- Cattedrale
di
Sant'Agata
La
chiesa
è
stata
più
volte
distrutta
e
riedificata
dopo
i terremoti che
si
sono
susseguiti
nel
tempo.
La
prima
edificazione
risale
al
periodo 1086 - 1094 e
fu
realizzata
sulle
rovine
delle Terme
Achilliane risalenti
all'epoca
romana. Su
iniziativa
del conte
Ruggero
giunse
dalla
Calabria
l'abate Angerio dal monastero dell'Ordine
benedettino di Sant'Eufemia, il
quale
fu
nominato
vescovo
della
ricostituita
diocesi
della
città
proprio
dal
sovrano
normanno,
sotto
la
sua
direzione
l'edificio
acquisì
tutte
le
caratteristiche
di
ecclesia
munita (cioè
fortificata). Contestualmente
accanto
al
prospetto
meridionale
fu
edificato
il
monastero
dell'Ordine
benedettino per
se
e
per
i
canonici. L'interno
presentava
superbe
colonne
di
granito.
I
capitelli,
i
fregi
e
gli
ornamenti
di
svariata
fattura
indicavano
la
diversa
provenienza
e
il
riutilizzo
di
parti
di
templi
pagani
e
rovine
romane.
Con
diploma
datato
1091,
approvato
da Papa
Urbano
II, Ruggero
I
di
Sicilia donò
i
territori
del comprensorio
Acese,
di
Paternò,
Adernò, Sant'Anastasia, Centorbi, Castrogiovanni, Girgenti,
fino
ai
confini
della
neo
costituita diocesi
di
Troina.
Nel
1092
un
secondo
diploma
integrava
il
primo
includendo
l'intera
area
dell'Etna,
le
coste
di
pertinenza,
per
la
contropartita
simbolica,
da
corrispondere
limitatamente
alle
visite
del
Conte,
di
un
pane
e
una
misura
di
vino.
Nel
1092
la
cattedrale
fu
dotata
delle
rendite
della chiesa
di
Santa
Maria
della
Valle
di
Josaphat di Paternò,
nel
1093
dei
proventi
del
casale
di Ximet,
della
chiesa
di
San
Giovanni
di Fiumefreddo nel
1111,
dei
fondi
donati
da Goffredo
d'Altavilla,
signore
di
Ragusa,
rendite
che
consentirono
il
finanziamento
del
monastero
benedettino.
Con
le
concessioni
di Ruggero
II nel 1124 aumentano
i
privilegi
alla
chiesa
e
al
vescovado
catanese
guidato
dal
vescovo Maurizio,
riconoscimenti
che
includono
l'esercizio
del
potere
temporale
sui
territori
dell'antica
e
soppressa diocesi
di
Lentini e
sul
feudo
di
Mascali (che
diventerà
poi contea). Il
4
febbraio 1169, un
terremoto
catastrofico
ne
fece
crollare
completamente
il
soffitto,
uccidendo
gran
parte
dei
cittadini
riuniti
in
cattedrale
per
le festività
agatine. Nel 1194 sotto
il
regno
di Enrico
VI un
incendio
di
vaste
proporzioni
arrecò
notevoli
danni.
Le
concessioni
e
i
privilegi
normanni
sono
riconosciuti
e
confermati
da Enrico
VI, Federico
II, Corrado
IV e Manfredi.
Fece
eccezione
l'esercizio
della
giurisdizione
criminale,
prerogativa
usurpata
dall'imperatore
e
suoi
discendenti,
mentre
il
vescovo Gentile
Orsini,
per
il
tramite
del
legato
pontificio,
ne
rivendicarono
la
potestà
a Carlo
d'Angiò.
Sono
perfezionati:
il cimitero
dei
monaci ubicato
ad
oriente; il
monastero
a
meridione
sede
dei
canonici
dell'Ordine
benedettino poi
trasformato
in
battistero, seminario
dei
Chierici e
palazzo
vescovile.

Nel
XVI
secolo
nell'aula
e
i
vari
ambienti
del
tempio
sono
documentati
innumerevoli
altarini. Nel
1420
la
famiglia
Gravina
è
titolare
e
detiene
il
patronato
dell'ambiente
situato
sul
lato
destro
del
coro.
Nel
1628
tutte
le are
de
requiem private
furono
rimosse
per
iniziativa
del
vescovo Innocenzo
Massimo.
Nel 1693 il sisma
che
colpì il Val
di
Noto la
distrusse
quasi
completamente
lasciando
in
piedi
solo
la parte
absidale e
la
facciata
a
seguito
del
crollo
della
torre
campanaria.
I resti
normanni consistono
nel
corpo
dell'alto transetto,
due
torrioni
mozzi
(forse
coevi
al
primitivo
impianto)
e
le
tre
absidi
semicircolari,
le
quali,
visibili
dal
cortile
dell'arcivescovado,
sono
composte
da
grossi
blocchi
di pietra
lavica,
gran
parte
dei
quali
è
stata
recuperata
da
un
edificio
di
epoca
romana porzioni
di
muro
d'ambito
e
il
muro
di
prospetto
sono
stati
inglobati
dalla
ricostruzione
settecentesca.
Il
vescovo Andrea
Riggio nella
fase
di
ricostruzione
favorì
la
sostituzione
delle
colonne
con
poderosi
doppi
pilastri. Pietro
Galletti
promosse
la
definizione
del
prospetto.
Nel
1734
fece
rimuovere
il
primitivo
portale
che
fu
collocato
temporaneamente
nella
Loggia
Senatoria, nel
1750
il
manufatto
fu
definitivamente
trasferito
e
rimodulato
nel
prospetto
della chiesa
di
Sant'Agata
al
Carcere.
Salvatore
Ventimiglia dispose
il
perfezionamento
della
facciata
con
la
collocazione
di
alcune
statue.
L'edificio
attuale
è
opera
dell'architetto Girolamo
Palazzotto,
il
quale
si
occupò
principalmente
dell'interno,
mentre Giovanni
Battista
Vaccarini disegnò
e
seguì
i
lavori
della facciata con
interventi
e
modifiche
protrattisi
dal 1734 al 1761;
lo
stesso
architetto
fece
anche
un
progetto
per
la cupola,
mai
realizzato.
I
lavori
per
la
costruzione
dell'edificio
si
protrassero
per
tutto
il XVIII
secolo e
continuarono
anche
dopo
la
riapertura
al
culto
della
cattedrale.
Durante
i
lavori
di
restauri
dal 1795 al 1804 la chiesa
di
San
Francesco
Borgia ricoprì
le
funzioni
di
cattedrale.
Solo
nel 1857 fu
completato
il campanile ed
è
pure
del XIX
secolo l'allestimento
attuale
del sagrato.

Facciata
-
Si
accede
al sagrato attraverso
una
breve
scalinata
in
marmo
che
culmina
in
una
cancellata
in
ferro
battuto
ornata
con
10
santi
in bronzo.
Il
sagrato
è
diviso
dalla piazza
del
Duomo da
una
balaustra
in
pietra
bianca
ornata
con
cinque
grandi
statue
di
santi
in
marmo
di Carrara.
L'esterno
della
cattedrale
è
caratterizzato
dalla facciata,
la
quale
presenta
evidenti
analogie
con
la
coeva
facciata
di Biagio
Amico per
Sant'Anna
a Palermo,
come
se
la Sicilia volesse
esprimere
un
suo modello
derivato da Roma ma
generato
dalle
direttive
della
Chiesa
di
Sicilia,
a
est
come
a
ovest.
Il
prospetto
è
a
tre
ordini
compositi
in stile
corinzio,
e
attico
completamente
in marmo
di
Carrara.
Il
primo
ordine
è
costituito
da
sei colonne di granito di
fattura
antica
provenienti
forse
dal Teatro
romano,
sormontate
dallo
stemma
della
nobile
famiglia
Galletti
cui cui
apparteneva
il
vescovo Pietro
Galletti.
Il
secondo
ordine
ha
anch'esso
sei
colonne
meno
grandi
e
due
piccole
poste
ai
lati
dell'ampio
finestrone
centrale.
Tutti
gli
ordini
sono
adornati
con
statue
marmoree
di sant'Agata al
centro
sulla
porta
centrale,
sant'Euplio a
destra
e san
Berillo a
sinistra.
Le
due
grandi
finestre
ovali
ai
lati
sono
accompagnate
dai
due
acronimi
riferiti
alle
frasi
legate
al
culto
della
Santa: MSSHDEPL e NOPAQVIE.
