Catania

 

Fontana dell'Elefante

Il monumento più celebre di Catania è la fontana dell'Elefante che domina al centro la Piazza del Duomo. Progettata dell'architetto Giovanni Battista Vaccarini, la fontana rappresenta un elefante (U Liotru) che sorregge un obelisco egiziano. L'opera fu realizzata tra il 1735 e il 1737 e rappresenta le tre civiltà: quella punica (l'elefante è il simbolo della sconfitta dei cartaginesi), quella egiziana (come è chiaro dalla presenza dell'obelisco, portato a Catania ai tempi delle Crociate) e quella cristiana, come si nota dalla croce montata sull'obelisco. Vaccarini si ispirò per la sua realizzazione alla fontana romana di Piazza della Minerva del Bernini. 

L'elefante in pietra lavica è antichissimo, forse di epoca romana. Fu ritrovato tra le macerie del terremoto con la proboscide e le zampe posteriori spezzate e, subito ricostruito, fu collocato al centro della Piazza dal Vaccarini, che pensò così di augurare lunga vita alla città che risorgeva, dato che in epoca pagana questo gigante era oggetto di culto e simboleggiava la longevità (vive anche 70 anni).

L'obelisco, retto dalla gualdrappa di marmo scolpito, è egizio e proviene dall'antica Syene  (l'attuale Assuan): possiede otto facce sulle quali sono incisi geroglifici relativi al culto della dea Iside, ben radicato anticamente nel territorio (la cattedrale infatti, sorgerebbe nel luogo in cui vi era probabilmente un antico tempio dedicato alla dea egiziana). Ricordiamo che, sopratutto dopo la conquista romana dell'Egitto, la pratica di adorare divinità orientali nell'Impero Romano era abbastanza diffusa. Anche il cristianesimo arrivò da oriente. Sembra molto probabile che l'obelisco fosse una delle due mete del Circo Romano di Catania. La sommità della fontana presenta alcuni simboli legati al culto di Sant'Agata: il globo, la croce, la palma del martirio e la tavoletta (posta accanto al corpo della santa appena spirata).

Ai lati del basamento, ornato da statue e putti, si possono notare le statue allegoriche dei fiumi catanesi: il Simeto e l'Amenano. Il Simeto, il fiume più importante della Sicilia (anche se non il più lungo, presente nella mitologia antica, esaltato dai versi dal IX libro dell'Eneide di Virgilio, è rappresentato con le sembianze di un vecchio barbuto, seduto su una conchiglia, con la corona in testa, mentre versa acqua da una piccola giara, con a lato una vanga, simbolo di fertilità di Catania: così dal passo di Virgilio.

Il monumento simbolo di Catania rappresenterebbe l'unione degli elementi della natura: la terra irrigata dai fiumi e la lava che, è allo stesso tempo fonte di distruzione ma anche di ricostruzione, simboleggia il fuoco, da sempre creatore e distruttore (terra, acqua, fuoco, aria). Nella memoria dei catanesi, l'elefante è anche legato alla figura di Eliodoro, un leggendario mago che visse in età bizantina, nella seconda metà del VIII secolo. 

Il mago, secondo la leggenda tramutava gli uomini in bestie e faceva apparire oggetti lontani. Venne condannato a morte, ma riuscì a fuggire a Costantinopoli proprio in groppa al suo elefante, a Costantinopoli. Alla fine fu esorcizzato dal vescovo di Catania Leone, detto il "Taumaturgo", cioè capace di compiere miracoli, e ridotto in cenere davanti alla chiesa di Santa Maria della Rotonda (nei pressi del Teatro greco-romano). Il ricordo del mago restò sempre vivo tra catanesi che cominciarono a chiamare con il suo nome l'elefante che troneggia dal 1735 in Piazza Duomo. È così da Eliodoro, varie trasformazioni dialettali, portarono alla definitiva forma di "U Liotru". 

Fontana dell'Amenano

La Fontana dell’Amenano, inserita fra gli eleganti Palazzo dei Chierici e Palazzo Pardo, e progettata dallo scultore napoletano Tito Angelini in in marmo di Carrara nel 1867. Insieme alla Fontana dell'Elefante e alla Fontana dei Sette Canali rappresenta uno dei monumenti tipici del centro storico di Catania. È costituita da una grande vasca a forma di conchiglia su cui si erge un giovane, che secondo la mitologia greca, è la personificazione dell'Amenano, dio fluviale onorato nell'antichità dagli abitanti della città (come testimoniano anche molte monete del IV a.C)    

Quest'ultimo sostiene una cornucopia, il corno dell'abbondanza, al centro della fontana, che rappresenta il letto del fiume, ormai scomparso dalla superficie. Più in basso, potrai notare due tritoni, figure mitologiche che soffiando dentro una conchiglia potevano placare o agitare le acque. La conchiglia poggia su un basamento che reca nella parte anteriore lo stemma della città. Nella parte opposta, dentro uno scudo, le parole: Acqua-l'Amenano-1867(anno dell'inaugurazione). Secondo lo studioso del Settecento, Carlo Gemmellaro, il percorso del fiume Amenano, seguiva la direzione dell'attuale viale Mario Rapisardi fino alla piazza Santa Maria di Gesù. Alimentava il Lago di Nicito, seppellito dall’Etna durante l’eruzione del 1669, che oggi dà il nome all’attuale via. Da lì, il fiume proseguiva verso la parte occidentale della città, lungo l'attuale via Botte dell'Acqua, fino a raggiungere il Monastero dei Benedettini. Qui, il fiume si divideva in tre bracci: uno, fluiva verso la verso la Pescheria e Villa Pacini, l'altro verso il Teatro Romano, piazza S. Francesco d'Assisi e Piazza Duomo, il terzo, sotto il monastero di San Giuliano e le Terme Achilliane, per poi sboccare verso il porto.

