Catania

 

Terme

Sono tre sono le terme del periodo romano che si trovano a Catania: le terme Achilliane, sotto l'attuale Piazza Duomo che risalgono al IV e V secolo, le terme dell'Indirizzo (che sorgono nella zona settecentesca della città) e che sono datate all'incirca al II secolo e le terme della Rotonda (II-III secolo) che si trovano vicino all'Odeon.

Le Terme dell'Indirizzo, un monumento del Parco archeologico greco-romano di Catania, si trovano nella parte settecentesca della città.  Il complesso evidenzia un calidarium ed un frigidarium, oltre alle fornaci per il riscaldamento dell'acqua e dell'aria e tutte le canalizzazioni per l'approvvigionamento dell'acqua e quelle per lo scarico. Altri ambienti accessori sono evidenziati a livello di fondamenta.

La dizione Indirizzo si riferisce al vicino settecentesco convento carmelitano di Maria santissima dell'Indirizzo (demolito negli anni trenta per far posto ad una scuola comunale, l'attuale istituto comprensivo "Amerigo Vespucci") e all'omonima chiesa, così denominati - come recita una delle lapide della chiesa (lato sud) - per un miracolo che avrebbe salvato il viceré di Sicilia, Pietro Girone, duca di Ossuna, nel 1610. Sorpreso da una tempesta mentre si avvicinava alla costa durante la notte, venne salvato da una luce votiva di detto convento che lo "indirizzò" al porto.

Le Terme della Rotonda sono un vasto complesso monumentale  comprendente strutture termali di epoca romana, datate al I-II secolo d.C. trasformate in chiesa in epoca bizantina dedicata alla Vergine Maria.

Il nome Rotonda deriva dalla singolare struttura architettonica della chiesa, formata da una grande cupola a tutto sesto circondata da contrafforti, posta su un edificio a perimetro quadrato culminante in un'aula centrale circolare. L'edificio è spesso indicato col toponimo de La Rotonda nelle vedute cittadine del Cinquecento e del Seicento. In passato, l'edificio era noto anche con il nome di Pantheon che gli antiquari secenteschi locali (quali Giovanni Battista de Grossis e Ottavio D'Arcangelo) ritenevano essere stato il modello del più celebre edificio di Roma.

Secondo recenti studi, frutto di campagne di scavo condotte nel 2004-2008 e nel 2015, la struttura termale, risalirebbe nel suo primitivo impianto al I-II secolo d.C., conobbe una fase di monumentalizzazione intorno al III secolo d.C., durante un'epoca di notevole arricchimento della città di Catania, per poi essere abbandonata e quindi trasformata in chiesa verso la fine del VI d.C. La chiesa - probabilmente sin dal suo sorgere dedicata al culto della Madonna - venne orientata in senso nord-sud. Dal IX secolo, addossata alla chiesa e tra le rovine delle terme, sorse un'ampia area cimiteriale, intensamente utilizzata fino al secolo XVI secolo.

Al terremoto del 1169, che danneggiò il presbiterio bizantino, risale il cambio di orientamento (dal senso nord-sud al senso est-ovest), l'apertura dell'ingresso con portale ad ogiva e la realizzazione di un'abside ad esso contrapposto. La chiesa venne successivamente adeguata a cappella funebre per figure alto-borghesi, forse cappella cavalleresca della guardia di Federico II. L'orientamento tornò ad essere nel senso nord-sud nel Cinquecento, con la realizzazione di un nuovo ingresso con portale rinascimentale. Il più antico ricordo storico risale ai frammenti dell'opera di Lorenzo Bolano sulle antichità di Catania per il tramite del Carrera. 

L'edificio, ritenuto il più antico tempio di culto a Catania, era stimato come un Pantheon pagano riconvertito in luogo di culto cristiano, e consacrato a Maria nel 44 d.C. Tale tradizione, seppur errata, mantenne per quasi tre secoli il suo fascino, almeno fino a D'Orville e agli studi del Principe di Biscari, il quale identificò per primo l'edificio quale ambiente termale di epoca imperiale romana.

Il bombardamento aereo del 1943 devastò la vicina chiesa di Santa Maria della Cava, risalente al Settecento, e rovinò pesantemente la struttura. Tra gli anni quaranta e cinquanta si operarono quindi una serie di lavori di consolidamento delle strutture. La direzione dei lavori fu affidata a Guido Libertini il quale tuttavia non risparmiò le strutture ecclesiastiche, né alcuni preziosi affreschi, per mettere in luce le strutture romane.  

Nell'opera di sbancamento venne abbattuta anche una monumentale tomba cavalleresca che faceva da altare durante il XIII secolo e, sulla base dei resti superstiti ospitati presso il Castello Ursino, si deve identificare quale sepolcro di un cavaliere membro della guardia personale di Federico II, forse un membro della famiglia Alagona, seguendo quanto affermato dal Ferrara. Nell'arco di anni dal 2004 al 2008 l'edificio e l'area ad esso orbitante furono interessati da un nuovo ciclo di scavi atti alla preservazione, allo studio e alla fruizione della struttura. In questa campagna di scavo si rinvenne una gran quantità di tombe, si poterono identificare con certezza nove ambienti termali e ipotizzarne molti altri che si estendono al di sotto delle vicine Via Rotonda e Via della Mecca, venne messa in luce l'abside di età sveva e si misero in luce diversi affreschi precedentemente coperti da un anonimo intonaco monocromo. 

