Sutera (Borgo)
(Catania)

 

Il toponimo potrebbe derivare dal greco bizantino Sotéra, accusativo di Sotér, "salvatore", appellativo forse dovuto all'imponenza del monte o alle fortificazioni di epoca bizantina; secondo un'altra ipotesi potrebbe invece derivare da Sotéira, "colei che salva", in riferimento alla dea greca Artemide, il cui culto si sarebbe sviluppato in prossimità dell'attuale città intorno al VI secolo a.C. Il nome del quartiere del Rabato è invece di origine araba, derivando da Ràbad, "borgo fuori le mura".

L'area è abitata sin dal VII secolo a.C., come dimostra il ritrovamento, a pochi chilometri dall'odierno centro urbano, di sepolture pre-elleniche attribuite a un villaggio sicano. Tra il IV e il VI secolo il luogo potrebbe essere stato inoltre frequentato da monaci basiliani di rito bizantino, come testimoniano le tracce di affreschi (chiamate localmente figureddi) visibili in un'antica tomba sicana successivamente adibita a cappella, in località San Marco.

La presenza di un abitato fortificato è attestato in maniera certa nelle fonti scritte nel pieno periodo della conquista araba della Sicilia quando vengono citati alcuni castelli dell'isola come Platani, Caltavuturo, Caltabellotta e Sutera, già assoggettati al loro tributo, che nel 860 accennano ad una rivolta contro i musulmani ma che fu subito duramente domata. Con la dominazione araba nacque il nucleo iniziale del borgo odierno ai piedi del monte, il quartiere denominato Rabato che tuttora mantiene il suo impianto urbanistico tipicamente arabo.

Territorio strategico, dunque, per chiunque volesse controllare la via comiciana, quel percorso tortuoso che, costeggiando, a tratti le rocce di monte Conca e Cimò, a tratti il fiume Platani, da Girgenti portava alla capitale dell'isola. Sulla vetta della Rocca, di quell'amba africana come la definì nel 1910 il professore Giovanni Lorenzoni, sorse, allora, il castello: "i dammusi", la neviera, le prigioni.

Da quella postazione infatti, si osservava ogni luogo, ogni movimento del vastissimo territorio circostante. Il castello di Mussomeli, il torrione dei Gibellini, la Sera del Palco, il Passo "funnutu", il mare di Agrigento, la rocca di Bastiglia, il monte Cammarata, si potevano raggiungere velocemente con uno sguardo, si potevano toccare, idealmente, con una mano. Ad occidente si vedeva nitida e vicina Castrogiovanni. Nelle giornate serene, più in là, sullo sfondo, il vulcano fumante l'Etna... il Mongibello.

Fu quello il motivo prioritario che ne determinò la demanialità, l'appartenenza alla Regia Corona. Fu quella la prerogativa che oppose, negli anni successivi, le nobili famiglie suteresi agli occasionali conti e baroni che per brevi periodi ne ebbero il possesso.
Il 21 febbraio del 1397 dopo essere appartenuta a Guglielmo Raimondo di Montecateno, venne "ad demanium reducta", per volontà del re Martino "perché un re deve, sempre, accondiscendere alle richieste dei suoi fedeli" punendo chi si macchia di fellonia e lesa maestà. Venduta e riscattata anche negli anni succesivi, la Vecchia Signora del Vallone, si vide attorniata, tra gli inizi del '500 e la fine del '600, da nuovi centri abitati che sorsero come funghi per incentivare l'agricoltura, unica fonte di reddito della nuova nobiltà contadina assenteista. Sutera, in quegli anni, divenne centro amministrativo e religioso della Val di Mazzara; fu sede di notai, di funzionari, militari, conventi e chiese.

All'inizio del settecento il suo declino divenne inarrestabile un pò per la rissosità della sua nobiltà minore, un po' per la progressione di Mussomeli con i fertili e ben amministrati feudi degli onnipotenti Lanza. La crisi dell'agricoltura tradizionale con la rivoluzione industriale, i nuovi assetti istituzionali scarsamente rispondenti alle necessità di territori difficili e diffidenti, l'emigrazione agli inizi del '900, nel primo e nel secondo dopoguerra, l'attuale invecchiamento della popolazione hanno decretato un progressivo calo demografico. Ma proprio in questo contesto che i suteresi hanno voluto ridare lustro al proprio paese scommettendo su una risorsa che non sembra più un utopia: il turismo. Dal dicembre del 2013 Sutera fa parte del circuito turistico de "I Borghi più Belli d'Italia".

