Chiesa
di Santa Maria Assunta
La
tradizione e la pietà popolare vogliono che l’edificazione dell’attuale
tempio sia legata al culto mariano locale e all’episodio della dolce
leggenda del pastorello e della Madonna del “Pileri”, tramandatasi fino
ai nostri giorni con diverse varianti. Tuttavia, le argomentazioni espresse
nella narrazione leggendaria sono cronologicamente incompatibili sia con gli
elementi architettonici più antichi, sia con quelli stilistici
dell’affresco raffigurante la stessa Madonna del “Pileri”.
La scarsità
di documenti antecedenti il secolo XVI priva la nostra conoscenza delle
antiche vicende costruttive del manufatto. In tal senso, la prima e più
antica fonte è un’epigrafe posta sotto l’attuale sacrestia in cui si
attesta che il tempio venne ultimato nel 1239. L’iscrizione pubblicata da
Walther Leopold nel 1917, recentemente interpretata, ci trasmette anche il
nome “Bartholomeus”, il probabile artefice dell’opera.
La
configurazione icnografica, le tre absidi romaniche di forma semicircolare e
la parte esterna del transetto, le cui pareti frontali sono in asse con i
muri esterni delle navate laterali, sono gli elementi architettonici che
hanno conservato meglio i caratteri originari del periodo medievale.
Nonostante le sovrapposizioni stratificatesi nel corso dei secoli (dal XIII
al XVI), tanto la volumetria quanto alcuni elementi decorativi riflettono
l’arte sviluppatasi sotto l’imperatore Federico di Hohenstaufen e per
tale ragione la basilica Santa Maria di Randazzo può considerarsi tra le più
significative e pregevoli architetture medievali della Sicilia.
Dal
punto di vista planimetrico l’edificio presenta il consueto schema
basilicale: un corpo longitudinale a tre navate con transetto e tre absidi.
Il corpo longitudinale è diviso in navate da due file di colonne con
capitelli di ordine corinzio sormontati da “dadi” brunelleschiani su cui
poggiano le imposte degli archi a tutto sesto.
L’effetto
ottico dell’originaria architettura esterna è straordinario. Il compatto
paramento murario, costruito con pesanti blocchi squadrati di pietra
basaltica di lava nera di diversa misura, fa sembrare la costruzione
straordinariamente imponente. La sua particolare articolazione formale
accentua il carattere di “chiesa-fortezza”, messo in risalto anche dai
merli decorativi posti sopra le piccole absidi laterali.
L’abside
mediana, con la sua mole, si innalza quasi fino all’altezza del
coronamento del transetto e presenta, nel margine superiore, un robusto
cornicione romanico ad archetti pensili ciechi che danno l’impressione di
una loggia in miniatura. Anticamente le semplici finestre con arco a tutto
sesto delle tre absidi, come si evince dal paramento murario esterno,
avevano tutte lo stesso stile gotico. Tuttavia, in epoca a noi ignota
l’antica finestra gotica dell’abside mediana è stata sostituita da una
grande monofora tuttora visibile, che presenta nell’incorniciatura esterna
modanature simili a quelle delle finestre della sacrestia e dell’ex
monastero di S. Giorgio in Randazzo.
Sopra la
zoccolatura delle absidi si aprono le finestre rettangolari che illuminano
la cripta il cui ingresso è collocato a livello del suolo, nel fianco
meridionale del transetto. Fra la porta di ingresso alla cripta e la
cantonata di sud-est si apre un’altra finestra rettangolare. Questo
semplice ma efficace sistema di aperture strombate consente
l’arieggiamento e l’illuminazione dell’ambiente seminterrato. La
cripta, ancora esistente sotto il transetto e le absidi, forse in origine si
estendeva molto di più sotto la chiesa, ma l’aggiunta della cupola rese
necessario rafforzare le fondamenta e così una parte di essa è stata
murata. Recenti indagini strumentali parrebbero confermare l’ipotesi di W.
Leopold secondo cui l’arco nella parete occidentale della cripta dava
accesso ad una scala che collegava l’ambiente sotterraneo al presbiterio.