Lo studio, oltre a rivelare le diverse fasi di vita dell'edificio, ha anche permesso il riconoscimento del ciclo di pitture che decoravano gli interni della chiesa, riconducendo a datazioni più corrette quelle più antiche. Nel 2015 è stato espropriato e sottoposto a scavi e restauri tutto l'isolato a nord della chiesa, anch'esso danneggiato dai bombardamenti del 1943. Durante questa campagna di lavori, che hanno liberato la visuale della cupola dal lato nord, permettendone la vista da via dei Gesuiti, è stato messo in luce un imponente castellum aquae collegato ad un ramo dell'acquedotto romano di Catania, trasformato in edificio al servizio della chiesa verso la fine del VI secolo, ed una corte quadrangolare circondata da esedre che costituiva l'originario ingresso alla Rotonda in epoca romana.

La struttura termale, sorta fra I e II secolo d.C. e più volte rimaneggiata fino alla tarda antichità, è un grande complesso di ambienti quadrangolari, circolari e misti, connessi tra loro. Il principale è una grande sala absidata - forse un frigidarium - orientata in direzione nord-sud, databile alla prima fase vitale delle terme, cui si giustappone sul lato est un grande ambiente ad ipocausto, caratterizzato da numerose suspensurae che in origine sorreggevano un pavimento a mosaico di cui si è rinvenuta qualche traccia, identificato come calidarium che in un secondo momento venne suddiviso in più ambienti di minori dimensioni. 

Ad ovest della grande sala absidata si apre un vasto ambiente pavimentato con grandi lastre marmoree, su cui si rinvennero diverse tombe di epoca medievale, alcune realizzate distruggendo il pavimento stesso. A sud si aprono diversi altri ambienti appartenenti alla fase di II-III secolo, come due pavimenti ad ipocausto, pertinenti a piccoli ambienti circolari adibite a saune, e forse un tepidarium. 

Altri ambienti quadrangolari si trovano a nord, all'interno dell'edificio della chiesa, che in parte si appoggia a queste strutture. Appartengono al complesso termale anche le strutture che si trovano a nord della chiesa, costituite da un imponente castellum aquae e da una corte circondata da esedre che fungeva da ingresso principale alle terme.  

La struttura più appariscente è tuttavia quella dell'ex Basilica di Santa Maria della Rotonda, ricavata riadattando il complesso verso la fine del VI secolo. L'edificio, a pianta quadrata, presenta due ingressi - una a sud, con un portale in calcare del Cinquecento, l'altro a ovest, con portale di stile gotico in pietra lavica del Duecento - e due aree presbiterali ad essi corrispondenti: un presbiterio in forma di triclinium, circondato da angusti corridoi che fungono da deambulacro si apre verso nord, mentre a est un piccolo catino absidale di cui rimane una porzione dell'alzato. Al centro dell'edificio quadrato si apre un ambiente circolare, del diametro di 11 metri, coperto da una cupola a tutto sesto. L'ambiente circolare è circondato da grandi arcate che danno accesso a nicchie ed esedre che fungevano da cappelle. Sopra la cupola, un lucernaio ad archetto fungeva da campanile, mentre a decorazione dell'esterno si poteva osservare fino agli anni quaranta una merlatura tutto intorno al perimetro. A est della chiesa si aprivano alcuni ambienti, usato come sagrestia, danneggiati dai bombardamenti aerei e oggi usarti come atrio d'ingresso al complesso monumentale.  

Le più antiche tracce di affreschi risalgono al VII secolo. Appartengono al XII - XIV sec. alcune rappresentazioni di stile bizantino, con le figure dei Santi vescovi Leone e Nicola, negli stipiti dell'arco ovest del presbiterio; una Madonna in Trono sulla parete orientale dello stesso ambiente; una Madonna in Trono con Bambino. Al XVIII secolo appartiene il ciclo più recente: nel presbiterio sono rappresentati l'Annunciazione e la Natività e, sulla volta, l'Assunzione della Vergine al cielo; nei triangoli d'imposta della cupola sono i Santi Pietro, Paolo, Agata, Lucia e gli Evangelisti Luca, Matteo, Marco, Giovanni; sulle pareti che chiudevano le arcate pure vi erano diverse figure, rimosse durante i restauri degli anni '40 del Novecento, delle quali sopravvive ancora l'immagine di Sant'Omobono. Alla base della cupola una lunga iscrizione anulare in latino recita:

«QUOD INANI DEORUM OMNIUM VENERATIONI SUPERSTITIOSÆ CATANENSIUM EREXERAT PIETAS IDEM HOC PROFUGATO EMENTITÆ RELIGIONIS ERRORE IPISIS NASCENTIS FIDEI EXORDIIS DIVUS PETRUS APOSTOLORUM PRINCEPS ANO GRATIÆ 44 CLAUDII IMPERATORIS II. DEO. OP. MAX. EIUSQUE GENITRICI IN TERRIS ADHUC AGENTI SACRAVIT PANTHEON.»