Visitare il borgo

Attorno alla rupe gessosa, conosciuta con il nome di Monte San Paolino, quasi a rappresentare un collier di pietre antiche, è dislocata, la blasonata città, demaniale, di Sutera.

Un paese ormai di mille e cinquecento abitanti, con case ammonticchiate le une sulle altre, tra le quali si articola un dedalo di viuzze in pietra lavica e calcarea. Una struttura urbanistica di tipo medievale che ingloba fabbricati vecchi e nuovi, amalgamando armonicamente i colori del gesso con quello dei materiali da prospetto più recenti.

In questo paese ogni angolo è storia, cultura, arte... ogni pietra è leggenda. Questa, almeno, è l'impressione che riceve l'occasionale visitatore al primo acchito... questa risulta essere la conferma, appena lo stesso incontra gli abitanti del paese: i "suteresi". Gente mite, onesta, per bene incline al dialogo. Gente che racconta e si racconta... e ama i dettagli. A Sutera, infatti è la leggenda che ha dato identità al paese. E' Il mito che ha profumato di mistero e suggestione ogni contrada. Persino i ragazzi, oggi, raccontano della fondazione della città ad opera di Dedalo, l'architetto ateniese fuggito dal labirinto di Creta ed ospitato dal sovrano, autoctono, Kocalo.

E nei racconti indugiano a rappresentare minuziosamente l'assassinio di Minosse, affogato dalle figlie di Kocalo dentro la vasca da bagno accennando anche alla mitica Camico, capitale della Sikania, inghiottita dalla voragine tellurica che aveva frantumato la rocca di San Marco e aveva spezzato in due parti il monte vicino (Rocca spaccata). anefo).

Di fronte al paese, le dentate creste della rocca di San Marco e il massiccio profilo di Donnibbesi con le loro misteriose asperità su un territorio segnato dalla Storia antica. Sutera è stata la salvezza della Sicilia ripete la gente, all'unisono, traducendo dal greco e adattando ad ogni fenomeno storico o naturale, l'etimo della denominazione, Sòteira. Sutera è stata la salvezza delle popolazioni che abitavano le sponde del fiume salato "Alikos", quando nella località denominata Raffe, i pacifici coloni che coltivavano il lino, furono soggetti alle incursioni dei barbari (o barbaroi) che dal mare, con imbarcazioni leggere, dalla foce di Minoa, penetravano nell'interno del territorio, per razziare. Sutera è stata la salvezza dal cataclisma, ripetono ancora, da quell'implosione di fango, che ha sprofondato, come Atlantide, nelle viscere della terra, la mitica capitale della Sikania.

Duomo di Maria Santissima Assunta

La Chiesa è dedicata a Maria SS. Assunta ed è anche la Chiesa Madre di Sutera. Fu fatta costruire intorno al 1374 da Giovanni III di Chiaramonte che nel 1366 era divenuto Barone di Sutera. 

Essa fu edificata sul luogo dove sorgeva la moschea araba, che si fa risalire all’875 circa. Allo scopo evidente di cancellare le tracce di un tempio pagano, il Barone fece abbattere la principale volta della moschea e fece costruire il nuovo edificio cristiano, incorporando in esso alcune strutture rimanenti. 

Quello che ci rimane oggi dell’antico tempio musulmano sono quattro nicchie in malta di gesso (fino agli anni cinquanta erano nove) prive di elementi decorativi e artistici, che sporgono da una parete intonacata. La chiesa madre è stata però quasi del tutto ricostruita verso la fine del 1500 e ha continuato, nel corso dei secoli, a subire modifiche e rimaneggiamenti che ne hanno inevitabilmente stravolto l’aspetto e lo stile originari. 

Il portale che orna l’ingresso laterale della Chiesa risale al 1600, è in pietra calcarea e riporta elementi decorativi di stile rinascimentale. 

L’edificio misura 27 metri di lunghezza e 16 di larghezza. E’ a tre navate, le volte a botte poggiano su 10 pilastri quadrangolari e sono ornate da stucchi in malta di gesso decorati in oro zecchino. 

Durante il corso dei secoli, l’edificio è stato spesso ristrutturato: sono stati aggiunti stucchi in malta di gesso, successivamente indorati, sono stati eseguiti lavori di consolidamento ai tetti, alle fondazioni, è stata rifatta la pavimentazione, ora in marmo.