Il
portone
principale
in
legno
è
costituito
da
trentadue formelle,
finemente
scolpite,
illustranti
partendo
dall'alto
a
sinistra:
-
nel
primo
registro
sono
i
tre armoriali del
vescovo
Ansgerio,
di papa
Urbano
II e
di Ruggero
I
di
Sicilia con
relative
didascalie
in
quanto
i
tre
protagonisti
della
fondazione
della
cattedrale,
mentre
chiude
la
serie
la
riproduzione
di
un
rapace
in
volo
oltre
le
nubi
in
tempesta
con
la
didascalia aera
imbes
quae
transcreditur;
-
nel
secondo
registro
sono
rappresentati
gli
armoriali
dei
corrispettivi
protagonisti
della
ricostruzione
della
cattedrale
(rispettivamente
vescovo,
papa
e
sovrano),
ossia
Pietro
Galletti, Papa
Clemente
XII e Carlo
III
di
Spagna con
relative
didascalie,
chiude
la
serie
lo stemma
di
Catania con
la
didascalia
dei
motti
civici;
-
il
terzo
registro
rappresenta
quattro
attributi
della
diocesi
e
rispettive
didascalie,
ossia
un
volatile
nel
nido
mentre
lede
il
proprio
petto
per
sfamare
i
propri
pulcini
(simile
all'icona
cristiana
del pellicano;
il
motto
è charitas
omnia
suffert),
un
uomo
barbuto
schiacciato
da
un
vulcano
alle
cui
spalle
si
erge
la
croce
della Risurrezione a
cui
l'uomo
è
incatenato
per
la
caviglia
(la
posa
della
figura
ricorda
iconograficamente Atlante,
ma
si
rifà
al
mito
di
Tifeo;
il
motto
è subiacet
imperio),
un
albero
battuto
dai
venti
(due
paffuti
volti
soffianti)
da
cui
cadono
diverse
foglie
(il
motto
è solum
sicca
convellunt)
e
infine
un
volatile
al
rogo
in
una
pira
il
cui
motto
è spes
sancta
crociata
nescit;
-
l'ultimo
registro
rappresenta
gli
attributi
della
patrona
di
Sant'Agata
e
sono
un
altare
su
sono
posati
una
spada
delle
tenaglie
e
una
corda
schiacciate
da
un
piatto
su
cui
sono
i
seni
della
santa
(il
motto
è urbis
praesidium
et
munimen),
una
fornace
da
cui
fuoriescono
vampate
di
fuoco
e
sovrastata
dai
seni
coronati
e
dal
cuore
in
fiamme
(il
motto
è inestinguibilis
amor),
un
messale
aperto
con
la
dicitura noli
offendere
Patriam
Agathae
quia
ultrix
iniuriarum
est che
sovrasta
i
simboli
imperiali
(corona
e
scettro)
capovolti
(il
motto
è impietas
pietate
refellitur),
chiude
infine
un arcobaleno che
sovrasta
una
tavola
con
le
ali
spiegate
su
cui
è
l'acronimo
M.S.S./H.D./et/P.L.
(chiaramente
indicante
la
tavola
angelica
della
tradizione;
il
motto
è foedus
eternum).
Ai
lati
della
porta
centrale,
su
due
alti
supporti,
sono
poste
le
statue
in
marmo
di san
Pietro e san
Paolo.
Campanile
-
Un
tozzo
campanile
è
documentato
in
epoca
normanna.
Una
prima
costruzione
promossa
dal
vescovo Simone
del
Pozzo nel
1338,
fungeva
da
torre
di
guardia. Posta
alla
sinistra
del
prospetto,
arretrata
di
circa
7
metri
rispetto
alla
facciata,
era
alta
oltre
70
metri.
La
torre
a
base
quadrata
misurava
circa
15
metri
di
lato.
La
sua
storia
è
molto
accidentata
in
quanto
subirà
diversi
crolli
e
quindi
molte
riedificazioni.
Nel 1662 fu
ulteriormente
innalzata
per
l'inserimento
di
un
orologio
e
fu
portata
alla
vertiginosa
altezza
di
circa
100
metri.
Ma
l'11
gennaio
del 1693,
a
causa
del forte
terremoto che
investì
la
città,
crollò,
travolgendo
anche
la
chiesa:
sotto
le
sue
macerie
morirono
oltre
7.000
fedeli
raccolti
in
preghiera.
Fu
riedificata
assieme
alla
chiesa
dopo
il
terremoto
del
1693,
con
alla
sommità
la
campana
maggiore
fusa
nel 1619 del
diametro
di
1.80,
caduta
dalla
torre
nel
corso
del
terremoto
ma
rimasta
integra,
unitamente
alla
campana
del
popolo
del 1505.
La
cupola,
posta
sulla crociera,
risale
al 1802 su
progetto
di Carmelo
Battaglia su
commissione
del
vescovo Corrado
Maria
Deodato
Moncada,
è
munita
di
colonne
e
ampi
finestroni
che
illuminano
l'interno.
Tra
il 1867 e
il 1869 l'architetto Carmelo
Sciuto
Patti realizzò
l'attuale
campanile
e
la lanterna della
cupola.
Navata
destra
-
Le
sopraelevazioni
degli
altari
presenti
in
entrambe
le
navate,
sono
costituite
da
opere
pittoriche
caratterizzate
da
monumentali
cornici
in
stile barocco di
legno
scolpito
e
dorato.
La
ricostruzione
post terremoto
del
Val
di
Noto
del
1693
determina
l'uniformità
degli
stili
e
delle
forme
pur
mantenendo
un
elevato
carattere
di
magnificenza
e
opulenza.
Pochi
dipinti
tra
i
capolavori
esposti,
hanno
superato
indenni
il
disastroso evento
sismico,
gran
parte
del
patrimonio
artistico
attuale,
in
particolare
il
ciclo
fiammingo,
è
dovuto
al
mecenatismo
attuato
da
illuminati
prelati.
Prima
campata: Fonte
battesimale.
Fusto
con
vasca
ottagonale
in
marmo
rosso
coperto
da
cupolino
ligneo
sormontato
dall'Agnus
Dei,
sulla
parete
l'affresco
raffigurante San
Giovanni
Battista
e
il
Battesimo
di
Gesù
nel
fiume
Giordano,
opera
di Giovanni
Tuccari
del 1728.
L'ambiente
ricavato
in
una
nicchia
dal
pavimento
rialzato
è
delimitato
da
una
artistica
cancellata.
Seconda
campata:
Altare
dedicato
a Santa
Febronia,
dipinto Martirio
di
Santa
Febronia,
opera
di Guglielmo
Borremans
del
1730
commissionata
da Pietro
Galletti in
omaggio
alla
Patrona
di Patti,
cittadina
precedente
sede
dell'apostolato
del
vescovo.
Tutte
le
opere
del
pittore
fiammingo
sono
realizzate
durante
il
soggiorno
catanese
dell'artista
nel 1730 per
l'abbellimento
del
tempio
nuovamente
ricostruito.
Di
fronte
all'altare,
addossata
ad
uno
dei
dodici pilastri che
separano
la
navata
da
quella
centrale,
è
collocato
il
monumento
funebre
del
musicista
catanese Vincenzo
Bellini la
cui
salma
fu
traslata
il
23
ottobre
1876
dal
cimitero
parigino Père
Lachaise.
Le
sculture
realizzate
in marmo
di
Carrara e bronzo sono
opera
di Giovanni
Battista
Tassara..
Terza
campata:
Altare
dedicato
a Santa
Rosalia,
dipinto
Gloria
di
Santa
Rosalia di Guglielmo
Borremans del 1730,
opera
commissionata
da Pietro
Galletti in
omaggio
alla
Patrona
di Palermo.
Quarta
campata:
Cappella
altare
dedicato
al Sacro
Cuore
Cuore
di
Gesù,
statua Sacro
Cuore
di
Gesù.
Quinta
campata:
Altare
dedicato
a Sant'Antonio
di
Padova,
dipinto Sant'Antonio
di
Padova opera
di Guglielmo
Borremans del 1730.
Addossato
al
pilastro
il
monumento
sepolcrale
del
vescovo Emilio
Ferrais †
1930,
opera
dello
scultore Pietro
Pappalardo.
Sesta
campata:
Altare
dedicato
alla Sacra
Famiglia,
dipinto Sacra
Famiglia opera
di Pietro
Abbadessa.
Dirimpetto
a
questo
altare,
addossato
al
pilastro,
è
collocato
il
monumento
funebre
di Domenico
Orlando
morto
nel 1839.
Settima
campata:
Altare
dedicato
a Santa
Maria,
dipinto
Maria
Corredentrice opera
di Emanuele
Di
Giovanni
del
1961.
Sotto
la
mensa
riposa Giuseppe
Benedetto
Dusmet.
Addossato
al
pilastro
il cenotafio del
Cardinale,
monumento
funebre
fino
alla
beatificazione,
opera
di
Filadelfo
Fichera.
Navata
sinistra
-
Prima
campata:
Altare
dedicato
a San
Giorgio,
dipinto San
Giorgio
e
il
drago opera
di Girolamo
La
Manna del 1624.
Seconda
campata:
Altare
dedicato
a
san Francesco
da
Paola,
dipinto San
Francesco
di
Paola opera
di Giuseppe
Guarnaccia.
Terza
campata:
Altare
dedicato
alla Madonna
delle
Grazie,
dipinto Madonna
delle
Grazie
e
Santi con
San
Gaetano e
San Filippo
Neri opera
di Giovanni
Tuccari
del
1741,
eseguita
su
commissione
di Pietro
Galletti
arcivescovo
di
Catania già
vescovo
di Patti.