«Ciò che la pietà dei Catanesi aveva eretto all'inutile superstiziosa venerazione di tutti gli dei questo stesso tolto l'errore della falsa religione negli stessi primordi della nascente fede San Pietro Principe degli Apostoli consacrò nell'anno di grazia 44 a Dio Ottimo Massimo e alla sua genitrice ancora vivente nell'anno II di Claudio Imperatore»

Per terme Achilliane si intendono delle strutture termali sotterranee databili al IV-V secolo di cui rimane appena una piccola porzione visibile sotto piazza del Duomo.

Si accede all'ambiente termale passando da un corridoio con volta a botte ricavato nell'intercapedine tra le fondamenta della cattedrale il cui accesso è preceduto da una rampa in discesa a destra della facciata della stessa. Il nome dell'impianto è dedotto da un'iscrizione su lastra di marmo lunense ridottasi in sei frammenti principali , databile alla prima metà del V secolo, oggi esposta all'interno del Museo civico al Castello Ursino.  

L'epoca di fondazione dell'edificio è ancora discussa, ma si ritiene probabile che fosse costruito nel IV secolo d.C.: l'esistenza dell'edificio sotto Costantino I è ipotizzata in base al reimpiego all'interno della cattedrale di Sant'Agata di un gruppo di capitelli del periodo, che potrebbero provenire da questo edificio. Le strutture però potrebbero essere anche precedenti, databili al III secolo, sulla base degli studi del Wilson. Sulla base di una lunga iscrizione i cui pezzi furono ritrovati in più epoche, si è supposto che intorno al 434 l'edificio fu ridimensionato per ottenere un risparmio di legna.

Nel 1088 l'area occupata dalle terme viene scelta dal vescovo Ansgerio per ricavarne la Cattedrale (completata ed inaugurata nel 1094) e il relativo monastero benedettino (in seguito sede della badia femminile di Sant'Agata), mentre nel 1508 viene completata la Loggia Senatoria che vi si addossava per la sua lunghezza.

Sepolti dai terremoti del 4 febbraio 1169 e dell'11 gennaio 1693, i resti di parte delle terme - già noti in antico - furono dapprima liberati dal Museo del principe di Biscari e riportati nella loro attuale collocazione.

Nel 1856, durante la realizzazione della galleria che passa sotto al Seminario dei chierici destinata ad essere la Pescheria di Catania, si trovarono dei ruderi che pure furono attribuiti allo stesso edificio, pertinenti forse ad un calidarium, in quanto vi erano presenti tracce di un pavimento ad ipocausto. La struttura doveva estendersi fino alla via Garibaldi, dove si trovarono altri avanzi.

Secondo la ricostruzione planimetrica ottocentesca del complesso, la parte attualmente visitabile comprendeva probabilmente solo uno dei frigidaria. Nella planimetria della città di Catania rilevata da Sebastiano Ittar nel 1833 è messo in evidenza anche il muraglione di cinta delle terme, che raggiungeva l'attuale Fontana dell'Amenano a ovest e l'Arcivescovato a est, occupando un'area molto estesa della città.

Dal 1974 al 1994 furono chiuse perché considerate insicure. Furono riaperte dopo un restauro del comune (1997) e nuovamente richiuse per problemi di allagamento. Dopo i lavori di pavimentazione della piazza del Duomo (2004-2006) - nel corso dei quali si è ritenuto di coprire l'impianto con una poderosa piastra d'acciaio per rinforzare l'impiantito della piazza stessa - l'edificio termale è stato nuovamente riaperto al pubblico e alla realizzazione di eventi.

Poco si conosce delle reali dimensioni del grande complesso termale e quanto oggi è visitabile è appena una piccola porzione della sua estensione. Una ipotesi molto fantasiosa relativa alle dimensioni delle terme la fece nel 1633 il D'Arcangelo, erudito di storia locale, il quale fece realizzare una planimetria priva di elementi reali e riconoscibili, sebbene abbia il merito di essere il primo lavoro avanzato in tal direzione, ispirandosi palesemente alla planimetria delle terme di Diocleziano. 

Molto più accurata è la planimetria resa da Sebastiano Ittar nella pianta generale della città di Catania. In essa viene attribuita alle terme una cortina muraria che correva a sud della piazza Duomo, identificata quale muro perimetrale dell'area termale. Diversi scavi occasionali hanno fatto ipotizzare il rinvenimento di tracce dell'impianto in altre parti dell'areale oltre a quanto noto, facendo desumere che esso costituiva l'area oggi occupata dagli edifici compresi tra le piazze Duomo, Università e San Placido. 