Giro della Chiesa

Fonte Battesimale, in marmo, molto antico del 1490-95.

Statua raffigurante San Calogero, in cartapesta realizzata agli inizi del ‘900.

Crocifisso, in legno del 1600.

Statua della Madonna Addolorata, in cartapesta del Guaeci di scuola Napoletana (acquistata nel 1901 grazie alla donazione di una devota suterese). Pur non essendo un’opera di pregio, è molto ammirata dai suteresi per la finezza dei lineamenti e la drammaticità dell’espressione; viene portata in processione il Venerdì Santo.

Statua di San Giuseppe, in legno, del 1600. E' sistemata in un’artistica custodia in legno scolpito e dorato, di stile tardo barocco.

In testa alla navata centrale

Quadro raffigurante l'Assunzione di Maria al Cielo. Anche questa tela è stata attribuita al Rugeri. Vi si vede la Madonna in alto in mezzo alle nuvole, circondata da angioletti, che viene assunta in cielo mentre un angelo scende verso di lei. In basso, gli apostoli vagamente raggruppati, esprimono lo stupore per aver trovato il sepolcro vuoto. L’opera è molto pregevole per l’esecuzione, i colori e l’espressione dei visi (è stata restaurata nel 1980).

Sicuramente degna di attenzione è la Cappella intitolata al SS. Sacramento, risalente alla fine del 1700, fatta di marmi multicolori e delicati decori, di stile quasi barocco; in particolare al centro spicca il Tronetto che è composto da 6 colonnine con capitelli corinzi disposti a semicerchio; più in basso, le coppie di angeli in marmo bianco, l’altare e la balaustra. Ai lati della cappella sono rappresentati, in bassorilievo, Mose’ e il Buon Pastore; ai lati dell’ altare, ripetuto per 2 volte, lo stemma del Sac. Girolamo Majorana; in alto, tre pitture su zinco rappresentanti altrettanti episodi biblici: 1) il sacrificio di Isacco; 2) l’entrata di Gesù in Gerusalemme; 3) Gesù al pozzo con la Samaritana.

Sul pavimento, di fronte alla cappella vi è la Lapide in marmo della sepoltura del Sacerdote Bellavia, recante lo stemma della sua nobile famiglia, un’iscrizione in latino e l’anno 1696.

Statua di Sant' Isidoro, in legno. Risale al 1600 di scuola Napoletana.

Gruppo statuario della Madonna del Rosario con la statua di San Domenico in legno, di scuola Napoletana del 1600.

Statua della Madonna Assunta dormiente. Questa statua ha due particolarità: la testa, le mani e i piedi sono in cera; il simulacro indossa una lussuosa veste donata dalla Regina Maria Cristina di Savoia. La veste, ormai tarlata e in cattive condizioni, è stata rimessa a nuovo nel 1978 riproducendo esattamente i sontuosi ricami in oro zecchino di quella originaria.

Statua raffigurante Santa Rita, in legno.

L'Organo è un’opera artigianale del 1600.

Chiesa di Sant'Agata

La Chiesa, situata nella piazza San’Agata, è dedicata a Sant'Agata. L'impianto originario risale al 1400 ed è di stile romanico. La chiesa è stata però quasi del tutto ricostruita nella seconda metà del 1700 e al sobrio prospetto principale è stata affiancata una più recente torre campanaria da poco ristrutturata. 

L'interno è a tre navate: quella centrale è a botte, molto profonda, mentre quelle laterali sono a crociera e poggiano su colonne cilindriche, rivestite da un intonaco speciale stile marmo porfido e ornate da capitelli in pietra uno diverso dall'altro. 

L'interno della chiesa è stato recentemente oggetto di una importante opera di ristrutturazione realizzata secondo le direttive della competente Sovrintendenza di Caltanissetta, la quale ha inteso ripristinare il colore preesistente delle volte, il blu "azolo", che nel corso della seconda metà del secolo scorso era stato coperto da decorazioni di colore diverso. 

All'interno dell'edificio sono custoditi numerosi quadri e statue, molti provenienti da chiese che oggi non esistono più o che sono state adibite, dopo opportuni interventi, ad usi diversi, come la Chiesa di Maria SS. degli Agonizzanti che si affaccia sulla stessa Piazza Sant’Agata ed è diventata un centro polivalente.