Il lato
meridionale del transetto presenta una trifora circa alla stessa altezza
delle bifore al di sopra delle absidi laterali. Accanto a questa, nel
dopoguerra, venne realizzata una bifora al posto dell’apertura a lunetta
risalente all’epoca della costruzione della cupola. A metà altezza, verso
la cantonata di sud-est, invece, si trova una grande bifora con arco a tutto
sesto e con una massiccia decorazione floreale a rilievo, inscritta dentro
un’apertura a sguancio con arco a tutto sesto. Circa alla stessa altezza,
verso ovest, troviamo una piccola finestra gotica, oggi murata, anch’essa
a tutto sesto.
Degna di
nota è la piccola bifora occlusa sormontata da una modanatura aggettante ad
arco carenato la cui particolare conformazione, tuttavia, risulta essere in
contrasto con le altre forme ancora completamente romaniche.
Le due
navate laterali presentano esternamente un portale ciascuna ed una teoria di
finestre a tutto sesto risalenti al periodo barocco, collocate circa un
metro sotto la linea dei doccioni. Entrambi i portali danno accesso al corpo
longitudinale dell’edificio e sono posti ad una quota più alta rispetto
al piano delle relative strade. I due livelli, quello dalla strada e quello
della soglia dei portali, sono collegati attraverso una scalinata con
ringhiera.
Il portale
meridionale, di per sé, presenta un’architettura a doppia lunetta che
ricorda, nelle colonne tortili e ornate e nella decorazione, lavori
dell’arte cosmatesca.
Il lato
settentrionale mostra, parimenti, un portale simile nello schema
architettonico a quello meridionale. Originariamente era collocato nella
parte sud dell’antico prospetto principale con la torre campanaria da dove
fu rimosso durante il rifacimento del nuovo campanile. Nel 1910, in
occasione dei lavori di consolidamento del fianco settentrionale della
chiesa, l’attuale portale settentrionale è stato qui rimontato al posto
di un precedente portale dalle linee decorative sobrie e quindi più
aderente al carattere stilistico architettonico dell’edificio. Questo, a
differenza del portale meridionale, sopra l’architrave, ha l’arco a
sesto acuto e nei pennacchi al di sopra di esso una grossolana decorazione
floreale, che si ritrova anche nella grande bifora sul lato meridionale del
transetto. Nonostante la diversità del sesto dell’arco, acuto in uno e a
tutto sesto nell’altro, con ogni probabilità, i due portali risalgono
all’inizio del XVI secolo.
L’elegante
scudo in marmo bianco con il leone nella cantonata sud-est, emblema di
Randazzo, è assimilabile agli stemmi che nel Medioevo ornavano in gran
numero le case dei notabili.
La facciata
settentrionale del transetto, la cui superficie esterna per buona parte è
occupata dall’attuale sacrestia, mostra un’antica trifora che si trova
in alto ed una bifora posta poco più in basso simmetrica a quella del lato
sud, realizzata durante i lavori di restauro post-bellico al posto
dell’apertura a lunetta.
L’interno
è stato rimaneggiato nel corso del XVI secolo con un accurato intervento
che ha saputo mediare l’originaria impostazione medievale e
l’articolazione delle forme e dell’espressività di matrice
rinascimentale. Infatti, le più significative modifiche strutturali sono
state apportate per la costruzione della cupola collocata sopra il transetto
nel tardo XVIII secolo. Questa struttura, che deturpa l’antico equilibrio
volumetrico e compositivo dell’edificio medievale, si distacca nettamente
dal linguaggio architettonico espresso dal resto della costruzione.
Prima dei
rifacimenti interni, la navata centrale come anche le navate laterali
avevano, con ogni probabilità, un soffitto ligneo a capriate a vista. Oggi,
la navata centrale è coperta da una volta a botte affrescata con una serie
di scene tratte dalla storia della Madonna dall’artista Filippo Tancredi.
L’attuale
torre campanaria posta nel prospetto occidentale è stata ultimata nel 1863.
Sebbene costruita secondo lo spirito gothic revival con elementi lapidei
bicromi riproduce, tuttavia, lo stile architettonico e l’articolazione
dell’originario campanile gotico. Della precedente torre campanaria si
conservano solo pochi avanzi: oltre il portale oggi montato nel prospetto
settentrionale si sono tramandati due elementari disegni, uno di Cristoforo
Vanaria e l’altro dell’arciprete Giuseppe Plumari, ed un accurato
rilievo dell’architetto Sebastiano Ittar che documenta, con esattezza, lo
stato del vetusto prospetto occidentale che ospitava la vecchia torre
campanaria. Nell’originario campanile era murata un’epigrafe, purtroppo
andata dispersa, posta in risalto a destra dello strombo del portale
maggiore della chiesa. L’iscrizione recava il nome “Martinus Tignosus”
riferibile, con ogni probabilità, al magister o architetto esecutore della
primitiva costruzione.