All'interno della cinta che circondava l'edificio si ricavò per intero la Cattedrale e il primo impianto monastico benedettino fondato dal vescovo Ansgerio. Alle mura di cinta sul lato occidentale si addossò anche la Loggia Senatoria, distrutta durante il terremoto del Val di Noto del 1693, e si aprì la Porta di Eliodoro.

Dall'ingresso sinistro, il quale conduceva originariamente a due ambienti, è possibile oggi ammirare i resti del Tepidarium, una sala curvilinea riscaldata attraverso un sistema di canalizzazione dell'aria; questa si serviva inoltre di una scala a due rampe che la collegava con il primo piano delle terme.

In prossimità della parte finale del corridoio, gli scavi recentemente condotti in profondità hanno permesso di individuare un canale con andamento a “S”, il quale si immette sulla sala centrale a pilastri; questi ultimi in origine percorrevano il corridoio stesso. Si tratta, probabilmente, di un condotto che serviva a convogliare l'acqua e a distribuirla per i servizi delle terme.

Dell'impianto originale del Frigidario (o "Sala dei Pilastri") si conserva una camera centrale il cui soffitto a crociere è sorretto da quattro pilastri a pianta quadrangolare. Al vano si accede tramite un corridoio con volta a botte che corre in direzione est-ovest e terminante in una porta che si apre su una serie di vasche parallele tra loro, facenti parte di un complesso sistema di canalizzazione, drenaggio e filtrazione dell'acqua che si estende verso nord. Anche il vano principale si apre con tre ingressi ad arco sulle vasche, ad ovest del vano stesso.

L'ambiente misurerebbe 11,00 metri di larghezza e 11,90 metri di lunghezza, mentre le stanze di decantazione sarebbero lunghe in tutto 18,65 metri. Il corridoio misurerebbe 2,50 metri in larghezza per una lunghezza di 18 metri. Inoltre, l'unico pilastro di cui si può considerare attendibile la misura dell'altezza è alto 1. 85 metri.

Anticamente i pavimenti (di cui oggi non rimangono che labili tracce) erano in marmo, come dimostrano alcuni lacerti tra cui i resti di una vasca posta al centro dell'aula ed assumevano la disposizione dell'opus sectile; mentre alle pareti e sul soffitto vi erano stucchi sicuramente dipinti ispirati al mondo della vendemmia, con eroti e tralci di vite, grappoli d'uva, i quali furono sapientemente rappresentati in un acquerello di Jean Houël, il quale credeva le terme il tempio di Bacco; tali stucchi, sebbene ben leggibili nel XVIII secolo, oggi appaiono molto logori e in ampie parti lacunosi. 

Al centro della sala si conserva una vaschetta quadrata, originariamente rivestita in marmo, sulla quale doveva erigersi una colonnina di cui si conserva l'impronta della base. La presenza di acqua corrente costantemente filtrata, l'assenza di aperture al di là dei tre accessi alle stanze di decantazione, la presenza di una vasca (piscina) al centro della sala e i rivestimenti marmorei dimostrano l'uso a frigidario dell'ambiente.

L'epigrafe che diede il nome all'impianto è in lingua greca e usa caratteri greci piuttosto tardi in scriptio continua, è posta su quattro linee ed è formata da diversi frammenti di lastra incisi, con lacune sebbene non gravi, ritrovati in diverse epoche, ma originariamente facenti parte di un unico lastrone in marmo lunense, risalente al V sec. I frammenti misurano 0,30 metri in altezza ed hanno una lunghezza complessiva di quasi 4,30 metri. Essendo state rinvenute quasi tutte nello stesso perimetro, si è supposto che l'intera incisione facesse originariamente parte dell'edificio termale fin qui descritto.

Viene menzionata da diversi autori anche la presenza di quattro lapidi riportanti la scritta Q. LUSIUS/ LABERIUS/ PROCONSUE/ THERMAS, che confermerebbe ulteriormente l'attribuzione della lapide ad un grande impianto termale sito al di sotto della Cattedrale, un tempo forse esposte all'ingresso delle terme e in seguito murate sulla base di quattro dei pilastri che dividono le tre navate della cattedrale.

Prima del terremoto del 1693, i primi tre frammenti che costituivano la lapide furono murati nella facciata della cattedrale, poi spostati in una parete del vescovato secentesco e da qui vennero trasportati nell'antica Loggia. Nel 1702 si ritrovarono altri due frammenti che l'abate Vito Maria Amico unificò con gli altri e tradusse. In seguito furono esposti al Museo del principe Biscari e da qui all'attuale collocazione presso il museo civico del Castello Ursino, dove è stata ricomposta utilizzando tutti i frammenti conosciuti.

Nell'interpretazione che ne dà Francesco Ferrara le terme sono chiamate Achillianai e non Achellianai, come invece riportato da Holm e dal Kaibel e tratterebbe di un ipotetico incendio che rovinò la struttura, restaurata da Flavio Felice Eumazio. Qui inoltre si farebbe riferimento a Massimo Petronio, preceduto da un non ben identificato Julium filium Augusti.