Le notizie riguardanti il corso del fiume Amenano sono vaghe e frammentarie. Non si è mai trovata la sorgente, forse, originatasi nelle viscere del vulcano Etna o dal piccolo lago di Gurrida, presso la località di Randazzo. Si tratta di un corso d'acqua che originariamente scorreva in superficie e che poi le eruzioni dell'Etna del 252 d.C. e del 1669, seppellirono totalmente. Diversi scavi hanno confermato la presenza del fiume Amenano fino al Medioevo. Oggi, sgorga prezzo la Piazza del Duomo, in corrispondenza della fontana, con il cosiddetto effetto "acqua a linzolu", ovvero con una sorta di cascata che straripa dal bordo bombato della fontana, per finire nel corso d’acqua sottostante, come fosse una cortina bianca, un lenzuolo.

Fontana dei Sette Canali

La Fontana dei Sette Canali si trova proprio alle spalle della Fontana dell'Amenano, nella piazzetta Alonzo di Benedetto, adiacente alla Piazza del Duomo, che ospita dal lunedì al sabato il pittoresco mercato del pesce,  in un'ampia volta scavata nelle fondamenta dell'ex Palazzo dei Chierici. Costruita nel 1612, si salvò dalle rovine del terremoto del 1693 che rase al suolo Catania. Fu realizzata sotto il regno di Filippo III di Spagna. Era l'unica fontana dalla quale i cittadini di Catania attingevano l'acqua dell'Amenano per gli usi quotidiani.         

Vi starete chiedendo il perché porta questo nome. È chiamata "Fontana dei sette canali" perché formata da sette piccoli canali che evocano i sette bracci in cui il delta del fiume Amenano si gettava in mare. La fontana è scolpita in un pregiatissimo marmo i cui ornamenti ricordano i triglifi del fregio greco ed è formata da una grande vasca rettangolare sulla quale si riversavano i getti d’acqua dalle sette bocche e sulla quale è affissa una lapide che ricorda la commissione della sua edificazione: "D. O. M. Philippo III Hispaniarum et Siciliae Rege invictissimo D. Petro Giron Ossunae Dvce Pro rege, D. Carolvs Gravina Patritivs, Don Matthevs De Alagona, D. Hieronymus Paterno, Fabritivs Tornambeni, Hercvles Tvdiscvs, Joannes Baptista Scammacca et Don Ioseph Fimia Vrbis Senatores, canales aquae vetustate pene collapsos opere marmoreo magnificentiore forma reficiendos publica impensa curaverunt“.

Così recita la lapide marmorea della fontana: "sotto Filippo III re infittissimo di Spagna e di Sicilia, e sotto il viceré don Pietro gran duce di Ossuna, don Carlo Gravina patrizio, don Matteo d’Alagona, don Girolamo Paternò, Fabrizio Tornabene, Ercole Tudisco, Giovanbattista Scammacca e don Giuseppe Fimia senatori della città, curarono a pubbliche spese, di restaurare i canali dell’acqua, quasi rovinati per la loro antichità, con marmi e miglior disegno, l’anno della salute 1612".

La fontana dei "7 Cannola" come viene chiamata in dialetto, inizialmente rappresentava una fonte da dove attingere acqua potabile proveniente dal fiume Amenano. Successivamente il comune si rese conto che le acque, passando sotto l’abitato, non si mantenevano limpide e pure, così venne inibito l’accesso al pubblico per mezzo di una una cancellata di ferro.

La fontana con le sue 7 bocche, è di grande pregio e valore. Si compone di marmo pregiato con ornamenti che rimandano a particolari tipici dell’arte greca; presenta una grande vasca rettangolare nella quale è presente una lapide, ormai non molto visibile.

Avrete notato, scendendo le scale, che la fontana si trova ad un livello più basso rispetto al piano di Piazza Duomo: questo perché si trova proprio in una parte della città che è stata risparmiata dal terremoto mentre la Piazza Duomo si trova ad un livello più alto perché si ricostruisce sopra le macerie. 

Piazza Duomo

La Piazza del Duomo con la sua zona pedonale è il cuore di Catania. La coerente composizione cromatica, bianca e nera, è caratteristica dell'architettura barocca della città un’opera dell'architetto palermitano, Giovanni Battista Vaccarini. Molte dei rifacimenti barocchi di Catania furono progetti del Vaccarini, tra cui il Palazzo dell'Università (1730), la Cattedrale di Sant'Agata (1739), la Chiesa della Badia di Sant'Agata (1767), la Fontana dell'Elefante (1736) ed il Palazzo del Municipio (1741). Questo insieme forma  un bellissimo quadro complessivo, soprattutto di notte quando questi monumenti sono illuminati.     

