Il
toponimo potrebbe derivare dal greco
bizantino Sotéra,
accusativo di Sotér, "salvatore", appellativo forse
dovuto all'imponenza del monte o alle fortificazioni di epoca
bizantina; secondo un'altra ipotesi potrebbe invece derivare da Sotéira,
"colei che salva", in riferimento alla dea greca Artemide,
il cui culto si sarebbe sviluppato in prossimità dell'attuale città
intorno al VI secolo a.C. Il nome del quartiere del Rabato è invece di
origine araba,
derivando da Ràbad, "borgo fuori le mura".
L'area è
abitata sin dal VII secolo a.C., come dimostra il ritrovamento, a pochi
chilometri dall'odierno centro urbano, di sepolture pre-elleniche
attribuite a un villaggio sicano.
Tra il IV e il VI secolo il luogo potrebbe essere stato inoltre frequentato
da monaci
basiliani di rito
bizantino, come testimoniano le tracce di affreschi (chiamate
localmente figureddi) visibili in un'antica tomba sicana
successivamente adibita a cappella, in località San Marco.
La presenza
di un abitato fortificato è attestato in maniera certa nelle fonti scritte
nel pieno periodo della conquista araba della Sicilia quando vengono citati
alcuni castelli dell'isola come Platani, Caltavuturo, Caltabellotta e
Sutera, già assoggettati al loro tributo, che nel 860 accennano ad una
rivolta contro i musulmani ma che fu subito duramente domata. Con la
dominazione araba nacque il nucleo iniziale del borgo odierno ai piedi del
monte, il quartiere denominato Rabato che tuttora mantiene il suo impianto
urbanistico tipicamente arabo.
Territorio
strategico, dunque, per chiunque volesse controllare la via comiciana, quel
percorso tortuoso che, costeggiando, a tratti le rocce di monte Conca e Cimò,
a tratti il fiume Platani, da Girgenti portava alla capitale dell'isola.
Sulla vetta della Rocca, di quell'amba africana come la definì nel 1910 il
professore Giovanni Lorenzoni, sorse, allora, il castello: "i
dammusi", la neviera, le prigioni.
Da quella
postazione infatti, si osservava ogni luogo, ogni movimento del vastissimo
territorio circostante. Il castello di Mussomeli, il torrione dei Gibellini,
la Sera del Palco, il Passo "funnutu", il mare di Agrigento, la
rocca di Bastiglia, il monte Cammarata, si potevano raggiungere velocemente
con uno sguardo, si potevano toccare, idealmente, con una mano. Ad occidente
si vedeva nitida e vicina Castrogiovanni. Nelle giornate serene, più in là,
sullo sfondo, il vulcano fumante l'Etna... il Mongibello.
Fu quello
il motivo prioritario che ne determinò la demanialità, l'appartenenza alla
Regia Corona. Fu quella la prerogativa che oppose, negli anni successivi, le
nobili famiglie suteresi agli occasionali conti e baroni che per brevi
periodi ne ebbero il possesso.
Il 21 febbraio del 1397 dopo essere appartenuta a Guglielmo Raimondo di
Montecateno, venne "ad demanium reducta", per volontà del re
Martino "perché un re deve, sempre, accondiscendere alle richieste dei
suoi fedeli" punendo chi si macchia di fellonia e lesa maestà. Venduta
e riscattata anche negli anni succesivi, la Vecchia Signora del Vallone, si
vide attorniata, tra gli inizi del '500 e la fine del '600, da nuovi centri
abitati che sorsero come funghi per incentivare l'agricoltura, unica fonte
di reddito della nuova nobiltà contadina assenteista. Sutera, in quegli
anni, divenne centro amministrativo e religioso della Val di Mazzara; fu
sede di notai, di funzionari, militari, conventi e chiese.
All'inizio
del settecento il suo declino divenne inarrestabile un pò per la rissosità
della sua nobiltà minore, un po' per la progressione di Mussomeli con i
fertili e ben amministrati feudi degli onnipotenti Lanza. La crisi
dell'agricoltura tradizionale con la rivoluzione industriale, i nuovi
assetti istituzionali scarsamente rispondenti alle necessità di territori
difficili e diffidenti, l'emigrazione agli inizi del '900, nel primo e nel
secondo dopoguerra, l'attuale invecchiamento della popolazione hanno
decretato un progressivo calo demografico. Ma proprio in questo contesto che
i suteresi hanno voluto ridare lustro al proprio paese scommettendo su una
risorsa che non sembra più un utopia: il turismo. Dal dicembre del
2013 Sutera fa parte del circuito turistico de "I Borghi più Belli
d'Italia".