Nella traduzione che ne dà Giacomo Manganaro, la lapide si potrebbe datare al 434 sulla base della successione dei governatori. Sempre secondo il Manganaro in essa si celebrerebbe l'opera di ristrutturazione (forse un ridimensionamento) esplicitamente tendente a economizzare legna da ardere negli ipocausti, conclusa dal neo governatore di Sicilia, Flavio Felice Eumazio, già  avviata dal suo predecessore Flavio Liberalio, consularis Siciliae secondo la sua interpretazione, sotto l'imperatore d'Oriente Teodosio II. Tale ricostruzione permetterebbe dunque, sempre secondo l'ipotesi del Manganaro, di dare almeno due nomi ai proconsoli Siciliani della prima metà del V secolo: Eumazio e Liberalio. Inoltre avrebbe riconosciuto il nome di Leone quale architetto artefice del restauro.  

Bastioni di Catania

I bastioni di Catania sono delle fortificazioni cinquecentesche distribuite lungo quelle che furono le mura di Carlo V. Le mura di Carlo V erano un complesso murario che venne fatto realizzare a Catania dall'imperatore Carlo V di Spagna a difesa della città e, oltre ad avere undici bastioni erano munite di otto porte per l'accesso alla città.

Nel 1551, rottasi la tregua fra Carlo V d'Asburgo e Solimano, sultano dei Turchi, gli ottomani tornarono a infestare i mari siciliani: minacciata Messina si diressero verso Catania; la flotta turca fu però sospinta al largo da un impetuoso vento di tramontana che la allontanò dalle rocce dell'Armisi (sotto l'attuale stazione ferroviaria di Catania) e dovette desistere dall'attacco. I turchi si diressero quindi verso Agosta che saccheggiarono e misero a fuoco. Lo scampato pericolo mise in grande allarme la popolazione e il viceré Juan de Vega che programmò la costruzione di robuste mura di difesa, o baluardi, che rinforzassero le mura antiche. I lavori furono commissionati all'architetto e ingegnere militare Antonio Ferramolino con lo scopo di edificare una cinta muraria in pietra lavica dotata di porte e di bastioni.

Il 30 novembre 1553 fu gettata la prima pietra del bastione grande detto del Salvatore. In pochi anni Catania venne quindi munita di nuove mura a est, sud e nord, mentre a ovest rimanevano le vecchie mura. Vennero eretti otto forti e aperte otto porte. Il costo dei lavori fu interamente accollato all'erario civico che impose nuove tasse e mutui.

Le mura e, conseguentemente, i bastioni e le porte, in seguito alle devastazioni di fine Seicento (colata lavica nel 1669 e terremoto nel 1693), furono quasi interamente distrutte ma la loro scomparsa definitiva si deve al piano di rinnovo urbano del XVIII secolo quando, agli inizi del XVIII secolo, il duca di Camastra fece allargare un'apertura vicina alla piazza del Duomo, facendo realizzare la porta scenografica che venne intitolata al viceré duca di Uzeda.

Sopra questo tratto di mura e contro il parere del duca di Camastra, vennero edificati il prestigioso Palazzo Biscari, l'Arcivescovado ed il Palazzo del Seminario dei Chierici che si affaccia sulla piazza del Duomo di fronte alla sede del municipio (il palazzo degli Elefanti). Ad oggi comunque, del sistema fortilizio rimangono ancora cospicue tracce e sono visibili i baluardi inferiori delle mura, riconoscibili per la tipica struttura scoscesa, così come in alcune zone dello storico quartiere della Civita o dell'Antico Corso.

Ancora oggi è evidente, lungo il tratto nord della Via Plebiscito, il percorso della cinta tra il Bastione degli Infetti, sito all'Antico Corso, e il Bastione del Tindaro, sul cui tratto - senza porte - si addossava il complesso monastico di San Nicolò l'Arena con l'omonima chiesa; in queste zone sorgevano anche il Bastione San Giovanni (nei pressi dell'omonimo vico) e il Bastione Sant'Euplio (in piazza Sant'Antonio Abate). Andarono invece completamente inghiottiti dalla lava il Bastione San Giorgio e il Bastione Santa Croce, nei pressi del Castello Ursino; alla Civita, si trovavano il Bastione Don Perrucchio (nei pressi dell'attuale via del Vecchio Bastione) e il Bastione del Salvatore, detto anche Bastione Grande o di Porto Puntone, eretto nel 1552 e sito fra via Cardinale Dusmet e via Porta di Ferro (dall'omonima porta). Il Bastione San Giuliano sorgeva, invece, sul terreno dell'odierno Convitto Cutelli, mentre il Bastione San Michele (sito nei pressi di piazza Turi Ferro, anticamente piazza Spirito Santo) e il Bastione del Santo Carcere, accanto all'omonima chiesa di Sant'Agata, nella parte alta di via dei Cappuccini, chiudevano il cerchio difensivo attorno alla città.

Gli undici bastioni; Bastione San Giorgio, Bastione Santa Croce, Bastione Don Perrucchio, Bastione Grande (del Salvatore), Bastione San Giuliano, Bastione San Michele, Bastione del Santo Carcere, Bastione degli Infetti, Bastione del Tindaro, Bastione San Giovanni, Bastione Sant'Euplio.  