Piazza Duomo venne ricostruita in gran parte dopo il terremoto che colpì la città nel 1693, uno dei più disastrosi eventi naturali abbattutisi sulla Sicilia. In pochi secondi la Catania antica e medievale venne rasa al suolo. La città ebbe 18 mila morti su una popolazione complessiva di 25 mila abitanti. Poche cose restarono in piedi, tra cui le absidi normanne della Cattedrale, il Castello Ursino, parti del Teatro e dell'Anfiteatro Romano. Del resto restavano solo macerie. Ma si passò dalla cenere alla rinascita. In pochi decenni Catania venne ricostruita secondo il nuovo assetto urbanistico tracciato da Giuseppe Lanza, Duca di Camastra. Grazie alle esperienze acquisite nel campo dell'urbanistica e alla collaborazione dell'ingegnere militare Carlos de Grunenbergh, a cui si deve la stesura di molti dei piani di ricostruzione, del commissario generale Giuseppe Asmundo e dell'architetto gesuita Angelo Italia, il duca di Camastra, ebbe un ruolo determinante per lo sviluppo del barocco siciliano della Val di Noto. Per la ricostruzione di Catania, uno dei principali artefici, Giambattista Vaccarini, utilizzò  materiali provenienti dai monumenti antichi catanesi. Fu proprio da Piazza Duomo che ebbe inizio la fervida attività di ricostruzione.

Il punto centrale della Piazza del Duomo, cuore di Catania e allo stesso tempo l’emblema della città è la Fontana dell'Elefante del Vaccarini. Il nero elefante di lava, chiamato dai catanesi anche "Liotru", risale all'epoca romana e porta sulla schiena un obelisco egizio. Originariamente integrati in altre costruzioni che si trovava a Catania, i due elementi furono messi insieme dal Vaccarini come simbolo della rinascita della città dopo il sisma. Secondo la leggenda, l'elefante ricorda il mago Eliodoro (Diodoro) che visse a Catania e forgiò il proprio animale dalla roccia lavica. Vedere l'articolo dedicato alla Fontana dell'Elefante

La Piazza è circondata da edifici civili e religiosi ricostruiti secondo lo stile "barocco" reinterpretato da architetti e maestranze locali, con equilibrio delle forme ma anche con una estrosa fantasia decorativa. Alla sinistra della Porta Uzeda, si ammira l'edificio della Cattedrale di San'Agata, a destra l’Ex Seminario dei Chierici, realizzato nel 1694 da Alonzo di Benedetto e completato nel 1757 da Antonino Battaglia. Quest'ultimo è un edificio particolare, costruito sui resti delle fortificazioni cinquecentesche, con pilastri in pietra naturale, un fitto paramento a bugne ed un ricco cornicione in pietra bianca. Le belle decorazioni sono del primo stile barocco.

Di fronte all'Ex Seminario dei Chierici, si trova il Palazzo del Municipio Palazzo del Municipio di Catania, conosciuto anche come "Palazzo degli Elefanti" per la presenza di elefantini scolpiti che adornano i frontoni dei sei balconi del secondo ordine. L'elefante è alternato dalla lettera A (l'iniziata della patrona Agata)  gli emblemi della città.

Sul lato occidentale di Piazza Duomo, si trova il settecentesco Palazzo Zappalà, costituito da pianoterra (con botteghe), piano nobile e piano della servitù; forse realizzato da Francesco Battaglia. Anche in questo caso, si nota il particolare cromatismo tra la pietra lavica e la pietra bianca tipico della Catania ricostruita dopo il terremoto del 1693. All'angolo sud-ovest della piazza, un altro palazzo bel palazzo è quello della nobile famiglia Pardo,uno dei primi palazzi costruiti dopo il terremoto del 1693, con ricche lesene (i fusto, a pianta rettangolare, appena sporgenti dalla parete, con i relativi capitelli e basi). Il palazzo Pardo, con la sua aristocratica mole, ed il piccolo e grazioso Palazzo Marletta (posto all'angolo della via Marletta con la via Vittorio Emanuele), completano la fusione architettonica di piazza Duomo.

Oltre alla Fontana dell'Elefante, di cui abbiamo già parlato, nella Piazza del Duomo di Catania si trovano altre due fontane, vedere a questo riguardo le pagine dedicate alla Fontana dell'Amenano e la Fontana dei Sette Canali

Collegio Cutelli

Dopo il catastrofico terremoto del 1693, nella Catania risorta si annovera il convitto "Mario Cutelli", collegio voluto dal famoso giureconsulto Mario Cutelli, conte di Villa Rosata e signore dell'Alminusa.

