Caltagirone
(Catania)

 

Sulla Piazza Umberto I s'affacciano anche importanti edifici civili: il Monte delle Prestanze (Monte di Pietà), progettato nella seconda metà del Settecento dal Bonajuto ed oggi sede del Banco di Sicilia, caratterizzato al piano inferiore da esili colonne corinzie su alti plinti che marcano il susseguirsi delle eleganti aperture; il Palazzo Crescimanno d'Albafiorita, sontuosa dimora settecentesca ricca di opere d'arte; il Palazzo Libertini di San Marco, il cui ingresso si trova in via Taranto. 

Da qui si può compiere una digressione. Discendendo per la gradinata che caratterizza la via Taranto, si giunge nella vecchia Piazza del Mercato, oggi Piazza Innocenzo Marcinnò, da cui si diparte la via Cappuccini, una stretta via medievale in fondo alla quale si trova il Convento dei Cappuccini, costruito con l'adiacente chiesa alla fine del Cinquecento; esso è meta di pellegrinaggi da parte dei devoti di padre Innocenzo Marcinnò

La fondazione del primitivo convento risale al 1540. La costruzione venne edificata fuori dalla città, in contrada "Semini", conosciuta oggi come "Cappuccini vecchi".

A causa dell'aria insalubre, il luogo venne abbandonato, e nel 1585 furono avviati i lavori per l'edificazione del nuovo complesso conventuale, che sorse accanto alla preesistente chiesa di Santa Maria Odigitria.

I frati occuparono la nuova struttura nel 1607, a motivo del protrarsi dei lavori edili.

Il convento, per le sue notevoli dimensioni e per la sua favorevole posizione, raggiungibile facilmente da tutto il Val di Noto, è stato sede, nel corso dei secoli, di numerosi capitoli provinciali. Qui maturò la vocazione religiosa il Venerabile padre Innocenzo Marcinò (1589-1655), ministro generale dell'Ordine (1643-1650), di cui è in corso il processo di Beatificazione.

Con la soppressione degli ordini religiosi (1866), il convento e la chiesa divennero proprietà demaniale. I frati vi fecero ritorno (anche se solo in una piccola parte dell'intero complesso) nel 1955.

La chiesa conventuale, dedicata a Maria Odigitria, possiede un'unica navata, con una cappella, quattro altari minori e un pregiato soffitto ligneo con capriate.

Il polittico dell'altare maggiore si compone di sette dipinti: la pala centrale, raffigura la Madonna Odigitria con i santi Giacomo e Bartolomeo, opera del pittore manierista toscano, Filippo Paladini (1604); a sinistra è collocata una tela con San Felice da Cantalice che riceve il Bambino dalla Madonna, mentre a destra troviamo la Beata Lucia da Caltagirone; entrambi i dipinti sono attribuiti a Semplice da Verona (1646). Nell'appendice in basso a sinistra si trova il ritratto, a mezzo busto, della martire Sant'Agata; mentre in quella di destra la martire siracusana Santa Lucia; entrambe le opere datate 1604, sono del Paladini. Infine, altri due piccoli dipinti si trovano al di sopra delle tele laterali: a sinistra Cristo coronato di spine; a destra l'Addolorata; attribuiti a Semplice da Verona.

I dipinti sono incastonati in una pregiata intelaiatura lignea, realizzata dai frati Giuseppe e Giorgio da Ragusa, e Bernardino da Sortino. La cornice è provvista di un magnifico tosello (tettuccio ligneo), sul quale è dipinto l'Eterno Padre, l'Agnello Divino e i quattro Evangelisti, opera del pittore palermitano Bernardino Bongiovanni (XVIII sec.).

L'altare maggiore, infine, custodisce una pregevole custodia lignea, realizzata in noce con intarsi in avorio, cipresso e tartaruga, opera di frati ebanisti trapanesi (XVII sec.).

Meritano, ancora, di essere menzionati: gli altari-reliquiari di Sant'Antonio, San Francesco e dell'Addolorata, l'artistico reliquario della Cappella delle reliquie e il sacrario del Venerabile Innocenzo Marcinò da Caltagirone.

Nella cripta del convento, è allestito un monumentale presepe permanente, in terracotta locale.

Il convento, inoltre, è sede del museo provinciale Padre Innocenzo Marcinò, in cui si ammira una ricca pinacoteca, diverse custodie di pregevole fattura (secoli XIV-XVII), antichi paramenti liturgici ricamati a mano e preziose suppellettili liturgiche in argento.

Mediante la via Maria Santissima del Ponte, si giunge al Santuario di Santa Maria del Ponte, edificato nella seconda metà del Cinquecento ed interamente ricostruito nel Settecento. 

Il Santuario di Santa Maria del Ponte di Caltagirone (Catania). Nel santuario è conservato un reliquiario in legno, dove si riconoscono le reliquie di vari santi, fra cui un frammento della Croce di Cristo. Il 15 agosto 1572, alla fonte del rione Ponte, una bambina sordomuta, attingendo acqua, vide riflessa la Vergine con in braccio il Bambino Gesù. La notizia si sparse per l’intero paese, ma l’immagine della Madonna era visibile soltanto a chi era in grazia di Dio.