Esistono altri edifici, al di fuori delle mura cinquecentesche, che hanno avuto la funzione di fortificazione e sorveglianza per la città di Catania e possono quindi essere considerati bastioni a tutti gli effetti. Ne sono esempio la Garitta di guardia in pietra lavica presente al centro di piazza Europa e la Torre del campanile della Chiesa di Santa Maria di Ognina.

Porta Ferdinandea

La porta Ferdinandea, dopo il 1860 intitolata porta Garibaldi, è un arco trionfale costruito nel 1768 su progetto di Stefano Ittar e Francesco Battaglia per commemorare le nozze di re Ferdinando III di Sicilia e Maria Carolina d'Asburgo-Lorena. Si trova tra piazza Palestro e piazza Crocifisso, alla fine di via Giuseppe Garibaldi, nel quartiere Fortino, in dialetto catanese Futtinu.

La zona è chiamata 'u Futtinu in ricordo di un fortino costruito dal viceré Claudio Lamoraldoprincipe di Ligne, dopo l'eruzione lavica del 1669 che colpì la città su tutto il lato occidentale, annullandone le difese medievali. Dell'opera di fortificazione avanzata che sorgeva a sud di piazza Palestro, ormai scomparsa, rimane solo una porta in via Sacchero.

Alcuni palazzi collegati alla porta furono demoliti negli anni trenta, altri oggi sono abbastanza poveri e tutt'altro che simmetrici. La riqualificazione della piazza ha dato sicuramente un altro aspetto alla porta, ma è comunque tutt'altro rispetto ai progetti originari.

Castello Ursino

Il castello Ursino fu costruito da Federico II di Svevia nel XIII secolo. Il maniero ebbe una certa visibilità nel corso dei Vespri siciliani, come sede del parlamento e, in seguito, residenza dei sovrani aragonesi fra cui Federico III. Oggi è sede del Museo civico della della città etnea, formato principalmente dalle raccolte Biscari e dei Benedettini.  

Sul sito dove sorge l'edificio attuale è testimoniato uno dei nuclei più antichi dell'abitato catanese, risalente alla prima fase abitativa della polis greca di Katane. Sebbene in passato sia stata qui ipotizzata la presenza di una torre di età normanna - la Torre di Don Lorenzo - di essa non solo non resta traccia alcuna, ma gli studiosi tendono a ritenere l'ipotesi di una preesistenza normanna sul sito del castello Ursino priva di fondamenta scientifiche e tendono a ricercarla in altro sito del centro storico cittadino. Sulle origini dell'edificio, sebbene non vi siano prove concrete che lo associno a Federico II, gli studiosi tendono ad identificarlo con il castrum menzionato nella lettera indirizzata al suo architetto, Riccardo da Lentini, il cui cantiere doveva ancora avviarsi nel 1239.

Il castello Ursino fu probabilmente voluto da Federico II di Svevia e costruito non prima del 1239. L'imperatore aveva probabilmente pensato il maniero all'interno di un più complesso sistema difensivo costiero della Sicilia orientale (fra gli altri anche il castello Maniace di Siracusa e quello di Augusta sono riconducibili allo stesso progetto) e come simbolo dell'autorità e del potere imperiale svevo in una città spesso ostile e ribelle a Federico. Il progetto e la direzione dei lavori furono affidati all'architetto militare Riccardo da Lentini. Nei primi anni del XV secolo l'edificio è circondato dalla città e diverse casupole vi si addossano.

Re Martino I di Sicilia nel 1405 sgomberò lo spazio intorno al maniero, per ricavare una piazza d'arme, demolendo tra gli altri il convento di San Domenico, lì ubicato dal 1313. Fu probabilmente dotato anche di un ponte levatoio. Secondo il Correnti sarebbe stato costruito sulla riva del mare per volontà di Federico II e il nome "Ursino" dato al castello deriverebbe da Castrum Sinus ovvero il "castello del golfo".  

All'interno del castello si vissero alcuni dei momenti più importanti della guerra del Vespro. Nel 1295 vi si riunì il Parlamento Siciliano, che dichiarò decaduto Giacomo II ed elesse Federico III a re di Sicilia. Nel corso del 1296 il castello fu preso da Roberto d'Angiò e successivamente espugnato nuovamente dagli aragonesi. Re Federico abitò a partire dal 1296 il maniero, facendone la corte aragonese e così fecero anche i successori Pietro, di LudovicoFederico IV e Maria. Inoltre la sala dei Parlamenti fu nel 1337 anche la camera ardente per la salma di re Federico III. Nel 1347 all'interno del castello venne firmata la cosiddetta Pace di Catania fra Giovanni di Randazzo e Giovanna d'Angiò.  

Il castello Ursino fu dimora reale dei sovrani del casato Aragona di Sicilia (ramo parallelo siciliano del casato di Barcellona) e ospitò tutti i re da Federico III e tutti i suoi discendenti fino al 1415 ospitò la regina Bianca d'Evreux di origine normanna ma ereditaria del regno di Navarra sposa di Martino I di Sicilia (deceduto nel 1409).