I Quadri e le Statue sono:

Statua di San Biagio Vescovo e martire, in legno, inizi ‘900.

Fonte battesimalein marmo del 1400.

Statua di San Giovanni Bosco, in legno, di epoca recente.

Statua di San Pasquale Baylon, in legno, di Scuola Napoletana.

Statua di Gesù Crocifisso, in legno, fine 1500 della Scuola dei Matinati. Per tradizione, si dice essere stato trovato in C.da Amorelli, nel territorio di Milena. (Ai lati del Crocifisso) (a sinistra) Quadro della Vergine Addolorata - (a destra) Quadro raffigurante Santa Margherita da Cortona. Porta l'iscrizione "Mr Joseph Bonfanti 1615" .

Statua della Madonna delle Grazie, in marmo. Secondo lo studioso Lavagnino, si tratta di una delle tante madonne scolpite in Sicilia da maestranze lombarde nel 1495 da Antonio Vanella sul modello della trecentesca madonna di Trapani. La veste e il manto della Vergine, che ha un piede poggiato sulla mezzaluna,sono cosparsi di fiorellini dorati mentre sul piedistallo sono scolpite , in rilievo, alcune figurette che rappresentano la Madonna, San Vito e San Paolino e quattro confrati. Il Bambino Gesù ha i piedi calzati da sandali e con la mano sinistra regge una mela.

Cappella navata sinistra - Statua della Madonna del Rosario con San Domenico, in legno, di scuola Napoletana. (In alto) Quindici quadri, sui quali sono riprodotti i misteri del Rosario. In origine si trovavano nella ex Chiesa della Maria Santissima degli Agonizzanti.

Quadro rappresentante la Madonna degli Agonizzanti, del 1600, attribuita a Pietro D'Asaro, detto il Monocolo di Racalmuto. In origine si trovava nella ex Chiesa della Maria Santissima degli Agonizzanti.

Navata centrale, a sinistra - Statua di Sant'Agata, in legno fine 1500.

Navata centrale, al centro - Statua della Madonna del Monte, in legno, attribuita al Quattrocchi.

Navata centrale, a destra - Statua di Santa Lucia in legno, del 1907 sostituita quella più antica del 1500 che era molto deteriorata.

All'interno del Coro - Diciotto stalli in legno di noce scolpito, del 1600 di Marco Lo Cascio. Di stile barocco intagliati, sono decorati nella spalliera da fregi floreali mentre i braccioli e i piedi sono ricurvi e decorati con intagli. In origine si trovavano nel vicino convento delle suore Benedettine.

Sul pavimento vicino all'altare - Si possono vedere alcune Lapidi dalle quali si deduce che parecchie famiglie dell'antica nobiltà suterese sono state sepolte all'interno della chiesa, fra cui, ultima, la famiglia De Carlo.

Cappella navata destra - Statua di San Sebastiano, in legno,del 1593, di Marco Lo Cascio. Il Santo è raffigurato seminudo, legato ad un tronco con le braccia dietro la schiena ed ha tutto il corpo trafitto dalle frecce a ricordare il momento del suo martirio, che avvenne durante le persecuzioni di Diocleziano.

Quadro che raffigura Sant'Onofrio Anacoreta, di autore ignoti del 1743.

Statua del Cuore di Gesù, in cartapesta, situata in un tronetto.

Statua di Sant'Antonio di Padova, in legno, di epoca recente.

Statua di San Giuseppe lavoratore, in legno, di autore ignoto. E' stata restaurata dallo scultore Calogero Gardella di Agrigento nel 1904.

Statua di Sant'Antonio Abate, in legno, del 1700, attribuita al Quattrocchi.

Chiesa di Maria Santissima del Carmelo (o del Carmine

La chiesa sorge nel rione Rabatello ed è dedicata alla Madonna del Carmelo che è stata proclamata Patrona di Sutera; è un edificio dalle linee classiche e semplici. Non conosciamo con esattezza il periodo in cui venne edificata la costruzione originaria: secondo alcuni risalirebbe al 1185 ad opera dei Padri Carmelitani Gerosolomitani che ampliarono la già esistente chiesetta dell'Annunziata dedicandola a Maria SS. del Monte Carmelo e fondarono contemporaneamente un loro convento in contrada Santa Croce, non lontano dal centro abitato. Ma questa data è ritenuta poco attendibile perché troppo antica: se si considera infatti che l'Ordine dei Carmelitani fu fondato in Palestina da Bertoldo di Calabria intorno al 1155, appare poco probabile che solo 25 anni dopo essi potessero già essere giunti nel cuore della Sicilia ad edificare un convento ed una chiesa. 