Quarta
campata:
ingresso
navata
sinistra
con
portale
esterno
opera
di Giovan
Battista
Mazzolo del XVI
secolo,
per
stile
più
affine
alla
mano
del
figlio
Giandomenico,
già
autore
delle
decorazioni
al
portale
d'accesso
della Cappella
del
Crocifisso.
Quinta
campata:
Altare
di
sant'Antonio
abate,
dipinto Sant'Antonio
Abate
nel
deserto opera
di Guglielmo
Borremans del 1730,
committente Pietro
Galletti.
Addossato
al
pilastro
il
monumento
sepolcrale
del
vescovo Carmelo
Patané †
1952,
opera
di Raffaele
Leone.
Sesta
campata:
Altare
di Sant'Agata,
dipinto Martirio
di
Sant'Agata opera
di Filippo
Paladini del 1605 commissionata
per
adornare
il
primitivo
altare
della
cappella
eponima
patrocinato
dal
vescovo Giovanni
Ruiz
de
Villoslada. Addossato
al
pilastro
è
collocato
il
monumento
sepolcrale
di Corrado
Maria
Deodato
Moncada †
1823,
opera
concepita
da Antonio
Calì.
Settima
campata:
Altare
di San
Berillo,
dipinto San
Pietro
consacra
San
Berillo primo
vescovo
della
città,
opera
di Andrea
Suppa.
Addossato
al
pilastro
il
monumento
sepolcrale
del
cardinale Giuseppe
Francica-Nava
de
Bontifè †
1928.
Transetto
-
Sul
pilastro
destro
dell'arco
trionfale
fronte
presbiterio
è
collocato
il
monumento
sepolcrale
del
vescovo Michelangelo
Bonadies.
Nel
transetto occidentale
destro
è
collocato
il
monumento
funebre
del
vescovo
artefice
dell'ultima
ricostruzione
del
luogo
di
culto
monsignore Pietro
Galletti.
È
il
più
sontuoso
monumento
della
chiesa,
realizzato
in
marmo,
riccamente
decorato
e
intarsiato.
Presenta
una
peculiarità
che
lo
accomuna
a
diverse
altre
opere
presenti
in
cattedrale:
il
legame
con
le
radici normanne di
tutto
l'impianto
basilicale.
Il
quadro
del
"DIVO
GIORGIO"
ricorda
il
santo
protettore
delle
tante
battaglie
per
riconquista
normanna
dell'isola,
le
figure
dei
mori
che
reggono
il
sarcofago
del
monumento
commemorativo
rappresentano
la
sottomissione
degli
arabi
all'opera
di
ricristianizzazione
operata
dal
casato
degli Altavilla.
La
cruenza
di
molteplici
eventi
si
traduce
nel
tempo
in
duraturi
periodi
di
pacifica
e
costruttiva
convivenza
che
hanno
lasciato
impronta
d'eccellenza
in
tutti
i
campi
dello
scibile
umano.
Il
messaggio
intrinseco
odierno
non
è
tanto
il
senso
di
oppressione,
di
dominio,
di giogo che
il
particolare
contesto
storico
d'inizio
millennio
ha
attribuito,
quanto
il
ruolo
di
base,
sostegno,
fondamento,
pilastro,
apporto,
contributo
che
il
contesto
arabo
ha
arrecato
nel
meridione
d'Italia.
Sul
pilastro
sinistro
dell'arco
trionfale
fronte
presbiterio
è
collocato
il
monumento
sepolcrale
del
vescovo Francesco
Antonio
Carafa.

Cappella
della
Vergine
-
L'ingresso
alla Cappella
della
Vergine o
della Madonna
del
Rosario è
delimitato
da
un
portale
marmoreo
realizzato
nel 1545 dallo
scultore Giovan
Battista
Mazzolo altrimenti
denominata Porta
della
Candelora. Lo
scultore
carrarese
esponente
del rinascimento
siciliano è
presente
col
figlio Giandomenico
Mazzolo o
Mazzola
con
tre
portali
di
cui
uno
esterno.
Nel
portale
sono
presenti
scena
di
vita
della
Vergine,
la
lunetta
sull'architrave raffigura
l'Incoronazione
della
Vergine pertanto
la
Cappella
della
Madonna
del
Rosario è
altrimenti
citata
come Cappella
della
Vergine
dell'Incoronazione.
La
sopraelevazione
dell'altare
illuminata
da
un'elegante monofora interna
realizzata
in
pietra
lavica,
è
costituita
da
un
arco
normanno
sorretto
da
colonne
con capitelli
corinzi,
custodisce
la
scultura
marmorea
della Vergine
dell'Incoronazione.
Il
basamento
dell'altare
presente
è
stato
trasferito
nel 2000 dal
presbiterio
dell'abside
maggiore.
Nella
parte
superiore
sono
incastonate
le
figure
degli Apostoli e
scene
sacre,
nel
prezioso paliotto marmoreo
in
altorilievo
è
raffigurata Sant'Agata contornata
da
putti
aleggianti
su
nuvole.
L'opera
è
commissionata
da Corrado
Maria
Deodato
Moncada nel 1805,
realizzata
su
progetto
dell'architetto Stefano
Ittar e
portata
a
compimento
sotto
l'episcopato
del
Cardinale Giuseppe
Francica-Nava
de
Bontifè nel 1915.
Le
dinastie
del regno
di
Sicilia seguono
una
linea
di
continuità
attraverso
i Normanni, Svevi, Aragonesi rappresentati
attraverso
le
casate
degli Altavilla, Hohenstaufen, Aragona,
eccetto
la
parentesi Angioina.
Il
filo
logico
strettamente
parentale
che
lega
le
varie
famiglie
nobiliari
sono
le
figure
del Gran
Conte
Ruggero, Federico
II
di
Svevia e Federico
III
di
Sicilia,
rispettivamente
il
primo
è
bisnonno del
secondo
e
questi,
a
sua
volta,
bisnonno
del
terzo.
Nel 1958 all'interno
della
cappella
sono
stati
collocati
i
sarcofagi
precedentemente
incastonati
sulle
pareti
del
catino
absidale
al
di
sopra
del
coro
ligneo,
essi
costituiscono
rispettivamente
i
monumenti
funerari
di:
Costanza
d'Aragona († 1363),
sorella
di Martino
I
di
Aragona e
moglie
di
Federico
IV
di
Sicilia;
Reali
d'Aragona ovvero
il
ramo
dei
Sovrani
siciliani
del
Casato
degli
Aragona;
il
sarcofago
tipo
"Sidamara"
di
età
romana, custodisce
i
resti
mortali
di:
Federico
III
di
Sicilia o
"Federico
II
d'Aragona"
o
"Federico
di
Trinacria"
(† 1337);
Giovanni
d'Aragona († 1348)
figlio
di Federico
III
di
Sicilia;
Ludovico
di
Sicilia o
"Ludovico
di
Trinacria"
(† 1355),
detto
pure Luigi
I
di
Sicilia,
figlio
di Pietro
II
di
Sicilia e
nipote
di Federico
III
di
Sicilia;
Maria
di
Sicilia († 1401), figlia
di
Costanza
d'Aragona e Federico
IV
di
Sicilia,
nipote
di Pietro
II
di
Sicilia e
pronipote
di
Federico
III
di
Sicilia;
Pietro
di
Sicilia
(†1400), Federico
poi
detto Pietro,
figlio
unico
di Maria
di
Sicilia e
di
Martino
il
Giovane o
"Martino
I
di
Sicilia",
nipote
di
Costanza
d'Aragona;
Martino
d'Aragona
(†
agosto 1407),
figlio
di Bianca
di
Navarra e
di Martino
il
Giovane o
"Martino
I
di
Sicilia";
Blasco
II
Alagona il juniore,
sepoltura.
Cappella
del
Crocifisso
-
1563, Portale di Giandomenico
Mazzolo
adornato
con
14
bassorilievi
raffiguranti
scene
della
Passione,
Morte
e
Risurrezione
di
Gesù.
La Cappella
del
Santissimo
Crocifisso ospita
un
grande Crocifisso inserito
in
una
nicchia
reliquiario,
contornato
dalle
statue
della Madonna
Addolorata e
di San
Giovanni.
Sono
presenti
una Via
Crucis e
altri
busti
sacri.
Sepolcro
del
vescovo
Bonaventura
Secusio patrocinatore
del
convento
della chiesa
di
Sant'Agata
la
Vetere.
L'ambiente
ospitava
la
primitiva Cappella
di
San
Silvestro.
Sagrestia
-
Nel 1657 all'interno
dell'ambiente
si
verificò
un
furioso
incendio
che
distrusse
gran
parte
dei
reperti
custoditi.
Dell'archivio
della
chiesa,
del
capitolo
e
del
vescovado
si
salvarono
solo
i
documenti
relativi
i
privilegi
e
le
concessioni
di Ruggero
II,
di Enrico
VI, Federico
II, Corrado
IV e Manfredi. Nel 1375,
il
vescovo Marziale commissionò
il bacolo
pastorale in
oro,
argento
e
pietre
preziose, Pietro
Galletti le
preziose
tappezzerie,
paramenti
e
indumenti
in
seta.