Finiti i Vespri, il castello, dimora di Maria di Sicilia, fu teatro del rapimento della regina da parte di Guglielmo Raimondo Moncada nella notte del 23 gennaio 1392, per evitare il matrimonio con Gian Galeazzo Visconti. Con l'avvento di Martino I di Sicilia il castello divenne nuovamente corte del regno.

Alfonso il Magnanimo riunì il 25 maggio del 1416, nella sala dei Parlamenti del castello i baroni e i prelati dell'isola per il giuramento di fedeltà al Sovrano e fino al 30 agosto vi si svolsero gli ultimi atti della vita politica che videro Catania come città capitale del regno. Nel 1434 lo stesso re Alfonso firmò nel castello l'atto con cui concedeva la fondazione dell'Università degli Studi di Catania.

Nel 1460 si riunirà nel castello Ursino il primo Parlamento del periodo aragonese-castigliano presieduto dal viceré Giovanni Lopes Ximenes de Urrea. Inoltre al suo interno morì nel 1494 don Ferdinando de Acuña viceré di Sicilia. Verrà sepolto in Cattedrale, nella cappella di Sant'Agata.

Nel XVI secolo venne costruito un bastione detto di San Giorgio a difesa del castello ed eseguite alcune modifiche in stile rinascimentale.  

Dal XVI secolo, con l'introduzione della polvere da sparo, il castello vide sempre più indebolito il suo ruolo militare, diventando temporaneamente dimora di viceré, e più costantemente del castellano, mentre una parte di esso fu adibito a prigione.

L'11 marzo 1669 da una frattura sopra Nicolosi cominciò la più imponente eruzione dell'Etna di epoca storica, che dopo aver distrutto orti e casali, giunse alle mura della città, che riuscì a superare da Nord-Ovest, nella zona del Monastero di San Nicolò l'Arena, per poi dirigersi verso il Bastione di San Giorgio. Il 16 aprile la lava arrivò attorno al castello e pur non intaccandone le strutture colmò il fossato, coprì i bastioni e spostò per alcune centinaia di metri anche la linea di costa. Qualche tempo dopo anche il terremoto del 1693 provocò una serie di danni alle strutture, compromettendo definitivamente il ruolo militare del castello.

Ristrutturato, continuò ad ospitare le guarnigioni militari prima piemontesi (1714) e quindi borboniche, assumendo anche il nome di Forte Ferdinandeo. Rimase tuttavia prigione fino al 1838, quando il governo borbonico riconoscendone il ruolo come fortilizio, vi apportò restauri e vi aggiunse nuove fabbriche che finirono con l'occultare sempre più l'originaria struttura sveva.

In tale stato il maniero rimase fino agli anni 30 del Novecento, quando fu oggetto di un radicale restauro, in vista della sua trasformazione in Museo.  

Acquisito nel 1932 dal comune e sottoposto a restauri, oggi il castello si trova in pieno centro storico e, dal 20 ottobre 1934, è adibito a museo civico di Catania. Nel mese di novembre del 2009 sono stati ultimati i lavori di restauro.

La costruzione, è a pianta quadrata, ogni lato misura circa 50 metri. I quattro angoli sono dotati di torrioni circolari con diametro poco superiore ai 10 metri e altezza massima di 30, mentre le due torri mediane sopravvissute (in origine erano quattro) hanno un diametro di circa 7 metri. Le mura sono realizzate in opus incertum di pietrame lavico e presentano uno spessore di 2.50 metri. Originariamente il castello presentava alle basi delle scarpate che lo slanciavano dandogli un aspetto decisamente imponente. Esse sono visibili nel fossato del lato sud del castello grazie agli ultimi scavi effettuati.

Il lato settentrionale è quello principale ed è ben conservato con quattro finestre anche se originariamente non presentava aperture per renderlo meno vulnerabile agli attacchi nemici, qui l'entrata del castello era difesa da un ponte levatoio e da mura difensive i cui resti sono ancora visibili nel fossato di fronte all'entrata. Una base a scarpa rafforza la struttura del castello.

Il lato sud è molto cambiato nel tempo, data la scomparsa della torre mediana e delle numerose finestre aperte nel tempo. Qui troviamo una porta secondaria detta "porta falsa" che, per mezzo di uno scivolo (che probabilmente era in legno e pietra), conduceva all'imbarcadero a mare ricavato oltre il bastione; il lato sud del castello infatti fino alla metà del XVI secolo era direttamente prospiciente la spiaggia e le acque del mar Jonio. Poi la realizzazione del bastione di San Giorgio e della piattaforma di Santa Croce lo allontanarono dal mare, ma lo resero efficiente per l'uso dei cannoni. Il definitivo allontanamento dal mare e l'innalzamento del livello del terreno circostante al castello fu dovuto alla colata lavica del 1669 che lo cinse quasi totalmente e sommerse i bastioni.