E' più verosimile che questo avvenisse dopo il 1238. Sappiamo, infatti che i Carmelitani furono cacciati dalla Palestina proprio nel 1238 e che da quel momento si diffusero in tutta Europa. Secondo altri l'impianto originario risalirebbe al 1500 e sarebbe stato rimaneggiato e trasformato agli inizi del 1700. Quello che è certo è che la chiesa è stata quasi del tutto ricostruita tra il 1934 e 1936. I Carmelitani di Sutera si spostarono dal primitivo cenobio in contrada S. Croce nei locali annessi alla Chiesa del Carmelo probabilmente verso la metà del 1600. 

Il portale della chiesa è a sesto acuto ed è formato da un architrave di pietra e da colonnette di stile arabo che, pare, provengano dalla vecchia moschea del Rabato. Il portale è sormontato da 3 stemmi: il primo, a sinistra, rappresenta la città di Sutera; quello al centro rappresenta le armi del re di Aragona del dominio Angioino; infine, lo stemma sulla destra rappresenta le armi del regno di Sicilia sotto gli Aragonesi (un’aquila al semivolo).

Giro della chiesa (in senso orario)

Acquasantiera in marmo. Porta scolpita una mezza luna e l'iscrizione: ”AVE MARIA GRATIA PLENA 1562”.

Quadro della Buona Morte. Tela di Fra Felice da Sambuca.

Quadro della Cattiva Morte. Tela di Fra Felice da Sambuca.

Quadro rappresentante Santa Rosalia con San Nicola di Bari e San Liborio. E' una tela probabilmente del 1700. Restaurata nel 1984 dal Di Fede.

Statua della Madonna Immacolata, in legno. Scolpita dal palermitano Andrea Bisagna nel 1696. La figura della Vergine indossa un mantello dorato con decorazioni. L’opera è pregevole per l’artistica bellezza, per la dolcezza del viso e per l’armoniosa proporzione fra le parti. Nel 1804 venne trasferita in questa chiesa dalla chiesa dei Padri Conventuali che si trovava nel rione Giardinello, perché l'edificio era pericolante. E’ stata da poco restaurata.

Statua del SS. Crocifisso. E’ un’opera in legno di autore ignoto. Attorno, in alcune nicchie, sono conservati tanti ossicini di Santi con i nomi ai quali appartengono.

Gruppo statuario dell’Annunciazione. Opera in legno di autore ignoto.

Quadro rappresentante l'episodio evengelico della Cena di Emmaus

Navata centrale

Statua della Madonna del Carmelo. Opera in legno della fine del 1500 insieme a San Simone Stok.

Quadro raffigurante la Madonna del Carmelo con Sant'Angelo e Sant'Alberto. E' una tela del 1514, di autore ignoto. Vi si vede la Vergine che porge lo scapolare dell'Ordine a San Simone Stock.

Nella cappella della navata destra

Statua della Madonna del Soccorso. Opera in marmo bianco, alta 1,80 m. Alla base reca scolpito lo stemma della famiglia Salomone retto da due puttini e la scritta “Sancta Maria de lu succurso 1503” (in numeri romani). Fu fatta eseguire per voto da Francesco Salomone che era ritornato dalla Disfida di Barletta. Prima di essere sistemata in questa chiesa, la statua rimase fino al 1640 nella cappella del palazzo dell’eroe. La tradizione l’ha da sempre attribuita ad Antonello Gagini, ma da testimonianze acquisite recentemente, si è appreso che è opera del palermitano Bartolomeo Berrettari.

Parete sinistra

Stemma in gesso della famiglia Salomone. Sotto: un sarcofago che non porta nessuna iscrizione, ma solo in alto uno stemma dei Salomone. Si ritiene che fosse stato scolpito per accogliere i resti mortali di Francesco Salomone e non essendosi poi attuata tale destinazione, è rimasto vuoto.

