in pietra delle aperture, era decorato al piano terra da blocchi di pietra di Pilacane, al piano superiore si trovava un balcone retto da mensole con ringhiera in ferro battuto adornato con un artistico timpano a volute e decorazioni barocche.

Palazzo Iacaona Castronovo, costruito nel 1895 presenta un’estesa facciata che prospetta sulla via Umberto I. L’edificio ad un solo piano, ha la superficie del piano terra estesa senza soluzione di continuità. Il piano terra, in origine, aveva al centro della facciata il solo grandioso portone d’ingresso ad arco a tutto sesto con chiave di volta decorata ad agrafe poggiante su alette e piedritti incorniciato da lesene leggermente aggettanti incise con linee orizzontali ben marcate sulla pietra, mentre nei due riquadri verticali vi erano due finestre decorate con semplici cornici. Il complesso è decorato da pietra di Pilacane e pietra bianca di Comiso.

Palazzo Romano sito tra via Regina Elena e via Purgatorio

Palazzo Camiolo sito tra via XX Settembre, via Mazzini e via Popolo

Palazzo Samperi

Palazzo Tinnirello sito tra via IV Novembre, via Garibaldi e via Menzo

Palazzo Gagliano sito in piazza Vittorio Emanuele III

Palazzo Le Moli sito in via Le Moli

Palazzo Gagliano sito in via Gagliano

Casa Guariglia sita in via IV Novembre

Palazzo Maugeri (Preti-Buscemi) sito in via Regina Margherita

Palazzo Polizzi sito tra via XX Settembre, via Vacirca e via Le Moli

Casina Samperi sita in corso Gramsci  

Terrazzo del Belvedere

Il Belvedere è una terrazza panoramica che sorge sul punto più alto di Niscemi, a 332 metri sul livello del mare, offrendo una magnifica vista sulla Piana di Gela e sulla vallata verde del fiume Maroglio, con la possibilità di scorgere anche la cima del Monte Formaggio, e osservare tramonti mozzafiato. È considerato uno dei più bei panorami dell’intera Sicilia. 

Racchiuso da una ringhiera e panche in ferro battuto, per la sua forma rotondeggiante è anche conosciuto come “U Tunnu”. Vi si accede da un maestoso cancello, sempre aperto, e rappresenta la meta finale della caratteristica passeggiata del centro storico, che inizia nella grande Piazza Vittorio Emanuele III proseguendo nel Corso IV Novembre, sempre affollato e movimentato nelle sere di festa. 

Recentemente è stato restaurato il camminamento posto sotto la terrazza, che permette di scendere attraverso una leggera scalinata (con accesso per disabili) e prolungare la passeggiata per giungere ad una piazzola panoramica arredata con una fontana tondeggiante realizzata in pietra locale. 

Il 18 ottobre 2008, il viale è stato dedicato ad Angelo D’Arrigo, aviatore e deltaplanista siciliano, tragicamente scomparso nel marzo 2006. Detentore di diversi primati mondiali di volo sportivo, era solito volare nella zona sottostante il Belvedere, dove tutt’ora, vengono praticati voli con deltaplano e parapendio. 

Fu costruito agli inizi del XIX secolo, in stile barocco. Cominciò ad essere valorizzato intorno alla metà del XVIII secolo. Il panorama era molto apprezzato dai cittadini, che valorizzarono spontaneamente il luogo, facendone la meta preferita delle loro passeggiate, per cui, agli inizi del 1800, l’amministrazione decise di farne un’opera pubblica, e quindi di procedere con le opere murarie di terrazzamento, dandogli la forma baroccheggiante che mantiene tutt’oggi. Inizialmente, era costituito da due piani diversamente livellati, comunicanti con una scalinata centrale; il primo, più ampio, aveva lo stesso livello della strada di accesso, la via Tondo, il secondo, digradava di oltre un metro. I lati avevano i parapetti in muratura alti circa 1,50 metri, i sedili in pietra e due torrette all’entrata, sopra i quali erano sistemate due lanterne per l’illuminazione. 