Il lato est non presenta la semi torre ma vi si trova una meravigliosa finestra di età rinascimentale con un pentalfa in pietra nera lavica. I moderni lavori di restauro hanno portato alla luce fino ad ora parte dei bastioni cinquecenteschi, una garitta perfettamente conservata e gli originari basamenti a scarpa che oggi restituiscono l'originaria maestosità alle torri angolari del castello. Il progetto originale probabilmente non prevedeva una merlatura, rara nei castelli federiciani. Ma successive modifiche e ricostruzioni della parte sommitale di alcune torri, hanno probabilmente previsto l'inserimento di merlature. La pianta originale si basa sulla relazione tra quadrato e ottagono, con possibile riferimento alla cabala.

L'ingresso, semplice, si trova nel prospetto nord ed ha sopra in una nicchia una scultura raffigurante un'aquila sveva che afferra una lepre simbolo del potere del sovrano Federico II sulla capitale etnea, erroneamente scambiata talora per agnello. Al suo interno si sviluppava la corte e vi rimane un bel cortile con scala esterna in stile gotico costruita in età rinascimentale.

Attorno al cortile interno c'erano le quattro grandi sale fiancheggiate da sale minori, dalle quali si accede alle torri angolari. Ogni grande sala è divisa da tre campate, coperte da volte a crociera costolonate che si dipartono da semicolonne con capitelli ornati a foglie.

Dal piano inferiore al piano superiore si accedeva attraverso le scale a chiocciola posizionate all'interno delle semi torri nord e sud. Funzionalmente combinò sia la funzione di reggia (palatium) che quella di maniero (castrum).

L'aspetto complessivo del castello nel suo ambiente circostante è notevolmente cambiato nel tempo, era prossimo al mare nei lati sud ed est, probabilmente in una vasta area aperta ridottasi ad uso agricolo dopo il progressivo abbandono dei quartieri meridionali nel corso della tarda antichità. In seguito, forse lungo il corso del XIV secolo durante l'espansione della Giudecca di Catania, la campagna su cui sorgeva venne occupata da fabbricati e conventi, tra cui quello di San Domenico, eretto nel 1313. Dal 1405 la città che ormai lo soffocava venne sventrata e intorno all'edificio fu ricavata un'ampia piazza d'arme. In seguito la struttura fu circondata da bastioni e dotata di un fossato e venne reso imponente dalle scarpate.

Dopo la colata lavica del 1669 e il terremoto del 1693, il castello vide allontanare la linea di costa di centinaia di metri e rialzarsi il livello del terreno di una decina di metri così che la sua imponenza e la sua magnificenza venne occultata per sempre.  

Il lungo periodo durante il quale il castello fu adibito a carcere comportò notevoli modifiche strutturali, poiché il maniero federiciano, nonostante la sua ampiezza, non aveva un numero sufficiente di locali che si prestassero ad essere usati come prigione. Così le grandi sale del piano terra furono suddivise da nuovi muri e solai, che crearono ambienti minori in cui i prigionieri stavano come l'anime dannate nei cosiddetti dammusi, cioè piccole celle, oscure e infestate da topi, scorpioni e tarantole.

Una traccia di questa pagina della storia del castello si trova nelle centinaia di graffiti che riempiono i muri e gli stipiti di porte e finestre di tutti gli ambienti del piano terra (ad eccezione di quelli sul lato nord) e anche il cortile interno.

Disegni: si tratta di stemmi, ma anche di teste e volti generalmente disegnati di prospetto, talvolta con intento caricaturale. Fra le rappresentazioni figurate, quelle di maggiore interesse si trovano nel cortile. Si tratta di una torre merlata e di quattro imbarcazioni a tre alberi, tipi di galeoni in voga fra cinque e settecento, descritti con grande precisione. Molto frequenti anche i simboli di carattere religioso, in particolare la Croce e gli strumenti della Passione, nella cui rappresentazione il carcerato ravvicinava la propria sofferenza a quella di Cristo. L'esempio più interessante si trova nel cortile, una grande croce con Nodi di Salomone ai vertici, con la scala, la spugna, le tenaglie e il martello.

Iscrizioni: spesso si tratta solo di un nome, una data (la più antica riporta il 1526) e la frase Vinni carceratu. Ma il repertorio è vastissimo e comprende riferimenti alla colpa attribuita al prigioniero, rispetto alla quale egli si dichiara innocente, vittima di complotti o tradimenti, e poi sentenze o riflessioni dettate dalla durezza della vita in carcere. Fra queste un tale Don Rocco Gangemi, che scrive: Miseru cui troppu ama e troppu cridi. Particolarmente interessanti, sul portale del lato sud del cortile, due lunghe frasi che mostrano dei precisi e puntuali riferimenti con la contemporanea produzione dei poeti Antonio Veneziano e Antonio Maura, ed una lapidaria incisione sul senso della vita: Mundus rota est. La lingua di queste iscrizioni è per lo più il siciliano, ma con uso anche del latino, dello spagnolo e di un misto di siciliano e latino.

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