Parete destra

Stemma dei Salomone (in marmo). Sotto: un sarcofago di marmo e porfido. E’ in stile barocco e contiene i resti mortali di una nobildonna, Eleonora Lo Presti, imparentata per matrimonio con il Salomone; sarebbe morta intorno al 1652, dopo esserle scomparsi tre figli ed una figlia, le cui iscrizioni lapidarie sono incise ai lati di un grande marmo posto sul pavimento della cappella. Il marito di Donna Eleonora fu Don Antonino Salomone, ultimo della famiglia, scomparve nel 1658 e la sua epigrafe si trova al centro della grande lapide.

Quadro di S. Filomena. E’ un dipinto di Carmelo Mastrosimone del 1842.

Statua di San Giuseppe col Bambino Gesù. Opera in legno di autore ignoto, molto antica.

Quadro di Santa Teresa del Bambin Gesù. Di autore ed epoca sconosciuti.

Quadro della Madonna dei Cuori attribuita a Mastrosimone di Fra Felice da Sambuca.

Santuario diocesano di San Paolino e convento settecentesco dei religiosi 

Il Santuario diocesano San Paolino è collocato in cima al Monte San Paolino, balcone della Sicilia, alto 823 metri s.l.m. da cui si scorgono 22 comuni e le cime delle Madonie e dell'Etna. Al Santuario si accede attraverso una caratteristca via scavata nella roccia, con ampi gradini. Lungo il cammino si incontrano le stazione della Via Crucis, la prigione detta di Filippo D'Angiò, la campanella tradizionalmente suonata dai pellegrini e il luogo dove, nel 57 d.C., fu eretta per la prima volta una croce, in ricordo della adesione dei suteresi alla fede cristiana ad opera della evangelizzazione dei SS. Onofrio ed Archileone. Accanto alla chiesa è il convento che un tempo ospitava i Padri Filippini, oggi eremo Sant'Onofrio. Entrambi si affacciano su un grande spiazzale che conduce, a destra, ad una pineta; nello spazio sottostante vi è una sala convegni. Più in alto, la cella campanaria con il campanone, i cui rintocchi risuonano per tutto il Vallone.

Il Santuario, che fu edificato ad una delle estremità dell'ampio pianoro sulla cima della rocca, è dedicato a San Paolino Vescovo. E' un edificio a tre navate, dalle linee semplici. Fu fatto costruire intorno al 1370 dall'allora Barone di Sutera Giovanni III di Chiaramonte, la cui famiglia ebbe in Sicilia, tra l'undicesimo e il quindicesimo secolo, vasti feudi e determinante peso politico (alla stessa famiglia appartenne Manfredi III di Chiaramonte al quale si deve la costruzione del Castello di Mussomeli e del sontuoso Palazzo Steri a Palermo).

Secondo la tradizione, il Santuario fu in parte realizzato con materiali provenienti da un antico fortilizio, molto probabilmente di origine bizantina di cui, ancora oggi, esistono i ruderi che, però, non sono visibili poiché solo con un'accurata campagna di scavi potrebbero essere riportati alla luce e collocati storicamente.

Il Santuario, unitamente agli attigui locali, è stato oggetto di una importante opera di ristrutturazione resa possibile grazie ad un finanziamento della UE di più di due miliardi delle vecchie lire. Il restauro era urgente e necessario perché l'intero complesso architettonico versava in pessime condizioni statiche e di conservazione. La maggior parte degli interventi di ristrutturazione e manutenzione, infatti, risalivano alla prima metà del secolo scorso e in alcuni casi si sono rivelati addirittura dannosi come quando mani inesperte hanno distrutto decorazioni in oro e pitture sulle pareti di epoca lontana.

La recente ristrutturazione ha permesso di riportare alla luce alcune antiche sepolture: al centro la tomba del chierico Giacomo Principato, membro dell'omonima nobile famiglia suterese, sormontata da una lapide di pietra che porta, scolpita in bassorilievo, l'immagine del religioso e la data della sua morte: 26 gennaio 1620.

Sulla sinistra, la sepoltura di un altro religioso, un certo Corradinus Albertus; sulla tomba è riportata una scritta in latino la cui traduzione è: Corradino Alberto giace qui - pregate per lui.

Sulla destra si può ammirare un piccolo campione dell'antico pavimento in maiolica dipinta che fa da sigillo ad un'ossaia comune: come testimoniano, infatti, alcuni libri parrocchiali della fine del 1500, i corpi di numerosi prigionieri deceduti nelle prigioni che si trovavano nella parte inferiore del monte, venivano seppelliti in questa ossaia comune.