Un pittore ritrasse la Vergine (il dipinto è conservato nel santuario) e un anno dopo il quadro si trovava sul luogo dell’apparizione. Alla fine del XVI secolo si avverò un altro straordinario evento: la domenica dopo il giorno dell’Ascensione si udirono le campane suonare spontaneamente e nella fonte, ormai divenuta celebre, si vide una Stella luminosa con sei candele intorno.  

Dal 1777 Maria Santissima del Ponte è patrona della città e nel 1942 il santuario fu eretto a parrocchia. Nella metà degli anni Sessanta del Novecento fu costruita la nuova chiesa parrocchiale, dove fu posta l’immagine della Vergine e nel 1987 divenne santuario mariano diocesano. L’anno successivo l’immagine di Maria Santissima fu incoronata da monsignor Vittorio Mondello, vescovo di Caltagirone.

L’antica fonte dell’apparizione è oggi inglobata all’interno del santuario, in una cappelletta marmorea, a cui i pellegrini attingono l’acqua miracolosa. Nel nuovo tempio troviamo anche due bassorilievi all’ingresso, mosaici, una via Crucis in terracotta, una vetrata istoriata che rappresenta l’apparizione, una statua della Pietà e del Sacro Cuore, abside in ceramica e presepio in terracotta.

Sulla destra, in via Discesa del Collegio, si può ammirare la chiesa del Gesù o del Collegio che, insieme al Collegio dei Gesuiti, costituisce uno dei principali aggregati monumentali ubicati nel centro storico.

Il 18 di settembre del 1569 il Viceré di Sicilia Francesco Ferdinando d'Avalos, principe di Francavilla, suggerisce al Consiglio Comunale di Caltagirone, la fondazione di un Collegio dei Gesuiti facendo presente i vantaggi che avrebbe ottenuto la popolazione " ...così in fatto di religione come in fatto di istruzione".

Nel 1571 ha avvio la costruzione, nel 1574 dirige i lavori l'architetto messinese Andrea Calamech, tra il 1589 e il 1592 si registra l'intervento di Antonuzzo Gagini. Nel 1593 è documentata l'apertura al culto celebrata con l'iscrizione marmorea "TEMPLVM HOC QVOD AN. MDLXX SENATVS MVNIFICENTIA EREXIT ANNO MILLESIMO QVINQVAGESIMO NONAGESIMO TERTIO JESV NOMINE DICATVM EST".

Il terremoto del Val di Noto del 1693 atterra le fabbriche risparmiando il primo ordine delle costruzioni. Nel XVIII secolo segue una campagna di restauri, lavori conclusi con la consacrazione avvenuta il 21 dicembre del 1733, rito presieduto da monsignor Matteo Trigona, vescovo di Siracusa.

Nel 1767 con la Soppressione della Compagnia di Gesù, i religiosi Gesuiti sono costretti ad abbandonare la città. Le religiose teresiane subentrate nella gestione delle strutture hanno introdotto ed incentivato il culto di Santa Teresa d'Avila.

Le religiose provenienti dall'antico palazzo di monsignore Bonaventura Secusio, abitarono la sede gesuitica fino al 14 gennaio 1876, anno in cui furono trasferite nel monastero del Santissimo Salvatore.

Il 28 ottobre del 1876 fu attuato il progetto di restauro e riduzione dell'ex collegio - monastero per adattarlo a locali per istituto di Pubblica Istruzione. I lavori si protrassero fino al 1886.

Il terremoto di Messina del 1908 ha causato ulteriori distruzioni, il sindaco Luigi Sturzo suggerisce al Rettore di chiudere la chiesa, essa sarà riaperta al culto nel 1910. 

Nel 1921 la chiesa versava in uno stato di degrado avanzato, per la pubblica sicurezza si decise di togliere le statue che decoravano il prospetto, fu demolito l'antico campanile.

I bombardamenti aerei del secondo conflitto mondiale hanno arrecato danni nei prospetti, in particolar modo all'apparato decorativo della facciata. Il pomeriggio del 9 luglio 1943 delle fortezze volanti americane, nel tentativo di ostacolare l'avanzata della divisione tedesca, sorvolarono Caltagirone sganciando su di essa centinaia di bombe. Fu colpita la piazzetta antistante il prospetto e alcuni palazzi adiacenti, con lo spostamento d'aria il portone principale fu scardinato, il tetto dissestato e frantumati tutti i vetri.

Nel 1955 ha inizio un ciclo di restauri, completato nel 1959. L'inaugurazione della chiesa avvenne nel 1960, mentre nel 1980 il convento fu oggetto di restauri e consolidamento strutturale ad opera di Salvatore Boscarino.

Il prospetto è rivolto a sud - ovest, abside rivolta a nord - est. Il campanile è stato ricostruito a nord, estremità lato sinistro. Il tetto a falde presenta nel suo intradosso un soffitto a cassettoni di recente realizzazione.

La facciata è ripartita in due ordini, quello inferiore è il più antico. Il prospetto presenta nella partizione centrale un portale sormontato da finestrone con timpano ad arco. il telaio verticale del prospetto è costituito da una serie di tre lesene per lato al piano terra, che diventano due nel livello superiore. Fra coppie di lesene in nicchie sovrapposte sono collocate le statute di otto santi appartenenti alla Compagnia di Gesù. In basso a destra accanto al portale i cartiglio indica San Francesco Saverio. Degli altri sette, seguendo l'esposizione presente sulla facciata di Casa Professa, è verosimile identificare San Francesco RegisSan Giacomo KisaiSan Giovanni Soan di GotòSant'Ignazio di LoyolaSan Francesco BorgiaSan Paolo MikiSan Francesco de Geronimo o San Stanislao Kostka.