La
ricostruzione
fu
patrocinata
dal
vescovo Michelangelo
Bonadies,
le
strutture
resistettero
al terremoto
del
Val
di
Noto
del
1693.
Oggi
custodisce
un
importante
affresco
raffigurante
l'Eruzione
dell'Etna
del
1669, opera
del
pittore Giacinto
Platania. È
presente
un
armadio
da
sagrestia
del XVIII
secolo.
Abside
destra
-
Cappella
di
Sant'Agata
-
In
fondo
alla
navata
destra
si
apre
la
cappella
più
cara
a
tutti
i
catanesi, autentico
scrigno
di
tesori
d'arte.
Un'elaborata
cancellata
in
ferro
battuto,
opera
di Salvatore
Sciuto
Patti
del
1926,
protegge
il
maestoso
ambiente
dedicato
a
Sant'Agata. In
senso
orario
tre
diverse
espressioni
artistiche
(architettura,
arte
religiosa,
statuaria
funeraria),
opere
dell'artista
messinese Antonello
Freri,
realizzate
nel
biennio 1495 - 1496.
Portale
sacello: portale d'accesso
alla
«Cammaredda»
realizzato
nel 1495.
Monumentale
manufatto
marmoreo
concepito
in epoca
rinascimentale con
influssi
di
stile
catalano
-
aragonese
con
rilievi
indorati.
L'architettura
presenta
fusti
di
colonne
con
decorazione
a
foglie
d'acanto,
i
rispettivi
capitelli
reggono
mensole
sulle
quali
poggia
e
si
articola
un
elaborato
architrave
aggettante
ornato
da
fregio
con
cherubini
alati.
Il
vano
sottostante,
caratterizzato
dalla
volta
a
cassettoni,
ospita
il
varco
d'accesso
al
sacello
protetto
da
una
fitta
cancellata
sormontata
da
una
raffigurazione
della
martire
sorretta
da
putti
e
angeli.
Nell'ordine
superiore
un'edicola
fiancheggiata
da
vasi
con
fiori
stilizzati,
racchiude
la
nicchia
contenente
la
statua
della
Santa
a
tutto
tondo.
Chiude
la
complessa
composizione
un lunettone raffigurante Dio
Padre benedicente.
Sulla
parete
sinistra
appena
dietro
l'inferriata,
coperta
da
una
immagine
del
busto
-
reliquiario,
è
murata
la
lapide
commemorativa
l'eruzione
dell'Etna
del
1669.
Completano
l'arredo
una
serie
di
lampade
votive,
fra
le
quali,
quella
voluta
dal viceré
di
Sicilia Francisco
Fernández
de
La
Cueva, duca
di
Alburquerque.
'A
Cammaredda:
locale
realizzato
chiudendo
il
passaggio
interno
per
l'ingresso
dei
canonici
nel coro.
Il
vano
custodisce
le
reliquie.
Busto
-
reliquiario:
opera
dell'artista
senese Giovanni
di
Bartolo eseguito
a Limoges negli
anni
a
cavallo
il 1373 e
il 1376.
Scrigno:
grande
cassa
d'argento
sbalzato
e
cesellato,
opera
di
argentieri
catanesi
fra
i
quali
si
annovera Vincenzo
Archifel e
il
figlio
Antonio, Paolo
Guarna,
realizzato
nel XV - XVI
secolo,
all'interno
sono
riposte
le
teche
contenenti
le
diverse
parti
del
corpo
della
Santa.
Lo
scrigno
custodisce
anche
il
famoso
velo
indossato
da
Agata.
Retablo:
Altare
di
Sant'Agata.
L'elevazione
marmorea
su
più
ordini,
presenta
sotto
la
mensa
un
bassorilievo
raffigurante
Sant'Agata
realizzato
all'interno
di
una
corona
fitomorfe
sorretta
da
angeli,
ai
lati
le
scene
di
martirio
subiti:
l'Asportazione
della
mammella e
il Supplizio
dei
carboni
ardenti.
Alle
estremità,
retti
da
puttini,
sono
presenti
lo
stemma
papale
con triregno e
le
insegne
cardinalizie
con galero e
fioccature
di
nappe.
Il
tabernacolo è
chiuso
da
sportello
argenteo
raffigurante
l'Agnus
Dei
delimitato
da
pannelli
con
angeli
adoranti,
fanno
corona
scene
che
descrivono
il
rientro
delle
sacre
spoglie
da
Costantinopoli.
Sulla
fascia
superiore
in
sei
differenti
scomparti,
altrettanti
angeli
presentano
i
simboli
della Passione
di
Cristo.
Il
trittico
centrale
dell'elevazione,
ripartito
in
nicchie,
presenta
nello
scomparto
mediano
la mandorla riproducente Gesù
incorona
Sant'Agata
presentata
dalla
Vergine
Maria fra
putti
festanti,
ai
lati
gli
apostoli San
Pietro e San
Paolo.
Sulle
mensole
delle
colonnine
gli
evangelisti
Luca,
Giovanni,
Marco, Matteo,
statuette
con
simbolo
allegorico
a
tutto
tondo
collocate
con
sfondo,
il
cornicione
sommitale,
ove
si
alternano
agli
stemmi
della
città
di
Catania
e
della
regnante Casa
d'Aragona.
Completano
la
decorazione
delle
pareti
due
affreschi
seicenteschi
che
rappresentano Santa
Lucia
in
preghiera
sulla
tomba
della
martire
catanese e
la Vergine
Digna
incoraggiata
al
martirio
da
Sant'Agata corredati
da
estesi cartigli esplicativi.
Nella calotta
absidale sovrasta
la monofora,
la
replica
dell'Incoronazione
di
Sant'Agata,
opera
di Giovanni
Battista
Corradini del 1628.
Sepolcro
De
Acuña:
monumento
funebre.
Sepoltura
di Fernando
de
Acuña
y
de
Herrera,
conte
di
Buendía
†
2
dicembre
1494.
L'opera
fu
voluta
da
Donna
Maria
d'Avila,
per
ricordare
il
marito
grande
devoto
della
martire
Agata,
scomparso
prematuramente.
Due
alti plinti fanno
da
base
alle
colonne
sostenute
da
due
leoncini
recanti
gli
stemmi
gentilizi
dei De
Acuña e
degli Ávila.
I
fusti
presentano
una
decorazione
a
foglie
d'acanto,
le lesene parietali
motivi
a candelabra,
il
vano
della
parete
è
occupato
da
un
drappo
a
baldacchino
sorretto
da
putti
con
le
insegne
di Casa
d'Aragona e
il cristogramma su raggiera.
Sull'architrave
dell'elevazione
sono
rappresentati
a
bassorilievo
il
Cristo
e
gli
Apostoli,
la
volta
dell'ambiente
presenta
la
decorazione
a
cassettoni,
chiude
come
coronamento
una
ghirlanda
sorretta
da
angeli
sulla
quale
è
scolpito
un
monogramma,
sormonta
lo
scudo
sommitale
una
statuetta
allegoria
della Giustizia.
La
scultura
mostra
il
viceré
vestito
di
armatura,
in
ginocchio
orante
dinanzi
ad
un
leggio
drappeggiato
di
stoffe,
su
cui
sta
aperto
il
libro
delle
preghiere,
adiacente
a
lui
è
un
paggio
col
grande
scudo
che
gli
ricopre
quasi
tutta
la
persona.
Ai
lati
dell'altare
i
monumenti
settecenteschi
del
cardinale Camillo
Astalli-Pamphilj e
del
vescovo Andrea
Riggio.
Abside
-
Altare
maggiore
-
Oltre
la crociera,
la
navata
centrale
termina
con
una
profonda
abside
normanna,
coperta
con volta
a
botte ogivale e
terminante
con
una
parete
semicircolare.
Mentre
esternamente
essa
presenta
ancora
l'antico
paramento
murario
in
pietra
lavica
dell'Etna,
all'interno
è
decorata
da
un
ciclo
di
affreschi
opera
del
pittore
romano
Giovanni
Battista
Corradini
commissionati
da Innocenzo
Massimo e
risalenti
al 1628; l'opera
è
incentrata
sui
santi
patroni
della
città
di Catania,
nei
quadroni
del
catino
absidale San
Berillo, Sant'Euplio, Santo
Stefano
protomartire (raffigurato
con
Ponziano,
Fabiano
e
Cornelio)
e
Sant'Agata,
la
cui
"Incoronazione"
è
raffigurata
al
centro
della
calotta
absidale.
Testimonianze
dell'epoca
normanna
sono
le
due
colonne
che
sorreggono
l'arco
absidale
e
la
monofora ogivale,
chiusa
da
una
vetrata
moderna
e
posta
in
posizione
centrale.
All'interno
dell'abside
trova
luogo
il presbiterio,
preceduto
da
una
rampa
di
scale
che
lo
delimita
sulla
parte
anteriore;
esso
ospita,
in
posizione
avanzata,
i
moderni altare
maggiore e ambone,
realizzati
nel 2000;
l'antico
altare
neoclassico in marmi
policromi si
trova
nella Cappella
della
Madonna
del
Rosario con
accesso
nel
transetto
di
destra.
