Calascibetta fa
parte del circuito dei borghi
più belli d'Italia. È
situata sui monti
Erei, in una zona collinare interna; sullo spartiacque fra i bacini
dei fiumi Simeto e Imera
Meridionale. È posta a 880 metri sopra il livello del mare, come
si rileva dalla cartina dell'I.G.M. A nord-est, in direzione di Leonforte si
trova il lago
Nicoletti mentre a ovest il lago
Morello, entrambi di origine artificiale.
In lingua
siciliana la cittadina viene chiamata Calascibbetta,
spesso trascritta Calaxibbetta secondo l'antica grafia siciliana
della fricativa
postalveolare sorda. Gli abitanti della vicina Enna sono
soliti chiamarla Sciurbi (scritto Xurbi), derivante dal latino ex
urbe "fuori dalla città", data la posizione di Calascibetta
rispetto al capoluogo.
Si
presume che Calascibetta sia nata nel IX
secolo come accampamento militare musulmano, sulla rocca
antistante Henna,
per tentare l'assedio della roccaforte bizantina. Il territorio fu abitato
già in epoca antichissima dai Sicani,
come testimoniano le necropoli della Calcarella (XI-X secolo a.C.), di
Realmese (con tombe dei secoli IX e VI secolo a.C.), di Valle Coniglio
(sec. X-VII a.C.) e di Malpasso (età del rame).
Frequentata
in epoca bizantina come
attestano documenti ottocenteschi relativi a grotte basiliane affrescate,
si ritiene che una vera e propria fondazione di Calascibetta sia avvenuta
con la conquista
normanna dell'isola, dove appare menzionata nel 1062, quando
fu fortificata da Ruggero
I, che fece costruire il castello denominato “Marco”, la prima
cinta muraria, il primo borgo, durante l'assedio di Castrogiovanni,
e il grande duomo dedicandolo alla Vergine Maria e all'Apostolo San
Pietro.
Fu
qui che Ruggero il Normanno (1095-1154) si accampò nel corso del lungo
assedio da lui sferrato a Enna, controllata dagli Arabi, edificando un
nuovo castello e fortificando ulteriormente l'abitato, che ancora oggi
presenta un borgo dalle viuzze strette fra le alte mura, assai ben munite
di torri per la difesa. Un ulteriore ampliamento si ebbe dal Quattrocento
nel 1428: Alfonso il Magnanimo (1396-1458) diede diritto di residenza a 25
famiglie ebree, che vi si stabilirono caratteriszzando il quaritere da
allora chiamato Giudea.
In
seguito rimasta città demaniale, conosce un periodo di ineguagliato
splendore, favorita e preferita come fu dai re
siciliani della Dinastia Aragona, tra cui Pietro
II che durante un soggiorno vi spirò, che la dotarono,
sull'esempio dei normanni,
di templi e monumenti. I suoi abitanti sono chiamati xibetani.
Visitare
il borgo
Arroccata
sulla cima del suo monte, dirimpettaia di Enna, della quale gode la vista
migliore, Calascibetta appare come il sublimato della cittadina siciliana
interna. Le sue costruzioni colorate dell’ocra della splendida pietra
xibetana, sono dominate dalla mole della Cattedrale, chiesa medievale di
fasto regio.
La
città, perché nonostante le dimensioni, di città si tratta, perde le
sue origini nella preistoria. Poco distante dall’odierno centro vennero
scoperte le tombe della località Malpasso, pertinenti all’età del rame
e scavate da una popolazione che aveva certamente importantissimi legami
con l’area egeo anatolica coeva. A Malpasso succede la lunga teoria
delle necropoli
di Realmese, Calcarelle, Valle Coniglio.
Spettacolare
l‘area
di Canalotto, un vero villaggio rupestre tardo antico. Con
l’arrivo degli arabi Calascibetta scopre il ruolo che sarà leit motiv
della sua storia: fare da base per riporre assedio ad Enna. Gli arabi si
trincerano sul monte ed attendono la caduta della roccaforte bizantina; lo
faranno qualche tempo dopo i normanni, con le truppe ed i cavalieri del
Gran Conte Ruggero I, lo stesso farà Pietro d’Aragona, quando, venuto
in Sicilia per cogliere i frutti della rivolta dei Vespri, ebbe timore a
permanere ad Enna che avrebbe preferito divenire libero comune piuttosto
che assoggettarsi alla nuova corona aragonese.