Nel 1884 venne fornito di una ringhiera e nel 1911 il pavimento in mattoni grezzi venne sostituito con un altro in cemento. La superficie era quasi la metà di quella attuale; dai 248 metri quadri di allora, si è passati ai 504 di oggi. L’ingrandimento ha una precisa motivazione storica: la frana del 1921, che causò l’improvvisa caduta del muro di cinta di sud-ovest, nel piano inferiore. Gaetano Samperi, quale commissario straordinario, provvedette alla ricostruzione, con un progetto che includeva l’abbattimento del piano superiore, e appunto, l’ampliamento di quello superiore. I lavori furono ultimati ai primi di marzo del 1925, con una spesa di £. 51.080.80, affrontata con denaro pubblico e con indennità fornite dallo stesso Samperi, come recitava una lapide che era stata collocata sul muro ovest della casa Rizzo, confinante con il Belvedere. Oltre a ricostruire le opere murarie, lo volle dotare di tutti i lavori in ferro, che costituiscono il ricco ed artistico ammobiliamento del vasto terrazzo. 

Il Belvedere venne chiuso da un’artistica cancellata in ferro battuto, costituita da tre ante delimitate da quattro piantoni di sostegno, di cui due laterali fisse, che reggono un artistico vaso in fusione di bronzo, abbrunito di stile greco a forma di cratere dal corpo largo del tipo Lebés poggiante su un piedistallo a modanatura semplice, di cui, le due laterali fisse, mentre quella centrale, mobile, molto più ampia, si apre a due battenti che ruotano su cerniere a maschiettatura. 

La parte interna venne recintata con una ringhiera a disegno semplice in ferro battuto, mentre i lati nord, sud ed est vennero forniti di sedili in ferro battuto, impreziositi da un’artistica spalliera decorata in fusione. L’opera venne completata con due artistici candelabri a tre fuochi in lamiera e ferro per l’illuminazione serale. Il 10 maggio 1925 il nuovo Belvedere venne inaugurato alla presenza delle autorità e dei cittadini.

Siti archeologici

In contrada Pitrusa, alle pendici di Niscemi, si trova un sito archeologico di epoca tardo antica. Sono stati ritrovati i bolli su anfora dei Praedia Galbana, poderi che appartenevano allo stato e che al loro interno erano stanziati magazzini annonari. Rimangono odiernamente i resti di una Mansio, ovvero una stazione di sosta (età imperiale), gestita dallo Stato per i viaggiatori. Accanto alla mansio sorgeva una stazione per il cambio dei cavalli. Si pensa esistesse un'antica strada, che portava alla contrada Piano Camera, altra zona archeologica. 

I recenti scavi archeologici hanno riportato alla luce un complesso termale, sempre in contrada Petrusa. Secondo gli archeologi sono ben visibili e riconoscibili il calidarium (parte delle terme destinate ai bagni caldi o ai bagni di vapore) con il forno di combustione, un vasto vano di tepidarium (parte delle terme destinate ai bagni tiepidi) e le suspensura (pilastri a base quadrata che fungevano da sostegno al pavimento) che spargeva il calore sotto il pavimento, potendo riscaldare così l'acqua.

Sono presenti anche siti archeologici risalenti all'epoca arcaico-classica, tra l'ottavo ed il quinto secolo a.C., nelle contrade Castellana, Arcia e Iacolano, dove sono state rinvenute ceramiche che lasciano intuire la presenza di insediamenti umani dediti allo sfruttamento agricolo del territorio, reso possibile anche dalla presenza del vicino fiume Maroglio. 

Testimonianze di arcaiche forme di culto religioso sono state, invece, riscontrate a Pisciotto e Valle Madoni, oltre che nella stessa contrada Arcia, dove sono stati rinvenuti resti di antiche necropoli. Secondo molti studiosi, questi ultimi ritrovamenti fanno pensare che il territorio di Niscemi avesse raggiunto un buon livello di organizzazione urbanistica, caratterizzata sia dalla presenza di aree urbane che di aree extraurbane.