Lungo
le
pareti
dell'abside,
invece,
si
trova
il
pregevole
coro
ligneo barocco,
realizzato
dallo
scultore
napoletano
Scipione
di
Guido alla
fine
del XVI
secolo,
comprendente
anche
la
cattedra
all'estremità
destra,
il
cui
ordine
superiore
è
costituito
da
34
stalli.
Negli
stalli
in
bassorilievo
sono
riprodotte
scene
raffiguranti
la
vita,
il
martirio
di
Sant'Agata
e
i
momenti
della
traslazione
delle
reliquie
da
Costantinopoli a
Catania. Opera
commissionata
dal
vescovo
Giovanni
Corrionero e
perfezionata
da Giandomenico
Rebiba.
L'attuale
altare
in
bronzo
"versus
populum"
commissionato
dal
vescovo Luigi
Bommarito allo
scultore Dino
Cunsolo
insieme
all'ambone
e
al
porta
cero
pasquale,
sostituisce
il
primitivo
altare
collocato
attualmente
nella
"Cappella
della
Vergine"
del
transetto
destro.
Abside
sinistra
-
Cappella
del
Santissimo
Sacramento
-
Cappella
privata
della
nobile famiglia
Gravina – Cruyllas,
le
lapidi
alle
pareti
e
sul
pavimento
ai
piedi
dell'altare
indicano
la
sepoltura
di
alcuni
suoi
componenti.
Già
primitiva Cappella
di
San
Benedetto
con
interventi
operati
da Bonaventura
Secusio.
Organo
a
canne
-
La controfacciata della
navata
centrale
è
caratterizzata
dalla
presenza
della cantoria in stile
neoclassica
realizzata
nel 1926 su
progetto
di Carmelo
Sciuto
Patti;
essa
ospita
l’organo monumentale.
Quest'ultimo
venne
commissionato
dal
cardinale Giuseppe
Benedetto
Dusmet all'organaro
francese
Nicolas
Théodore
Jaquot
nel
1877;
una
volta
terminato,
lo
strumento
venne
posizionato
nell'abside centrale,
alle
spalle
dell'altare
maggiore.
Nel 1926,
in
seguito
alla
riorganizzazione
dell'area
absidale,
venne
costruita
la
cantoria
in
controfacciata
e
su
di
essa
lì
venne
trasferito
l'organo
a
spese
del
cardinale
Francica
Nava;
in
tale
occasione,
venne
realizzata
una
nuova
cassa
dall'artista Giambattista
Sangiorgio e
lo
strumento
venne
ampliato
dalla
ditta
organaria
Laudani
e
Giudici.
Muto
per
decenni,
nel 2012 è
iniziato
un
importante
intervento
di
restauro
ad
opera
della ditta
organaria Mascioni,
terminato
nel 2014.
Lo
strumento
è
a trasmissione
meccanica con
sistema
elettronico
di
assistenza
per
le
combinazioni;
la
sua
consolle
dispone
di
tre
tastiere
di
58
note
ciascuna
e
pedaliera
di
30
note.
Chiesa
Sant'Agata
la
Vetere
La
sua
fondazione
risale
all'anno
264,
quando
il
vescovo
San
Everio,
quarto
vescovo
della
diocesi,
eresse
una
modesta
edicola
votiva
nel
luogo
in
cui
la
vergine
Agata
subì
il
martirio
del
taglio
delle
mammelle,
tredici
anni
dopo
la
sua
morte.
Dopo
l'editto
di
Costantino
(313)
l'edicola
fu
sostituita
da
un
vero
e
proprio
edificio
di
culto
costruito,
ad
opera
del
vescovo
San
Severino,
tra
il
380
ed
il
436.
La
chiesa
di
Sant'Agata
la
Vetere
divenne
sede
della
cattedra
vescovile
ed
in
essa
sarebbero
state
trasferite
le
reliquie
della
martire
dal
loro
originario
luogo
di
sepoltura.
Ampliata
in
forma
basilicale
nel
776
o
778,
la
chiesa
fu
la
cattedrale
della
città
per
otto
secoli,
fino
al
1089
o
1091
(quando
il
conte
Ruggero
dispose
l'edificazione
della
nuova
Cattedrale,
consacrata
nel
1094):
per
questo
motivo
fu
indicata
con
l'appellativo
la
Vetere,
cioè
l'antica.
Quando
in
epoca
medievale
(1556)
la
città
fu
rinserrata
all'interno
della
cinta
muraria
articolata
da
diversi
bastioni,
la
chiesa
su
tre
lati
fu
perimetrata
da
uno
di
questi
bastioni
(detto
del
Santo
Carcere).
Nel
1613
la
chiesa
fu
ceduta
all'ordine
dei
frati
francescani
del
convento
di
Santa
Maria
di
Gesù
e
fu
costruito
un
convento
annesso
ad
essa.
Quasi
totalmente
distrutta
dal
terremoto
del
1693,
ad
eccezione
della
cripta
sotterranea,
fu
ricostruita
nel
1722
più
a
ponente
e
con
maggiori
dimensioni.
Ricostruita
dopo
il
1693
secondo
un
linguaggio
architettonico
semplice
e
sobrio,
la
chiesa
presenta
unica
navata
ed
ingloba
strutture
del
precedente
edificio
di
culto.
Resti
dell'antica
facciata
pre-terremoto,
visibili
attraverso
alcune
lastre
di
vetro
al
centro
della
navata,
dimostrano
che
la
nuova
chiesa,
nella
ricostruzione,
sia
stata
edificata
ad
una
quota
più
alta
(di
circa
m
1,5)
e
spostata
in
avanti
di
circa
25
metri
(occupava
una
parte
del
cortile
antistante
e
dell'attuale
chiesa
di
Sant'Agata
al
Carcere).
Vero
e
proprio
tempio
del
culto
agatino,
il
prospetto
si
presenta
in
semplice
muratura
e
racchiuso
tra
bianche
paraste
in
pietra
calcarea.
Sopra
il
portale
si
apre
un'ampia
finestra
e
la
facciata
culmina
con
un
timpano
triangolare
al
di
sopra
di
un
cornicione
aggettante.
Ai
lati
del
portone,
due
finestre
tonde
interrompono
il
paramento
murario
della
facciata.
Una
lapide
marmorea
posta
alla
destra
del
portale
ricorda
le
illustri
personalità
che
visitarono
questo
sacro
luogo.
Entrando
accanto
all'ingresso,
sulla
parete
di
destra,
è
possibile
notare
una
lapide
di
marmo
che
riassume
le
principali
vicende
che
videro
protagonista
Agata:
Computo
a'
devoti
della
Santa
-
S.
Agata
nacque
in
Catania
l'anno
238
-
fu
coronata
del
martirio
l'anno
252
-
il
primo
miracolo
che
liberò
dal
fuoco
la
città
e
sobborghi
con
il
velo
fu
l'anno
253
-
il
suo
corpo
dimorò
in
S.
Agata
la
Vetere
anni
788
-
fu
da
Catania
trasportata
a
Costantinopoli
l'anno
1040
-
dimorò
in
Costantinopoli
anni
86
-
ritornò
da
Costantinopoli
a
Catania
l'anno
1126
-
riposa
nella
sua
maestosa
basilica
eretta
da
Ruggiero
l'anno
1094
sino
al
presente.
All'interno
dell'atrio
vi
è
un
grande
portale
ligneo
del
Settecento
con
lo
stemma
dell'arcivescovo
Pietro
Galletti
(1729-1757),
che
fu
tra
i
principali
artefici
della
ricostruzione
post
1693;
realizzato
in
stile
barocco,
esso
presenta
al
centro
una
scultura
lignea
rappresentante
il
Cristo
alla
colonna.
Ai
lati
della
navata
centrale
sei
altari
ornati
con
magnifici
quadri
di
importanti
autori
siciliani:
La
Madonna
degli
Apostoli
di
Paolo
Pietro
Vaccari
(1851),
La
Madonna
col
Bambino
del
secolo
XVIII
di
autore
ignoto,
La
Madonna
dei
Bambini
di
Giuseppe
Sciuti
(1898),
Sant'Agata
al
Carcere
visitata
da
San
Pietro
di
Antonio
Pennini
(1777),
La
morte
di
San
Giuseppe
del
secolo
XIX
di
autore
ignoto.
A
sinistra
della
navata
è
possibile
ammirare
la
cassa
lignea
che
per
molti
secoli
ha
custodito
le
Sacre
Reliquie
di
Sant'Agata,
sul
quale
è
posto
un
mezzo
busto
della
santa
realizzato
nel
secolo
XIX
da
un
artigiano
locale.
La
scultura
è
polimaterica:
il
volto
della
santa
è
in
legno
dipinto,
gli
angeli
ai
suoi
lati
sono
in
metallo,
le
mani
sono
di
cera
ed
il
busto
di
cartapesta,
la
corona
presenta
vetri
colorati
incastonati.