Due cornicioni - marcapiano separano i due ordini, due volute a ricciolo raccordano esternamente il secondo ordine al primo. Sulle mensole ricavate su ciascuna di esse, sono collocate rispettivamente le statue raffiguranti San Pietro e San Paolo. All'interno delle nicchie le sculture raffiguranti la Vergine Maria a sinistra, e San Giuseppe a destra.

Il portale presenta colonne binate con capitelli corinzi collocate su alti plinti. Il fusto inferiore presenta degli arabeschi, quello superiore è scanalato per i due terzi. L'architrave presenta dadi aggettanti sormontati da volute in rilievo, delimitate da vasotti fiammati e grande stemma intermedio sorretto da putti. La prospettiva si chiude con un frontone contraddistinto da lunetta centrale, delimitato da vasi fiammati e sormontato da croce apicale in ferro battuto.

Controfacciata: nel 1623 fu realizzata la cantoria lignea posta sopra l'ingresso principale, le due tribunette laterali ed il pulpito.

All'interno, ad unica navata, si possono ammirare le preziose decorazioni in stucchi e marmi, il soffitto a cassettoni, l'altare barocco con colonne tortili in marmo mischio, il fastoso pulpito in legno intarsiato e le pregevoli cappelle laterali tra cui si segnalano, in particolare, quella della Pietà e quella dedicata ad Ignazio di Loyola, fondatore dell'ordine dei Gesuiti, particolarmente elaborata e riccamente ornata. 

Nella vicina via degli Studi si erge il Collegio dei Gesuiti: particolarmente degni di nota i due portali attraverso cui s'accede ai due cortili un tempo non divisi. Si tramanda che il Collegio abbia avuto fra i suoi discepoli anche Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro

Nelle immediate vicinanze, in via Discesa Verdumai, dopo pochi gradini s'arriva davanti al Teatro Stabile dell'Opera dei Pupi. Il museo ha sede negli stessi ambienti che hanno ospitato la "primaria compagnia", nata nel 1918 grazie a don Giovanni Russo e attiva fino al 1989, anno della scomparsa di Gesualdo Pepe, che fino all’ultimo sarà regista, impresario, allestitore e soggettista del piccolo stabile calatino. 

L'esposizione ripercorre il cammino storico dell'opera dei pupi siciliani attraverso una collezione di oltre 120 pupi del periodo 1918-1920, cartelloni d'epoca, armature, costumi, scenari, rappresentazioni e supporti audiovisivi.  

Piazza Municipio un tempo era detta della Loggia per la presenza di una grande balconata dalla quale la nobiltà cittadina assisteva alle pubbliche manifestazioni. 

Sulla piazza s'affacciano alcuni degli edifici storicamente più rilevanti della città: il barocco Palazzo dei principi Interlandi Bellaprima o Palazzo dell'Aquila, oggi sede del Municipio, ridisegnato in linee neoclassiche ed arricchito da uno scalone dell'architetto Nicastro. Girando attorno al palazzo se ne può ammirare il retro in stile liberty; l'ex Palazzo Senatorio, poi trasformato nel Teatro Comunale Garibaldi ed oggi occupato dalla Galleria Luigi Sturzo; il Palazzo dei principi Gravina, oggi dei baroni Pace Gravina, in stile tardo rinascimentale, sul cui prospetto risalta il balcone sostenuto da decorativi mensoloni attribuiti ai Gagini; la Corte Capitaniale, in origine sede del Capitano di Giustizia, con seicentesche decorazioni, dei Gagini, alle finestre.

La chiesa di Santa Maria del Monte, l'antica Matrice, risale alla fine del medioevo ma oggi si presenta con l'aspetto conferitole dalla ricostruzione settecentesca. Fu probabilmente costruita utilizzando le pietre dell'antico castello di Caltagirone. Al suo interno sono custoditi un prezioso dipinto del XIII secolo raffigurante la Madonna di Conadomini, sculture cinquecentesche, una statua marmorea gaginesca del Quattrocento raffigurante la Vergine col Bambino ed una pittura lucchese del secolo XIII. La campana d'Altavilla, strappata ai musulmani dalla rocca di Judica al tempo del conte Ruggero, rappresenta ancora oggi il simbolo della memoria storica della città. 

Nel piazzale antistante la chiesa, alcune rampe di scale portano all'ex Istituto Salesiano di Sant'Agostino, luogo dove sorgeva l'antico castello. La chiesa di Santa Maria del Monte è uno dei pochi casi di edifici in cui la scalinata che la precede è più apprezzata della chiesa stessa. 

Di straordinario effetto visivo, le vivaci formelle che adornano la Scala di Santa Maria del Monte; sono tutte realizzate in maiolica e dipinte a mano, con motivi ornamentali che riflettono la storia della città e della Sicilia intera. Echi della sapienza greca, araba - cui si devono tecniche più avanzate per lavorare l'argilla locale e impiegare colori e smalti - normanna, genovese, spagnola si assommano in questo spettacolare capolavoro, ulteriormente valorizzato dalle migliaia di lumere che per alcune ore, a fine luglio, vengono accese la sera per celebrare il patrono.