La
sacrestia, addossata alla parete frontale esterna nel lato settentrionale
del transetto, è stata ricostruita dopo una forte tempesta di vento e di
acqua scatenatasi nel gennaio del 1671 che ne provocò la distruzione della
precedente. Il progetto, di evidente ispirazione toscana, fu redatto
dall’artista messinese Agostino Scilla, mentre la costruzione venne
eseguita tra il 1672 ed il 1679. Questa suggestiva architettura si erge,
come corpo autonomo, su una piccola loggia generata da tre archi a tutto
sesto con pulvino appena accennato. Sui lati est ed ovest le arcate ad ampia
corda si riducono a due, prendendo le sembianze di un arco ribassato.
Originariamente
la sua funzione fu quella di ospitare il Tribunale Ecclesiastico cittadino
dove si giudicavano i delitti contro la fede. Per questo motivo, nel
linguaggio locale, è detta anche “Tribonia”. Esternamente, ciascuna
delle tre pareti, è adornata da due finestre timpanate circoscritte da
grate in ferro. Il pianterreno, strutturato in due vani a fornice di
differente quota, oltre ad ospitare le antiche epigrafi che documentano la
data di ultimazione della parte più antica del tempio, accoglie il carro
della “Vara” ed i massicci tronchi di colonne basaltiche di lava nera
richieste, nel 1611, dall’arciprete Romeo a tale Pietro Cariola (carraio)
che li portò da Maniace.
Il primo
piano, suddiviso in tre ambienti di diversa superficie, è comunicante con
il corpo principale della chiesa. Tuttavia, il piano di calpestio di
quest’ultima si trova ad una quota inferiore di circa un metro rispetto a
quello della sacrestia, per cui i due ambienti sono accessibili attraverso
alcuni gradini.
La
semplicità degli altari, che sono un’armoniosa composizione di lava nera
e marmi policromi, è in contrapposizione con la vistosità e lo splendore
dei quadri di artisti autentici che hanno in essi profuso non solo la loro
arte, ma soprattutto il loro animo e la loro fede.
La chiesa
è ornata di ben tredici quadri, appartenenti a diversi grandi autori.
Primo fra
tutti per il numero dei quadri è Giuseppe Velasques, siciliano, pittore
dell’ultimo settecento: artista manierato ed equilibrato, gran maestro del
disegno e sapiente intenditore dei colori. Sono della sua mano sei tele,
delle quali due firmate; Martirio di S. Giacomo, Annunciazione, Assunzione,
Incoronazione di Maria e soprattutto il Martirio di S. Andrea che egli volle
firmare perché lo considerò come l’opera sua maggiormente riuscita, per
cui pretendendo un compenso maggiore dai procuratori della chiesa, venne in
lite con essi e ne pagò le spese il quadro della Sacra Famiglia che rimase
incompleto, anzi addirittura rovinato dal pittore indispettito.
Un altro
grande artista ci ha lasciato la tavoletta più preziosa della chiesa,
l’Alibrandi, il Raffaello siciliano. A lui si deve la lunetta del Miracolo
di Maria Vergine che libera dalla lava la città di Randazzo.
Altri bravi
pittori sono: Giovanni Caniglia con l’Assunzione di Maria; Onofrio
Gabrielli da Messina con il Martirio di S. Agata e di S. Lorenzo; Daniele
Monteleone con il Martirio di S. Sebastiano; un Vanni del secolo passato con
una Madonna col Bambino, dipinto per sostituire il vecchio e rovinato
affresco della Madonna del Pileri; un Finocchiaro, randezzese del primo
novecento, con il Battesimo di Gesù; e soprattutto il fiammingo Van
Hombraken, con una squisita Crocifissione, in cui un sapiente uso di
chiaroscuri fa del quadro una genuina opera d’arte; ed infine un ignoto
autore con la Pentecoste.
I quadri
firmati dall’autore sono quelli di S. Andrea, come abbiamo detto, e
dell’Assunzione.
La basilica
possiede anche un tesoro artistico di grandissimo valore e ottima fattura,
che rendono alcuni pezzi una rarità. Tra tutti, il più importante è un
libretto di preghiera della baronessa Giovannella de Quatris. Nel libretto,
esternamente, ci sono valve in avorio scolpito e all'interno foglietti in
pergamena con miniature riferite alla Madonna e alla Passione di Cristo.
