Sutera
(Caltanisetta)
  

 

Il borgo di Sutera è un paesino arroccato su una rupe nell’entroterra di Caltanissetta. Chiamato “il balcone della Sicilia” per la sua estesissima vista, offre un panorama meraviglioso che va dall’Etna fino al golfo di Agrigento. Si tratta di un borgo medievale, inserito nel circuito dei Borghi più belli d’Italia, grazie alle sue caratteristiche peculiari che lo rendono un luogo turistico di importanza storica. Composto da tre quartieri, Rabato, Rabatello e Giardiniello, il borgo di Sutera dista dal mare una quarantina di chilometri e si trova sul percorso della Via Francigena.

Il toponimo potrebbe derivare dal greco bizantino Sotéra, accusativo di Sotér, "salvatore", appellativo forse dovuto all'imponenza del monte o alle fortificazioni di epoca bizantina; secondo un'altra ipotesi potrebbe invece derivare da Sotéira, "colei che salva", in riferimento alla dea greca Artemide, il cui culto si sarebbe sviluppato in prossimità dell'attuale città intorno al VI secolo a.C. Il nome del quartiere del Rabato è invece di origine araba, derivando da Ràbad, "borgo fuori le mura".

L'area è abitata sin dal VII secolo a.C., come dimostra il ritrovamento, a pochi chilometri dall'odierno centro urbano, di sepolture pre-elleniche attribuite a un villaggio sicano. Tra il IV e il VI secolo il luogo potrebbe essere stato inoltre frequentato da monaci basiliani di rito bizantino, come testimoniano le tracce di affreschi (chiamate localmente figureddi) visibili in un'antica tomba sicana successivamente adibita a cappella, in località San Marco.  

Sebbene il centro storico testimoni con la sua pianta la struttura tipica dei borghi medievali, l’origine di Sutera è molto antica. Il quartiere Rabato avrebbe, infatti, origini arabe e risalirebbe all’860 d.C. Il nome stesso sarebbe di derivazione araba. Infatti in arabo rabad significa proprio “borgo”. La pianta di questo quartiere è tipicamente araba: qui si trovano viuzze molto strette che si snodano in incroci intricati. L’epoca storica a cui risalgono le case del luogo corrisponde a quella in cui nacquero i tipici dammusi: casette contadine su un solo piano all’interno della quale si trova un’unica stanza dotata di soppalco.

Al centro del quartiere nell’875 d.C. venne edificata una moschea: nel 1370 venne abbattuta e sostituita con la chiesa di Santa Maria Assunta. Il barone di Sutera provvide infatti a eliminare tutti i luoghi considerati pagani e a sostituirli con simboli della cristianità. Nel 1545 Santa Maria Assunta è stata ricostruita ed è diventata la Chiesa Madre, ancora presente oggi. A circa un chilometro dal centro di Sutera, sorge in sito archeologico di San Marco: qui oltre alla chiesetta scavata nella roccia con affreschi in stile bizantino, si trovano resti risalenti al paleolitico, a testimonianza dell’antichissima presenza umana in quest’area.

Con la conquista normanna e il successivo periodo Svevo, si ebbe un'espansione dell'abitato verso il quartiere Giardinello. Nel 1325 gli Aragonesi la infeudarono e passò prima nelle mani di Ruggero di Scandolfo (o di Scanne), poi ai baroni Chiaramonte, con Giovanni III conte di Caccamo e infine ai Moncada; nel 1398 il borgo ritornò al demanio della corona di Sicilia. Nel 1535 l'imperatore Carlo V la vendette e per un breve periodo fu nuovamente un feudo nelle mani di Girolamo Bologna, conte di Capaci, da cui i suteresi si affrancarono autotassandosi e rendendo il paese definitivamente demaniale nel 1560.

Nel 1905 fu colpito da una frana staccatasi dal monte san Paolino, che danneggiò gravemente l'abitato. La frana, che causò un morto e venti feriti, durò dal 20 al 24 settembre, abbattendosi sul quartiere Giardinello, che fu completamente evacuato, e i suoi abitanti sfollati negli istituti religiosi di Campofranco e Milocca.

Visitare il borgo

Sutera è un collare di case di pietra intorno alla rupe gessosa del Monte San Paolino che domina la valle del fiume Platani. Il disordine urbanistico dell’edilizia «fai da te» qui è meno marcato, perché rimane evidente l’impianto medievale: le abitazioni sono ammucchiate le une sulle altre, vecchie e nuove; i colori tradizionali del gesso cercano un raffronto con quelli dei prospetti più recenti; le stradine in pietra lavica e calcarea mantengono un andamento labirintico. 

La visita può iniziare dal belvedere di piazza Sant’Agata, dove impone la propria solida volumetria la quattrocentesca chiesa di Sant’Agata, in contrasto con l’ottocentesco Municipio. La Chiesa, edificata nel '400 in stile romanico, è poi stata ricostruita nel '700 con l’aggiunta della torre campanaria. 

Costituita da tre navate, al centro ha una copertura a botte mentre le navate laterali sono a crociera. Una delle particolarità che la rendono di grande pregio artistico sono le pareti interne, il cui restauro recente ha riportato alla luce il blu “azolo”, che negli anni era stato coperto da colorazioni differenti. Lo stile barocco siciliano è ben visibile negli intagli dell'altare mentre i capitelli delle colonne si caratterizzano per il fatto che sono tutti diversi l'uno dall'altro. 