Visitare
il borgo

Attorno
alla rupe gessosa, conosciuta con il nome di Monte San Paolino, quasi a
rappresentare un collier di pietre antiche, è dislocata, la blasonata città,
demaniale, di Sutera.
Un paese
ormai di mille e cinquecento abitanti, con case ammonticchiate le une sulle
altre, tra le quali si articola un dedalo di viuzze in pietra lavica e
calcarea. Una struttura urbanistica di tipo medievale che ingloba fabbricati
vecchi e nuovi, amalgamando armonicamente i colori del gesso con quello dei
materiali da prospetto più recenti.
In questo
paese ogni angolo è storia, cultura, arte... ogni pietra è leggenda.
Questa, almeno, è l'impressione che riceve l'occasionale visitatore al
primo acchito... questa risulta essere la conferma, appena lo stesso
incontra gli abitanti del paese: i "suteresi". Gente mite, onesta,
per bene incline al dialogo. Gente che racconta e si racconta... e ama i
dettagli. A Sutera, infatti è la leggenda che ha dato identità al paese.
E' Il mito che ha profumato di mistero e suggestione ogni contrada. Persino
i ragazzi, oggi, raccontano della fondazione della città ad opera di
Dedalo, l'architetto ateniese fuggito dal labirinto di Creta ed ospitato dal
sovrano, autoctono, Kocalo.
E nei
racconti indugiano a rappresentare minuziosamente l'assassinio di Minosse,
affogato dalle figlie di Kocalo dentro la vasca da bagno accennando anche
alla mitica Camico, capitale della Sikania, inghiottita dalla voragine
tellurica che aveva frantumato la rocca di San Marco e aveva spezzato in due
parti il monte vicino (Rocca spaccata). anefo).
Di fronte
al paese, le dentate creste della rocca di San Marco e il massiccio profilo
di Donnibbesi con le loro misteriose asperità su un territorio segnato
dalla Storia antica. Sutera è stata la salvezza della Sicilia ripete la
gente, all'unisono, traducendo dal greco e adattando ad ogni fenomeno
storico o naturale, l'etimo della denominazione, Sòteira. Sutera è stata
la salvezza delle popolazioni che abitavano le sponde del fiume salato
"Alikos", quando nella località denominata Raffe, i pacifici
coloni che coltivavano il lino, furono soggetti alle incursioni dei barbari
(o barbaroi) che dal mare, con imbarcazioni leggere, dalla foce di Minoa,
penetravano nell'interno del territorio, per razziare. Sutera è stata la
salvezza dal cataclisma, ripetono ancora, da quell'implosione di fango, che
ha sprofondato, come Atlantide, nelle viscere della terra, la mitica
capitale della Sikania.
Duomo
di Maria Santissima Assunta

La
Chiesa è dedicata a Maria SS. Assunta ed è anche la Chiesa Madre di
Sutera. Fu fatta costruire intorno al 1374 da Giovanni III di Chiaramonte
che nel 1366 era divenuto Barone di Sutera.
Essa
fu edificata sul luogo dove sorgeva la moschea araba, che si fa risalire
all’875 circa. Allo scopo evidente di cancellare le tracce di un tempio
pagano, il Barone fece abbattere la principale volta della moschea e fece
costruire il nuovo edificio cristiano, incorporando in esso alcune strutture
rimanenti.
Quello
che ci rimane oggi dell’antico tempio musulmano sono quattro nicchie in
malta di gesso (fino agli anni cinquanta erano nove) prive di elementi
decorativi e artistici, che sporgono da una parete intonacata. La chiesa
madre è stata però quasi del tutto ricostruita verso la fine del 1500 e ha
continuato, nel corso dei secoli, a subire modifiche e rimaneggiamenti che
ne hanno inevitabilmente stravolto l’aspetto e lo stile originari.
Il
portale che orna l’ingresso laterale della Chiesa risale al 1600, è in
pietra calcarea e riporta elementi decorativi di stile rinascimentale.
L’edificio
misura 27 metri di lunghezza e 16 di larghezza. E’ a tre navate, le volte
a botte poggiano su 10 pilastri quadrangolari e sono ornate da stucchi in
malta di gesso decorati in oro zecchino.
Durante
il corso dei secoli, l’edificio è stato spesso ristrutturato: sono stati
aggiunti stucchi in malta di gesso, successivamente indorati, sono stati
eseguiti lavori di consolidamento ai tetti, alle fondazioni, è stata
rifatta la pavimentazione, ora in marmo.