Oggi
il suo centro storico si presenta quasi integro con edifici che tradiscono
la ricchezza delle sue genti un tempo dedite all’agricoltura ed
all’allevamento. Nota caratteristica è l’uso della calcarenite ocra
che compone mura, si trasforma in archi, stipiti, cornicioni ed ardite
balconate, testimoni di una sapiente arte dell’intaglio sulla viva
pietra.
Salendo
per il centro si trova Sant’Antonio
da qui parte la lunga e tortuosa via principale che, spezzata dalla
moderna Piazza dove sorgono la torre civica, la chiesa
della Maria SS. del Carmelo e le Scuole, continua
sino a giungere alla spianata sommitale. Lungo il corso si aprono le antiche carceri,
scavate nella viva roccia, la chiesa ed il Convento
di San Domenico e, più in alto il grande palazzo
“dei principi”, oggi abitazione privata.
In
alto l’area del castello, poi occupata dalla chiesa
di San Pietro, il santo patrono, e con la torre superstite
della fortificazione normanna. Il Duomo venne
costruito ad iniziare dal 1340, e venne destinato per privilegio reale ad
essere “Cappella Palatina”. L’impianto è a tre navate suddivise da
colonne e con transetto ed absidi a pianta curva. Diverse le opere
d’arte conservate e tra esse quadri di Francesco Sozzi e di Ludovico
Svirech. Visibili da alcune lastre trasparenti sul pavimento della grande
chiesa, sono state ritrovate porzioni dell’area fortificata
medievale.
Passeggiare
per il centro storico, consente di scoprire scorci inusitati, palazzetti
di notabili e sculture non di rado cinquecentesche e seicentesche magari
lasciate lì a fare da stipite alle case private.
Bella
anche la piazza
del convento
dei Cappuccini, alla fine della via
Giudea, quartiere ebraico, con una grande croce
devozionale e la facciata della chiesa e del convento. All’interno della
chiesa si conserva una tela raffigurante l’Epifania realizzata dal
toscano Fillippo Paladini. A due chilometri si trova la contrada
Maria SS. di Buonriposo,
con il suo piccolo santuario mariano, che accoglie la più grande festa
campestre della provincia. Essa si svolge durante il primo fine settimana
di settembre di ogni anno e termina con il lunedì successivo. Durante la
festa ai riti sacri si affiancano le tradizionali scampagnate serali con
preparazione della salsiccia sulla brace e il “palio dei Berberi” una
corsa equestre tra improvvisati fantini.

Necropoli
di Realmese
La necropoli di Realmese è una necropoli preistorica a
circa 3 km da Calascibetta. È la seconda necropoli pantalicana
della Sicilia datata IX – VI sec. a.C.
Caratterizzata
da 288 tombe a grotticella del tipo Pantalicano, durante la campagna di
scavi di questo sito archeologico, eseguita negli anni 1949-1950 sotto la
guida di Luigi Bernabò Brea, furono rinvenuti reperti in terracotta ed in
rame e da ceramiche, coltellini a fiamma, anelli digitali, orecchini e
fibule, nonché di corredi miniaturizzati esposti, insieme ad una
gigantografia in bianco e nero del sito durante i lavori di scavo, nel
Museo Regionale Paolo Orsi di Siracusa.
Tracce
dell’uso del sito in epoca bizantina sono state individuate
all’interno di una tomba a camera dell’età del Bronzo Finale. Tale
sepoltura presenta una pianta quadrangolare con copertura interna piana.
Al suo interno, sulla parete destra, si apre una grande nicchia, mentre a
sinistra una panchina è stata intagliata nella roccia, per cui si ritiene
che in età bizantina la tomba fosse utilizzata come abitazione.
Regia
Cappella Palatina
La
Regia Cappella Palatina, nonché la Chiesa Madre di Calascibetta, dedicata
a Santa Maria Maggiore, venne costruita sopra i ruderi del castello Marco
ad opera del re Pietro II d’Aragona, ultimata nell’anno 1340. Subito
dopo, nel 1342, fu nominata dallo stesso re Regia Cappella Palatina.
