Catania

 

Cattedrale di Sant'Agata  

La chiesa è stata più volte distrutta e riedificata dopo i terremoti che si sono susseguiti nel tempo. La prima edificazione risale al periodo 1086 - 1094 e fu realizzata sulle rovine delle Terme Achilliane risalenti all'epoca romana. Su iniziativa del conte Ruggero giunse dalla Calabria l'abate Angerio dal monastero dell'Ordine benedettino di Sant'Eufemia, il quale fu nominato vescovo della ricostituita diocesi della città proprio dal sovrano normanno, sotto la sua direzione l'edificio acquisì tutte le caratteristiche di ecclesia munita (cioè fortificata). Contestualmente accanto al prospetto meridionale fu edificato il monastero dell'Ordine benedettino per se e per i canonici. L'interno presentava superbe colonne di granito. I capitelli, i fregi e gli ornamenti di svariata fattura indicavano la diversa provenienza e il riutilizzo di parti di templi pagani e rovine romane.

Con diploma datato 1091, approvato da Papa Urbano IIRuggero I di Sicilia donò i territori del comprensorio Acese, di Paternò, AderSant'AnastasiaCentorbiCastrogiovanniGirgenti, fino ai confini della neo costituita diocesi di Troina. Nel 1092 un secondo diploma integrava il primo includendo l'intera area dell'Etna, le coste di pertinenza, per la contropartita simbolica, da corrispondere limitatamente alle visite del Conte, di un pane e una misura di vino.

Nel 1092 la cattedrale fu dotata delle rendite della chiesa di Santa Maria della Valle di Josaphat di Paternò, nel 1093 dei proventi del casale di Ximet, della chiesa di San Giovanni di Fiumefreddo nel 1111, dei fondi donati da Goffredo d'Altavilla, signore di Ragusa, rendite che consentirono il finanziamento del monastero benedettino.

Con le concessioni di Ruggero II nel 1124 aumentano i privilegi alla chiesa e al vescovado catanese guidato dal vescovo Maurizio, riconoscimenti che includono l'esercizio del potere temporale sui territori dell'antica e soppressa diocesi di Lentini e sul feudo di Mascali (che diventerà poi contea). Il 4 febbraio 1169, un terremoto catastrofico ne fece crollare completamente il soffitto, uccidendo gran parte dei cittadini riuniti in cattedrale per le festività agatine. Nel 1194 sotto il regno di Enrico VI un incendio di vaste proporzioni arrecò notevoli danni.

Le concessioni e i privilegi normanni sono riconosciuti e confermati da Enrico VIFederico IICorrado IV e Manfredi. Fece eccezione l'esercizio della giurisdizione criminale, prerogativa usurpata dall'imperatore e suoi discendenti, mentre il vescovo Gentile Orsini, per il tramite del legato pontificio, ne rivendicarono la potestà a Carlo d'Angiò.

Sono perfezionati: il cimitero dei monaci ubicato ad oriente; il monastero a meridione sede dei canonici dell'Ordine benedettino poi trasformato in battistero, seminario dei Chierici e palazzo vescovile.

Nel XVI secolo nell'aula e i vari ambienti del tempio sono documentati innumerevoli altarini. Nel 1420 la famiglia Gravina è titolare e detiene il patronato dell'ambiente situato sul lato destro del coro. Nel 1628 tutte le are de requiem private furono rimosse per iniziativa del vescovo Innocenzo Massimo.

Nel 1693 il sisma che colpì il Val di Noto la distrusse quasi completamente lasciando in piedi solo la parte absidale e la facciata a seguito del crollo della torre campanaria.

resti normanni consistono nel corpo dell'alto transetto, due torrioni mozzi (forse coevi al primitivo impianto) e le tre absidi semicircolari, le quali, visibili dal cortile dell'arcivescovado, sono composte da grossi blocchi di pietra lavica, gran parte dei quali è stata recuperata da un edificio di epoca romana porzioni di muro d'ambito e il muro di prospetto sono stati inglobati dalla ricostruzione settecentesca.

Il vescovo Andrea Riggio nella fase di ricostruzione favorì la sostituzione delle colonne con poderosi doppi pilastri. Pietro Galletti promosse la definizione del prospetto. Nel 1734 fece rimuovere il primitivo portale che fu collocato temporaneamente nella Loggia Senatoria, nel 1750 il manufatto fu definitivamente trasferito e rimodulato nel prospetto della chiesa di Sant'Agata al Carcere. Salvatore Ventimiglia dispose il perfezionamento della facciata con la collocazione di alcune statue.

L'edificio attuale è opera dell'architetto Girolamo Palazzotto, il quale si occupò principalmente dell'interno, mentre Giovanni Battista Vaccarini disegnò e seguì i lavori della facciata con interventi e modifiche protrattisi dal 1734 al 1761; lo stesso architetto fece anche un progetto per la cupola, mai realizzato.

I lavori per la costruzione dell'edificio si protrassero per tutto il XVIII secolo e continuarono anche dopo la riapertura al culto della cattedrale. Durante i lavori di restauri dal 1795 al 1804 la chiesa di San Francesco Borgia ricoprì le funzioni di cattedrale.

Solo nel 1857 fu completato il campanile ed è pure del XIX secolo l'allestimento attuale del sagrato.

Facciata - Si accede al sagrato attraverso una breve scalinata in marmo che culmina in una cancellata in ferro battuto ornata con 10 santi in bronzo. Il sagrato è diviso dalla piazza del Duomo da una balaustra in pietra bianca ornata con cinque grandi statue di santi in marmo di Carrara.

L'esterno della cattedrale è caratterizzato dalla facciata, la quale presenta evidenti analogie con la coeva facciata di Biagio Amico per Sant'Anna a Palermo, come se la Sicilia volesse esprimere un suo modello derivato da Roma ma generato dalle direttive della Chiesa di Sicilia, a est come a ovest.

Il prospetto è a tre ordini compositi in stile corinzio, e attico completamente in marmo di Carrara

Il primo ordine è costituito da sei colonne di granito di fattura antica provenienti forse dal Teatro romano, sormontate dallo stemma della nobile famiglia Galletti cui cui apparteneva il vescovo Pietro Galletti

Il secondo ordine ha anch'esso sei colonne meno grandi e due piccole poste ai lati dell'ampio finestrone centrale. 

Tutti gli ordini sono adornati con statue marmoree di sant'Agata al centro sulla porta centrale, sant'Euplio a destra e san Berillo a sinistra. Le due grandi finestre ovali ai lati sono accompagnate dai due acronimi riferiti alle frasi legate al culto della Santa: MSSHDEPL e NOPAQVIE.