Lungo
il
lato
sinistro
della
navata
si
trova
una
scultura
lignea
del
secolo
XVIII
rappresentante
Santa
Lucia,
che
regge
nella
mano
destra
una
coppa
con
gli
occhi
e
la
palma
del
martirio,
e
nella
sinistra
un
libro
aperto.
- Chiesa
della
Badia
di
Sant'Agata
MONASTERO
-
Le
origini
del
monastero
benedettino
femminile
di
Sant’Agata
sono
da
ricercarsi
nel
legato
testamentario
disposto
da
Erasmo
Cicala
in
favore
della
figlia
Isabella
(1612),
che
lo
istituiva
nel
tenimento
di
case
di
proprietà
dello
stesso
Cicala
in
contrada Campanile Vecchio, corrispondente
pressappoco
alla
posizione
attuale.
La
vita
comune
inizia
nel
1652
ed
il
4
Ottobre
di
quell’anno
si
svolgono
le prime
monacazioni
che,
per
favorire
il
popolamento
del
monastero,
vengono
accettate
senza
richiedere
alcuna
dote
e
fornendo
anzi
alle
monache
tutto
ciò
di
cui
necessitavano,
dagli
abiti
al
cibo.
Nel
1675,
con
decreto
di
Papa
Clemente
X
e
della
Sacra
Congregazione
dei
Riti
alle
monache
di
Sant’Agata
viene
concesso
il
privilegio
di
celebrare
il
patronato
del
monastero
il
17
Giugno
di
ogni
anno,
nel
giorno
in
cui
Catania
ricordava
il
patrocinio
di
Sant’Agata
in
occasione
della
fine
della
peste
del
1576.
Le
monache
non
badarono
a
spese
per
l’edificazione
del
monastero
che
fu
ingrandito
rispetto
alla
fabbrica
originaria,
e
soprattutto
per
la
chiesa
che
fu
adornata
con
stucchi
dorati,
pitture
ed
un
pregevole
soffitto
ligneo
intagliato
e
dorato.
Questo
stato
di
cose
ebbe
però
vita
breve,
poichè
pochi
anni
dopo
queste
fabbriche
crollarono
per
il
devastante
terremoto
che
colpì
il
Val
di
Noto
l’11
Gennaio
del
1693
e
che
della
comunità
monastica
lasciò
in
vita
soltanto
13
monache
su
28.
Per
volontà
del
Vescovo
Andrea
Riggio
il
monastero
di
Sant’Agata
fu
incluso
fra
quelli
che
sarebbero
stati
ricostruiti,
ed
il
12
Luglio
1694,
definito
il
nuovo
lotto,
esso
fu
chiuso
da
un
alto
recinto
e
costruita
una
prima
fabbrica
provvisoria
per
ospitare
le
monache
e
allo
stesso
tempo
rimessa
in
uso
quanto
restava
della
vecchia
chiesa.
Nel
1736
fu
quindi
chiamato
il
più
importante
architetto
allora
presente
in
città,
Giovan
Battista
Vaccarini,
per
edificare
la
nuova
monumentale
chiesa
e
il
monastero,
per
quanto
questo
sia
stato
poi
materialmente
realizzato
dopo
la
sua
morte
ma
probabilmente
su
suo
progetto.
La
vita
del
monastero
proseguì
poi
fino
alla
decisiva
data
del
7
luglio
1866,
quando
per
effetto
delle
Leggi
Siccardi
venne
tolta
personalità
giuridica
alle
comunità
religiose
maschili
e
femminili.
A
quel
tempo
il
monastero
contava
27
monache,
più
le
inservienti
e
le
laiche,
che
continuarono
ad
vivere
in
una
parte
dell’edificio fino
alla
morte
dell’ultima
monaca
nel
1929.
CHIESA
-
La
chiesa
della
Badia
di
Sant’Agata
si
presenta
oggi
come
la
più
perfetta
opera
di
architettura,
fra
i
tanti
capolavori
che
la
ricostruzione
tardo
barocca
seguita
al
terremoto
del
1693
ha
prodotto
a
Catania.
Subito
dopo
quel
disastroso
evento
si
era
provveduto,
per
le
esigenze
delle
monache,
ad
innalzare
una
prima
chiesa
riutilizzando
e
sistemando
quanto
era
sopravvissuto
dell’edificio
precedente.
Questa
però
non
era
ancora
stata
completata
quando
nel
1733
si
decide
si
ricostruirne
una
nuova
e
monumentale,
dirottando
su
questo
cantiere
un
lascito
di
4000
scudi
voluto
nel
1720
da
Giuseppe
Moncada
per
l’edificazione
di
un
monastero
a
Paternò.
Nel
1736
con
l’acquisto
dei
materiali
viene
avviato
il
cantiere,
sotto
la
direzione
di Giovan
Battista
Vaccarini,
che
qui
darà
la
sua
migliore
prova.
Appena
tornato
da
Roma,
il
giovane
architetto
palermitano
applicherà
in
questa
chiesa,
nelle
forme
più
perfette,
i
modelli
della
grande
architettura
romana
conciliandola sapientemente
alle
forme
della
tradizione
tardo
barocca
locale.
In
particolare
in
questo
edificio
risulta
molto
forte
l’impronta
borromininiana,
direttamente
derivata
dal
modello
della
chiesa
di
Sant’Agnese
in
Agone
in
Piazza
Navona
(Roma).
Nel
1742,
come
dimostra
la
data
incisa
nel
concio
di
chiave
dell’arco
del
portale,
la
facciata
doveva
già
essere
completata:
in
essa
fu
riutilizzato
il
portale
secentesco
di
Giovanni
Maria
Amato
sopravvissuto
al
terremoto,
inserendolo
nel
magistrale
movimento
della
facciata
ottenuto
dall’accostamento
di
forme
concave
e
convesse,
in
un
insieme
di
straordinaria
eleganza
formale.
I
lavori
proseguirono
a
fasi
alterne,
fino
al
1767
quando
fu
completata
e
voltata la
cupola.
In
quest’occasione
Vaccarini
beneficò
generosamente
la
chiesa,
soddisfatto
per
l’opera
compiuta,
rinunciando
alle
spettanze
arretrate
a
lui
dovute.
Dopo
la
morte
di
Vaccarini,
nel
1768,
furono
realizzate
le
finiture
dell’interno
per
le
quali
un
ruolo
fondamentale
ebbe
mastro
Nicolò
Daniele,
che
realizzò
il
pregevole
pavimento
in
marmo
bardiglio
su
marmo
bianco
di
Carrara
forse
seguendo
un
disegno
già
preparato
da
Vaccarini.
Sempre
al
Daniele
si
può
attribuire
la
realizzazione
degli
altari
in
marmo
giallo
di
Castronovo,
materiale
che
l’architetto
palermitano
aveva
invece
pensato
anche
per
impellicciare
anche
le
colonne
dell’ordine
maggiore.
Nel
1782
vennero
realizzate
le
statue
degli
altari
in
stucco
marmorizzato
ad
opera
di
Giovan
Battista
Marino,
maestro
Mario
Biondo
e
maestro
Giovan
Battista
Amato.
Nello
stesso
anno
furono
completate
tutte
le
decorazioni
interne
ed
esterne
della
chiesa,
in
previsione
della
solenne
consacrazione
alla
presenza
del
sovrano
(1796).
L’ultima
fase
della
storia
della
chiesa
è
quella
relativa
al
restauro,
avviato
nel
2010
con
fondi
dell’Arcidiocesi
di
Catania
e
dell’Otto
per
Mille
della
Conferenza
Episcopale
Italiana
per
la
riapertura
al
culto
e
la
messa
in
sicurezza
dopo
i
danni
riportati
dall’edificio
in
occasione
del
terremoto
del
1990.
La
solenne
riapertura
della
chiesa
è
poi
avvenuta
il
15
Ottobre
2012,
quando
per
volontà
dell’arcivescovo
Mons.
Salvatore
Gristina
è
stata
destinata
ad
attività
di
culto
e
come
centro
diocesano
per
speciali
attività
culturali.
Basilica
Maria
Santissima
dell'Elemosina
La basilica
Maria
Santissima
dell'Elemosina,
meglio
conosciuta
come basilica
Collegiata,
è
una
chiesa
tardo barocca.
La
chiesa
sorge
su
un
antico
tempio
pagano
dedicato
a Proserpina.
Nei
primi
secoli
cristiani
si
costruì
nel
sito
una
piccola
chiesa
dedicata
alla
Vergine
Maria
che
in
epoca
bizantina
era
chiamata
Madonna
dell'Elemosina.
Nel 1396 fu
elevata
a
"Regia
Cappella"
in
quanto
molto
frequentata
dagli
Aragonesi,
padroni
della
Sicilia
di
quel
tempo.
La
chiesa
fu
ricostruita
nei
primi
anni
del XVIII
secolo,
distrutta
dal terremoto
del
1693,
prima
del
quale
l'entrata
dell'edificio
era
nell'attuale
tratto
iniziale
di
via
Alessandro
Manzoni
e
dopo
la
catastrofe
si
decise
di
invertirla,
facendo
affacciare
la
chiesa
in
via
Etnea.