La chiesa ha le caratteristiche dell’architettura religiosa urbana delle
grandi cattedrali di Sicilia, la cui pianta si sviluppa a forma
basilicale. Oggi, dopo diversi rimaneggiamenti, si presenta a tre navate e
può essere considerata tra le maggiori espressioni dell’arte catalana
in provincia di Enna.
Sulle basi della navata sinistra, su cui si slanciano allineate le
colonne, si osservano felini alati accovacciati come delle sfingi egizie e
bassorilievi che presentano forme allegoriche. Sulle basi della navata
destra, in basso, è presente un motivo a zampe di uccello rapace, il
grifone, caratteristica che si ripete in tutte le basi della stessa
navata. La costruzione sorge sopra i ruderi di un castello, i cui scavi
sono stati lasciati aperti e si trovano inglobati nell’area del
pavimento della chiesa e delle sacrestie adiacenti.
Nei
secoli XVII, XVIII e XIX si riscontra in Calascibetta una vivace attività
artistica, furono presenti in città pittori la cui personalità di spicco
nel panorama artistico della Sicilia dell'epoca era notevole, tra questi: Giuseppe
Alvino (1608), Filippo Paladini (1610), Gianforte La Manna (1617), Lorenzo
Bellomo (1706), Giacomo Rindone (1744), Ludovico Suirech (1771), Francesco
Sozzi (1783), Domenico e M. Provenzano (1890) e (1904).

Adornano
la chiesa, pitture e sculture di marmo tra cui un ciborio ed un fonte
battesimale in marmo di scuola gaginiana.
Fra
le leggi speciali che governarono la città di Calascibetta, ricordiamo la
così detta “Legazia
Apostolica” o “Monarchia Sicula”. Questo diritto regio, in
Sicilia, valido solo nelle città demaniali fu ritenuto a ragione, “La
gemma più preziosa dei re di Sicilia”, grazie al quale i sovrani
dell’isola dall’XI sec. al 1929 diedero vita al loro sistema di
Governo Ecclesiastico, che prese il nome di “Monarchia Sicula”.
Nell'anno
1894 la chiesa fu ampliata con
la creazione delle tre aree absidali su progetto dell'ing.
Mariano D'Angelo, il quale realizzò nella navata centrale una
cupola, visibile solo dall'interno della chiesa, mentre dall'esterno non
si nota perchè rivestita da un tiburio in pietra di arenaria compatta.
L'ultimo
restauro risale al 1987, quando oltre al consolidamento dell'intera
struttura è seguito il ripristino del decoro interno, tra l'altro scrostando
l'intonaco settecentesco dalle colonne in pietra, ripristinando gli archi
gotici, il tetto in legno, il pavimento e successivamente gli
affreschi della cappella di San Pietro ed il restauro delle
tele.
Il
nuovo portone in bronzo fuso nelle fonderie Cavallari di Roma nell'anno
1988 è opera dello scultore romano Ennio
Tesei, è decorato a bossorilevo con un richiamo all'intera
storia della Regia Cappella Palatina, ed ai simboli cristiani delle
colombe e dei pesci. I titolari della chiesa: San Pietro e Santa
Maria Maggiore completano il portone bronzeo ed il decoro della chiesa.
I
tesori inestimabili della Regia Cappella Palatina sono esposti presso il
Museo Diocesano di Caltanissetta, ed occupano un'area espositiva notevole.
Il
castello che gli antichi storici denominavano Marco era posto sulla sommità
del colle che guardava ad Aquilone (Nord).
Quello
di Calascibetta fu uno dei primi castelli di vetta della Sicilia, che
conteneva al suo interno anche una chiesa rupestre paleocristiana,
parzialmente visibile, ancor oggi, attraverso un vetro posto sul pavimento
dell’attuale chiesa. I muri perimetrali presentano alcune feritoie, che
servivano per la difesa della fortificazione.
Nell’insieme,
queste due costruzioni, comprese l’una nell’altra, ostentano la prima
l’architettura fortificata chiaramente difensiva, mentre la seconda
l’architettura del tardo gotico siciliano.
La
maestosità del tempio catalano con i suoi colonnati ad ogiva ma
soprattutto con i suoi bellissimi bassorilievi riportati nelle facciate
delle basi delle colonne, sono le testimonianze tangibili della storia
civile e militare di questa terra.