All’interno sono, inoltre, presenti parecchie statue di santi, tra cui quella dedicata proprio a Sant’Agata, che rappresentano un importante esempio del patrimonio artistico locale. 

Più avanti, percorrendo la via Roma s’incontrano i ruderi del quattrocentesco palazzo Salamone. Qui ebbe i natali Francesco Salamone, uno dei tredici cavalieri della disfida di Barletta del 13 febbraio 1503); rimangono solamente i muri perimetrali (per una parte della loro altezza) e parte di quelli interni, costituiti entrambi da malta e da pietra di gesso. Una lapide apposta nel 1903 commemora i 400 anni dalla celeberrima battaglia ricordando così ai passanti l'evento e la connessione con il monumento.  

Piazza Carmine è chiusa dalla quinta prospettica della chiesa di Maria Santissima del Carmelo, ricostruita nel 1934-36; la struttura originaria è del 1185 e l’attuale prospetto ingloba un piccolo porticato nel cui portalino d’accesso si notano inserti provenienti dalla moschea del Ràbato. Alla sua destra, il piccolo convento del 1664 ristrutturato di recente è sede del museo della civiltà contadina. Nel candido interno a tre navate, la Madonna del Soccorso è il capolavoro marmoreo del carrarese Bartolomeo Berrettaro: la statua fu scolpita nel 1503 per committenza della famiglia Salamone, i cui sarcofagi ornano la cappella a destra del coro.

Proseguendo per via Carmine si giunge al Rabato, il quartiere all’estremità del paese fondato dagli Arabi intorno all’860 d.C. Il Rabad – termine che sta per «sobborgo» – era un insieme di case dalle mura di gesso abbarbicate le une alle altre, stretti vicoli, ripide scalinate, bagli e terrazzi. Il villaggio arabo è ancora leggibile nell’impianto urbanistico odierno, soprattutto dall’alto del monte, da dove si ammirano i vecchi tetti di coppi siciliani e l’intrico di stradine tipico di una casbah araba. Da quel modello è derivata la casa contadina siciliana a un solo piano, il dammuso, con una singola stanza soppalcata, realizzata in gesso.

L’insediamento arabo è sepolto sotto i diversi strati edilizi: sulla moschea edificata intorno all’875, il barone Giovanni Chiaramonte nel 1370 ha innalzato la compatta massa della chiesa di Santa Maria Assunta, ristrutturata nel 1585 e dotata di un elegante portale rinascimentale e di un fonte battesimale marmoreo del 1495. Nella chiesa restano alcuni elementi architettonici della moschea, sporgenti da una parete del locale sovrastante, come le quattro nicchie in muratura di gesso. 

Da piazza del Carmine si sale per una scalinata di 183 gradini distribuiti in quattro rampe al Monte San Paolino, alto 812 metri, sul cui terrazzo Giovanni Chiaramonte nel 1370 fece erigere sulle strutture dell’antico castello bizantino il santuario di San Paolino. La chiesa è affiancata dal piccolo convento settecentesco dei Padri Filippini che conserva la tela della Madonna in trono fra i Santi Damiano e Cosma di Filippo Tancredi. 

Ma il vero tesoro della chiesa, custodito in uno stipo ligneo del 1903 alla destra del presbiterio, sono due urne-reliquiario, espressioni massime dell’oreficeria siciliana antica. L’urna contenente le ossa di San Paolino è un grande cofano del 1498 con coperchio a schiena d’asino, sbalzato in una ricamata lamina d’argento con figure a rilievo e decori a racemi e palmette; quella in cui alloggiano le ossa di Sant’Onofrio, eseguita nel 1649 dal palermitano Francesco Rivelo, è uno sfarzoso esempio dell’arte orafa barocca.

Collinette gessose movimentano il paesaggio nei dintorni del borgo. In una di queste, detta rocca spaccata, tradizione vuole che la roccia si sia aperta con l’ultimo respiro di Gesù sulla croce. 

Nella collina di San Marco, caratterizzata da roccia gessosa e friabile frantumata in grotte, si ammirano in un anfratto i figureddi, affreschi in stile bizantino che rappresentano i quattro Evangelisti, la Madonna e San Paolino, probabile opera di monaci basiliani tra il IV e il VI secolo.

Museo etno-antropologico

Il museo etno-antropologico approfondisce la composizione sociale del piccolo comune dell'entroterra siciliano, in un territorio caratterizzato dal latifondo feudale e dalla coltivazione cerealicola estensiva. Il museo, con la sua struttura ricavata nel piano terra dell'antico convento dei Padri carmelitani, espone gli arnesi delle attività agricole e artigiane in ambienti di vita domestica con le suppellettili tipiche di fine Ottocento.

Il museo conserva anche i manifesti e i dépliant dei concerti che ad inizio Novecento diresse don Paolino Pillitteri (il sacerdote compositore musicista del paese), nonché quelli che accompagnarono gli emigranti lungo il cammino verso le Americhe (primo Novecento) e verso il Nord Italia e l'Europa (anni sessanta); espone inoltre una raccolta di immagini a stampa riproducenti soggetti religiosi.

Il museo, dal mese di ottobre del 2003, è stato oggetto di tutela da parte dell'assessorato per i Beni culturali e ambientali e per la pubblica Istruzione della regione Siciliana, che ha ritenuto la raccolta etnografica, composta da oggetti di cultura materiale, documenti e strumenti di lavoro, nonché stampe popolari a carattere religioso, caratteristiche della cultura contadina e dei mestieri tradizionali, di rilevante interesse etno-antropologico.