Il portone principale in legno è costituito da trentadue formelle, finemente scolpite, illustranti partendo dall'alto a sinistra: 

- nel primo registro sono i tre armoriali del vescovo Ansgerio, di papa Urbano II e di Ruggero I di Sicilia con relative didascalie in quanto i tre protagonisti della fondazione della cattedrale, mentre chiude la serie la riproduzione di un rapace in volo oltre le nubi in tempesta con la didascalia aera imbes quae transcreditur

- nel secondo registro sono rappresentati gli armoriali dei corrispettivi protagonisti della ricostruzione della cattedrale (rispettivamente vescovo, papa e sovrano), ossia Pietro Galletti, Papa Clemente XII e Carlo III di Spagna con relative didascalie, chiude la serie lo stemma di Catania con la didascalia dei motti civici; 

- il terzo registro rappresenta quattro attributi della diocesi e rispettive didascalie, ossia un volatile nel nido mentre lede il proprio petto per sfamare i propri pulcini (simile all'icona cristiana del pellicano; il motto è charitas omnia suffert), un uomo barbuto schiacciato da un vulcano alle cui spalle si erge la croce della Risurrezione a cui l'uomo è incatenato per la caviglia (la posa della figura ricorda iconograficamente Atlante, ma si rifà al mito di Tifeo; il motto è subiacet imperio), un albero battuto dai venti (due paffuti volti soffianti) da cui cadono diverse foglie (il motto è solum sicca convellunt) e infine un volatile al rogo in una pira il cui motto è spes sancta crociata nescit

- l'ultimo registro rappresenta gli attributi della patrona di Sant'Agata e sono un altare su sono posati una spada delle tenaglie e una corda schiacciate da un piatto su cui sono i seni della santa (il motto è urbis praesidium et munimen), una fornace da cui fuoriescono vampate di fuoco e sovrastata dai seni coronati e dal cuore in fiamme (il motto è inestinguibilis amor), un messale aperto con la dicitura noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est che sovrasta i simboli imperiali (corona e scettro) capovolti (il motto è impietas pietate refellitur), chiude infine un arcobaleno che sovrasta una tavola con le ali spiegate su cui è l'acronimo M.S.S./H.D./et/P.L. (chiaramente indicante la tavola angelica della tradizione; il motto è foedus eternum). 

Ai lati della porta centrale, su due alti supporti, sono poste le statue in marmo di san Pietro e san Paolo.

Campanile - Un tozzo campanile è documentato in epoca normanna. Una prima costruzione promossa dal vescovo Simone del Pozzo nel 1338, fungeva da torre di guardia. Posta alla sinistra del prospetto, arretrata di circa 7 metri rispetto alla facciata, era alta oltre 70 metri.

La torre a base quadrata misurava circa 15 metri di lato. La sua storia è molto accidentata in quanto subirà diversi crolli e quindi molte riedificazioni. Nel 1662 fu ulteriormente innalzata per l'inserimento di un orologio e fu portata alla vertiginosa altezza di circa 100 metri. Ma l'11 gennaio del 1693, a causa del forte terremoto che investì la città, crollò, travolgendo anche la chiesa: sotto le sue macerie morirono oltre 7.000 fedeli raccolti in preghiera. Fu riedificata assieme alla chiesa dopo il terremoto del 1693, con alla sommità la campana maggiore fusa nel 1619 del diametro di 1.80, caduta dalla torre nel corso del terremoto ma rimasta integra, unitamente alla campana del popolo del 1505.

La cupola, posta sulla crociera, risale al 1802 su progetto di Carmelo Battaglia su commissione del vescovo Corrado Maria Deodato Moncada, è munita di colonne e ampi finestroni che illuminano l'interno. Tra il 1867 e il 1869 l'architetto Carmelo Sciuto Patti realizzò l'attuale campanile e la lanterna della cupola.

Navata destra - Le sopraelevazioni degli altari presenti in entrambe le navate, sono costituite da opere pittoriche caratterizzate da monumentali cornici in stile barocco di legno scolpito e dorato. La ricostruzione post terremoto del Val di Noto del 1693 determina l'uniformità degli stili e delle forme pur mantenendo un elevato carattere di magnificenza e opulenza. Pochi dipinti tra i capolavori esposti, hanno superato indenni il disastroso evento sismico, gran parte del patrimonio artistico attuale, in particolare il ciclo fiammingo, è dovuto al mecenatismo attuato da illuminati prelati.

Prima campata: Fonte battesimale. Fusto con vasca ottagonale in marmo rosso coperto da cupolino ligneo sormontato dall'Agnus Dei, sulla parete l'affresco raffigurante San Giovanni Battista e il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano, opera di Giovanni Tuccari del 1728. L'ambiente ricavato in una nicchia dal pavimento rialzato è delimitato da una artistica cancellata.

Seconda campata: Altare dedicato a Santa Febronia, dipinto Martirio di Santa Febronia, opera di Guglielmo Borremans del 1730 commissionata da Pietro Galletti in omaggio alla Patrona di Patti, cittadina precedente sede dell'apostolato del vescovo. Tutte le opere del pittore fiammingo sono realizzate durante il soggiorno catanese dell'artista nel 1730 per l'abbellimento del tempio nuovamente ricostruito. Di fronte all'altare, addossata ad uno dei dodici pilastri che separano la navata da quella centrale, è collocato il monumento funebre del musicista catanese Vincenzo Bellini la cui salma fu traslata il 23 ottobre 1876 dal cimitero parigino Père Lachaise. Le sculture realizzate in marmo di Carrara e bronzo sono opera di Giovanni Battista Tassara..

Terza campata: Altare dedicato a Santa Rosalia, dipinto Gloria di Santa Rosalia di Guglielmo Borremans del 1730, opera commissionata da Pietro Galletti in omaggio alla Patrona di Palermo.

Quarta campata: Cappella altare dedicato al Sacro Cuore Cuore di Gesù, statua Sacro Cuore di Gesù.

Quinta campata: Altare dedicato a Sant'Antonio di Padova, dipinto Sant'Antonio di Padova opera di Guglielmo Borremans del 1730. Addossato al pilastro il monumento sepolcrale del vescovo Emilio Ferrais † 1930, opera dello scultore Pietro Pappalardo.

Sesta campata: Altare dedicato alla Sacra Famiglia, dipinto Sacra Famiglia opera di Pietro Abbadessa. Dirimpetto a questo altare, addossato al pilastro, è collocato il monumento funebre di Domenico Orlando morto nel 1839.

Settima campata: Altare dedicato a Santa Maria, dipinto Maria Corredentrice opera di Emanuele Di Giovanni del 1961. Sotto la mensa riposa Giuseppe Benedetto Dusmet. Addossato al pilastro il cenotafio del Cardinale, monumento funebre fino alla beatificazione, opera di Filadelfo Fichera.

Navata sinistra - Prima campata: Altare dedicato a San Giorgio, dipinto San Giorgio e il drago opera di Girolamo La Manna del 1624.

Seconda campata: Altare dedicato a san Francesco da Paola, dipinto San Francesco di Paola opera di Giuseppe Guarnaccia.