Giro
della Chiesa
Fonte
Battesimale, in marmo, molto antico del 1490-95.
Statua
raffigurante San Calogero, in cartapesta realizzata agli inizi del ‘900.
Crocifisso,
in legno del 1600.
Statua
della Madonna Addolorata, in cartapesta del Guaeci di scuola Napoletana
(acquistata nel 1901 grazie alla donazione di una devota suterese). Pur non
essendo un’opera di pregio, è molto ammirata dai suteresi per la finezza
dei lineamenti e la drammaticità dell’espressione; viene portata in
processione il Venerdì Santo.
Statua
di San Giuseppe, in legno, del 1600. E' sistemata in un’artistica custodia
in legno scolpito e dorato, di stile tardo barocco.
In
testa alla navata centrale
Quadro
raffigurante l'Assunzione di Maria al Cielo. Anche questa tela è stata
attribuita al Rugeri. Vi si vede la Madonna in alto in mezzo alle nuvole,
circondata da angioletti, che viene assunta in cielo mentre un angelo scende
verso di lei. In basso, gli apostoli vagamente raggruppati, esprimono lo
stupore per aver trovato il sepolcro vuoto. L’opera è molto pregevole per
l’esecuzione, i colori e l’espressione dei visi (è stata restaurata nel
1980).
Sicuramente
degna di attenzione è la Cappella intitolata al SS. Sacramento, risalente
alla fine del 1700, fatta di marmi multicolori e delicati decori, di stile
quasi barocco; in particolare al centro spicca il Tronetto che è composto
da 6 colonnine con capitelli corinzi disposti a semicerchio; più in basso,
le coppie di angeli in marmo bianco, l’altare e la balaustra. Ai lati
della cappella sono rappresentati, in bassorilievo, Mose’ e il Buon
Pastore; ai lati dell’ altare, ripetuto per 2 volte, lo stemma del Sac.
Girolamo Majorana; in alto, tre pitture su zinco rappresentanti altrettanti
episodi biblici: 1) il sacrificio di Isacco; 2) l’entrata di Gesù in
Gerusalemme; 3) Gesù al pozzo con la Samaritana.
Sul
pavimento, di fronte alla cappella vi è la Lapide in marmo della sepoltura
del Sacerdote Bellavia, recante lo stemma della sua nobile famiglia,
un’iscrizione in latino e l’anno 1696.
Statua
di Sant' Isidoro, in legno. Risale al 1600 di scuola Napoletana.
Gruppo
statuario della Madonna del Rosario con la statua di San Domenico in legno,
di scuola Napoletana del 1600.
Statua
della Madonna Assunta dormiente. Questa statua ha due particolarità: la
testa, le mani e i piedi sono in cera; il simulacro indossa una lussuosa
veste donata dalla Regina Maria Cristina di Savoia. La veste, ormai tarlata
e in cattive condizioni, è stata rimessa a nuovo nel 1978 riproducendo
esattamente i sontuosi ricami in oro zecchino di quella originaria.
Statua
raffigurante Santa Rita, in legno.
L'Organo
è un’opera artigianale del 1600.
Chiesa
di Sant'Agata
La
Chiesa, situata nella piazza San’Agata, è dedicata a Sant'Agata.
L'impianto originario risale al 1400 ed è di stile romanico. La chiesa è
stata però quasi del tutto ricostruita nella seconda metà del 1700 e al
sobrio prospetto principale è stata affiancata una più recente torre
campanaria da poco ristrutturata.
L'interno
è a tre navate: quella centrale è a botte, molto profonda, mentre quelle
laterali sono a crociera e poggiano su colonne cilindriche, rivestite da un
intonaco speciale stile marmo porfido e ornate da capitelli in pietra uno
diverso dall'altro.
L'interno
della chiesa è stato recentemente oggetto di una importante opera di
ristrutturazione realizzata secondo le direttive della competente
Sovrintendenza di Caltanissetta, la quale ha inteso ripristinare il colore
preesistente delle volte, il blu "azolo", che nel corso della
seconda metà del secolo scorso era stato coperto da decorazioni di colore
diverso.
All'interno
dell'edificio sono custoditi numerosi quadri e statue, molti provenienti da
chiese che oggi non esistono più o che sono state adibite, dopo opportuni
interventi, ad usi diversi, come la Chiesa di Maria SS. degli Agonizzanti
che si affaccia sulla stessa Piazza Sant’Agata ed è diventata un centro
polivalente.