Infine, sul lato opposto dell'edificio, in fondo a destra, c'è un'altra sepoltura

All’interno del Santuario sono custoditi all'interno di un protetto stipo ligneo del 1903, scolpita opera di ebanisteria a decori simbolici rinserrata alla destra del presbiterio, due urne-reliquario opere d'arte mirabili, espressioni fra le più cospicue dell'antica oreficeria siciliana: l’Urna di S.Paolino e l’Urna di Sant’Onofrio.

L’Urna di San Paolino custodisce le reliquie di S. Paolino, S.Archileone, S. Damiano e S. Pietro martire.

Si tratta di una cassa in legno, rivestita da una lamina d’argento decorata da fregi, alcuni anche dorati, lavorata a sbalzo e bulino. Il coperchio a schiena d’asino è ornato da tante piccole teste di cherubino dorate. Nella parte centrale tutt’intorno all’urna, si vedono si vedono in rilievo 24 figure, raffiguranti S. Paolino, S. Onofrio, la Vergine con il bambino, Gesù con gli Apostoli ed altri Santi. Nella base, infine, la cassa reca la data 1948 in numeri romani. L’autore di questa pregevole opera di oreficeria è sconosciuto; si pensa che possa trattarsi di un’artista siciliano del tratto orientale dell’isola dove il senso classico, di cui l’opera è intrisa, non venne mai a mancare. 

L’urna fu fatta costruire nel 1948 dalla nobile famiglia Pujades, di origine spa-gnola, di cui porta inciso lo stemma: un mezzo giglio orlato d’oro e campeggiato di stelle. Prima della costruzione dell’urna, le sacre reliquie erano custodite in un cassonetto di stagno di Fiandra, ricoperto all’ esterno da una cassa di noce finemente lavorata. La traslazione delle reliquie nella nuova urna avvenne il martedì dopo Pasqua dell’anno 1498 e da allora la festa di S. Paolino si celebra sempre il martedì dopo Pasqua di ogni anno, con una solenne processione che da santuario arriva in paese sino alla chiesa di S. Agata. L’urna insieme a quella di S. Onofrio e alla statua di S. Paolino, viene portata a spalla. Il corteo è accompagnato dalle Confraternite e dalla banda musicale. Le urne rimangono nella chiesa di S. Agata fino alla domenica successiva e nel pomeriggio vengono riportate sul monte.

L’Urna di Sant’Onofrio custodisce le reliquie del Santo Anacoreta. Si tratta di una cassa di legno rivestita da una lamina d’argento sbalzata e cesellata, lavorata a grosse volute e fregi fogliacei. E’ sormontata da una statuetta di S. Onofrio in ginocchio e subito sotto, vi sono 4 angeli che sostengono ciascuno uno stemma della città di Sutera. Sotto ancora, vi sono altri 4 angeli e tutt’intorno all’urna sono scolpiti 6 quadri che narrano gli episodi più importanti della vita del santo. Nel fregio sottostante è inciso l’anno della costruzione 1649. L’urna fu fatta costruire a Palermo per iniziativa dell’Amministrazione comunale e fu eseguita dall’artista Francesco Rivelo, uno degli scultori che lavorò alla costruzione dell’urna di S. Rosalia. 

Vi sono poi altri simboli della passione di Cristo ed, in alto, un grande stemma della città di Sutera. Oltre alle urne abbiamo anche tre quadri: un quadro in tela raffiguranti i santi medici Cosma e Damiano che si inginocchiano davanti alla vergine ed al bambino. E’ un opera pregevole dovuta a Filippo Tancredi che lavorò in Sicilia nel 1700 e fu allievo del celebre pittore Carlo Marotta, pittore molto rinomato del diciottesimo secolo. Questa tela è interessante anche per le sue vicissitudini, perché in un ‘occasione hanno tentato di rubarla e in un’altra è stata seriamente danneggiata. Un altro quadro in tela di S. Benedetto e S. Scolastica proveniente dal monastero di S. Benedetto che oggi non esiste più. Non si conosce l’autore. La terza tela è un quadro dei SS. Compatroni , S. Paolino, S. Onofrio e S. Archileone che fu collocato nel santuario nel 1634 proprio quando i tre santi furono dichiarati compatroni di Sutera. L’autore è Serenario.