Nel suo testamento redatto il 28 agosto 1654 innanzi al notaio Giovanni Antonio Chiarella di Palermo, stabilisce che, qualora la linea maschile dei suoi successori si fosse estinta (la quale così si credette ai quei tempi), una parte del suo patrimonio dovrà servire per la fondazione di un “Collegio di uomini nobili” come quello di Salamanca, da cui uscirà quella classe dirigente nobile e virtuosa, ma soprattutto laica, destinata al governo amministrativo-politico del paese. Nel 1747, con la morte dell'ultimo Cutelli, Giovanni, la dinastia si pensava estinta. Il ramo femminile pose molte difficoltà alla cessione dei beni di famiglia, ma alla fine risolse il problema il vescovo Pietro Galletti, che diede in enfiteusi il feudo di Aliminusa al principe di Biscari, e reperì così le risorse da destinare alla costruzione dell'attuale Convitto Cutelli, mentre in seguito Salvatore Ventimiglia e Corrado Maria Deodato Moncada diedero avvio alla costruzione del Collegio Cutelli, insieme agli altri fedecommissari: Michele Paternò Castello, Mario Gravino, Antonio Paternò, Ignazio Abatello, Adamo Benedetto Asmundo (della famiglia degli Asmundo), Giuseppe Celestrio Securo, Antonio Sigone.

La sua realizzazione può collocarsi attorno al 1760 e costituisce, dal punto di vista architettonico, un gioiello dell'arte settecentesca.

L'opera dell'Abate Giovan Battista Vaccarini non poteva non essere presente nella progettazione di un edificio monumentale che, appunto, il grande architetto preparò, anche se si avvalse dell'aiuto di Francesco Battaglia. Il prospetto neoclassico sulla via Vittorio Emanuele è opera del Battaglia e continua sul lato di via Monsignor Ventimiglia e su quello di via Teatro Massimo. La parte attribuita al Vaccarini, che sappiamo alunno del Vanvitelli, è quella del circolare cortile monumentale che, per la purezza e l'armonia delle forme, si ammira entrando nell'edificio.

La bella corte circolare è caratterizzata da un pavimento centrale in bianco e nero. All'interno, sotto il quadrante del grande orologio da torre, situato tra le statue del Tempo e della Fama, vi è un'iscrizione: "Ut praeesset diei et nocti anno MDCCLXXIX" ([Questo orologio fu costruito] affinché presiedesse al giorno e alla notte).

Le statue del tempo e della fama simboleggiano la rivalità tra le due forze. Degno di menzione è lo scalone di marmo che porta al piano superiore dove si apre l'Aula Magna. In essa sono affrescate le figure delle glorie siciliane appartenenti al mondo scientifico e giuridico (Caronda, Empedocle, Teocrito, Stesicoro, Recupero, Ingrassia, Giuseppe Gioeni) e dove, nel 1837, furono condannati gli insorti contro i Borboni, come ricorda la lapide affissa alla facciata esterna inaugurata il 4 novembre 1926.

Il "Convitto Cutelli" è sede nel XXI secolo di una scuola elementare, una scuola secondaria di primo grado e di un Liceo Classico Europeo.

Palazzo degli Elefanti  

Il Municipio di Catania, conosciuto come Palazzo degli Elefanti, si trova sul lato nord della scenografica Piazza Duomo e fu costruito in quasi un secolo, subito dopo il terribile terremoto dell'11 gennaio 1693 che distrusse la città, tra il 1695 ed il 1780, da vari architetti con differenti stili.  Il precedente edificio del potere cittadino a Catania, poi andato distrutto, fu edificato nel  1508. Il progetto originale fu realizzato da Giovan Battista Longobardo nel 1696, le facciate est, sud e ovest furono progettate da Giovan Battista Vaccarini mentre quella nord fu realizzata da Carmelo Battaglia.     

Longobardo fu uno degli artigiani più attivi nella ricostruzione della città dopo il terremoto e si impegnò in diversi cantieri, fra cui quello dell'edificio universitario. Il 14 dicembre 1944, 4 mesi dopo che gli Alleati erano entrati a Catania dopo lo sbarco in Sicilia, l'edificio del municipio venne incendiato durante una sommossa popolare contro la coscrizione obbligatoria, episodio testimoniato da una lapide all'interno; ristrutturato da tecnici comunali, l'edificio fu riaperto il 14 dicembre 1952.

L'edificio del Palazzo degli Elefanti è un esempio di integrazione tra gusto decorativo enfaticamente barocco ed equilibrio architettonico classicheggiante. Infatti, come si può vedere al primo piano, opera dell'architetto Carmelo Battaglia, vi sono pilastri bugnati con punta di diamante alternati con bugne a cuscino; al piano superiore, invece, realizzato dal Vaccarini, vi sono piatte e chiare lesene che contribuiscono allo slancio degli ordini superiori, mentre la decorazione delle finestre si fa più classica nel gusto. Per le bugne e i paramenti Vaccarini usò il calcare di Siracusa. Quest'ultimo rifece anche la corte interna. Qui si trovano le due cosiddette Carrozze del Senato, degli inizi del Settecento con le quali il 3 Febbraio le autorità cittadine raggiungono in processione la Chiesa di San Biagio, in Piazza Stesicoro, per l'offerta della cera alla patrona cittadina, Sant'Agata. Di tanto in tanto sono anche state utilizzate come carro funebre: per esempio in occasione della traslazione della salma del grande compositore catanese Vincenzo Bellini, tornata dalla Francia nel 1876, e per i funerali del poeta Mario Rapisardi nel 1912.  