I
Quadri e le Statue sono:
Statua
di San Biagio Vescovo e martire, in legno, inizi ‘900.
Fonte
battesimalein marmo del 1400.
Statua
di San Giovanni Bosco, in legno, di epoca recente.
Statua
di San Pasquale Baylon, in legno, di Scuola Napoletana.
Statua
di Gesù Crocifisso, in legno, fine 1500 della Scuola dei Matinati. Per
tradizione, si dice essere stato trovato in C.da Amorelli, nel territorio di
Milena. (Ai lati del Crocifisso) (a sinistra) Quadro della Vergine
Addolorata - (a destra) Quadro raffigurante Santa Margherita da Cortona.
Porta l'iscrizione "Mr Joseph Bonfanti 1615" .
Statua
della Madonna delle Grazie, in marmo. Secondo lo studioso Lavagnino, si
tratta di una delle tante madonne scolpite in Sicilia da maestranze lombarde
nel 1495 da Antonio Vanella sul modello della trecentesca madonna di
Trapani. La veste e il manto della Vergine, che ha un piede poggiato sulla
mezzaluna,sono cosparsi di fiorellini dorati mentre sul piedistallo sono
scolpite , in rilievo, alcune figurette che rappresentano la Madonna, San
Vito e San Paolino e quattro confrati. Il Bambino Gesù ha i piedi calzati
da sandali e con la mano sinistra regge una mela.

Cappella
navata sinistra - Statua della Madonna del Rosario con San Domenico, in
legno, di scuola Napoletana. (In alto) Quindici quadri, sui quali sono
riprodotti i misteri del Rosario. In origine si trovavano nella ex Chiesa
della Maria Santissima degli Agonizzanti.
Quadro
rappresentante la Madonna degli Agonizzanti, del 1600, attribuita a Pietro
D'Asaro, detto il Monocolo di Racalmuto. In origine si trovava nella ex
Chiesa della Maria Santissima degli Agonizzanti.
Navata
centrale, a sinistra - Statua di Sant'Agata, in legno fine 1500.
Navata
centrale, al centro - Statua della Madonna del Monte, in legno,
attribuita al Quattrocchi.
Navata
centrale, a destra - Statua di Santa Lucia in legno, del 1907 sostituita
quella più antica del 1500 che era molto deteriorata.
All'interno
del Coro - Diciotto stalli in legno di noce scolpito, del 1600 di Marco
Lo Cascio. Di stile barocco intagliati, sono decorati nella spalliera da
fregi floreali mentre i braccioli e i piedi sono ricurvi e decorati con
intagli. In origine si trovavano nel vicino convento delle suore
Benedettine.
Sul
pavimento vicino all'altare - Si possono vedere alcune Lapidi dalle
quali si deduce che parecchie famiglie dell'antica nobiltà suterese sono
state sepolte all'interno della chiesa, fra cui, ultima, la famiglia De
Carlo.
Cappella
navata destra - Statua di San Sebastiano, in legno,del 1593, di Marco Lo
Cascio. Il Santo è raffigurato seminudo, legato ad un tronco con le braccia
dietro la schiena ed ha tutto il corpo trafitto dalle frecce a ricordare il
momento del suo martirio, che avvenne durante le persecuzioni di
Diocleziano.
Quadro
che raffigura Sant'Onofrio Anacoreta, di autore ignoti del 1743.
Statua
del Cuore di Gesù, in cartapesta, situata in un tronetto.
Statua
di Sant'Antonio di Padova, in legno, di epoca recente.
Statua
di San Giuseppe lavoratore, in legno, di autore ignoto. E' stata restaurata
dallo scultore Calogero Gardella di Agrigento nel 1904.
Statua
di Sant'Antonio Abate, in legno, del 1700, attribuita al Quattrocchi.
Chiesa
di Maria Santissima del Carmelo (o del Carmine
La
chiesa sorge nel rione Rabatello ed è dedicata alla Madonna del Carmelo che
è stata proclamata Patrona di Sutera; è un edificio dalle linee classiche
e semplici. Non conosciamo con esattezza il periodo in cui venne edificata
la costruzione originaria: secondo alcuni risalirebbe al 1185 ad opera dei
Padri Carmelitani Gerosolomitani che ampliarono la già esistente chiesetta
dell'Annunziata dedicandola a Maria SS. del Monte Carmelo e fondarono
contemporaneamente un loro convento in contrada Santa Croce, non lontano dal
centro abitato. Ma questa data è ritenuta poco attendibile perché troppo
antica: se si considera infatti che l'Ordine dei Carmelitani fu fondato in
Palestina da Bertoldo di Calabria intorno al 1155, appare poco probabile che
solo 25 anni dopo essi potessero già essere giunti nel cuore della Sicilia
ad edificare un convento ed una chiesa.