La
costruzione del castello risalirebbe alla dominazione araba: gli arabi
infatti si arroccarono in cima al monte Xibet, al quale nome aggiunsero il
prefisso “Qal’a”, che indica un castello o un centro abitato
impervio, quindi fortificato dalla natura, quale è la città di
Calascibetta.
La volontà di dare un nuovo impulso al castello scaturì dalla necessità
di alloggiare quella parte di cavalleria che Ruggero il normanno tenne di
stanza a Calascibetta, ed essendo la fortezza del castello troppo piccola
per ospitare trecento cavalieri, si rese necessario creare una nuova area
per ospitare tutti gli armati. Così si completò nel 1062 sulla sommità
del monte Xibet la cittadella militare del Conte Ruggero.
I fatti e i luoghi conosciuti oggi dimostrano che i ruderi del castello
Marco furono prima demoliti in parte e successivamente nel 1340 nascosti
dall’attuale costruzione della chiesa Madre. Durante la famosa
rivoluzione dei Vespri Siciliani, la città di Calascibetta, rimanendo
città demaniale, dipendeva direttamente dalla corona dell’isola.
Dall’influenza spagnola però ricevette usi, tradizioni ed arte
principalmente nel campo religioso di cui ancora oggi resistono alcuni
retaggi.
È
opportuno ricordare che la città di Calascibetta, pur trovandosi in
provincia di Enna, non appartiene alla diocesi di Piazza Armerina, bensì
di Caltanissetta (1844).

Chiesa
di San Francesco d'Assisi (Convento dei Cappuccini)
La
fondazione del primitivo convento risale al 1534. Inizialmente ubicato
nella vallata che separa i comuni di Calascibetta ed Enna,
fu poi abbandonato dai frati
cappuccini, i quali edificarono l'attuale complesso, nel 1589,
sulla collina denominata della "Giudea" o "Colle dei
greci", già ghetto
ebraico (XIV sec.). Nel 1866, a motivo della soppressione
degli ordini religiosi, il convento diventò proprietà demaniale.
Riacquistato e restaurato dai frati, venne riaperto, insieme alla chiesa,
nel 1885. Nel corso del 900 è stato sede del noviziato provinciale
(1927-1972) e interprovinciale di Sicilia.
Fra
il 600 ed il 700 nel Convento risiedevano almeno 30 frati, ognuno dei
quali esercitava un mestiere (muratore, fabbro,etc.).
Nel
corso degli anni, il Convento potè godere dei lasciti di parecchi
benefattori, finchè nel 1866 passò assieme all'annessa Chiesa di S.
Francesco, al demanio, cosicchè furono estromessi i Cappuccini e vi
presero stanza i Carabinieri e varie famiglie; la Chiesa venne affidata al
Clero Secolare. Successivamente, avvenne che tre laici di Gangi (Frate
Antonio, fra' Santi e Fra' Gioacchino), costretti a mettere l'abito
cappuccino, si recarono ad Enna e lavorarono per raggranellare una somma
di denaro tale da consentire il riacquisto di qualche Convento. Riuscite
vane le pratiche per quello di Enna, vennero a Calascibetta per
sollecitare la riapertura del Convento e, assieme al Padre Giuseppe
Federico, presero contatti con le autorità, ottenendo l'autorizzazione a
stabilirsi in un angolo dello stesso con il pretesto di custodirne il
fabbricato e mantenere il culto nella Chiesa.
In
realtà, i quattro avevano formato la prima comunità religiosa della
provincia, alla quale si unì ben presto Fra' Gaetano d'Alimena che con il
proprio lavoro riuscì ad acquistare il terreno del
"Facchiumello" appartenuto in passato ai Frati Cappuccini.
Nel
1885 fu possibile comprare tutto il Convento e l'orto, tranne la posizione
occupata dalla stazione ippica ed il Cimitero. Il Municipio si riservò il
patronato della Chiesa, cedendone l'uso ai frati, con l'obbligo di
mantenervi in perpetuo il culto.
Nel
1937, in base al Concordato tra S. Sede ed il Governo italiano venne
anch'essa rivendicata in proprietà.
Nel
1927, infine, fu aperto il noviziato. Attualmente, nel convento vi sono
solo pochi Frati che si occupano della gestione del Convento e del culto
della Chiesa. Dal 1923 al 1927, Padre Angelo Messina da Palazzolo,
provvide ad eseguire alcuni restauri all'interno del Convento, altri
rifacimenti furono eseguiti nel 1977.