Terza campata: Altare dedicato alla Madonna delle Grazie, dipinto Madonna delle Grazie e Santi con San Gaetano e San Filippo Neri opera di Giovanni Tuccari del 1741, eseguita su commissione di Pietro Galletti arcivescovo di Catania già vescovo di Patti.

Quarta campata: ingresso navata sinistra con portale esterno opera di Giovan Battista Mazzolo del XVI secolo, per stile più affine alla mano del figlio Giandomenico, già autore delle decorazioni al portale d'accesso della Cappella del Crocifisso.

Quinta campata: Altare di sant'Antonio abate, dipinto Sant'Antonio Abate nel deserto opera di Guglielmo Borremans del 1730, committente Pietro Galletti. Addossato al pilastro il monumento sepolcrale del vescovo Carmelo Patané † 1952, opera di Raffaele Leone.

Sesta campata: Altare di Sant'Agata, dipinto Martirio di Sant'Agata opera di Filippo Paladini del 1605 commissionata per adornare il primitivo altare della cappella eponima patrocinato dal vescovo Giovanni Ruiz de Villoslada. Addossato al pilastro è collocato il monumento sepolcrale di Corrado Maria Deodato Moncada † 1823, opera concepita da Antonio Calì.

Settima campata: Altare di San Berillo, dipinto San Pietro consacra San Berillo primo vescovo della città, opera di Andrea Suppa. Addossato al pilastro il monumento sepolcrale del cardinale Giuseppe Francica-Nava de Bontifè † 1928.

Transetto - Sul pilastro destro dell'arco trionfale fronte presbiterio è collocato il monumento sepolcrale del vescovo Michelangelo Bonadies.

Nel transetto occidentale destro è collocato il monumento funebre del vescovo artefice dell'ultima ricostruzione del luogo di culto monsignore Pietro Galletti. È il più sontuoso monumento della chiesa, realizzato in marmo, riccamente decorato e intarsiato. Presenta una peculiarità che lo accomuna a diverse altre opere presenti in cattedrale: il legame con le radici normanne di tutto l'impianto basilicale. Il quadro del "DIVO GIORGIO" ricorda il santo protettore delle tante battaglie per riconquista normanna dell'isola, le figure dei mori che reggono il sarcofago del monumento commemorativo rappresentano la sottomissione degli arabi all'opera di ricristianizzazione operata dal casato degli Altavilla. La cruenza di molteplici eventi si traduce nel tempo in duraturi periodi di pacifica e costruttiva convivenza che hanno lasciato impronta d'eccellenza in tutti i campi dello scibile umano. Il messaggio intrinseco odierno non è tanto il senso di oppressione, di dominio, di giogo che il particolare contesto storico d'inizio millennio ha attribuito, quanto il ruolo di base, sostegno, fondamento, pilastro, apporto, contributo che il contesto arabo ha arrecato nel meridione d'Italia.

Sul pilastro sinistro dell'arco trionfale fronte presbiterio è collocato il monumento sepolcrale del vescovo Francesco Antonio Carafa.

Cappella della Vergine - L'ingresso alla Cappella della Vergine o della Madonna del Rosario è delimitato da un portale marmoreo realizzato nel 1545 dallo scultore Giovan Battista Mazzolo altrimenti denominata Porta della Candelora. Lo scultore carrarese esponente del rinascimento siciliano è presente col figlio Giandomenico Mazzolo o Mazzola con tre portali di cui uno esterno. Nel portale sono presenti scena di vita della Vergine, la lunetta sull'architrave raffigura l'Incoronazione della Vergine pertanto la Cappella della Madonna del Rosario è altrimenti citata come Cappella della Vergine dell'Incoronazione.

La sopraelevazione dell'altare illuminata da un'elegante monofora interna realizzata in pietra lavica, è costituita da un arco normanno sorretto da colonne con capitelli corinzi, custodisce la scultura marmorea della Vergine dell'Incoronazione. Il basamento dell'altare presente è stato trasferito nel 2000 dal presbiterio dell'abside maggiore. Nella parte superiore sono incastonate le figure degli Apostoli e scene sacre, nel prezioso paliotto marmoreo in altorilievo è raffigurata Sant'Agata contornata da putti aleggianti su nuvole. L'opera è commissionata da Corrado Maria Deodato Moncada nel 1805, realizzata su progetto dell'architetto Stefano Ittar e portata a compimento sotto l'episcopato del Cardinale Giuseppe Francica-Nava de Bontifè nel 1915.

Le dinastie del regno di Sicilia seguono una linea di continuità attraverso i NormanniSveviAragonesi rappresentati attraverso le casate degli AltavillaHohenstaufenAragona, eccetto la parentesi Angioina. Il filo logico strettamente parentale che lega le varie famiglie nobiliari sono le figure del Gran Conte RuggeroFederico II di Svevia e Federico III di Sicilia, rispettivamente il primo è bisnonno del secondo e questi, a sua volta, bisnonno del terzo.

Nel 1958 all'interno della cappella sono stati collocati i sarcofagi precedentemente incastonati sulle pareti del catino absidale al di sopra del coro ligneo, essi costituiscono rispettivamente i monumenti funerari di: 

Costanza d'Aragona († 1363), sorella di Martino I di Aragona e moglie di Federico IV di Sicilia

Reali d'Aragona ovvero il ramo dei Sovrani siciliani del Casato degli Aragona;

il sarcofago tipo "Sidamara" di età romana, custodisce i resti mortali di: Federico III di Sicilia o "Federico II d'Aragona" o "Federico di Trinacria" († 1337); Giovanni d'Aragona († 1348) figlio di Federico III di Sicilia; Ludovico di Sicilia o "Ludovico di Trinacria" († 1355), detto pure Luigi I di Sicilia, figlio di Pietro II di Sicilia e nipote di Federico III di Sicilia; Maria di Sicilia († 1401), figlia di Costanza d'Aragona e Federico IV di Sicilia, nipote di Pietro II di Sicilia e pronipote di Federico III di Sicilia; Pietro di Sicilia (†1400), Federico poi detto Pietro, figlio unico di Maria di Sicilia e di Martino il Giovane o "Martino I di Sicilia", nipote di Costanza d'Aragona; Martino d'Aragona († agosto 1407), figlio di Bianca di Navarra e di Martino il Giovane o "Martino I di Sicilia"; Blasco II Alagona il juniore, sepoltura.

Cappella del Crocifisso - 1563Portale di Giandomenico Mazzolo adornato con 14 bassorilievi raffiguranti scene della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù.

La Cappella del Santissimo Crocifisso ospita un grande Crocifisso inserito in una nicchia reliquiario, contornato dalle statue della Madonna Addolorata e di San Giovanni. Sono presenti una Via Crucis e altri busti sacri. Sepolcro del vescovo Bonaventura Secusio patrocinatore del convento della chiesa di Sant'Agata la Vetere. L'ambiente ospitava la primitiva Cappella di San Silvestro.