E'
più verosimile che questo avvenisse dopo il 1238. Sappiamo, infatti che i
Carmelitani furono cacciati dalla Palestina proprio nel 1238 e che da quel
momento si diffusero in tutta Europa. Secondo altri l'impianto originario
risalirebbe al 1500 e sarebbe stato rimaneggiato e trasformato agli inizi
del 1700. Quello che è certo è che la chiesa è stata quasi del tutto
ricostruita tra il 1934 e 1936. I Carmelitani di Sutera si spostarono dal
primitivo cenobio in contrada S. Croce nei locali annessi alla Chiesa del
Carmelo probabilmente verso la metà del 1600.
Il
portale della chiesa è a sesto acuto ed è formato da un architrave di
pietra e da colonnette di stile arabo che, pare, provengano dalla vecchia
moschea del Rabato. Il portale è sormontato da 3 stemmi: il primo, a
sinistra, rappresenta la città di Sutera; quello al centro rappresenta le
armi del re di Aragona del dominio Angioino; infine, lo stemma sulla destra
rappresenta le armi del regno di Sicilia sotto gli Aragonesi (un’aquila al
semivolo).
Giro
della chiesa (in senso orario)
Acquasantiera
in marmo. Porta scolpita una mezza luna e l'iscrizione: ”AVE MARIA GRATIA
PLENA 1562”.
Quadro
della Buona Morte. Tela di Fra Felice da Sambuca.
Quadro
della Cattiva Morte. Tela di Fra Felice da Sambuca.
Quadro
rappresentante Santa Rosalia con San Nicola di Bari e San Liborio. E' una
tela probabilmente del 1700. Restaurata nel 1984 dal Di Fede.
Statua
della Madonna Immacolata, in legno. Scolpita dal palermitano Andrea Bisagna
nel 1696. La figura della Vergine indossa un mantello dorato con
decorazioni. L’opera è pregevole per l’artistica bellezza, per la
dolcezza del viso e per l’armoniosa proporzione fra le parti. Nel 1804
venne trasferita in questa chiesa dalla chiesa dei Padri Conventuali che si
trovava nel rione Giardinello, perché l'edificio era pericolante. E’
stata da poco restaurata.
Statua
del SS. Crocifisso. E’ un’opera in legno di autore ignoto. Attorno, in
alcune nicchie, sono conservati tanti ossicini di Santi con i nomi ai quali
appartengono.
Gruppo
statuario dell’Annunciazione. Opera in legno di autore ignoto.
Quadro
rappresentante l'episodio evengelico della Cena di Emmaus
Navata
centrale
Statua
della Madonna del Carmelo. Opera in legno della fine del 1500 insieme a San
Simone Stok.
Quadro
raffigurante la Madonna del Carmelo con Sant'Angelo e Sant'Alberto. E' una
tela del 1514, di autore ignoto. Vi si vede la Vergine che porge lo
scapolare dell'Ordine a San Simone Stock.
Nella
cappella della navata destra
Statua
della Madonna del Soccorso. Opera in marmo bianco, alta 1,80 m. Alla base
reca scolpito lo stemma della famiglia Salomone retto da due puttini e la
scritta “Sancta Maria de lu succurso 1503” (in numeri romani). Fu fatta
eseguire per voto da Francesco Salomone che era ritornato dalla Disfida di
Barletta. Prima di essere sistemata in questa chiesa, la statua rimase fino
al 1640 nella cappella del palazzo dell’eroe. La tradizione l’ha da
sempre attribuita ad Antonello Gagini, ma da testimonianze acquisite
recentemente, si è appreso che è opera del palermitano Bartolomeo
Berrettari.
Parete
sinistra
Stemma
in gesso della famiglia Salomone. Sotto: un sarcofago che non porta nessuna
iscrizione, ma solo in alto uno stemma dei Salomone. Si ritiene che fosse
stato scolpito per accogliere i resti mortali di Francesco Salomone e non
essendosi poi attuata tale destinazione, è rimasto vuoto.