Dall'architettura
sobria, il convento si struttura attorno ad un ampio chiostro quadrangolare,
al centro del quale si erge una monumentale statua, in pietra, del servo
di Dio fra Giuseppe
Maria da Palermo, novizio cappuccino morto in fama di santità.
La
chiesa, dedicata a San
Francesco d'Assisi, è costituita da un'unica navata e tre cappelle
laterali (postume). Di notevole rilevanza artistica la pala dell'altare
maggiore, raffigurante l'Adorazione dei Magi (1610),
pregevole tela del pittore manierista toscano Filippo
Paladini.
Di
apprezzabile valore, la custodia lignea, opera di frati ebanisti del
XVI secolo, ora collocata nella sacrestia annessa
alla chiesa.
Il
convento è dotato di una ricca biblioteca,
con un patrimonio librario di 9500 volumi e riviste. Il fondo antico conta
190 cinquecentinte, 700 edizioni del seicento, 2000 volumi del settecento
e dell'Ottocento.
Fra
i francescani di Calascibetta si distinse il Ven. fra
Simone Napoli, nato a Calascibetta e morto nel 1546 nel convento di
S. Anna in Giuliana (PA). Appartenne a nobile famiglia e si rese insigne
per virtù, fra le quali rifulgevano in lui la pazienza, l’umiltà,
l’astinenza e la carità per gli infermi.
Operò
miracoli e predisse la sua morte. Fu primo autore della riforma dei minori
osservanti di S. Francesco nel regno di Sicilia, era l’anno 1533. Con
l’autorità di Clemente VII, radunando compagni, ottenne conventi per la
più stretta osservanza. Nell’anno
2001 una sua reliquia fu trasportata nel convento dei Padri Cappuccini di
Calascibetta, dove attualmente viene venerata.
Filippo
Paladini, pittore fiorentino ha lasciato diverse opere in Sicilia,
cinque nella sola città di Enna, furono dipinte tra il 1612 ed il 1613.
Altre tele di questo pittore si trovano a Siracusa presso la chiesa dei
padri Cappuccini, a Piazza Armerina, a Modica, a Caltagirone nella chiesa
del collegio, ma il capolavoro di questo pittore si trova a Calascibetta
nella chiesa dei padri Cappuccini, fu realizzata nel 1610
e raffigura “l’Adorazione dei Magi”.
La
tela di grandi dimensioni riempie lo sfondo dell’altare maggiore, è
firmata e datata, inoltre lo stesso Paladini è riprodotto in un piccolo
autoritratto, collocato proprio vicino alla firma dell’autore; la scena
è ricca di personaggi, ispirati alla natura iconografica del tema
natalizio.
Esistono
tre copie
di questa tela: la prima a Siracusa nel Museo Bellomo, la seconda nella
Pinacoteca Zelantea di Acireale, mentre la terza, opera di un pittore
anonimo del 1732 è ubicata nella chiesa Madre di Calascibetta. La
caratteristica di questa ultima tela è quella di lasciar intravedere due
personaggi in più, appoggiati ad una struttura architettonica, mentre
sulla tela del Paladini la stessa area è stata proposta più scura ed i
due personaggi sono scarsamente percettibili.
Chiesa
di Maria SS del Monte Carmelo
Il
convento dei Padri Carmelitani fu costruito nel 1371 e comprendeva
l’attuale municipio, la casa parrocchiale, la villa comunale e la chiesa
della SS. Trinità, adiacente ad essa. Il Monastero era collocato fuori
dalle mura della città, tra il borgo medievale ed il quartiere ebraico;
di essa rimane il gruppo marmoreo dell’”Annunciazione”
attribuita ad Antonello
Gagini, altri dicono sia opera realizzata in collaborazione
tra Giacomo
ed Antonino Gagini.
Nei
secoli successivi fu fondata la Congregazione
di Maria SS. Del Monte Carmelo, il cui scopo principale era la
venerazione della "Cappella
di Maria SS. Del Monte Carmelo".