Sagrestia - Nel 1657 all'interno dell'ambiente si verificò un furioso incendio che distrusse gran parte dei reperti custoditi. Dell'archivio della chiesa, del capitolo e del vescovado si salvarono solo i documenti relativi i privilegi e le concessioni di Ruggero II, di Enrico VIFederico IICorrado IV e Manfredi. Nel 1375, il vescovo Marziale commissionò il bacolo pastorale in oro, argento e pietre preziose, Pietro Galletti le preziose tappezzerie, paramenti e indumenti in seta.

La ricostruzione fu patrocinata dal vescovo Michelangelo Bonadies, le strutture resistettero al terremoto del Val di Noto del 1693. Oggi custodisce un importante affresco raffigurante l'Eruzione dell'Etna del 1669, opera del pittore Giacinto Platania. È presente un armadio da sagrestia del XVIII secolo.

Abside destra - Cappella di Sant'Agata - In fondo alla navata destra si apre la cappella più cara a tutti i catanesi, autentico scrigno di tesori d'arte. Un'elaborata cancellata in ferro battuto, opera di Salvatore Sciuto Patti del 1926, protegge il maestoso ambiente dedicato a Sant'Agata. In senso orario tre diverse espressioni artistiche (architettura, arte religiosa, statuaria funeraria), opere dell'artista messinese Antonello Freri, realizzate nel biennio 1495 - 1496.

Portale sacelloportale d'accesso alla «Cammaredda» realizzato nel 1495. Monumentale manufatto marmoreo concepito in epoca rinascimentale con influssi di stile catalano - aragonese con rilievi indorati. L'architettura presenta fusti di colonne con decorazione a foglie d'acanto, i rispettivi capitelli reggono mensole sulle quali poggia e si articola un elaborato architrave aggettante ornato da fregio con cherubini alati. 

Il vano sottostante, caratterizzato dalla volta a cassettoni, ospita il varco d'accesso al sacello protetto da una fitta cancellata sormontata da una raffigurazione della martire sorretta da putti e angeli. Nell'ordine superiore un'edicola fiancheggiata da vasi con fiori stilizzati, racchiude la nicchia contenente la statua della Santa a tutto tondo. Chiude la complessa composizione un lunettone raffigurante Dio Padre benedicente. Sulla parete sinistra appena dietro l'inferriata, coperta da una immagine del busto - reliquiario, è murata la lapide commemorativa l'eruzione dell'Etna del 1669. Completano l'arredo una serie di lampade votive, fra le quali, quella voluta dal viceré di Sicilia Francisco Fernández de La Cuevaduca di Alburquerque.

'A Cammaredda: locale realizzato chiudendo il passaggio interno per l'ingresso dei canonici nel coro. Il vano custodisce le reliquie.

Busto - reliquiario: opera dell'artista senese Giovanni di Bartolo eseguito a Limoges negli anni a cavallo il 1373 e il 1376.

Scrigno: grande cassa d'argento sbalzato e cesellato, opera di argentieri catanesi fra i quali si annovera Vincenzo Archifel e il figlio Antonio, Paolo Guarna, realizzato nel XV - XVI secolo, all'interno sono riposte le teche contenenti le diverse parti del corpo della Santa. Lo scrigno custodisce anche il famoso velo indossato da Agata.

Retablo: Altare di Sant'Agata. L'elevazione marmorea su più ordini, presenta sotto la mensa un bassorilievo raffigurante Sant'Agata realizzato all'interno di una corona fitomorfe sorretta da angeli, ai lati le scene di martirio subiti: l'Asportazione della mammella e il Supplizio dei carboni ardenti. Alle estremità, retti da puttini, sono presenti lo stemma papale con triregno e le insegne cardinalizie con galero e fioccature di nappe. Il tabernacolo è chiuso da sportello argenteo raffigurante l'Agnus Dei delimitato da pannelli con angeli adoranti, fanno corona scene che descrivono il rientro delle sacre spoglie da Costantinopoli. 

Sulla fascia superiore in sei differenti scomparti, altrettanti angeli presentano i simboli della Passione di Cristo. Il trittico centrale dell'elevazione, ripartito in nicchie, presenta nello scomparto mediano la mandorla riproducente Gesù incorona Sant'Agata presentata dalla Vergine Maria fra putti festanti, ai lati gli apostoli San Pietro e San Paolo. Sulle mensole delle colonnine gli evangelisti Luca, Giovanni, MarcoMatteo, statuette con simbolo allegorico a tutto tondo collocate con sfondo, il cornicione sommitale, ove si alternano agli stemmi della città di Catania e della regnante Casa d'Aragona

Completano la decorazione delle pareti due affreschi seicenteschi che rappresentano Santa Lucia in preghiera sulla tomba della martire catanese e la Vergine Digna incoraggiata al martirio da Sant'Agata corredati da estesi cartigli esplicativi. Nella calotta absidale sovrasta la monofora, la replica dell'Incoronazione di Sant'Agata, opera di Giovanni Battista Corradini del 1628.  

Sepolcro De Acuña: monumento funebre. Sepoltura di Fernando de Acuña y de Herrera, conte di Buendía † 2 dicembre 1494. L'opera fu voluta da Donna Maria d'Avila, per ricordare il marito grande devoto della martire Agata, scomparso prematuramente. Due alti plinti fanno da base alle colonne sostenute da due leoncini recanti gli stemmi gentilizi dei De Acuña e degli Ávila. I fusti presentano una decorazione a foglie d'acanto, le lesene parietali motivi a candelabra, il vano della parete è occupato da un drappo a baldacchino sorretto da putti con le insegne di Casa d'Aragona e il cristogramma su raggiera

Sull'architrave dell'elevazione sono rappresentati a bassorilievo il Cristo e gli Apostoli, la volta dell'ambiente presenta la decorazione a cassettoni, chiude come coronamento una ghirlanda sorretta da angeli sulla quale è scolpito un monogramma, sormonta lo scudo sommitale una statuetta allegoria della Giustizia. La scultura mostra il viceré vestito di armatura, in ginocchio orante dinanzi ad un leggio drappeggiato di stoffe, su cui sta aperto il libro delle preghiere, adiacente a lui è un paggio col grande scudo che gli ricopre quasi tutta la persona. Ai lati dell'altare i monumenti settecenteschi del cardinale Camillo Astalli-Pamphilj e del vescovo Andrea Riggio.

Abside - Altare maggiore - Oltre la crociera, la navata centrale termina con una profonda abside normanna, coperta con volta a botte ogivale e terminante con una parete semicircolare. Mentre esternamente essa presenta ancora l'antico paramento murario in pietra lavica dell'Etna, all'interno è decorata da un ciclo di affreschi opera del pittore romano Giovanni Battista Corradini commissionati da Innocenzo Massimo e risalenti al 1628; l'opera è incentrata sui santi patroni della città di Catania, nei quadroni del catino absidale San BerilloSant'EuplioSanto Stefano protomartire (raffigurato con Ponziano, Fabiano e Cornelio) e Sant'Agata, la cui "Incoronazione" è raffigurata al centro della calotta absidale. Testimonianze dell'epoca normanna sono le due colonne che sorreggono l'arco absidale e la monofora ogivale, chiusa da una vetrata moderna e posta in posizione centrale.