Un altra
opera di grande valore è il Calice di Pietro II d'Aragona, datato intorno
al secolo XIV. Un valore aggiunto all'opera, lo danno i fini smalti che
lo adornano.
Pregevole
l'ostensorio da processione, alto m 1.50, in argento dorato. E' un'opera del
1567. Altra opera di valore, un paliotto d'altare ricamato in oro e cosparso
da perline autentiche.
Una collana
d'ambra e vari oggetti d'avorio, una mazza in argento massiccio, ostensori e
reliquiari, sono altri oggetti che vanno a chiudere questo immenso tesoro.
Chiesa
di San Nicolò
La
Chiesa di San Nicola (o di “San Nicolò“) è la più grande
di quelle presenti nella cittadina, e tra quelle di maggiori dimensioni
dell’intera Diocesi.
Costruita
nel XIII secolo, la chiesa è stata più volte ristrutturata, a seguito di
danneggiamenti dovuti a terremoti, guerre e bombardamenti.
Per
questo motivo, l’edificio mostra oggi elementi caratteristici di diversi
stili architettonici. La facciata, prevalentemente in pietra lavica, è
chiaramente tardo-rinascimentale.
Lo
splendido campanile originario trecentesco è andato purtroppo distrutto a
seguito del terremoto del 1693. Quello attualmente presente, un po’
“mozzo”, è di origine settecentesca, e non è mai stato ultimato. La
cupola è invece stata costruita soltanto nel 1904.
La
chiesa di San Nicola custodisce al proprio interno opere di grande valore.
Tra queste,
-
la statua marmorea di San Nicola di Bari di Antonello Gagini (1523),
-
la Custodia del Sacramento sempre dei Gagini,
-
un Fonte battesimale in arenaria del XIV secolo,
-
un Crocifisso dipinto su tavola (XVI sec.),
-
un trittico di scuola antonelliana con la Madonna tra S. Lucia e S. Agata,
-
un retablo (XV sec.), raffigurante la Madonna col Bambino, S. Giacomo, e
storie,
-
la tela del «Cristo crocigero» di Onofrio Gabriele,
-
la Trinità di Giuseppe Tomasi (1651),
-
una Madonna di marmo, già nella chiesa di S. Domenico.
Chiesa
di San Martino
La
Chiesa di San Martino è un altro dei principali luoghi di culto di
Randazzo, nonché uno dei più antichi: la sua struttura originaria, ad una
sola navata, risale infatti al V secolo.
Nel
XII secolo, la chiesa fu poi ampliata con due ulteriori navate, mentre una
quarta fu aggiunta nel corso del 1600.
Attualmente,
la chiesa di san Martino mostra prevalentemente uno stile barocco. Sulla sua
elegante facciata, spicca la presenza di 12 miniature in arenaria che
rappresentano santi e martiri.
Alto
ben 41 metri, il campanile della chiesa di San Martino è considerato dagli
esperti tra i più belli della Sicilia. I suoi 4 piani fanno riferimento ad
epoche diverse: la parte più bassa risale addirittura all’anno mille.
L’interno
della chiesa di San Martino è a croce latina e caratterizzata da una doppia
fila di colonne in pietra lavica.
Purtroppo,
la chiesa è stata seriamente danneggiata dai bombardamenti anglo-americani
nel corso della seconda guerra mondiale. Questi tragici eventi hanno
comportato la distruzione di molte opere d’arte allora contenute al suo
interno.
Tuttavia,
sono sopravvissute alcune opere marmoree risalenti al XIV e XVI secolo come
-
il Fonte Battesimale in marmo di Angelo Riccio (1447),
-
l’Acquasantiera a forma di calice di giglio,
-
la statua della Madonna della Misericordia e la statua della Madonna delle
Grazie.
-
il Crocifisso del Matinati (1530), che secondo la leggenda non volle più
andarsene da Randazzo.