Nel Santuario ci sono tre statue: la Statua di S. Onofrio è fatta di un legno chiamato “cirmo alpino” ed è stata realizzata nel 1979 da un artigiano di Ortisei che si è basato sulla fotografia di un vecchio quadro del santo esistente nella chiesa di S. Agata. La Statua di S. Paolino è in legno ed è stata realizzata nel 1937. La Statua del SS. Crocifisso, è in cartapesta ed è del 1923.

Si ammirano, inoltre, lungo le partei 13 tele di Far Domenico di Palermo raffiguranti gli Apostoli e tre tele raffiguranti Sant’Agata, Santa Cecilia e Santa Lucia.

Ruderi del Palazzo Salamone 

Ruderi del Palazzo Salamone (qui ebbe i natali Francesco Salamone, uno dei tredici cavalieri della disfida di Barletta del 13 febbraio 1503); rimangono solamente i muri perimetrali (per una parte della loro altezza) e parte di quelli interni, costituiti entrambi da malta e da pietra di gesso. 

Una lapide apposta nel 1903 commemora i 400 anni dalla celeberrima battaglia ricordando così ai passanti l'evento e la connessione con il monumento.  

Montagna di San Paolino

Il monte San Paolino è alto 825 metri circa sul livello del mare, ha una circonferenza di 1 chilometro e mezzo circa ed una superficie di più di 11 ettari.; la scalinata che conduce sulla sua sommità è costituita da 183 gradini distribuiti in 4 rampe; il dislivello tra la parte più elevata dell'abitato e la cima del monte è di 200 - 250 metri circa. 

MonteSanPaolino.jpg (190273 byte)Sottoposto al più stretto dei vincoli paesaggistici dalla sommità si possono vedere 25 paesi, il mare di Agrigento, le Madonie, l’altopiano di Enna e sullo sfondo l’Etna.

Lungo il cammino si incontrano le stazione della Via Crucis, la prigione detta di Filippo D'Angiò, la campanella tradizionalmente suonata dai pellegrini e il luogo dove, nel 57 d.C., fu eretta per la prima volta una croce, in ricordo della adesione dei suteresi alla fede cristiana ad opera della evangelizzazione dei SS. Onofrio ed Archileone. 

In cima sullo spiazzale sorge il Santuario Diocesano e accanto alla chiesa è il convento che un tempo ospitava i Frati Filippini, oggi eremo Sant'Onofrio. Entrambi si affacciano su un grande spiazzale che conduce, a destra, ad una pineta; nello spazio sottostante vi è una sala convegni. Più in alto, la cella campanaria con il campanone, i cui rintocchi risuonano per tutto il Vallone.

Collina San Marco  

Collina gessosa, tipica roccia locale, caratterizzata da guglie, anfratti naturali e vegetazione spontanea tipica del luogo. Il terreno è ricco di frammenti ceramici a testimonianza di antiche frequentazioni del luogo mentre degna di nota è una nicchia definita "bizantina" in cui si possono ammirare degli affreschi di immagini sacre che purtroppo il tempo sta deteriorando.

Museo etno-antropologico

Il museo etno-antropologico approfondisce la composizione sociale del piccolo comune dell'entroterra siciliano, in un territorio caratterizzato dal latifondo feudale e dalla coltivazione cerealicola estensiva. Il museo, con la sua struttura ricavata nel piano terra dell'antico convento dei Padri carmelitani, espone gli arnesi delle attività agricole e artigiane in ambienti di vita domestica con le suppellettili tipiche di fine Ottocento.

Il museo conserva anche i manifesti e i dépliant dei concerti che ad inizio Novecento diresse don Paolino Pillitteri (il sacerdote compositore musicista del paese), nonché quelli che accompagnarono gli emigranti lungo il cammino verso le Americhe (primo Novecento) e verso il Nord Italia e l'Europa (anni sessanta); espone inoltre una raccolta di immagini a stampa riproducenti soggetti religiosi.

Il museo, dal mese di ottobre del 2003, è stato oggetto di tutela da parte dell'assessorato per i Beni culturali e ambientali e per la pubblica Istruzione della regione Siciliana, che ha ritenuto la raccolta etnografica, composta da oggetti di cultura materiale, documenti e strumenti di lavoro, nonché stampe popolari a carattere religioso, caratteristiche della cultura contadina e dei mestieri tradizionali, di rilevante interesse etno-antropologico.