Nel
febbraio
del 1946 papa
Pio
XII elevò
la
chiesa
alla
dignità
di basilica
minore.
Il
progetto
è
attribuito
ad Angelo
Italia,
che
ribaltò
l'orientamento
del
nuovo
edificio
rispetto
al
precedente
distrutto
dal
terremoto,
in
modo
da
farlo
prospettare
sulla
via
Uzeda
(l'attuale via
Etnea),
prevista
dal
piano
di
ricostruzione.
La
facciata,
progettata
da Stefano
Ittar,
è
un
magistrale
esempio
di barocco
catanese.
La
facciata
campanile campanile
(tipica
della
tradizione
siciliana)
è
su
due
ordini
e
nel
primo
ordine
ha
sei
colonne
in
pietra,
sormontate
da
una
balaustra.
Nel
secondo
ordine
vi
è
un
finestrone
centrale
ed
ai
lati
quattro
grandi
statue
di San
Pietro, San
Paolo,
Sant'Agata
e
Santa
Apollonia.
Sul
secondo
ordine
un
elemento
centrale
ospita
le campane.
Si
accede
alla
chiesa
mediante
una
grande
scalinata,
sulla
quale,
a
delimitare
il sagrato,
è
posta
una
cancellata
in
ferro
battuto.
L'interno
è
a
pianta
basilicale
a
tre navate,
delimitate
da
otto
pilastri,
e
tre absidi,
delle
quali
quella
centrale
è
notevolmente
allungata
per
la
realizzazione
del
coro
dei
canonici,
secondi
per
importanza
solo
a
quelli
della
cattedrale.
Nella
navata
di
destra
si
incontra
il battistero e
quindi
tre
altari
con
tele
rappresentanti
santa
Apollonia
e sant'Euplio di Olivio
Sozzi e
un Martirio
di
Sant'Agata
di di Francesco
Gramignani.
In
fondo
alla
navata
è
posto
l'altare
dell'Immacolata,
protetto
da
una
balaustra
una balaustra in
marmo,
su
cui
è
posta
una
statua
marmorea
della Madonna.
Nell'abside
della
navata
centrale
è
posto
l'altare
maggiore
con
una icona della
Madonna
con
Bambino,
copia
dell'icona
bizantina
della
Madonna
detta
dell'Elemosina
(della
Misericordia)
venerata
nella
basilica
collegiata
santuario
di
Biancavilla
(CT).
Dietro
l'altare
maggiore
è
posto
un organo ligneo
del XVIII
secolo.
Lateralmente
un coro ligneo
con
36 stalli,
e
a
lato
due
tele
del
pittore Giuseppe
Sciuti.
Nella
navata
di
sinistra
nella
parte
absidale
è
posta
la
cappella
del
Santissimo
Sacramento
con
altare
in
marmo.
Proseguendo
si
incontrano
altri
tre
altari
con
tele
rappresentanti san
Giovanni
Nepomuceno,
la Sacra
Famiglia e san
Francesco
di
Sales.
Nel 1896 Giuseppe
Sciuti dipinse a
fresco la
volta
e
la cupola della
chiesa
con
diverse
immagini
della
Beata
Vergine
Maria,
angeli
e
santi.
Chiesa
Santa
Maria
di
Gesù

L’edificazione
della
chiesa
di
Santa
Maria
di
Gesù
risale
al
1442.
Originariamente,
più
esattamente
nel
Trecento
questa
basilica
svolgeva
la
funziona
di
una
piccola
cappella
accanto
alla
quale
sorse
in
tempi
successivi,
un
piccolo
convento
di
frati
francescani.
La
cappellina
era
posta
in
un’area
chiamata
Selva
del
convento
di
Santa
Maria
di
Gesù
e
si
trovava
in
un
viale
compreso
tra
Giardino
Bellini,
via
Plebiscito
e
viale
Regina
Margherita.
In
quell’epoca
la
chiesa
aveva
un
scopo
prevalentemente
funerario.
La
vera
chiesa
venne
edificata
solo
nel
secolo
successivo
ovvero
il
Quattrocento.
Con
il
passare
degli
anni
furono
sempre
maggiori
le
decorazioni
che
vennero
apportate
alla
stessa.
Vere
e
proprio
opere
d’arte
facevano
da
sfondo
alla
basilica
che
in
poco
tempo
si
vide
gremita
di
addobbi.
Un
violento
terremoto
però,
avvenuto
nel
1693,
distrusse
completamente
la
chiesetta.
La
sua
riedificazione
avvenne
così
nel
XVIII
secolo
ed
è
rimasta
ad
oggi
intatta.
Nel
1949
la
basilica
è
stata
elevata
a
parrocchia.
La
facciata
della
Chiesa
si
presenta
simmetrica
piana,
austera
e
di
stampo
romanico.
Le
maggiori
decorazioni
si
trovano
ai
lati
e
sono
molto
simili
a
quelle
delle
chiese
situate
lungo
l’area
etnea.
Le
caratteristiche
particolari
della
chiesa
sono
l’alternanza
delle
pietre
di
colore
nero
e
bianco.
La
basilica
al
suo
interno
presenta
una
navata
singola
mentre
ai
lati
è
dotata
di
cappelle
riprodotte
dalle
famiglie
più
nobili
di
Catania.
Tra
le
più
note
spicca
la
chiesetta
Paternò
Castello
da
cui
potrai
accedere
semplicemente
attraverso
un
portale
di
sculture.
Lo
spazio
interno
è
disposto
longitudinalmente
con
la
presenza
anche
di
un
presbitero.
All’esterno
la
chiesa
presenta
una
caratteristica
fondamentale,
ovvero
la
facciata
decorata
con
preziosi
stucchi
voluta
fortemente
dal
frate
Girolamo
Palazzotto.
In
realtà
questo
abbellimento
è
servito
maggiormente
per
coprire
le
opere
d’arte
più
antiche
ed
ormai
rovinate.
La
chiesa
di
Santa
Maria
di
Gesù
a
Catania
presenta
così
uno
stile
omogeneo
è
molto
raffinato.
Le
sue
caratteristiche
sono
principalmente
dovute
ai
canone
delle
scuole
del
XVI
secolo,
ovvero
agli
anni
in
cui
venne
costruita.
Sull’altare
maggiore
sono
presenti
diversi
dipinti
su
tavola,
come
quello
denominato
Immacolata
Concezione
pitturato
nel
1525
dal
pittore
Angelo
Di
Chirico.
L’affresco
raffigura
nello
specifico
due
sante
donne,
Sant’Agata
e
Santa
Caterina
d’Alessandria.
Oltre
a
queste
dipinti
la
chiesa
presenta
anche
opere
di
altri
famosi
autori
come
Giuseppe
Zacco,
morto
nel
1834
e
Antonello
Gagini
di
alcuni
secoli
prima.
Ad
oggi
la
chiesa
situata
a
Catania
è
un
vero
e
proprio
convento
dedicato
all’Ordine
dei
Frati
Minori
Osservanti.
Chiesa
di
Sant'Agata
alla
Fornace
e
di
San
Biagio

Sul
versante
ovest
di
piazza
Stesicoro,
cuore
della
nostra
amata
città,
affacciata
sull’anfiteatro
romano,
sorge
la
chiesa
di
San
Biagio.
Oltre
che
per
la
sua
bellezza
architettonica
la
chiesa
è
nota
per
il
suo
legame
con
la
patrona
della
città,
Sant’Agata,
e
con
il
suo
martirio;
la
chiesa
sorge
infatti
nei
pressi
di
una
fornace
“carcaredda”
che
veniva
utilizzata
proprio
per
la
martirizzazione
dei
cristiani.
Com’è
ben
noto
ai
più
devoti,
dopo
la
fuga
a
Palermo,
la
santa
venne
ricondotta
in
catene
alla
sua
città
natale
per
volere
del
proconsole
Quinziliano.
Questo,
invaghitosi
della
giovane,
tentò
di
convincerla
a
rinunciare
alla
sua
fede.
Una
volta
preso
atto
della
tempra
morale
della
ragazza,
la
incarceró
e
la
sottopose
ai
noti
supplizi
per
cui
è
diventata
celebre
tra
cui
l’asportazione
dei
seni
attraverso
l’uso
di
tenaglie
e
il
supplizio
dei
carboni
ardenti.
La
tradizione
vuole
che
il
martirio
più
famoso,
quello
dei carboni
ardenti,
sia
avvenuto
proprio
nella
fornace
posta
nell’attuale
sito
della
chiesa
di
San
Biagio.
In
virtù
di
ciò,
la
chiesa
è
anche
conosciuta
con
il
nome
di Sant’Agata
alla
fornace.
La
decisione
di
costruire
una
chiesa
sul
luogo
del
martirio
risale
al
XVI
secolo;
ma,
già
da
non
molto
dopo
la
morte
della
giovane,
era
sorto
sul
luogo
un
capitello
votivo
atto
alla
venerazione
di
quella
che
sarebbe
diventata
la
patrona
della
città.