Parete
destra
Stemma
dei Salomone (in marmo). Sotto: un sarcofago di marmo e porfido. E’ in
stile barocco e contiene i resti mortali di una nobildonna, Eleonora Lo
Presti, imparentata per matrimonio con il Salomone; sarebbe morta intorno al
1652, dopo esserle scomparsi tre figli ed una figlia, le cui iscrizioni
lapidarie sono incise ai lati di un grande marmo posto sul pavimento della
cappella. Il marito di Donna Eleonora fu Don Antonino Salomone, ultimo della
famiglia, scomparve nel 1658 e la sua epigrafe si trova al centro della
grande lapide.
Quadro
di S. Filomena. E’ un dipinto di Carmelo Mastrosimone del 1842.
Statua
di San Giuseppe col Bambino Gesù. Opera in legno di autore ignoto, molto
antica.
Quadro
di Santa Teresa del Bambin Gesù. Di autore ed epoca sconosciuti.
Quadro
della Madonna dei Cuori attribuita a Mastrosimone di Fra Felice da Sambuca.
Santuario
diocesano di San Paolino e convento settecentesco dei religiosi
Il
Santuario diocesano San Paolino è collocato in cima al Monte San Paolino,
balcone della Sicilia, alto 823 metri s.l.m. da cui si scorgono 22 comuni e
le cime delle Madonie e dell'Etna. Al Santuario si accede attraverso una
caratteristca via scavata nella roccia, con ampi gradini. Lungo il cammino
si incontrano le stazione della Via Crucis, la prigione detta di Filippo
D'Angiò, la campanella tradizionalmente suonata dai pellegrini e il luogo
dove, nel 57 d.C., fu eretta per la prima volta una croce, in ricordo della
adesione dei suteresi alla fede cristiana ad opera della evangelizzazione
dei SS. Onofrio ed Archileone. Accanto alla chiesa è il convento che un
tempo ospitava i Padri Filippini, oggi eremo Sant'Onofrio. Entrambi si
affacciano su un grande spiazzale che conduce, a destra, ad una pineta;
nello spazio sottostante vi è una sala convegni. Più in alto, la cella
campanaria con il campanone, i cui rintocchi risuonano per tutto il Vallone.
Il
Santuario, che fu edificato ad una delle estremità dell'ampio pianoro sulla
cima della rocca, è dedicato a San Paolino Vescovo. E' un edificio a tre
navate, dalle linee semplici. Fu fatto costruire intorno al 1370 dall'allora
Barone di Sutera Giovanni III di Chiaramonte, la cui famiglia ebbe in
Sicilia, tra l'undicesimo e il quindicesimo secolo, vasti feudi e
determinante peso politico (alla stessa famiglia appartenne Manfredi III di
Chiaramonte al quale si deve la costruzione del Castello di Mussomeli e del
sontuoso Palazzo Steri a Palermo).
Secondo
la tradizione, il Santuario fu in parte realizzato con materiali provenienti
da un antico fortilizio, molto probabilmente di origine bizantina di cui,
ancora oggi, esistono i ruderi che, però, non sono visibili poiché solo
con un'accurata campagna di scavi potrebbero essere riportati alla luce e
collocati storicamente.
Il
Santuario, unitamente agli attigui locali, è stato oggetto di una
importante opera di ristrutturazione resa possibile grazie ad un
finanziamento della UE di più di due miliardi delle vecchie lire. Il
restauro era urgente e necessario perché l'intero complesso architettonico
versava in pessime condizioni statiche e di conservazione. La maggior parte
degli interventi di ristrutturazione e manutenzione, infatti, risalivano
alla prima metà del secolo scorso e in alcuni casi si sono rivelati
addirittura dannosi come quando mani inesperte hanno distrutto decorazioni
in oro e pitture sulle pareti di epoca lontana.
La
recente ristrutturazione ha permesso di riportare alla luce alcune antiche
sepolture: al centro la tomba del chierico Giacomo Principato, membro
dell'omonima nobile famiglia suterese, sormontata da una lapide di pietra
che porta, scolpita in bassorilievo, l'immagine del religioso e la data
della sua morte: 26 gennaio 1620.
Sulla
sinistra, la sepoltura di un altro religioso, un certo Corradinus Albertus;
sulla tomba è riportata una scritta in latino la cui traduzione è:
Corradino Alberto giace qui - pregate per lui.
Sulla
destra si può ammirare un piccolo campione dell'antico pavimento in
maiolica dipinta che fa da sigillo ad un'ossaia comune: come testimoniano,
infatti, alcuni libri parrocchiali della fine del 1500, i corpi di numerosi
prigionieri deceduti nelle prigioni che si trovavano nella parte inferiore
del monte, venivano seppelliti in questa ossaia comune.