I
cosiddetti “capitoli” regolavano
la vita associativa in ogni dettaglio. L’associazione si impegnò in
atti di solidarietà tra i soci, quando la protezione sociale pubblica era
inesistente. Particolare impulso agli agricoltori che spesso si trovavano
in difficoltà, diede la costituzione dei "monti
frumentari" o "colonna frumentaria", il
ricorrere a tale risorsa veniva chiamato "succursu" (soccorso).
L’ordine dei carmelitani di Calascibetta fu soppresso nel 1659 e
ripristinato nel 1665.
L’attuale
chiesa dei Carmelitani risale al 1771, mentre quella vecchia
ospitava la sepoltura in marmo pregiato del barone
Antonio Lo Vecchio senior, lo stesso marmo fu utilizzato in due
altari della nuova chiesa, essendo stata la prima demolita per vetustà.
Una pittura di Domenico
Provenzano del 1895 adorna l’altare sinistro, dove sono
rappresentati dei santi carmelitani.
Tra
i tanti Priori del
convento dei Carmelitani di Calascibetta, ricordiamo alcuni Maestri
mazzarinesi: dal 1644
Alberto Salemi; nel 1742 Giuseppe Salamone; dal 1750 Ignazio Riccobene;
dal 1800 Buono; dal 1833 Mariano Margiotta.
Gli
ultimi dati conosciuti del Convento sono datati 1859. In questo anno nel
convento dei Carmelitani di Calascibetta vi erano sette frati tra cui il
Padre Maestro Mariano Margiotta, Priore Reggente di anni 66, Mazzarinese,
confessore di entrambi i sessi. Il primo parroco della neo-parrocchia del
Carmelo fu Mons. Liborio Colajanni,
a cui seguì il Parroco Paolo Castagna.
Al
suo interno, fra le varie opere, l’Annunciazione attribuita
ad Antonello Gagini. L’attuale via Dante, il Municipio, la casa
parrocchiale, la villa comunale e la chiesa della SS. Trinità facevano
parte, in origine, del monastero dei Carmelitani.
Dell’antica
chiesa del XIV secolo rimane il gruppo marmoreo dell’
“Annunciazione” attribuita ad Antonello Gagini trasferito nel 1771
nella chiesa attuale. Nei secoli successivi fu fondata la Congregazione di
Maria SS. Del Monte Carmelo, il cui scopo principale era la venerazione
della “Cappella di Maria SS. Del Monte Carmelo”. I cosiddetti
“capitoli” regolavano la vita associativa in ogni dettaglio.
L’associazione
si impegnò in atti di solidarietà tra i soci, quando la protezione
sociale pubblica era inesistente, garantendo sostegno agli agricoltori che
spesso si trovavano in difficoltà. L’associazione diede vita anche alla
costituzione dei “monti frumentari” o “colonna frumentaria”, il
ricorrere a tale risorsa veniva chiamato “succursu”
(soccorso). L’ordine dei carmelitani di Calascibetta fu soppresso nel
1659 e ripristinato nel 1665.Sulla piazza centrale si staglia la Chiesa di
Maria SS. del Carmelo, costruita nel 1771 dai Carmelitani, alla quale era
connesso il Convento. La Chiesa ad una sola navata, conserva sull’altare
maggiore il gruppo marmoreo raffigurante l’Annunciazione del Gagini.
Chiesa
di San Domenico
Oggi
Parrocchia Ortodossa San Giovanni Battista adeguata al culto ortodosso
presenta una iconostasi in legno, donata dai fedeli. Di pregevole fattura
è l’acquasantiera posta a sinistra entrando, la stessa riporta sotto il
bordo in lingua latina una dicitura sulla commissione del manufatto ad
opera di Antonio Lo Vecchio.
Nel
1523, i frati Domenicani abitarono in un convento fuori l’abitato, ma
era talmente povero che i frati lo abbandonarono. Richiamati
successivamente nel 1573 eressero un altro convento sulle rovine della
Porta dell’Aquila, di cui oggi rimangono l’ex monastero e l’attuale
chiesa di San Domenico.
Il
monastero, poiché era dotato di pochissime rendite, fu nuovamente
abbandonato nell’anno 1659. Lungo la facciata dell’antico monastero di
via Conte Ruggero è ancora visibile un orologio solare.