Era stata originariamente costruita a sbalzi che ne interrompevano la pendenza da maestranze gaginesche coordinate dal capomastro regio Giuseppe Giacalone.

Nel 1844 furono unificate le varie rampe, su progetto dall'architetto Salvatore Marino. Nacquero così i 142 gradini della scalinata di Santa Maria del Monte, che dal 1954 è decorata interamente, nelle alzate dei gradini, con mattonelle di ceramica policroma prodotte dalla Maioliche Artigianali Caltagironesi. In ogni alzata di gradino è stato applicato un rivestimento di maiolica policroma, dello stesso tipo di quella che, nei secoli, ha reso famosa la città. I temi figurativi, floreali o geometrici, rappresentano nella serie di blocchi lo stile arabo, normanno, svevo, angioino-aragonese, spagnolo, chiaramontano, rinascimentale, barocco, settecentesco, ottocentesco, contemporaneo.

Le maioliche sono decorate con motivi isolani che vanno dal X al XX secolo, raccolti e adattati - si legge a piè di scala - da Antonino Ragona. L'effetto è mirabile e il colpo d'occhio davvero spettacolare.

La scala dei 142 gradini è annualmente illuminata il 24 ed il 25 luglio (per la festa di San Giacomo, patrono della città), da migliaia di lumini a fiammella viva. Poiché in questa occasione è interrotta ogni forma di illuminazione elettrica, il risultato visivo che ne deriva è una sorta di colata lavica, un fiume di fuoco che nella sua palpitante luminosità disegna eleganti figure decorative, frutto dell'abilità di un capomastro, agli ordini del quale lavorano diverse decine di addetti alla sistemazione delle lucerne. A formare il singolare arazzo di fuoco è un insieme di quattromila lanternine dette "lumere".

L'illuminazione della scala ha storia antica. Il primo ad aver pensato, verso la fine del 1700, ad un disegno luminoso, fu l'architetto Bonaiuto. Ma si deve ad un frate, Benedetto Papale, la scenografia della scala illuminata. Per quarant'anni il monaco disegnò motivi ornamentali, soprattutto floreali, di grande effetto. La sistemazione a disegno prestabilito della luminaria presuppone un mese di preparazione. Gli addetti se ne tramandano l'arte di padre in figlio.

Il momento della collocazione delle quattromila lucerne ("coppi") è assai curioso. Vi si assiste nel più rigoroso silenzio. È il capomastro a dirigere la "chiamata" del disegno, che consiste nel deporre lentamente i "coppi" al loro giusto posto. Emozionante è il momento dall'accensione: un gran numero di uomini, molti dei quali ragazzi, appostati lungo la scalinata, attendono il segnale convenuto (è fissato alle 21:30) per accendere gli stoppini con steli di piante secche, chiamati "busi". Le "lumere" s'accendono all'improvviso, una dopo l'altra, dando vita ad un impressionante serpente di fuoco. L'arazzo ha vita per un paio d'ore, nel corso delle quali una marea di spettatori s'assiepa festosamente ai piedi. In primavera (maggio-giugno), la scala decorata con composizioni floreali: migliaia di piantine in vasetto sono sistemate sui gradini col fine di comporre un determinato tema.

La scala, vera opera d'arte degli abili ceramisti locali, fu progettata nel Seicento per collegare la città bassa (piano di San Giuliano), e cioè la parte nuova della città, a quella alta, al centro storico, ed è costituita da una serie di centoquarantadue gradini in pietra lavica decorati, nel 1953, da mattonelle in maiolica nei tipici colori della ceramica di Caltagirone, fra cui prevalgono il verde, l'azzurro e il giallo. Ogni gradino è decorato con mattonelle diverse, con motivi geometrici o figure tratte dalla tradizione locale raccolti da Antonino Ragona. L'intera gradinata è suddivisa, per così dire, in settori costituiti da quattordici gradini in cui le decorazioni delle maioliche si richiamano a diversi periodi storici, dal X secolo ai nostri giorni. È un vero spettacolo di colori, ma ancor di più quando, in occasione della festa patronale di san Giacomo, che si svolge in luglio, viene illuminata da migliaia di lanterne di color bianco, rosso e verde disposte in modo da disegnare un'immagine.  

Quasi a metà della scala, in via del Carmine, sorge la chiesa del Carmine, su uno spiazzo dal quale si gode una bella vista sui tetti della città. La Chiesa dell’Annunziata, più comunemente detta del “Carmine" fu sede dei Carmelitani che giunsero in città intorno al 1396. L'Ordine dei carmelitani, sorto in Oriente nella seconda metà del XII secolo prese il nome dal Monte Carmelo in Palestina sul quale si raccolsero un gruppo di asceti che avevano partecipato alle crociate, si contraddistingue per una regola di vita fondata sulla contemplazione, il silenzio, la solitudine, la preghiera intensa. Oggi la chiesa, in parte ricostruita dopo il rovinoso terremoto del 1693 che sconvolse gran parte della Sicilia Orientale, si presente con un prospetto del settecento semplice e maestoso che rispecchia le regole dell'Ordine ed ornato da un portale in pietra dura opera di scuola gaginesca; i venti gradini della scalinata che consentono l’accesso alla chiesa esaltano le forme architettoniche e sottolineano la solennità del luogo di culto; quello che un tempo, poi, era il convento destinato ad ospitare l'Ordine dei Padri Carmelitani Scalzi e che si estendeva sulla sinistra fin quasi ad affacciarsi lungo la scalinata, dopo la ricostruzione dovute ai bombardamenti del 1943, fu adibito a scuola elementare.