-
un quadretto con la Pietà del XV sec.,
-
il Ciborio gotico di marmo bianco traforato,
-
un polittico attribuito ad Antonello da Saliba (XV secolo), con la Madonna
tra S. Maddalena e S. Marta,
Chiese
minori e monasteri
Nel
suo comprensorio Randazzo un tempo contava 100 chiese. Sulla collina dove
ebbe sede il quartiere ebraico, è visibile l’ex Monastero benedettino e
la chiesa di San Giorgio, recentemente acquisito dal Comune, con la sua
abside massiccia, la torre slanciata, ed il prospetto su cui si possono
ancora ammirare le finestre ed il portale secentesco in pietra lavica.
Chiesa
di Maria SS. Annunziata (XIV-XIX sec.)
- Ha un maestoso portale lavico, ed all’interno il pregevole gruppo
scultoreo dell’Annunciazione (Scuderi, 1840), che viene portato in
processione tutti gli anni, la prima domenica di giugno; due tele di Onofrio
Gabriele, e una tavola dipinta con la scena dell’Annunciazione (sec. XVI)
Chiesa
del Collegio S. Basilio (SS. Salvatore)
- Annessa all’istituto dei Salesiani, con la severa facciata
neoclassica del Marvuglia (1760-92) e pregevoli tele dell’800 (Patania e
altri).
Chiesa
di S. Francesco di Paola
- Adiacente all’Ospedale dei poveri, oggi civile, rifatta dopo la
seconda guerra mondiale, la Chiesa dei Cappuccini, collegata al Convento
francescano, alla sommità di una lunga scalinata fuori Porta S.Martino, con
una Trasfigurazione del 1612 (Lanfranco).
Chiesa
di S. Pietro
- Il cui impianto originario risale forse al XIII secolo,
ristrutturata nei sec. XVII-XVIII: oltre a una statua di S. Pietro (1766)
ospita quella dell’Addolorata, del ‘700, ed il Crocifisso ligneo del
‘600, che vengono portati in spalla dai devoti durante la suggestiva
processione del Venerdì Santo. Nei pressi vi sono i resti del Convento dei
Minori Osservanti e della chiesa di S. Maria di Gesù, dove si trovavano le
sepolture delle famiglie patrizie. La chiesetta di San Gregorio, un tempo
cappella della famiglia Fisauli, di cui è tuttora visibile il tiburio
poligonale.
Chiesa
del Sacro Cuore
- Edificata negli anni fra le due guerre, nel quartiere omonimo, di
recente espansione urbana e demografica, e la cui facciata, incompiuta,
riproduce fiaccamente quella di S. Maria.
Santuario
di Maria SS. del Carmelo
- Un tempo contiguo al Convento di S. Michele dei Carmelitani, dove
visse e operò nel XVI sec. Il Beato Luigi Rabatà, e in cui si venera una
statua in marmo della Madonna del Carmine, di scuola gaginesca (XVI sec.).
Chiesa
di S. Giacomo (XVI sec.)
- Oggi sede della scuola musicale Erasmo Marotta, la Chiesetta di S.
Maria della Volta del XIV sec., restaurata assieme alla Via degli Archi,
forse un tempo cappella privata, è un vano rettangolare ad una navata, con
due portali a sesto acuto di diversa grandezza, la chiesa di Santa Barbara,
con tele del XVII secolo, e infine, nella frazione di Montelaguardia,
CristoRe, con sull’altare maggiore un pregevole pannello di ceramica
policroma, raffigurante Cristo Re, ed altre opere dell’artista
contemporaneo Nunzio Trazzera.
Palazzi
e Musei

Palazzo
Lanza - È
una casa patrizia del ‘300, il poco che ne resta ci testimonia gli antichi
fasti: i due portali a sesto acuto del piano terra, le feritoie, il
marcapiano sostenuto da archetti pensili in bicromia, le sontuose
decorazioni floreali e sculture geometriche del primo piano, con le tre
bifore mitrate.
Palazzo
Clarentano
- Edificato nel
1509 e ben conservato. Sul prospetto principale al piano terra vi è un
portale con arco a sesto ribassato e due finestre in arenaria scolpita, una
cornice marcapiano con iscrizione latina, ed al primo piano le tre bifore
con una sottile colonnina in marmo. Interessante pure il prospetto sulla via
Clarentano, con due portali asimmetrici, una finestra cieca di pomice
vulcanica ed una di arenaria, scolpita a motivi floreali.
Palazzo
Rumolo - Sostanzialmente
rifatto, ma che conserva ancora al piano terreno due sale dalle austere
volte a crociera in nera pomice lavica, sostenute da colonnine con capitelli
in arenaria scolpita.