All'interno dell'abside trova luogo il presbiterio, preceduto da una rampa di scale che lo delimita sulla parte anteriore; esso ospita, in posizione avanzata, i moderni altare maggiore e ambone, realizzati nel 2000; l'antico altare neoclassico in marmi policromi si trova nella Cappella della Madonna del Rosario con accesso nel transetto di destra.

Lungo le pareti dell'abside, invece, si trova il pregevole coro ligneo barocco, realizzato dallo scultore napoletano Scipione di Guido alla fine del XVI secolo, comprendente anche la cattedra all'estremità destra, il cui ordine superiore è costituito da 34 stalli. Negli stalli in bassorilievo sono riprodotte scene raffiguranti la vita, il martirio di Sant'Agata e i momenti della traslazione delle reliquie da Costantinopoli a Catania. Opera commissionata dal vescovo Giovanni Corrionero e perfezionata da Giandomenico Rebiba.

L'attuale altare in bronzo "versus populum" commissionato dal vescovo Luigi Bommarito allo scultore Dino Cunsolo insieme all'ambone e al porta cero pasquale, sostituisce il primitivo altare collocato attualmente nella "Cappella della Vergine" del transetto destro.

Abside sinistra - Cappella del Santissimo Sacramento - Cappella privata della nobile famiglia Gravina – Cruyllas, le lapidi alle pareti e sul pavimento ai piedi dell'altare indicano la sepoltura di alcuni suoi componenti. Già primitiva Cappella di San Benedetto con interventi operati da Bonaventura Secusio.

Organo a canne - La controfacciata della navata centrale è caratterizzata dalla presenza della cantoria in stile neoclassica realizzata nel 1926 su progetto di Carmelo Sciuto Patti; essa ospita l’organo monumentale.

Quest'ultimo venne commissionato dal cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet all'organaro francese Nicolas Théodore Jaquot nel 1877; una volta terminato, lo strumento venne posizionato nell'abside centrale, alle spalle dell'altare maggiore. Nel 1926, in seguito alla riorganizzazione dell'area absidale, venne costruita la cantoria in controfacciata e su di essa lì venne trasferito l'organo a spese del cardinale Francica Nava; in tale occasione, venne realizzata una nuova cassa dall'artista Giambattista Sangiorgio e lo strumento venne ampliato dalla ditta organaria Laudani e Giudici. Muto per decenni, nel 2012 è iniziato un importante intervento di restauro ad opera della ditta organaria Mascioni, terminato nel 2014.

Lo strumento è a trasmissione meccanica con sistema elettronico di assistenza per le combinazioni; la sua consolle dispone di tre tastiere di 58 note ciascuna e pedaliera di 30 note.

Chiesa Sant'Agata la Vetere

La sua fondazione risale all'anno 264, quando il vescovo San Everio, quarto vescovo della diocesi, eresse una modesta edicola votiva nel luogo in cui la vergine Agata subì il martirio del taglio delle mammelle, tredici anni dopo la sua morte. Dopo l'editto di Costantino (313) l'edicola fu sostituita da un vero e proprio edificio di culto costruito, ad opera del vescovo San Severino, tra il 380 ed il 436. La chiesa di Sant'Agata la Vetere divenne sede della cattedra vescovile ed in essa sarebbero state trasferite le reliquie della martire dal loro originario luogo di sepoltura. Ampliata in forma basilicale nel 776 o 778, la chiesa fu la cattedrale della città per otto secoli, fino al 1089 o 1091 (quando il conte Ruggero dispose l'edificazione della nuova Cattedrale, consacrata nel 1094): per questo motivo fu indicata con l'appellativo la Vetere, cioè l'antica.  

Quando in epoca medievale (1556) la città fu rinserrata all'interno della cinta muraria articolata da diversi bastioni, la chiesa su tre lati fu perimetrata da uno di questi bastioni (detto del Santo Carcere). Nel 1613 la chiesa fu ceduta all'ordine dei frati francescani del convento di Santa Maria di Gesù e fu costruito un convento annesso ad essa.

Quasi totalmente distrutta dal terremoto del 1693, ad eccezione della cripta sotterranea, fu ricostruita nel 1722 più a ponente e con maggiori dimensioni. 

Ricostruita dopo il 1693 secondo un linguaggio architettonico semplice e sobrio, la chiesa presenta unica navata ed ingloba strutture del precedente edificio di culto.

Resti dell'antica facciata pre-terremoto, visibili attraverso alcune lastre di vetro al centro della navata, dimostrano che la nuova chiesa, nella ricostruzione, sia stata edificata ad una quota più alta (di circa m 1,5) e spostata in avanti di circa 25 metri (occupava una parte del cortile antistante e dell'attuale chiesa di Sant'Agata al Carcere).

Vero e proprio tempio del culto agatino, il prospetto si presenta in semplice muratura e racchiuso tra bianche paraste in pietra calcarea. Sopra il portale si apre un'ampia finestra e la facciata culmina con un timpano triangolare al di sopra di un cornicione aggettante. Ai lati del portone, due finestre tonde interrompono il paramento murario della facciata. Una lapide marmorea posta alla destra del portale ricorda le illustri personalità che visitarono questo sacro luogo.

Entrando accanto all'ingresso, sulla parete di destra, è possibile notare una lapide di marmo che riassume le principali vicende che videro protagonista Agata: Computo a' devoti della Santa - S. Agata nacque in Catania l'anno 238 - fu coronata del martirio l'anno 252 - il primo miracolo che liberò dal fuoco la città e sobborghi con il velo fu l'anno 253 - il suo corpo dimorò in S. Agata la Vetere anni 788 - fu da Catania trasportata a Costantinopoli l'anno 1040 - dimorò in Costantinopoli anni 86 - ritornò da Costantinopoli a Catania l'anno 1126 - riposa nella sua maestosa basilica eretta da Ruggiero l'anno 1094 sino al presente.

All'interno dell'atrio vi è un grande portale ligneo del Settecento con lo stemma dell'arcivescovo Pietro Galletti (1729-1757), che fu tra i principali artefici della ricostruzione post 1693; realizzato in stile barocco, esso presenta al centro una scultura lignea rappresentante il Cristo alla colonna.

Ai lati della navata centrale sei altari ornati con magnifici quadri di importanti autori siciliani: La Madonna degli Apostoli di Paolo Pietro Vaccari (1851), La Madonna col Bambino del secolo XVIII di autore ignoto, La Madonna dei Bambini di Giuseppe Sciuti (1898), Sant'Agata al Carcere visitata da San Pietro di Antonio Pennini (1777), La morte di San Giuseppe del secolo XIX di autore ignoto.