La pianta della chiesa è a croce latina ad unica navata ed è caratterizzata da diciotto grandi lesene sormontate da eleganti capitelli in stile corinzio, mentre gli affreschi di Bernardino Dongiovanni, che, impreziosiscono la volta, raffigurano l’Incoronazione della Vergine Maria; ai lati, in due medaglioni, sono rappresentate figure femminili simboleggianti le due virtù teologali della Fede e della Carità.

Numerosi sono i tesori custoditi negli alteri laterali: quello di S. Teresina di Gesù Bambino, dove una nicchia custodisce la statua della santa, la Cappella dell’Annunziata con un quadro ad olio dipinto nei 1878 dai fratelli Vaccaro che raffigura la Vergine Maria inginocchiata, la Cappella di san Spiridone in cui è raffigurato il santo che indossa l’abito carmelitano ornato dalla croce abbaziale, l'artistico Crocifisso ligneo posto nelòl'altare a destra del presbiterio.

In fondo alla navata, nelle pareti del transetto, si trova un antico quadro ad olio con un’artistica cornice che raffigura la “Vergine tra i Santi” con Gioacchino e Sant’Anna ed in basso San Giuseppe, il profeta, Sisa, S. Alberto, Santa Teresa d’Avita e altri santi carmelitani.

Prima dell'arco maggiore, racchiusi in due comici in stucco, si trovano due quadri ad olio raffiguranti, a destra, S.Liborio Vescovo, a sinistra S. Sirmione Stoch carmelitano. La devozione alla Madonna del Carmelo è ancora oggi molto sentita dai calatini; in occasione della festa della Madonna del Carmelo che si celebra il 16 luglio a ricordo dell’apparizione delta Vergine a S. Simone Stoch (1251), numerosa è la presenza di fedeli che partecipano devotamente alle solennità del triduo di preghiera dedicato alla Vergine.

Alla base della scala, sulla sinistra, si trova la chiesa di San Giuseppe dalla caratteristica pianta centrica non comune nell'architettura siciliana. 

Il tempio fu costruito dal Comune di Caltagirone con delibera del 25 marzo 1572, in sostituzione della primitiva chiesetta di Santa Barbara. Le strutture della chiesa seicentesca furono rase al suolo dal terremoto dell'11 gennaio del 1693. Prontamente ricostruito, il tempio fu affidato alla Congregazione dei falegnami e degli ebanisti.

I lavori incominciarono nel 1746, i lavori furono affidati a Rosario Gagliardi. Nel 1751 l'architetto tornò a Caltagirone per realizzare la copertura centrale dell'edificio.

Nel 1863 Salvatore Strazzuso promosse il restauro ed il rinnovamento degli stucchi della chiesa. Il 16 novembre del 1881 l'architetto del Comune di Caltagirone, Gesualdo Montemagno, fu incaricato di progettare l'ingresso rimasto sopraelevato dai lavori di abbassamento della strada sulla quale prospettava.

Nel 1958 sul prospetto laterale fu collocato un pannello di maiolica, raffigurante San Giuseppe artigiano, mentre nel 1968 il prospetto principale fu restaurato ad opera della Soprintendenza ai Monumenti di Catania.

La pavimentazione in marmo fu rinnovata nel 1978. Alcune piastrelle di maioliche policrome, data d'esecuzione 1864, sono custodite presso il locale Museo statale della ceramica.

L'edificio presenta oggi un prospetto in conci di pietra d'intaglio con abside rivolta ad occidente, composto da due registri sovrapposti terminati da due piccoli campanili, nervature verticali costituite da paraste piatte, concave e convesse arricchite da capitelli corinzi. Il corpo centrale è aggettante rispetto alle strutture campanarie, reca al centro il grande portale d'accesso decorato da cornici e timpano ad arco, sormonta l'ingresso una finestra tamponata. Nel secondo ordine sfaccettato, delimitato in basso da un elaborato cornicione - marcapiano dalla ricca modanatura, è presente un grande oculo. Le celle campanarie laterali presentano grandi monofore e copertura a bulbo arricchite con sfere in pietra, pinnacolo e banderuola.

Tetto costituito da una grande calotta semisferica, il tamburo che la sostiene presenta delle finestre. Da due porte si accede anche a delle scale a chiocciola in pietra attraverso cui si ha accesso ai torrini campanari. L'entrata è posta ad un livello più basso del piano di calpestio, una breve scalinata la collega al portone scalinato che degrada sulla strada in forte pendenza.

Nel campanile, a destra del prospetto, vi sono due campane: la campana grande reca soltanto la data della fusione: 1760. Sulla campana mezzana si legge «Mariae Virginis Sponsori - Dicatum hoc aes - Rev.do Sac. Rectore Francisco Vaccaro. Anno 1816 - Acciaio (bronzo) di Gerbino Francesco - Caltagirone».

Edificio con aula unica a pianta decagonale con sviluppo a ventaglio sul lato occidentale in corrispondenza dell'abside, opera dell'architetto Rosario Gagliardi su spunti rinascimentali tratti dagli studi di Sebastiano Serlio e Andrea Palladio. La pianta centrica presenta quattro nicchie rialzate da un gradino e volta a cupola.