Nella corte interna si trova anche, una scultura raffigurante Santa Agata, che poggia il piede destro sul collo dell'imperatore Federico II, con in basso una frase ammonitrice destinata al sovrano "Noli offendere patriam Agathae" (Non Offendere la Patria di Agata). Una tradizione che si perde nella notte dei tempi ricorda, infatti, che appena l'imperatore svevo lesse questa frase, apparsa improvvisamente sul suo personale messale (il libro  liturgico contenente tutte le informazioni necessarie per la celebrazione della messa), non portò avanti la sua idea di distruggere la città ribelle di Catania.

L'atrio d'ingresso è posto fra quattro colonne di granito che reggono un ballatoio, da cui le autorità politiche e religiose assistono all'esecuzione dei canti religiosi e dei fuochi d'artificio il tre febbraio, in occasione della festa in onore della Patrona Sant'Agata. Accanto all'ingresso principale (sulla sinistra), si trovano le due unità di misura usate nel settecento, la Tegola e la Tomaia, per controllare la merce acquistata al mercato che si svolgeva proprio in piazza Duomo. Il portone del Palazzo è compreso fra quattro colonne di granito a coppie che sorreggono la splendida tribuna, sulla cui sopracornice stanno lo stemma di Catania e ai lati del timpano due statue rappresentanti la Giustizia e la Fede.

Lo scalone d'onore che si apre sulla corte interna fu inserito infine nel XIX secolo da Stefano Ittar. All'interno del palazzo esiste un cortile quadrangolare con portici su due lati. Nell'androne del palazzo vengono conservate due carrozze del Settecento di cui una berlina che viene usata durante i festeggiamenti di sant'Agata per portare il sindaco alla chiesa di Sant'Agata alla Fornace per la processione del giorno 3 febbraio. Nel salone d'onore al primo piano sono conservati dipinti del pittore catanese Giuseppe Sciuti (sono suoi gli affreschi della cupola Basilica Collegiata).
 

Palazzo Biscari

Palazzo Biscari è l'edificio civile civie più complesso della città, meta di tutti i viaggiatori che raggiungevano la Sicilia, attratti dalla prestigiosa figura di Ignazio Paterno Castello, principe di Biscari, e dalla fama del suo museo. Le prime parti dell'edificio, raccolte intorno a un grande cortile dominato in fondo da uno scalone, furono costruite a partire dal 1695, su disegno attribuito ad Alonzo Di Benedetto. L'Iniziale incarico per le facciate, rivolte verso il mare ed erette sulle mura bastionate, venne dato dal principe Vincenzo nel 1707 al messinese Antonino Amato, che disegnò per i fastosi portali e per le lesene dal singolare ornato a candelaia, un apparato decorativo più opulento ed estroso di quello del Monastero dei Benedettini e del Palazzo Massa.

In una fase successiva della costruzione, intervenne Girolamo Palazzotto, che compose il vigoroso portale dello scalone e si Impegnò a inglobare in modo unitario le strutture del primo Settecento. I lavori per il Museo, antiquario e di scienze naturali, furono completati nel 1757, ma il rapido accrescersi delle collezioni (oggi nel Museo di Castello Ursino), per l'impulso del nuovo principe Ignazio, rese necessario, dopo meno di un decennio, l’ampliamento dei locali. A partire dal 1763, oltre che per il museo, Francesco Battaglia subentrò anche per i disegni di vari lavori, tra cui lo splendido salone (in fondo si trova l'alcova nobile e, nella volta, un lucernario per l'orchestra) e per la galleria aperta sul mare. Entrambi questi ambienti, del 1770 circa, sono decorati da affreschi di Sebastiano Lo Monaco e da una raffinata decorazione di stucchi rococò, che trova l'espressione più felice nella elegante spirale di una originalissima scala a chiocciola. Nel piano della ristrutturazione interna, varie e ricercate le soluzioni per rendere più accoglienti e sfarzosi gli ambienti.

Oltre alla teoria dei grandi saloni, è da segnalare l’appartamento della principessa che ancora oggi conserva in gran parte la preziosa decorazione e gli arredi; la stanza con alcova, detta di "Don Chisciotte" per le tele alle pareti, e l'affascinante piccola galleria degli uccelli.

Nel palazzo c'erano anche un teatro e una ricca biblioteca, e vi era ospitata l’Accademia degli Etnei, fondata dal principe Ignazio; ulteriori testimonianze del suo impegno (rivolto tra l’altro a promuovere scavi per la conoscenza delle antiche memorie della zona) a favore di una comunità che lo ha sempre onorato come figura di primo piano della cultura siciliana, soprattutto del secondo Settecento.