A sinistra della navata è possibile ammirare la cassa lignea che per molti secoli ha custodito le Sacre Reliquie di Sant'Agata, sul quale è posto un mezzo busto della santa realizzato nel secolo XIX da un artigiano locale. La scultura è polimaterica: il volto della santa è in legno dipinto, gli angeli ai suoi lati sono in metallo, le mani sono di cera ed il busto di cartapesta, la corona presenta vetri colorati incastonati. Lungo il lato sinistro della navata si trova una scultura lignea del secolo XVIII rappresentante Santa Lucia, che regge nella mano destra una coppa con gli occhi e la palma del martirio, e nella sinistra un libro aperto.

Chiesa della Badia di Sant'Agata

MONASTERO - Le origini del monastero benedettino femminile di Sant’Agata sono da ricercarsi nel legato testamentario disposto da Erasmo Cicala in favore della figlia Isabella (1612), che lo istituiva nel tenimento di case di proprietà dello stesso Cicala in contrada Campanile Vecchio, corrispondente pressappoco alla posizione attuale.

La vita comune inizia nel 1652 ed il 4 Ottobre di quell’anno si svolgono le prime monacazioni che, per favorire il popolamento del monastero, vengono accettate senza richiedere alcuna dote e fornendo anzi alle monache tutto ciò di cui necessitavano, dagli abiti al cibo.

Nel 1675, con decreto di Papa Clemente X e della Sacra Congregazione dei Riti alle monache di Sant’Agata viene concesso il privilegio di celebrare il patronato del monastero il 17 Giugno di ogni anno, nel giorno in cui Catania ricordava il patrocinio di Sant’Agata in occasione della fine della peste del 1576.  

Le monache non badarono a spese per l’edificazione del monastero che fu ingrandito rispetto alla fabbrica originaria, e soprattutto per la chiesa che fu adornata con stucchi dorati, pitture ed un pregevole soffitto ligneo intagliato e dorato. Questo stato di cose ebbe però vita breve, poichè pochi anni dopo queste fabbriche crollarono per il devastante terremoto che colpì il Val di Noto l’11 Gennaio del 1693 e che della comunità monastica lasciò in vita soltanto 13 monache su 28.

Per volontà del Vescovo Andrea Riggio il monastero di Sant’Agata fu incluso fra quelli che sarebbero stati ricostruiti, ed il 12 Luglio 1694, definito il nuovo lotto, esso fu chiuso da un alto recinto e costruita una prima fabbrica provvisoria per ospitare le monache e allo stesso tempo rimessa in uso quanto restava della vecchia chiesa.

Nel 1736 fu quindi chiamato il più importante architetto allora presente in città, Giovan Battista Vaccarini, per edificare la nuova monumentale chiesa e il monastero, per quanto questo sia stato poi materialmente realizzato dopo la sua morte ma probabilmente su suo progetto.

La vita del monastero proseguì poi fino alla decisiva data del 7 luglio 1866, quando per effetto delle Leggi Siccardi venne tolta personalità giuridica alle comunità religiose maschili e femminili. A quel tempo il monastero contava 27 monache, più le inservienti e le laiche, che continuarono ad vivere in una parte dell’edificio fino alla morte dell’ultima monaca nel 1929.  

CHIESA - La chiesa della Badia di Sant’Agata si presenta oggi come la più perfetta opera di architettura, fra i tanti capolavori che la ricostruzione tardo barocca seguita al terremoto del 1693 ha prodotto a Catania.

Subito dopo quel disastroso evento si era provveduto, per le esigenze delle monache, ad innalzare una prima chiesa riutilizzando e sistemando quanto era sopravvissuto dell’edificio precedente. Questa però non era ancora stata completata quando nel 1733 si decide si ricostruirne una nuova e monumentale, dirottando su questo cantiere un lascito di 4000 scudi voluto nel 1720 da Giuseppe Moncada per l’edificazione di un monastero a Paternò.

Nel 1736 con l’acquisto dei materiali viene avviato il cantiere, sotto la direzione di Giovan Battista Vaccarini, che qui darà la sua migliore prova. Appena tornato da Roma, il giovane architetto palermitano applicherà in questa chiesa, nelle forme più perfette, i modelli della grande architettura romana conciliandola sapientemente alle forme della tradizione tardo barocca locale. In particolare in questo edificio risulta molto forte l’impronta borromininiana, direttamente derivata dal modello della chiesa di Sant’Agnese in Agone in Piazza Navona (Roma).

Nel 1742, come dimostra la data incisa nel concio di chiave dell’arco del portale, la facciata doveva già essere completata: in essa fu riutilizzato il portale secentesco di Giovanni Maria Amato sopravvissuto al terremoto, inserendolo nel magistrale movimento della facciata ottenuto dall’accostamento di forme concave e convesse, in un insieme di straordinaria eleganza formale.

I lavori proseguirono a fasi alterne, fino al 1767 quando fu completata e voltata la cupola. In quest’occasione Vaccarini beneficò generosamente la chiesa, soddisfatto per l’opera compiuta, rinunciando alle spettanze arretrate a lui dovute.

Dopo la morte di Vaccarini, nel 1768, furono realizzate le finiture dell’interno per le quali un ruolo fondamentale ebbe mastro Nicolò Daniele, che realizzò il pregevole pavimento in marmo bardiglio su marmo bianco di Carrara forse seguendo un disegno già preparato da Vaccarini. Sempre al Daniele si può attribuire la realizzazione degli altari in marmo giallo di Castronovo, materiale che l’architetto palermitano aveva invece pensato anche per impellicciare anche le colonne dell’ordine maggiore.

Nel 1782 vennero realizzate le statue degli altari in stucco marmorizzato ad opera di Giovan Battista Marino, maestro Mario Biondo e maestro Giovan Battista Amato. Nello stesso anno furono completate tutte le decorazioni interne ed esterne della chiesa, in previsione della solenne consacrazione alla presenza del sovrano (1796).  

L’ultima fase della storia della chiesa è quella relativa al restauro, avviato nel 2010 con fondi dell’Arcidiocesi di Catania e dell’Otto per Mille della Conferenza Episcopale Italiana per la riapertura al culto e la messa in sicurezza dopo i danni riportati dall’edificio in occasione del terremoto del 1990.

La solenne riapertura della chiesa è poi avvenuta il 15 Ottobre 2012, quando per volontà dell’arcivescovo Mons. Salvatore Gristina è stata destinata ad attività di culto e come centro diocesano per speciali attività culturali.  

Basilica Maria Santissima dell'Elemosina

La basilica Maria Santissima dell'Elemosina, meglio conosciuta come basilica Collegiata, è una chiesa tardo barocca.

La chiesa sorge su un antico tempio pagano dedicato a Proserpina. Nei primi secoli cristiani si costruì nel sito una piccola chiesa dedicata alla Vergine Maria che in epoca bizantina era chiamata Madonna dell'Elemosina. Nel 1396 fu elevata a "Regia Cappella" in quanto molto frequentata dagli Aragonesi, padroni della Sicilia di quel tempo.