Grotte
di via Carcere
Questo
sito fa parte del circuito Camminare
nella Storia. Uno dei sette itinerari di tale percorso Reliquie
rupestri sulle trazzere di Calascibetta, invita a visitare alcuni luoghi
di Calascibetta: Grotte di Via Carcere, Necropoli di Realmese e Villaggio
Bizantino. Il sito rupestre delle Grotte
di Via Carcere è scavato nella calcarenite ed utilizzato nel
periodo medievale come carcere della città. Presenta delle grotte a vari
livelli, fino a raggiungere il terzo piano, ben visibili dall’esterno.
La
roccia ingloba delle magnifiche conchiglie fossili di ostriche
plioceniche. Il sito rupestre di Calascibetta che comprende oltre mille
grotte sparse nella parte alta della città ed abilmente nascoste dalle
moderne costruzioni antistanti, fu descritto dal famoso viaggiatore
tedesco J.W. Goethe nel suo “Viaggio in Italia” che così riferiva:
“Calascibetta è posta in una posizione estremamente panoramica ad
anfiteatro sopra una rupe sforacchiata di grotte” e concludeva dicendo
“ma chi poteva immaginare a godere tale spettacolo”.
Antico
Quartiere ebraico
Durante
il XIV secolo nasce a Calascibetta il quartiere ebraico, fuori
dalle mura della città medievale e lontano dai cristiani. Questa
città fu una delle 52 comunità ebraiche di Sicilia mentre gli abitanti
del quartiere erano orafi, dediti ai commerci, all’usura, ed
all’artigianato, la loro presenza fu una sorta d’indicatore del tenore
di vita cittadino.
Gli
ebrei erano esperti nel commercio e lo erano ancor di più nei lavori in
ferro. I loro quartieri erano denominati in Sicilia Iudìe o giudecche, in
altre regioni ghetti. Ancora oggi a Calascibetta quell'antico
quartiere viene chiamato in dialetto “IUDIA”. Gli
ebrei occuparono anche il quartiere denominato “Borgo”,
e via Borgo era l’attuale via Roma; fino alla fine del 1800, inoltre
occuparono l’area compresa tra la via Roma, appunto, e la via Giudea,
compresa la via Faranna, detta anche la
collina dei greci.
Gli
ebrei furono tollerati dalla popolazione locale. Il loro numero crebbe nel
1400 finchè non furono espulsi dalla Sicilia nel 1492. Svolgevano anche
lavori di intermediari, concia delle pelli, orafi, riscossione delle
imposte, prestiti ad usura, commerci vari. In
Sicilia Meschìta era il nome della sinagoga, sebbene vi fossero altri
modi per denominarla, come Chymisia, a Marsala, e Timisia a
Castrogiovanni.
La
Sinagoga di Calascibetta, trasformata dopo il 1492 in chiesa cristiana,
ubicata in via Giudea, oggi è adibita a magazzino. Nei pressi della
Sinagoga vi era la fontana per le rituali abluzioni prima di entrare nella
Sinagoga, il Mikveh . Attualmente la stessa fontana si individua
con la porzione circolare del bevaio di via Giudea Alta, composto da una
vasca monolitica circolare, realizzata in pietra di “cutu”
(arenaria compatta).
Ancora
nel 1324 Federico II D’Aragona, emanò da Castrogiovanni un
proclama dove veniva imposto alle comunità ebraiche, di abitare fuori
dalle mura cittadine “in luoghi siffatti distinti e separati dalle case
dei cristiani”. Anche a causa di questo proclama a Calascibetta restò
unì'area libera non edificata e compresa tra le due comunità della
città, quindi quello spazio libero tra la parte medievale della città e
la parte più bassa che iniziava con il quartiere ebraico, venne occupata
in seguito dall'attuale piazza Umberto Primo.
Nel
XV sec. la regia trazzera Calascibetta – Licata (allora chiamata
Alicata, dall’arabo Aliqat), collegava Calascibetta con il porto più
importante della Sicilia meridionale sul mediterraneo, ed attraverso
questa trazzera i commercianti ebrei di Calascibetta lucravano sui
trasporti di: formaggi, sale, zolfo e grano, per l’imbarco sui galeoni
spagnoli nel porto di Alicata. Gli ebrei espulsi dalla Spagna, in molti
casi trovarono rifugio in Sicilia.
La
via Faranna è oggi il vicolo più caratteristico dell’antico
quartiere ebraico.