Palazzo dell'Università

Il Palazzo dell'Università è sede del Rettorato dell'Ateneo civico.  Il palazzo, come tutti i palazzi di Catania, fu ricostruito dopo il disastroso terremoto del 1693. Alla sua costruzione concorsero diversi architetti fra i quali Francesco e Antonino Battaglia, e Giovan Battista Vaccarini. Successivamente, a seguito del terremoto del 1818 si rese necessario un ulteriore restauro che fu affidato all'architetto Antonino Battaglia. Questi modificò i prospetti laterali apponendo alle murature esistenti una controfacciata, adottando la stessa strategia adoperata dal padre, Francesco Battaglia, che foderò con un contromuro la facciata principale, lesionata dopo il sisma del 1785. Ulteriori e significative riforme del piano terra, con modifiche degli accessi sulla strada, furono progettati dal prof. ing. Mario Di Stefano nel 1879. L'edificio è costituito da un intero isolato, come il vicino Palazzo degli Elefanti, con un cortile interno a forma di chiostro con porte originariamente aperte su tutti i quattro lati del palazzo. Il palazzo possiede una splendida Aula magna affrescata da Giovan Battista Piparo. Sulla parete che fa da sfondo al "podio accademico", è appeso un arazzo con lo stemma della dinastia di Aragona. La Biblioteca dell'Università conserva dei preziosi codici, incunaboli, manoscritti e lettere autografe oltre a 200.000 volumi.  

L'Università di Catania, fu fondata il 19 ottobre del 1434 da Alfonso il Magnanimo. La bolla pontificia di Eugenio IV che autorizzò la costituzione fu emanata il 18 aprile 1444. I corsi iniziarono il 19 ottobre 1445, con sei docenti e vennero inizialmente tenuti in una costruzione che sorgeva in piazza Duomo a fianco della Cattedrale di Sant'Agata, nei pressi dell'attuale Palazzo del Seminario dei Chierici.

Nel 1684 l'Università fu trasferita negli allora locali dell'ospedale San Marco nella zona Fiera, fino al 1693 quando il terremoto distrusse gran parte degli edifici catanesi compreso il fabbricato in questione.

Nel 1696 iniziarono i lavori per la costruzione del nuovo palazzo dell'Università, che diverrà sede definitiva sino ad oggi.

Palazzo Massa  

Il Palazzo Massa di San Demetrio è sito tra la via Etnea e la via San Giuliano, all’angolo nord-ovest dei cosiddetti Quattro Canti, quattro palazzi costruiti secondo lo stesso stile architettonico, caratterizzati da angoli smussati che creano una sorta di piazzale a forma ottagonale.

La struttura fu costruita per la casata Massa, una nobile famiglia di origine genovese. Molti dei suoi membri ricoprirono cariche pubbliche nella città di Catania, accrescendo il loro status sociale. Il palazzo, progettato dall’architetto Alonzo di Benedetto per volere del Barone di San Demetrio, Don Eusebio Massa, fu tra i primi palazzi della città ad essere ricostruito in seguito al terribile terremoto del 1693 che devastò l’area catanese. Dopo la ricostruzione, nel 1694, il barone, un nobile banchiere, pose nell’androne un'epigrafe, a ricordo del terremoto e come buon augurio per il futuro. A quei tempi comprendeva uno dei pochi teatri presenti in città, dove esordì il noto compositore siciliano Vincenzo Bellini. 

Nel corso degli anni la struttura subì molte modifiche, in particolar modo nel XIX secolo, quando fu costruito un altro edificio ad estensione del palazzo Massa, che affacciava su via Manzoni, via Prefettura e via San Giuliano, senza però modificare la facciata principale all’angolo dei quattro Canti e della via Etnea; lato che fu modificato in seguito, ovvero nel 1870 quando fu abbassato il livello del manto stradale del centro storico della città. Questo abbassamento è stato sistemato con l’aggiunta di una finestrella di decorazione in stile barocco. 

Nel 1943 la struttura fu vittima dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, uscendone quasi completamente distrutta, e le settanta persone circa che si rifugiarono nell’androne rimasero sotto le macerie. Resistettero solamente tre balconi angolari e alcune ossature murarie. Nel dopoguerra il palazzo fu ricostruito in breve tempo grazie all’ingegnere Pietro Francalanza e all’architetto Giuseppe Marletta, che si basarono su progetti e foto precedenti. Le decorazioni furono sistemate dallo scultore Carmelo Florio.

Oggi il palazzo è il miglior esempio di architettura tardobarocca della città, insieme all’altrettanto famoso palazzo Biscari.

Palazzo Reburdone  

Progettato da Francesco Battaglia per la famiglia Guttadauro, Palazzo Reburdone fu costruito tra il 1776 e il 1785, anno in cui fu montato in facciata lo "scudo dell'Armi" dei Guttadauro ma i lavori di completamento del palazzo si protrassero per molti anni ancora. Voluto da una famiglia che cercava in quello scorcio di fine Settecento di entrare a far parte della più alta aristocrazia isolana e insieme dell'elite patrizia catanese, Palazzo Reburdone doveva essere il simbolo più evidente della ricchezza e del prestigio della famiglia Guttadauro, originaria di Mineo, dunque provinciale e che in quel periodo stava rapidamente salendo i gradini della nobiltà siciliana (ascesa coronata nel 1787 con l'acquisizione del titolo principesco di Emmanuel). 