Infine,
sul lato opposto dell'edificio, in fondo a destra, c'è un'altra sepoltura
All’interno
del Santuario sono custoditi all'interno di un protetto stipo ligneo del
1903, scolpita opera di ebanisteria a decori simbolici rinserrata alla
destra del presbiterio, due urne-reliquario opere d'arte mirabili,
espressioni fra le più cospicue dell'antica oreficeria siciliana: l’Urna
di S.Paolino e l’Urna di Sant’Onofrio.
L’Urna
di San Paolino custodisce le reliquie di S. Paolino, S.Archileone, S.
Damiano e S. Pietro martire.
Si
tratta di una cassa in legno, rivestita da una lamina d’argento decorata
da fregi, alcuni anche dorati, lavorata a sbalzo e bulino. Il coperchio a
schiena d’asino è ornato da tante piccole teste di cherubino dorate.
Nella parte centrale tutt’intorno all’urna, si vedono si vedono in
rilievo 24 figure, raffiguranti S. Paolino, S. Onofrio, la Vergine con il
bambino, Gesù con gli Apostoli ed altri Santi. Nella base, infine, la cassa
reca la data 1948 in numeri romani. L’autore di questa pregevole opera di
oreficeria è sconosciuto; si pensa che possa trattarsi di un’artista
siciliano del tratto orientale dell’isola dove il senso classico, di cui
l’opera è intrisa, non venne mai a mancare.
L’urna
fu fatta costruire nel 1948 dalla nobile famiglia Pujades, di origine
spa-gnola, di cui porta inciso lo stemma: un mezzo giglio orlato d’oro e
campeggiato di stelle. Prima della costruzione dell’urna, le sacre
reliquie erano custodite in un cassonetto di stagno di Fiandra, ricoperto
all’ esterno da una cassa di noce finemente lavorata. La traslazione delle
reliquie nella nuova urna avvenne il martedì dopo Pasqua dell’anno 1498 e
da allora la festa di S. Paolino si celebra sempre il martedì dopo Pasqua
di ogni anno, con una solenne processione che da santuario arriva in paese
sino alla chiesa di S. Agata. L’urna insieme a quella di S. Onofrio e alla
statua di S. Paolino, viene portata a spalla. Il corteo è accompagnato
dalle Confraternite e dalla banda musicale. Le urne rimangono nella chiesa
di S. Agata fino alla domenica successiva e nel pomeriggio vengono riportate
sul monte.
L’Urna
di Sant’Onofrio custodisce le reliquie del Santo Anacoreta. Si tratta di
una cassa di legno rivestita da una lamina d’argento sbalzata e cesellata,
lavorata a grosse volute e fregi fogliacei. E’ sormontata da una statuetta
di S. Onofrio in ginocchio e subito sotto, vi sono 4 angeli che sostengono
ciascuno uno stemma della città di Sutera. Sotto ancora, vi sono altri 4
angeli e tutt’intorno all’urna sono scolpiti 6 quadri che narrano gli
episodi più importanti della vita del santo. Nel fregio sottostante è
inciso l’anno della costruzione 1649. L’urna fu fatta costruire a
Palermo per iniziativa dell’Amministrazione comunale e fu eseguita
dall’artista Francesco Rivelo, uno degli scultori che lavorò alla
costruzione dell’urna di S. Rosalia.
Vi
sono poi altri simboli della passione di Cristo ed, in alto, un grande
stemma della città di Sutera. Oltre alle urne abbiamo anche tre quadri: un
quadro in tela raffiguranti i santi medici Cosma e Damiano che si
inginocchiano davanti alla vergine ed al bambino. E’ un opera pregevole
dovuta a Filippo Tancredi che lavorò in Sicilia nel 1700 e fu allievo del
celebre pittore Carlo Marotta, pittore molto rinomato del diciottesimo
secolo. Questa tela è interessante anche per le sue vicissitudini, perché
in un ‘occasione hanno tentato di rubarla e in un’altra è stata
seriamente danneggiata. Un altro quadro in tela di S. Benedetto e S.
Scolastica proveniente dal monastero di S. Benedetto che oggi non esiste più.
Non si conosce l’autore. La terza tela è un quadro dei SS. Compatroni ,
S. Paolino, S. Onofrio e S. Archileone che fu collocato nel santuario nel
1634 proprio quando i tre santi furono dichiarati compatroni di Sutera.
L’autore è Serenario.