Palazzo
Comunale - Ex
convento dei Frati Minori Conventuali, che vi ebbero sede fino al 1866,
quando a seguito della soppressione delle corporazioni religiose, venne
confiscato e poi ceduto al Comune. Restaurato nel 1983, presenta al piano
terra un interessante chiostro con cisterna al centro della corte, sulla
quale si affacciano due fughe di armoniose finestre serliane in pietra
lavica, sul prospetto laterale una veranda ad arco con balaustra. Il
prospetto che si affaccia sulla piazza antistante, là dove esisteva la
chiesa di S. Francesco d’Assisi, distrutta dai bombardamenti del 1943, è
stato rifatto, con criteri moderni, ma non dissonanti, sul finire degli anni
’80, mentre nell’ottobre 1992, proprio davanti all’ingresso del lato
est del Palazzo, è stato collocato il gruppo bronzeo Pace, Amore e Libertà,
opera dello scultore randazzese Nunzio Trazzera.
Palazzo
Reale - Edificato
sotto i Normanni, pare abbia ospitato Re e Regine. Danneggiato da guerre e
terremoti, ne rimane inalterato l’esterno del primo piano, dalle
modanature intarsiate in pietra bicroma, motivo ornamentale ricorrente anche
in
S. Martino, cornicette laviche, e bifore bianco-nere con finestrina
centrale. Una curiosità: sulla via laterale la finestra accecata, da cui si
sarebbe affacciato l’imperatore Carlo V quando nel 1535 visitò Randazzo e
si rivolse ai cittadini, nominandoli tutti “cavalieri”.
Museo
dei Pupi Siciliani
- Il Museo ha oggi sede nell’ex
macello comunale, presso Largo S. Giuliano. La collezione consta di 39
pezzi, “i pupi”, dall’immenso valore artistico e culturale.
I
pupi sono stati realizzati tra l’800 e il ‘900 dai pupari della
Scuola catanese: lo scultore Puddu Maglia ed Emilio Musumeci, famoso come
scultore di teste, costruttore di armature, pittore di scene e parlatore. I
costumi delle marionette sono fatti in stoffa pregiata e le armature di
metallo cesellato.
I
Pupi esposti al museo rappresentano i personaggi della Chanson de Roland,
che narra le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini.
Il
Comune di Randazzo acquistò la collezione in due momenti diversi, una prima
parte di 22 pupi nel 1985 e i successivi 17 nel 2005.
Museo
di Scienze Naturali di Randazzo
- Istituito nel 1983, è ad oggi
uno dei più importanti dell’intera provincia di Catania.
Le 4 sezioni principali in cui è articolato sono dedicate alla fauna
terrestre, alla fauna marina, all’ornitologia ed alla geologia. La
collezione, che consta di circa 2000 esemplari imbalsamati, è
prevalentemente incentrata sulle specie autoctone dell’Etna, dei Nebrodi e
dei Peloritani. Tuttavia, non mancano alcune specie esotiche, come lo
struzzo, la gazzella, il leopardo ed il giaguaro.
Tra
gli esemplari esposti, ve ne sono alcuni ormai estinti. A questo proposito,
è molto interessante il triste diorama che spiega l’estinzione del
grifone di Alcara Li Fusi: nel 1965 gli ultimi esemplari rimasti morirono
avvelenati per aver ingerito del veleno per volpi.
Il
museo ospita anche una collezione di farfalle e coleotteri provenienti dalle
più alte quote dell’Etna e delle Madonie.
Casa
della Musica e della Liuteria Medievale
- L'edificio sorge in via S.
Caterinella, all’interno di una storica costruzione del XII secolo,
probabilmente adibita in origine ad alloggio militare.
Dal
2009, questo museo/laboratorio offre un’esposizione permanente degli
strumenti utilizzati dall’uomo per produrre musica, dalla preistoria fino
al Medioevo.
Si
parte quindi da conchiglie, ossa e mandibole di animali, per poi passare ad
oggetti naturali grossolanamente modificati per ottenere suoni, come le
tibie di animali forate al fine di ottenere dei flauti. Infine si giunge
agli strumenti musicali veri e propri tipici del Medioevo, come la ghironda.
Il
gestore del museo, creatore egli stesso degli strumenti musicali a partire
da materiale raccolto nei dintorni e riciclato, durante la visita illustra
tutti gli strumenti presenti, ne spiega l’origine e la funzione e,
soprattutto, li suona!
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