Il coro, posto in posizione sopraelevata rispetto all'entrata principale. Sopra il portale d'accesso alla navata è collocato un organo a canne, arricchito da custodia in legno intagliato e indorato ad oro zecchino.

La chiesa custodisce una piccola acquasantiera a muro posta sul lato destro dell'entrata.

L'altare si presenta come un ulteriore spazio rialzato di forma quadrata. Fu completato nel 1963 dalla Confraternita di Maria e Gesù utilizzando quattro colonne con capitelli, disassemblate dalla chiesa di San Gregorio e qui trasferite da padre Giacomo Cona. Nel coro esisteva un pavimento ideato e dipinto nel 1755 da uno dei maggiori esponenti coevi dell'arte della maiolica, Francesco Branciforti, compagno di lavoro di Nunzio Campoccia, zio del celebre maiolicaro Ignazio Campoccia.

La finestra posta sopra l'altare maggiore contiene un dipinto realizzato nel 1937 dal pittore Giuseppe Barone raffigurante la Sacra Famiglia con San Giuseppe nell'atto di svolgere la propria mansione di falegname. In basso l'iscrizione "QUOS RELUCTANTES PER AC(?)A RERUM URGET EGESTAS", sull'arco lo stemma con il motto "ITE AD JOSEPH - 1883".

La sopraelevazione con nicchia è costituita da colonne ioniche sormontate da capitelli corinzi e timpani sfalsati, architrave e frontone con stemma intermedio. Nella grande nicchia centrale è collocata la statua raffigurante San Giuseppe e Gesù fanciullo.

Effettuando una digressione sulla medievale via San Bonaventura si possono osservare i palazzi gentilizi Spadaro e Secusio. In fondo vi è la chiesa di San Bonaventura, eretta nel 1624, affrescata da Pietro Paolo Vasta ed ornata da pregevoli maioliche.

Nell'antico quartiere della Matrice il punto più panoramico è il piazzale che si apre a partire dalla via Sant'Agostino, nei pressi della quale si trova la chiesa di San Nicola, esistente già nell'XI secolo, che ha subito nel tempo numerose modifiche e parziali ricostruzioni. Il bel campanile è del Maruviglia. La chiesa ospita il Museo Etnologico Siciliano, una raccolta d'oggetti della civiltà rurale che prevalentemente risalgono al periodo fra Ottocento e Novecento. 

Da qui, percorrendo la via San Gregorio, si giunge ad una delle istituzioni più importanti della città, l'Istituto d'Arte per la Ceramica, fondato nel 1928 con lo scopo di contribuire all'incremento ed al perfezionamento dell'arte dei vasai ceramisti. L'Istituto accoglie, inoltre, un museo ed una biblioteca, che dispongono di una raccolta di ceramiche rare e di libri di grande valore documentaristico. Vi si trovano esposti anche i migliori lavori realizzati dagli allievi dagli anni cinquanta ad oggi. 

Accanto all'istituto si può ammirare la Torre di San Gregorio, un tempo campanile del monastero delle benedettine. L'ex Monastero e la Torre ospitano dal 1997 una mostra naturalistica permanente.

L'esposizione raccoglie reperti provenienti da varie zone della Sicilia ed in particolare dal territorio di Caltagirone. Il comprensorio è presentato in tutti i suoi aspetti, da quello geografico e geologico a quello biologico. Vi è la possibilità, per i gruppi e le scolaresche, d'assistere alla proiezione di audiovisivi e di svolgere attività didattica con materiali geologici e biologici predisposti allo scopo.

Attraverso immagini, schemi, cartografie, pannelli e bacheche interattive si passa dai pesci fossili ai minerali. Completano la mostra un vasto erbario e cinque bacheche con animali tipici dell'ambiente. 

Se, partendo da Piazza Municipio, si imbocca invece la via Luigi Sturzo, una delle più importanti della città, si entra nel quartiere San Giorgio.

Subito, sulla destra, s'incontra la chiesa del Purgatorio, il cui aspetto attuale si deve alla ricostruzione settecentesca e al cui interno si possono ammirare numerosi dipinti di pregevole fattura, realizzati dai fratelli Vaccaro.

A fianco di codesta chiesa, si trova la settecentesca chiesa di Santa Chiara, opera dell'architetto Rosario Gagliardi, caratterizzata dalla pianta ellittica ed arricchita da un bel pavimento maiolicato. Sul successivo tratto di via Sturzo s'affacciano numerosi edifici prestigiosi, fra i più notevoli Palazzo Aprile di Cimia e Palazzo Longobardi. 