La chiesa fu ricostruita nei primi anni del XVIII secolo, distrutta dal terremoto del 1693, prima del quale l'entrata dell'edificio era nell'attuale tratto iniziale di via Alessandro Manzoni e dopo la catastrofe si decise di invertirla, facendo affacciare la chiesa in via Etnea.

Nel febbraio del 1946 papa Pio XII elevò la chiesa alla dignità di basilica minore.

Il progetto è attribuito ad Angelo Italia, che ribaltò l'orientamento del nuovo edificio rispetto al precedente distrutto dal terremoto, in modo da farlo prospettare sulla via Uzeda (l'attuale via Etnea), prevista dal piano di ricostruzione.

La facciata, progettata da Stefano Ittar, è un magistrale esempio di barocco catanese. La facciata campanile campanile (tipica della tradizione siciliana) è su due ordini e nel primo ordine ha sei colonne in pietra, sormontate da una balaustra. Nel secondo ordine vi è un finestrone centrale ed ai lati quattro grandi statue di San Pietro, San Paolo, Sant'Agata e Santa Apollonia. Sul secondo ordine un elemento centrale ospita le campane.

Si accede alla chiesa mediante una grande scalinata, sulla quale, a delimitare il sagrato, è posta una cancellata in ferro battuto.

L'interno è a pianta basilicale a tre navate, delimitate da otto pilastri, e tre absidi, delle quali quella centrale è notevolmente allungata per la realizzazione del coro dei canonici, secondi per importanza solo a quelli della cattedrale.

Nella navata di destra si incontra il battistero e quindi tre altari con tele rappresentanti santa Apollonia e sant'Euplio di Olivio Sozzi e un Martirio di Sant'Agata di di Francesco Gramignani. In fondo alla navata è posto l'altare dell'Immacolata, protetto da una balaustra una balaustra in marmo, su cui è posta una statua marmorea della Madonna.

Nell'abside della navata centrale è posto l'altare maggiore con una icona della Madonna con Bambino, copia dell'icona bizantina della Madonna detta dell'Elemosina (della Misericordia) venerata nella basilica collegiata santuario di Biancavilla (CT). Dietro l'altare maggiore è posto un organo ligneo del XVIII secolo. Lateralmente un coro ligneo con 36 stalli, e a lato due tele del pittore Giuseppe Sciuti.

Nella navata di sinistra nella parte absidale è posta la cappella del Santissimo Sacramento con altare in marmo. Proseguendo si incontrano altri tre altari con tele rappresentanti san Giovanni Nepomuceno, la Sacra Famiglia e san Francesco di Sales.

Nel 1896 Giuseppe Sciuti dipinse a fresco la volta e la cupola della chiesa con diverse immagini della Beata Vergine Maria, angeli e santi.

Chiesa Santa Maria di Gesù

L’edificazione della chiesa di Santa Maria di Gesù risale al 1442. Originariamente, più esattamente nel Trecento questa basilica svolgeva la funziona di una piccola cappella accanto alla quale sorse in tempi successivi, un piccolo convento di frati francescani.

La cappellina era posta in un’area chiamata Selva del convento di Santa Maria di Gesù e si trovava in un viale compreso tra Giardino Bellini, via Plebiscito e viale Regina Margherita. In quell’epoca la chiesa aveva un scopo prevalentemente funerario.

La vera chiesa venne edificata solo nel secolo successivo ovvero il Quattrocento. Con il passare degli anni furono sempre maggiori le decorazioni che vennero apportate alla stessa. Vere e proprio opere d’arte facevano da sfondo alla basilica che in poco tempo si vide gremita di addobbi.

Un violento terremoto però, avvenuto nel 1693, distrusse completamente la chiesetta. La sua riedificazione avvenne così nel XVIII secolo ed è rimasta ad oggi intatta. Nel 1949 la basilica è stata elevata a parrocchia.

La facciata della Chiesa si presenta simmetrica piana, austera e di stampo romanico. Le maggiori decorazioni si trovano ai lati e sono molto simili a quelle delle chiese situate lungo l’area etnea. Le caratteristiche particolari della chiesa sono l’alternanza delle pietre di colore nero e bianco.

La basilica al suo interno presenta una navata singola mentre ai lati è dotata di cappelle riprodotte dalle famiglie più nobili di Catania. Tra le più note spicca la chiesetta Paternò Castello da cui potrai accedere semplicemente attraverso un portale di sculture. Lo spazio interno è disposto longitudinalmente con la presenza anche di un presbitero.

All’esterno la chiesa presenta una caratteristica fondamentale, ovvero la facciata decorata con preziosi stucchi voluta fortemente dal frate Girolamo Palazzotto. In realtà questo abbellimento è servito maggiormente per coprire le opere d’arte più antiche ed ormai rovinate.

La chiesa di Santa Maria di Gesù a Catania presenta così uno stile omogeneo è molto raffinato. Le sue caratteristiche sono principalmente dovute ai canone delle scuole del XVI secolo, ovvero agli anni in cui venne costruita.

Sull’altare maggiore sono presenti diversi dipinti su tavola, come quello denominato Immacolata Concezione pitturato nel 1525 dal pittore Angelo Di Chirico. L’affresco raffigura nello specifico due sante donne, Sant’Agata e Santa Caterina d’Alessandria. Oltre a queste dipinti la chiesa presenta anche opere di altri famosi autori come Giuseppe Zacco, morto nel 1834 e Antonello Gagini di alcuni secoli prima.

Ad oggi la chiesa situata a Catania è un vero e proprio convento dedicato all’Ordine dei Frati Minori Osservanti.

Chiesa di Sant'Agata alla Fornace e di San Biagio

Sul versante ovest di piazza Stesicoro, cuore della nostra amata città, affacciata sull’anfiteatro romano, sorge la chiesa di San Biagio. Oltre che per la sua bellezza architettonica la chiesa è nota per il suo legame con la patrona della città, Sant’Agata, e con il suo martirio; la chiesa sorge infatti nei pressi di una fornace “carcaredda” che veniva utilizzata proprio per la martirizzazione dei cristiani. Com’è ben noto ai più devoti, dopo la fuga a Palermo, la santa venne ricondotta in catene alla sua città natale per volere del proconsole Quinziliano.

Questo, invaghitosi della giovane, tentò di convincerla a rinunciare alla sua fede. Una volta preso atto della tempra morale della ragazza, la incarceró e la sottopose ai noti supplizi per cui è diventata celebre tra cui l’asportazione dei seni attraverso l’uso di tenaglie e il supplizio dei carboni ardenti. La tradizione vuole che il martirio più famoso, quello dei carboni ardenti, sia avvenuto proprio nella fornace posta nell’attuale sito della chiesa di San Biagio. In virtù di ciò, la chiesa è anche conosciuta con il nome di Sant’Agata alla fornace.