Riserva naturale orientata Sughereta

La riserva naturale orientata Sughereta di Niscemi è un'area naturale protetta situata nel comune di Niscemi, in provincia di Caltanissetta ed è stata istituita dalla Regione Siciliana nel 1997. La Sughereta di Niscemi è, assieme al Bosco di Santo Pietro di Caltagirone, il relitto di quella che un tempo era la più grande sughereta della Sicilia centro-meridionale. 

Fin dal 1601, epoca in cui il territorio di Niscemi fu concesso in feudo alla famiglia Branciforti, il bosco iniziò ad essere utilizzato per la produzione di legname. Già nel 1718 l'uso dissennato di questa risorsa convinse Stefania Branciforti ad emanare precise disposizioni per limitare il suo sfruttamento. 

Nel 1852 una cospicua porzione del territorio della originaria sughereta fu acquisita dal demanio comunale, venendo in parte successivamente assegnata per la coltivazione ai contadini organizzati nel movimento dei Fasci dei lavoratori. La parte superstite della sughereta (circa 3.000 ettari) è stata dichiarata Riserva con il Decreto Assessoriale n. 475 del 25 luglio 1997 ed affidata in gestione all'Azienda Regionale Foreste Demaniali. 

La Riserva sorge a 330 m s.l.m., nella parte meridionale dell'altopiano su cui si colloca il centro abitato di Niscemi. Comprende un'area complessiva di circa 2.939 ettari, di cui 1179 in zona A (riserva propriamente detta) e 1760 ettari in zona B (preriserva). La pianta simbolo della riserva, la quercia da sughero, è tuttora abbastanza diffusa, con esemplari anche di notevoli dimensioni, e dà vita, insieme a lecci e roverelle, a lembi residui di foresta mediterranea sempreverde. 

Nei terreni sabbiosi delle schiarite del querceto è stata rinvenuta di recente una rara entità floristica, l'Helianthemum sanguineum. Si tratta di una specie diffusa in Portogallo, Spagna, Marocco ed Algeria, in passato segnalata anche in Italia, ma che da oltre un secolo non era più stata osservata, tanto che, prima del rinvenimento nel territorio della riserva, avvenuto nel 1992, era stata considerata estinta nel territorio nazionale. 

La vegetazione prevalente è comunque quella tipica della macchia mediterranea con specie arbustive quali il lentisco, l'olivastro, il mirto, il corbezzolo, la fillirea, la palma nana, l'erica arborea, la ginestra spinosa, il citiso, il pungitopo, la dittinella, lo spazzaforno, la ginestrella, i cisti. Sono presenti inoltre 30 differenti specie di orchidee appartenenti ai generi Anacamptis, Himantoglossum, Limodorum, Neotinea, Ophrys, Orchis, Serapias e Spiranthes. 

Il bosco ospita infine diverse specie di funghi quali il porcino nero ed il porcino giallo, il farinaccio, le mazze di tamburo ed i prataioli. Tra i mammiferi più comuni nel territorio della riserva vi sono il coniglio, il riccio, la donnola, la volpe, il moscardino e il quercino. Numerose le specie di uccelli nidificanti tra cui la poiana, il colombaccio, il cuculo, la ghiandaia, il barbagianni e il gruccione, l'upupa. Tra i rettili ricordiamo il gongilo, il colubro leopardino e la vipera comune. Molto ricca anche l'entomofauna comprendente, tra le altre, numerose specie di farfalle e coleotteri. 

All’interno della Riserva Naturale Sughereta di Niscemi vi sono diversi percorsi da fare a piedi, in bicicletta oppure a cavallo e lungo i percorsi sono presenti anche delle aree attrezzate con tavoli e panche in legno per godere di un po' d’ombra. Vi è la possibilità di organizzare delle visite guidate grazie a guide naturalistiche esperte e l’azienda regionale foreste demaniali che gestisce la Sughereta ha realizzato anche un percorso ad hoc per non vedenti attraverso l’ausilio di una corda corrimano che fa da guida e tabelle in braille.