Tuttavia,
la
prima
costruzione
dedicata
a
San
Biagio,
venne
rasa
al
suolo
dal
terremoto
del
1693.
Solo
qualche
anno
dopo,
l’allora
vescovo
di
Catania
Andrea
Riggio,
ne
volle
fortemente
la
ricostruzione.
Affidò
il
progetto
all’architetto
Antonio
Battaglia,
che
già
aveva
prestato
i
suoi
servizi
per
la
costruzione
di
altri
edifici
distrutti
dal
terremoto.
Una
volta
ultimata
la
costruzione
il
risultato
fu
una
chiesa
dal
gusto
sobrio
e
dalla
struttura
semplice.
Dando
un’occhiata
alla facciata di
San
Biagio
quello
che
emerge
è
lo
stile
neoclassico
realizzato
da Antonino
Battaglia.
Sulla
sommità
dell’edificio
si
stagliano
delle
statue
di
santi
che
spostano
l’attenzione
verso
la
parte
centrale
della
struttura,
sovrasata
da
una
croce.
Sull’altare
maggiore
è
ben
visibile
una
statua
della
Madonna
che
viene
accompagnata
dalle
statue
di san
Giovanni
Evangelista e santa
Maria
Maddalena.
La
cappella
destra
del
transetto
è
dedicata
al
crocifisso
e
presenta
un
altare
dedicato
a
San
Biagio.
La
cappella
destra
è
invece
dedicata
a
sant’Agata.
Sopra
l’altare
è
conservano
tutt’oggi,
protetto
da
una
teca,
quel
che
resta
della
fornace
in
cui
venne
martirizzata
la
Santa,
ad
accompagnare
il
tutto
un’affresco
di
Giuseppe
Barone
del
1938
rappresentante,
a
punto,
il
martirio.
Una
lapide
posta
sotto
l’altare
cita:
Hic
vultata
est
candentibus
(Qui
fu
voltata
tra
i
carboni
ardenti).
Monastero
e
Chiesa
di
San
Benedetto
Il
monastero
è
un
autentico
simbolo
della
città
di
Catania,
in
cui
ogni
pietra
racconta
la
storia
della
città
etnea
ed
è
riconoscibile
dallo
splendido
arco/ponte
che
si
apre
su
Via
dei
Crociferi
e
che
congiunge
la
badia
grande
alla
badia
piccola,
in
cui
oggi
ha
sede
il MacS
-
Museo
di
Arte
Contemporanea.
La
badia
piccola
ha
origini
molto
antiche
ed,
inizialmente,
prendeva
il
nome
di 'Monastero
di
Santa
Maddalena',
mentre
la
prima
fabbrica
del
monastero
benedettino
e
della
sua
chiesa
cominciò
intorno
alla
metà
del
XIV
sec.
e
proseguì
nei
secoli
successivi.
Solo
in
seguito
al
terremoto
del
1693
che
purtroppo,
uccise
tutte
le
religiose
che
vi
abitavano,
i
due
corpi
furono
collegati
dallo
splendido
arco/ponte
che,
secondo
un'antica
leggenda,
sembra
essere
stato
edificato
nel
corso
di
una
sola
notte.
Nel
corso
dei
secoli,
il
Monastero
e
la
vita
claustrale
che
racchiude,
hanno
ispirato
scrittori
e
registi,
divenendo
ad
esempio,
il
luogo
che
ispirò
il
romanzo
di Giovanni
Verga
'Storia
di
una
capinera' e
la
location
del
set
dell'omonimo
film
girato
da Franco
Zeffirelli.
Dopo
tre
secoli,
trascorsi
nel
silenzio
della
clausura, dall'aprile
2013,
è
possibile
oltrepassare
il
portone
di
accesso
del
Monastero,
edificato
nel
1350
e
successivamente
ricostruito
nei
primi
anni
del
XVIII
secolo,
in
seguito
al
terremoto
del
1693.
Al
Complesso
monumentale
appartiene
anche
la Chiesa
di
San
Benedetto (costruita
tra
il
1704
ed
il
1713),
fra
le
più
importanti
chiese
del
barocco
siciliano
e
fra
le
più
belle
d’Europa.
La
chiesa
è
ad
unica
navata
ed
ha
la
volta
mirabilmente
affrescata
con
scene
della
vita
di
San
Benedetto
dall’artista
messinese Giovanni
Tuccari,
in
appena
tre
anni,
fra
il
1726
ed
il
1729.
Proprio
per
la
velocità
della
sua
opera
fu
definito
il 'fulmine
del
pennello'.
La
struttura
è
celebre
soprattutto
per
la
scalinata
degli
Angeli,
uno
scalone
marmoreo
d'ingresso,
adorno
di
statue
raffiguranti
alcuni
angeli
e
cinta
da
una
bellissima
cancellata
in
ferro
battuto.
La
porta
d'ingresso
è
in
legno
e
sulle
formelle
sono
riportate
scene
della
vita
di
San
Benedetto.
Splendido
anche
il
prezioso
altare,
interamente
realizzato
in
diaspro
siciliano
con
intarsi
in
oro
zecchino
e
argento,
magnifica
la
cantoria,
del
1712,
in
legno
e
oro
zecchino,
dalla
quale
ancora
oggi,
nelle
ore
pomeridiane,
è
possibile
udire
l’armonioso
coro
delle
suore
di
clausura.
Suggestive,
inoltre,
sono
le
grate
che
caratterizzano
il
luogo.
Dall'aprile
del
2013
la
chiesa
è
visitabile,
all'interno
di
un
percorso
guidato
che
comprende
anche i
resti
di
una
domus
romana
ed
un
muro
bizantino,
probabilmente
la
parte
di
un
kastron,
ritrovati
in
occasione
degli
ultimi
lavori
di
restauro
e
il
parlatorio
settecentesco,
cioè
la
sala
in
cui
un
tempo
era
possibile
colloquiare
brevemente
con
le
monache
di
clausura,
da
dietro
le
grate.
Il
percorso
guidato
all’interno
del
complesso
monumentale,
ideato
nel
pieno
rispetto
delle
religiose
di
clausura
che
ancora
oggi
abitano
il
Monastero,
è
stato
progettato
con
l’intento
di
unire
tre
differenti
dimensioni
del
racconto
storico: l'archeologia,
l’architettura
e
l’arte.
Tutto
ciò
per
fornire
allo
spettatore
una
panoramica
della
storia
del
Monastero
che
parte
dai
resti
della
domus
romana
scoperta
all’interno
del
Monastero,
fino
all’attuale
riqualificazione
dei
locali
della
badia
piccola
del
Convento,
dove
ha
sede
il Museo
di
Arte
Contemporanea
Sicilia
-
MacS.
Con
grande
armonia,
il
museo
unisce
la
bellezza
architettonica
monastica
settecentesca
alla
modernità
dell’arte
contemporanea.
Il MacS è
il
tratto
di
unione
che
parte
dalla
lontana
tradizione
pittorica
barocca,
per
approdare
alla
contemporaneità,
promuovendo
la
conoscenza
del
panorama
italiano
ed
internazionale
dell’arte
contemporanea.
Cappella
Bonajuto
La
cappella
Bonajuto
o
del
Salvaterello
è
un
edificio
religioso
d'epoca
bizantina
di
Catania,
eretto
tra
il
VI
e
il
IX
secolo
d.C.
Uno
dei
pochi
edifici
di
rilievo
superstite
dell'epoca
bizantina
a
Catania,
la
cappella
è
collocata
all'interno
del
barocco
palazzo
Bonajuto
in
via
Bonajuto
7,
nel
popolare
quartiere
catanese
della
Civita.
Si
presenta
a
croce
greca
con
pianta
quadrata,
cupola
e
tre
absidi
(«cellae
trichorae»
o
«chiesa
a
trifoglio»)
in
forma
simile
alla
cuba
bizantina
presente
in
Sicilia.
Oggi
rispetto
al
piano
della
strada
si
trova
interrato
di
circa
2
metri.
L'edificio,
che
è
inoltre
arricchito
di
testimonianze
medioevali
e
quattrocentesche,
è
scampato
ai
diversi
terremoti
che
hanno
colpito
la
città,
fra
cui
quello
devastante
del
1693.
La
famiglia
Bonajuto
prese
possesso
della
cappella
a
partire
dal
Quattrocento
e
nel
secolo
successivo
vi
edificò
la
propria
residenza.
Sino
all'insediamento
dei
Bonajuto
la
cappella
era
dedicata
al
SS.
Salvatore,
denominazione
che
probabilmente
mantenne
sino
al
XVIII
secolo.
Nel
XVIII
secolo
quando
la
cappella
fu
oggetto
di
restauri
e
ristrutturazione
dell'ingresso,
questa
fu
meta
del
viaggio
del
pittore
francese
Jean
Houel.
La
cappella
è
stata
restaurata
da
Paolo
Orsi
e
Sebastiano
Agati
negli
anni
Trenta.
Oggi
è
visitabile
e
spesso
affittata
per
fini
espositivi
e
conferenze
nonché
come
pub
e
come
palcoscenico
di
gruppi
musicali
rock
e
di
altro
genere.
Pag.
4
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