Il risultato fu uno dei più imponenti e nobili palazzi della città. Imponenza dovuta anche a ragioni dinastiche oltre che di prestigio; doveva infatti accogliere, secondo il volere del committente il Principe Enrico, le famiglie dei due figli maschi, il primogenito, erede del principato, e il secondogenito, Barone di Pedagaggi. Per contrasti insorti fra i due fratelli alla morte del padre il Pedagaggi non andò mai a vivere nel quarto che gli era destinato ma si fece costruire un altro palazzo, il vicino Palazzo Pedagaggi appunto. Estintasi la linea maschile dei Guttadauro nel 1820 il palazzo passò tramite Eleonora, ultima principessa di Emmanuel di casa Guttadauro, ai Paternò Castello ed ora è sede, in parte, del Dipartimento di Analisi dei Processi Politici, Sociali e Istituzionali - DAPPSI (ai piani primo, secondo e terzo), del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Catania; nonché della prestigiosa Accademia Gioenia.  

Palazzo Reburdone presenta in alzato lo schema tipico dei palazzi patrizi catanesi: piano terra con botteghe su prospetti esterni e magazzini e locali di servizio su quelli interni; primo piano, o ammezzato per l'amministrazione o dato in affitto a famiglie di basso ceto che gravitavano intorno alla famiglia Guttadauro per motivi economici o sociali; secondo piano o piano nobile, dove abitavano il padrone e la famiglia; terzo piano o piano cadetto, per la servitù e i cadetti. Tutti questi locali si distribuivano intorno alla grande corte d'onore, una delle più grandi di Catania, conclusa dal grande scalone a tenaglia dentro un corpo a duplice portico (un tempo attribuito al Vaccarini ma restituito al Battaglia tanto per motivi stilistici quanto per motivi cronologici). 

Un secondo cortile sul lato ovest, serviva la cavallerizza e gli altri locali di servizio. Il piano nobile si raggiunge salendo il grande scalone da cui si dipartono le due ali del palazzo, con le due infilate di stanze che si concludono nei due grandi saloni, a rinserrare l'appartamento del principe con la sua alcova "alla turca" al centro della facciata, aperto sulla tribuna d'onore sopra il portone, luogo simbolico per eccellenza della continuità dinastica della famiglia. I due saloni gemelli seguono la proporzione del diapason, cioè due cubi perfetti posti uno accanto all'altro e sfondano con le loro volte il solaio del piano cadetto, i cui balconi in corrispondenza non sono per questo praticabili; le due volte presentano poi affreschi del sortinese Sebastiano Lo Monaco (salone est) e neoclassici (salone ovest).

Palazzo San Giuliano

Progettato dall'architetto Giovan Battista Vaccarini, fu costruito nel 1738 per i Paternò, marchesi di San Giuliano. All'ingresso alcune lapidi ricordano gli ospiti illustri che vi hanno soggiornato. Fra questi il re d'Italia Vittorio Emanuele III con la regina Elena. Il palazzo è stato più volte rimaneggiato ma i prospetti esterni sono rimasti pressoché integri, solo la balaustrata che corona il tetto è completamento stilistico degli anni trenta quando il palazzo era sede del Credito Italiano. Nei primi anni del XX secolo ospitava il Teatro Machiavelli, fondato da Angelo Grasso nel quale mosse i primi passi sul palcoscenico - come recita un'epigrafe posta su via Euplio Reina - il figlio Giovanni, noto attore teatrale, e nel quale vi recitava il grande attore catanese Angelo Musco. In quegli stessi anni una parte dell'edificio era occupato dall'Hotel Bristol.

Di particolare interesse è il partito centrale con il maestoso portone e la tribuna d'onore soprastante, di sicura ideazione vaccariniana (il progetto è del 1747). Costruito con vari marmi policromi, il portone è fiancheggiato da due colonne di marmo, recuperate a qualche edificio d'epoca romana, forse il teatro. Al culmine dell'arco è posto un doppio stemma, a sinistra dei Paternò Castello, committenti del palazzo, a destra quello degli Asmundo, altra importante famiglia patrizia catanese, da cui era derivato a questo ramo cadetto dei Paternò il marchesato di San Giuliano nel 1702. Dello stesso Vaccarini è l'invenzione dell'originale scalinata a due rampe con portico a colonne posto in fondo alla corte interna in asse con il portone.

Palazzo Valle  

Il Palazzo Valle è forse il più bello tra gli edifici barocchi progettati dal celebre architetto Vaccarini. Fu Pietro La Valle a commissionare il progetto, iniziato nella prima metà del Settecento e conclusosi un secolo dopo.

Mensole smussate con gli angoli arrotondati, campi geometrici riquadrati, il balcone dalle linee morbide nel cui timpano spicca lo scudo della casa Valle-Gravina, la pietra calcarea in forte contrasto con l’intonaco scuro, i particolari e le rifiniture, l’imponente portone, conferiscono al prospetto principale una grande eleganza e imponenza. Alla base dell’edificio si trova un piano botteghe, mentre dall’androne due scalinate conducono al piano nobiliare attraverso un cortile interno.