Poco più avanti, proseguendo sulla medesima via, si trova Palazzo Vella o Magnolia, in stile liberty, caratteristico per la sua facciata in terracotta. A pochi passi si incontra il largo San Domenico dove sorgono, l'una di fronte all'altra, la chiesa di San Domenico e la chiesa del SS. Salvatore. La prima, attualmente adibita ad auditorium musicale, è stata eretta nell'Ottocento ed è caratterizzata da due campanili gemelli che affiancano il timpano di coronamento. La seconda, anch'essa ottocentesca, conserva una Madonna cinquecentesca di Antonello Gagini e la tomba di don Luigi Sturzo

Più avanti, sulla sinistra, si incontra l'ex Ospedale delle Donne, dal prospetto rinascimentale, disegnato dal Nicastro, decorato da medaglioni di terracotta in rilievo realizzati intorno alla metà dell'Ottocento dallo scultore S. Failla. Oggi è sede della Galleria Civica d'Arte Contemporanea, istituita nel 1996, che ospita una collezione permanente di opere dello scultore Ballarò ed un'esposizione antologica di opere d'artisti contemporanei, acquisite dalle Rassegne Nazionali della Ceramica a partire dagli anni ottanta, con una particolare attenzione alla produzione ceramica, con l'intento di creare un legame di continuità con questa secolare tradizione. La Galleria possiede una ricca biblioteca specialistica ed un archivio documentario e fotografico. In fondo alla via Sturzo si apre il largo San Giorgio dove sorge l'omonima chiesa. Della struttura originaria, risalente - secondo la tradizione - all'XI secolo ed attribuita ai Genovesi che in quel tempo si trovavano in città, sono visibili nell'attuale edificio alcune feritoie e il portale; da notare la bella torre campanaria coronata da merli. All'interno è conservato il Mistero della Trinità, dipinto fiammingo attribuito a Roger van der Weyden. Nel medesimo quartiere si trova la casa natale di don Luigi Sturzo, all'incrocio delle vie Edera e Santa Sofia.

Sempre da Piazza Municipio, il salotto della città, attraverso la via Vittorio Emanuele ci si può dirigere verso la Basilica di San Giacomo. Lungo la strada, che è meta del passeggio serale, sono allineati tanti negozi per lo shopping e bar e gelaterie per una piacevole sosta. 

Sulla sinistra s'incontrano una mostra permanente della ceramica ed un Presepe monumentale di 200 mq, il più grande d'Italia, che è animato da speciali effetti visivi e sonori e dotato di oltre cento figurine in terracotta colorata che riproducono scene di vita quotidiana. Sul lato opposto della strada sorge il Palazzo di conti Grifeo dei Principi di Partanna, un tempo residenza dell'antica famiglia nobiliare.

Pochi metri dopo, sulla sinistra si può ammirare il Palazzo delle Poste, pregevole edificio del XX secolo in stile liberty, opera di Saverio Fragapane. Proseguendo, sullo stesso lato s'incontrano le ceramiche d'arte Lucidi e, più avanti, lo studio d'arte di Salvatore Raimondo. 

Giunti in fondo alla via, sulla destra sorge la Basilica di San Giacomo, edificata in età normanna per volere del conte Ruggero e ricostruita dopo il terremoto del 1693 dall'architetto agrigentino Simeone Mancuso sulla pianta originaria. Sulla facciata si mettono in evidenza massicce colonne marmoree. Al suo interno sono custodite opere dei Gagini come il portale del Reliquiere nella navata di sinistra, l'arco della Cappella del Sacramento e l'arca argentea delle reliquie di San Giacomo. Sin dal 1518, in occasione della festa patronale, nel piazzale antistante la Basilica si svolgeva una grande fiera dove venivano esposte le più svariate mercanzie, fra cui i caratteristici fischietti di terracotta.  

Il cimitero di Caltagirone venne realizzato nella seconda metà del 1800. Si trova nella via Nicastro, a tre chilometri dal centro abitato. Viene chiamato cimitero del Paradiso, dal nome della contrada omonima in cui sorge. Fu dichiarato monumento nazionale nel 1931.

Nel 1852, don Pasquale Gravina, un nobile calatino, invitò l'architetto Giovan Battista Filippo Basile a realizzare un progetto per il camposanto di Caltagirone, ma il piano realizzato da costui non ebbe seguito, perciò nel 1866 la progettazione venne affidata all'architetto Giovan Battista Nicastro che due anni prima aveva realizzato il palazzo di Città.

Nel 1875 i lavori erano già in stadio avanzato e si presentava come è nei tempi odierni ad eccezione della chiesa centrale. Il complesso, realizzato in stile gotico-siciliano, ha pianta quadrata con croce greca costituita da 170 arcate, che vanno a formare i portici che costituiscono le quattro vie principali.

L'architetto Nicastro utilizzò materiali facilmente reperibili in Sicilia, quali la pietra bianca del ragusano, la pietra lavica e la terracotta, per la quale fu richiesta l'opera di: Enrico Vella, Giuseppe Di Bartolo e Gioacchino Alì. L'area del cimitero, inizialmente di ventimila metri quadrati, è stata in seguito notevolmente ampliata.

Il cimitero è ricco di pitture, sculture, fregi e capitelli, che lo rendono monumento nazionale e meta di visitatori italiani e stranieri. Lungo l'asse nord-sud vi sono gli elementi più importanti: il portico d'ingresso, il Famedio, l'Ossario, interrato e posto al centro della croce greca nella piazza ottagonale. Vi sono diverse cappelle gentilizie liberty realizzate dall'architetto Saverio Fragapane.  

Il centro storico sorge a tra i 600 e i 700 metri d'altitudine; fino al primo dopoguerra era l'unico insediamento urbano, ed ha origini millenarie. Nel settore orientale vi è il quartiere San Giorgio che prende nome dall'omonima chiesa, la più importante della città. Il centro storico è ricco di numerose chiese e diversi monumenti, oltreché le principali istituzioni ed enti (comune, teatro, banche e assicurazioni).