La decisione di costruire una chiesa sul luogo del martirio risale al XVI secolo; ma, già da non molto dopo la morte della giovane, era sorto sul luogo un capitello votivo atto alla venerazione di quella che sarebbe diventata la patrona della città. Tuttavia, la prima costruzione dedicata a San Biagio, venne rasa al suolo dal terremoto del 1693. Solo qualche anno dopo, l’allora vescovo di Catania Andrea Riggio, ne volle fortemente la ricostruzione. Affidò il progetto all’architetto Antonio Battaglia, che già aveva prestato i suoi servizi per la costruzione di altri edifici distrutti dal terremoto. Una volta ultimata la costruzione il risultato fu una chiesa dal gusto sobrio e dalla struttura semplice. Dando un’occhiata alla facciata di San Biagio quello che emerge è lo stile neoclassico realizzato da Antonino Battaglia.

Sulla sommità dell’edificio si stagliano delle statue di santi che spostano l’attenzione verso la parte centrale della struttura, sovrasata da una croce. Sull’altare maggiore è ben visibile una statua della Madonna che viene accompagnata dalle statue di san Giovanni Evangelista e santa Maria Maddalena. La cappella destra del transetto è dedicata al crocifisso e presenta un altare dedicato a San Biagio. La cappella destra è invece dedicata a sant’Agata. Sopra l’altare è conservano tutt’oggi, protetto da una teca, quel che resta della fornace in cui venne martirizzata la Santa, ad accompagnare il tutto un’affresco di Giuseppe Barone del 1938 rappresentante, a punto, il martirio. Una lapide posta sotto l’altare cita: Hic vultata est candentibus (Qui fu voltata tra i carboni ardenti).

Monastero e Chiesa di San Benedetto

Il monastero è un autentico simbolo della città di Catania, in cui ogni pietra racconta la storia della città etnea ed è riconoscibile dallo splendido arco/ponte che si apre su Via dei Crociferi e che congiunge la badia grande alla badia piccola, in cui oggi ha sede il MacS - Museo di Arte Contemporanea.

La badia piccola ha origini molto antiche ed, inizialmente, prendeva il nome di 'Monastero di Santa Maddalena', mentre la prima fabbrica del monastero benedettino e della sua chiesa cominciò intorno alla metà del XIV sec. e proseguì nei secoli successivi.

Solo in seguito al terremoto del 1693 che purtroppo, uccise tutte le religiose che vi abitavano, i due corpi furono collegati dallo splendido arco/ponte che, secondo un'antica leggenda, sembra essere stato edificato nel corso di una sola notte.

Nel corso dei secoli, il Monastero e la vita claustrale che racchiude, hanno ispirato scrittori e registi, divenendo ad esempio, il luogo che ispirò il romanzo di Giovanni Verga 'Storia di una capinera' e la location del set dell'omonimo film girato da Franco Zeffirelli.

Dopo tre secoli, trascorsi nel silenzio della clausura, dall'aprile 2013, è possibile oltrepassare il portone di accesso del Monastero, edificato nel 1350 e successivamente ricostruito nei primi anni del XVIII secolo, in seguito al terremoto del 1693.

Al Complesso monumentale appartiene anche la Chiesa di San Benedetto (costruita tra il 1704 ed il 1713), fra le più importanti chiese del barocco siciliano e fra le più belle d’Europa. La chiesa è ad unica navata ed ha la volta mirabilmente affrescata con scene della vita di San Benedetto dall’artista messinese Giovanni Tuccari, in appena tre anni, fra il 1726 ed il 1729. Proprio per la velocità della sua opera fu definito il 'fulmine del pennello'.

La struttura è celebre soprattutto per la scalinata degli Angeli, uno scalone marmoreo d'ingresso, adorno di statue raffiguranti alcuni angeli e cinta da una bellissima cancellata in ferro battuto. La porta d'ingresso è in legno e sulle formelle sono riportate scene della vita di San Benedetto.

Splendido anche il prezioso altare, interamente realizzato in diaspro siciliano con intarsi in oro zecchino e argento, magnifica la cantoria, del 1712, in legno e oro zecchino, dalla quale ancora oggi, nelle ore pomeridiane, è possibile udire l’armonioso coro delle suore di clausura. Suggestive, inoltre, sono le grate che caratterizzano il luogo.

Dall'aprile del 2013 la chiesa è visitabile, all'interno di un percorso guidato che comprende anche i resti di una domus romana ed un muro bizantino, probabilmente la parte di un kastron, ritrovati in occasione degli ultimi lavori di restauro e il parlatorio settecentesco, cioè la sala in cui un tempo era possibile colloquiare brevemente con le monache di clausura, da dietro le grate.

Il percorso guidato all’interno del complesso monumentale, ideato nel pieno rispetto delle religiose di clausura che ancora oggi abitano il Monastero, è stato progettato con l’intento di unire tre differenti dimensioni del racconto storico: l'archeologia, l’architettura e l’arte.

Tutto ciò per fornire allo spettatore una panoramica della storia del Monastero che parte dai resti della domus romana scoperta all’interno del Monastero, fino all’attuale riqualificazione dei locali della badia piccola del Convento, dove ha sede il Museo di Arte Contemporanea Sicilia - MacS.

Con grande armonia, il museo unisce la bellezza architettonica monastica settecentesca alla modernità dell’arte contemporanea. Il MacS è il tratto di unione che parte dalla lontana tradizione pittorica barocca, per approdare alla contemporaneità, promuovendo la conoscenza del panorama italiano ed internazionale dell’arte contemporanea.

Cappella Bonajuto

La cappella Bonajuto o del Salvaterello è un edificio religioso d'epoca bizantina di Catania, eretto tra il VI e il IX secolo d.C. Uno dei pochi edifici di rilievo superstite dell'epoca bizantina a Catania, la cappella è collocata all'interno del barocco palazzo Bonajuto in via Bonajuto 7, nel popolare quartiere catanese della Civita. Si presenta a croce greca con pianta quadrata, cupola e tre absidi («cellae trichorae» o «chiesa a trifoglio») in forma simile alla cuba bizantina presente in Sicilia. Oggi rispetto al piano della strada si trova interrato di circa 2 metri. L'edificio, che è inoltre arricchito di testimonianze medioevali e quattrocentesche, è scampato ai diversi terremoti che hanno colpito la città, fra cui quello devastante del 1693.

La famiglia Bonajuto prese possesso della cappella a partire dal Quattrocento e nel secolo successivo vi edificò la propria residenza. Sino all'insediamento dei Bonajuto la cappella era dedicata al SS. Salvatore, denominazione che probabilmente mantenne sino al XVIII secolo. Nel XVIII secolo quando la cappella fu oggetto di restauri e ristrutturazione dell'ingresso, questa fu meta del viaggio del pittore francese Jean Houel. La cappella è stata restaurata da Paolo Orsi e Sebastiano Agati negli anni Trenta.

Oggi è visitabile e spesso affittata per fini espositivi e conferenze nonché come pub e come palcoscenico di gruppi musicali rock e di altro genere.

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