Riaperta al pubblico nel 2008, per volere di Alfio Puglisi Cosentino, che ne ha curato il restauro con lo scopo di creare un elegante luogo per l’organizzazione di eventi, incontri ed esposizione di opere d’arte principalmente contemporanee.

Costituita nel 2004, la Fondazione Puglisi Cosentino occupa la corte interna, il secondo e il terzo piano del palazzo barocco. Nell’atrio sono esposte due opere permanenti di due esponenti dell’arte povera: Giovanni Anselmo e di Jannis Kounellis. La corte interna ospita, invece, un grande pilastro elicoidale in metallo, sempre di Jannis Kounellis e un’opera di 6 metri di Carla Accardi.

La Fondazione, che opera a favore dell’arte antica, moderna e contemporanea, promuove inoltre le relazioni tra artisti e pubblico allo scopo di contribuire alla trasformazione del territorio.

Palazzo Manganelli

Palazzo Manganelli è uno fra gli edifici storici e aristocratici più interessanti della città di Catania. Costruito intorno al 1400 dalla famiglia Tornabene, il palazzo possedeva solo il piano nobile, in stile catalano, ed era quasi privo di fregi e decorazioni. Nel 1505 fu venduto ad Alvaro Paternò, pretore e senatore di Catania, Ambasciatore alla Regina, al Vicerè e ai Parlamenti riuniti, e alla moglie baronessa Isabella, ultima erede della famiglia Sigona. Il nome del palazzo (e della famiglia) si riferisce a uno fra i principali attrezzi che venivano utilizzati per la filatura della seta. Il re Filippo IV, in visita alla città di Catania, per gratificare questo ramo della famiglia Paternò assegnò un predicato nobiliare in abbinamento al titolo di barone: il manganello, così, divenne il simbolo della famiglia di don Alvaro Paternò che gestiva una ricca attività nel settore della tessitura della seta con oltre 100 operai.

Il terremoto del 1693 danneggiò pesantemente l’edificio, di cui rimasero in piedi solo le mura perimetrali. Fu riattuato, per volere di Antonio Paternò VI, Barone dei Manganelli, grazie all’operato degli architetti Alonzo Di Benedetto e Felice Palazzotto che pianificarono un progetto non solo di ricostruzione ma anche di ampliamento. I lavori iniziarono un anno dopo il sisma, ma ripresero nel 1873 quando, a seguito dell’abbassamento del piano stradale dell’attuale via Sangiuliano, si rese necessario un processo di ristrutturazione e assestamento, curato da Ignazio Landolina, progettista del livellamento cittadino, che col suo intervento fece ricavare le botteghe lungo via Sangiuliano e aggiunse all’edificio un secondo piano che oggi ospita un hotel.

Le due facciate principali presentano sostanziali differenze. Lungo la via di Sangiuliano si aprono sette ampie luci per botteghe su cui insistono altrettanti balconi di un piano ammezzato (l’altezza del piano terra e dell’ammezzato, corrisponde a quella del terrapieno racchiuso da un robusto muraglione che, sfruttando un segmento di quella che su la cinta muraria cinquecentesca della città, dà forma al giardino pensile. Il prospetto principale, sull’omonima piazza, mostra al centro un ingresso monumentale, sormontato dallo stemma della casata, con due finestre per lato. Dal portone, attraverso un elegante androne opera di Sebastiano Ittar si accede a un cortile quadrato, anticipato da un elaborato cancello in ferro battuto, dove si trova una statua di Valerio Pochini che rappresenta la storia della famiglia. Sulla destra, invece, si apre il monumentale scalone che conduce al piano nobile.

Con il restauro della seconda metà dell’Ottocento, gli interni furono riccamente decorati nello stile dell’epoca e secondo le nuove concezioni architettoniche. In puro stile barocco/rococò, il palazzo presenta saloni (come il maestoso salone delle feste e la sala delle dame) con le pareti rivestite in seta e una stanza, unico esempio ancora interamente originale, di fumoir (il salone dei cavalieri) con le pareti rivestite in cuoio decorato (che servivano proprio ad “assorbire” il fumo). Interessantissimo (oltre che splendido) è il giardino pensile, su due livelli fra loro collegati da una scala romantica con due fontane e un ninfeo, che si appoggia su una parte delle antiche mura cittadine.

Purtroppo nei lavori di consolidamento e restauro, i saloni che prima si affacciavano su piazza Manganelli furono trasferiti sul lato prospiciente il giardino, dove prima si trovavano gli appartamenti privati e così facendo gli affreschi e le porte dipinti da Olivio Sozzi furono ricoperti. Ma all’interno dei saloni operarono il famoso pittore zaffernaese Giuseppe Sciuti e il pittore fiorentino Ernesto Bellandi, noto per aver affrescato il Teatro Massimo Bellini di Catania.
Attualmente il palazzo è proprietà dei discendenti della famiglia Manganelli, i Principi Borghese di Sulmona, con cui si imparentarono a seguito del matrimonio di donna Angela Paternò principessa Sperlinga dei Manganelli e dama di corte della Regina d’Italia Maria José di Savoia con don Flavio Principe Borghese XII di Sulmona.

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