A sud vi sono le aree urbane più basse rispetto al centro storico, vale a dire il quartiere Acquanuova, San Pietro e San Francesco di Paola, nella quale si trova il giardino pubblico, considerato il polmone verde della città.

Per quanto concerne la planimetria, il centro storico di Caltagirone è disposto ad anfiteatro. È una delle poche città della Sicilia centro-orientale ad aver conservato, dopo il terremoto del 1693, parte delle testimonianze dell'arte e dell'architettura medievali e, soprattutto, la tipologia dell'abitato.

Un'altra importante attrazione della città è rappresentata dalla ceramica, risalente al V secolo a.C.: oltre alla visita del Museo della ceramica, questa parte di città testimonia la presenza di questa tradizione, come si può notare in alcuni edifici e monumenti; tra questi, vanno menzionati la Cattedrale di San Giuliano, con il campanile e la cupola decorate in maiolica, la chiesa di San Pietro, esempio di neo-gotico adattato alla realtà locale (evidenti gli inseri in ceramica policroma) e il ponte di San Francesco, decorato con raffigurazioni araldiche e di motivo.

Alle spalle del Museo della Ceramica si trova la Villa Vittorio Emanuele, risalente al XIX secolo: è uno dei giardini pubblici più grandi della Sicilia, ed è caratterizzato da una considerevole presenza di vegetazione, nonché di ampi spazi ricreativi.

Per carruggi s'intendono in generale le strade, i larghi, i vicoli e i ronchi del centro storico della città, datati presumibilmente all'XI secolo, di natura simile alle kasbah arabe. Il termine è una sicilianizzazione del termine ligure caróggio: molto probabilmente la loro costruzione può essere attestata ai coloni liguri che lì si stanziarono. È molto probabile che essi siano stati costruiti anche per natura difensiva, dato che ai tempi si susseguivano battaglie tra normanni e saraceni. Queste si sono conservate, nonostante nel tempo la città sia stata investita da una generale distruzione a seguito del Terremoto del Val di Noto del 1693.

Sono caratterizzati dalle loro anguste proporzioni, specialmente in larghezza, che li rendono spesso di difficile transito per i mezzi e in alcune occasioni anche per le persone. Sono le più tipiche e comuni tipo di vie presenti all'interno dell'antico centro cittadino, che ne caratterizzano l'intero aspetto generale. Alcune di queste permettono il transito dei veicoli, mentre altre sono esclusivamente di tipo pedonale. I carruggi possono essere sia vie in basolato che a scale, anche se alcune se ne possono incontrare asfaltate.

Sant'Ippolito è un sito archeologico preistorico. Si trova a circa 4 km a nord-est rispetto all'abitato moderno, su una leggera elevazione di natura gessosa (400 m s.l.m.), con pendici scoscese, chiamata collina di Sant'Ippolito o colle del Bersaglio, nella valle del torrente Caltagirone.

Nel XIX secolo vi era nota la presenza di manufatti e gli scavi, condotti nel 1928 da Paolo Orsi rivelarono la presenza di due villaggi di epoca neolitica e calcolitica e di tracce di frequentazione fino al VII secolo a.C., epoca dell'arrivo nella zona della colonizzazione greca.

Il villaggio neolitico venne rinvenuto su un pianoro del pendio orientale, lambito da un piccolo corso d'acqua e restituì fondi di capanne, resti di focolari, frammenti di asce e punte di freccia in pietra e frammenti ceramici del tipo detto "di Stentinello", decorati con semplici motivi geometrici incisi o impressi. La necropoli del villaggio comprendeva alcune tombe del tipo detto "a forno", scavate sul pendio dal lato opposto del corso d'acqua.

Sulla cima del colle, già frequentata in epoca neolitica, come provano i ritrovamenti di ceramica di Stentinello, si insediò nell'età del rame un secondo villaggio, più esteso del precedente, che sembra essere rimasto attivo fino all'età del ferro. Vi è stata identificata dall'archeologo Luigi Bernabò Brea una facies culturale datata tra il 2000 e il 1800 a.C., che avrebbe preceduto quella di Castelluccio e che ebbe rapporti con il mondo egeo e anatolico.

Il sito ha restituito una tipica produzione di ceramica ("ceramica di Sant'Ippolito") dipinta con motivi di linee e triangoli in colore scuro su fondo giallo-rossiccio. Forme tipiche furono una fiaschetta con corpo ovoidale e unica ansa, un vaso emisferico con beccuccio cilindrico e fruttiere con basso piede conico, che richiamo modelli orientali. Sono presenti anche recipienti a partizioni multiple di uso incerto. La ceramica di Sant'Ippolito sarebbe stata collegata alla successiva "ceramica di Castelluccio".

I materiali scavati nel sito sono conservati nel Museo archeologico regionale "Paolo Orsi" di Siracusa e nella stessa Caltagirone nel Museo della ceramica e nella sezione archeologica dei Musei civici.

Poco più a nord, in contrada Montagna, dai 77 metri di poggio Rocca fino ai 600 dei poggi Valfà e Mantina, si estende una grande necropoli di epoca siculo-greca. Le tombe sin qui esplorate risalgono ad anni compresi tra il II millennio e il VII secolo a.C. I sepolcri a thòlos sono scavati nella roccia.

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