Nel
Santuario ci sono tre statue: la Statua di S. Onofrio è fatta di un legno
chiamato “cirmo alpino” ed è stata realizzata nel 1979 da un artigiano
di Ortisei che si è basato sulla fotografia di un vecchio quadro del santo
esistente nella chiesa di S. Agata. La Statua di S. Paolino è in legno ed
è stata realizzata nel 1937. La Statua del SS. Crocifisso, è in cartapesta
ed è del 1923.
Si
ammirano, inoltre, lungo le partei 13 tele di Far Domenico di Palermo
raffiguranti gli Apostoli e tre tele raffiguranti Sant’Agata, Santa
Cecilia e Santa Lucia.
Ruderi
del Palazzo Salamone
Ruderi del
Palazzo Salamone (qui ebbe i natali Francesco
Salamone, uno dei tredici cavalieri della disfida
di Barletta del 13 febbraio 1503); rimangono solamente i muri
perimetrali (per una parte della loro altezza) e parte di quelli interni,
costituiti entrambi da malta e da pietra di gesso.
Una lapide
apposta nel 1903 commemora i 400 anni dalla celeberrima battaglia ricordando
così ai passanti l'evento e la connessione con il monumento.
Montagna
di San Paolino
Il monte
San Paolino è alto 825 metri circa sul livello del mare, ha una
circonferenza di 1 chilometro e mezzo circa ed una superficie di più di 11
ettari.; la scalinata che conduce sulla sua sommità è costituita da 183
gradini distribuiti in 4 rampe; il dislivello tra la parte più elevata
dell'abitato e la cima del monte è di 200 - 250 metri circa.
Sottoposto
al più stretto dei vincoli paesaggistici dalla sommità si possono vedere
25 paesi, il mare di Agrigento, le Madonie, l’altopiano di Enna e sullo
sfondo l’Etna.
Lungo il
cammino si incontrano le stazione della Via Crucis, la prigione detta di
Filippo D'Angiò, la campanella tradizionalmente suonata dai pellegrini e il
luogo dove, nel 57 d.C., fu eretta per la prima volta una croce, in ricordo
della adesione dei suteresi alla fede cristiana ad opera della
evangelizzazione dei SS. Onofrio ed Archileone.
In cima
sullo spiazzale sorge il Santuario Diocesano e accanto alla chiesa è il
convento che un tempo ospitava i Frati Filippini, oggi eremo Sant'Onofrio.
Entrambi si affacciano su un grande spiazzale che conduce, a destra, ad una
pineta; nello spazio sottostante vi è una sala convegni. Più in alto, la
cella campanaria con il campanone, i cui rintocchi risuonano per tutto il
Vallone.
Collina
San Marco
Collina
gessosa, tipica roccia locale, caratterizzata da guglie, anfratti naturali e
vegetazione spontanea tipica del luogo. Il terreno è ricco di frammenti
ceramici a testimonianza di antiche frequentazioni del luogo mentre degna di
nota è una nicchia definita "bizantina" in cui si possono
ammirare degli affreschi di immagini sacre che purtroppo il tempo sta
deteriorando.
Museo
etno-antropologico
Il museo
etno-antropologico approfondisce la composizione sociale del piccolo comune
dell'entroterra siciliano, in un territorio caratterizzato dal latifondo
feudale e dalla coltivazione cerealicola estensiva. Il museo, con la sua
struttura ricavata nel piano terra dell'antico convento dei Padri
carmelitani, espone gli arnesi delle attività agricole e artigiane in
ambienti di vita domestica con le suppellettili tipiche di fine Ottocento.
Il museo
conserva anche i manifesti e i dépliant dei concerti che ad
inizio Novecento diresse don Paolino Pillitteri (il sacerdote compositore
musicista del paese), nonché quelli che accompagnarono gli emigranti lungo
il cammino verso le Americhe (primo
Novecento) e verso il Nord
Italia e l'Europa (anni
sessanta); espone inoltre una raccolta di immagini a stampa
riproducenti soggetti religiosi.
Il museo,
dal mese di ottobre del 2003, è stato oggetto di tutela da parte
dell'assessorato per i Beni culturali e ambientali e per la pubblica
Istruzione della regione Siciliana, che ha ritenuto la raccolta etnografica,
composta da oggetti di cultura materiale, documenti e strumenti di lavoro,
nonché stampe popolari a carattere religioso, caratteristiche della cultura
contadina e dei mestieri tradizionali, di rilevante interesse
etno-antropologico.
|