Tra
gli anni 1492 – 1493 vi fu la cacciata degli ebrei dai domini spagnoli e
da tutta la Sicilia, sotto il regno di Ferdinando il Cattolico, gli ebrei
in Sicilia erano circa 80.000 su una popolazione di 800.000 abitanti.
Villaggio
Bizantino - Canalotto
È
un insediamento rupestre d’epoca tardo romana – bizantina. Nell’anno
535 iniziava in Sicilia l’occupazione bizantina con il generale
Belisario; le sue conquiste si spinsero anche nel centro dell’Isola,
modificando così usi e costumi della popolazione locale. I conquistatori
bizantini portarono nell’isola il loro patrimonio formale ed
iconografico del cristianesimo primitivo.
Durante
la dominazione bizantina, la popolazione dell’attuale Calascibetta
viveva in piccoli villaggi, nelle campagne distanti solo pochi chilometri
dall’attuale centro abitato. In seguito alla conquista araba, le
popolazioni delle campagne gradualmente si trasferirono sulla parte più
alta di Calascibetta dove troviamo il primo nucleo arabo caratterizzato da
stradine strette e tortuose, come le Vie Balata e S. Agata, occupando le
dimore rupestri dei primi abitatori trogloditi.
La
regia trazzera Calascibetta – Alimena costituisce la naturale
prosecuzione in direzione nord della regia trazzera Calascibetta –
Palagonia, mentre l’intero tracciato si chiamava Siracusa Thermai,
l’antica arteria passando da Calascibetta che conduceva appunto
all’odierna Termini Imerese.
Ancora
una volta anche questo antichissimo tracciato rivela un passato storico
ricco di testimonianze legate ai primi secoli della cristianità. A circa
mezzo chilometro da questa importante arteria in contrada Canalotto ed a
soli cinque minuti di macchina dal centro abitato di Calascibetta troviamo
un intero villaggio rupestre sviluppatosi in epoca bizantina. La comunità
poteva contare su ambienti rupestri per gli usi civili e religiosi. Gli
abitanti si erano organizzati per vivere con una certa autonomia; essi
avevano trovato il modo di raccogliere le acque dilavanti sulle rocce
tramite delle incisioni che alle volte diventano piccoli canaloni i quali
convogliano le acque meteoriche in recipienti scavati nella roccia, che a
loro volta venivano suddivise in piccole vasche di utilizzo pratico.
Il
sito risalente probabilmente al VI a.C., è posto su sede acquifera ed è
il sito più completo, comprende due chiese rupestri a due piani ed una
trentina di grotte anche a diversi piani, utilizzate come abitazioni, sia
successivamente che recentemente, adibite a ricovero per animali. Sopra la
porta di una di queste grotte si distingue chiaramente una croce incisa
sulla roccia a testimonianza della loro fede cristiana. Sulle pareti si
notano le piccole bacheche scavate nella roccia, che servivano per la
deposizione delle urne e vasi cinerari, poiché il culto dei morti seguiva
ancora il rituale dell’impero romano: i defunti venivano cremati e le
ceneri raccolte in vasi.
Il
villaggio poteva contare anche sul supporto idrico del torrente che scorre
alla base, che si riversa nel fiume Morello che scorre a circa sette
chilometri di distanza. Nelle civiltà antiche le comunità si insediavano
molto spesso in luoghi forniti di risorse idriche.
Gli
abitanti avevano trovato il modo di raccogliere le acque dilavanti sulle
rocce tramite delle incisioni che alle volte diventano piccoli canaloni i
quali convogliavano le acque meteoriche in recipienti scavati nella roccia
che a loro volta venivano suddivise in piccole vasche di utilizzo pratico.
Durante la dominazione bizantina, la popolazione dell’attuale
Calascibetta viveva in piccoli villaggi, nelle campagne distanti solo
pochi chilometri dall’attuale centro abitato. In seguito alla conquista
araba le popolazioni delle campagne si trasferirono gradualmente sulla
parte più alta di Calascibetta, dove troviamo il primo nucleo arabo in
grotte scavate nella roccia e caratterizzato da stradine strette e
tortuose, come le Vie Balata e S. Agata.
Villa
coomunale
La
Villa Comunale di Calascibetta è ubicata adiacente alla piazza della città,
oggi è cio che resta del giardino dell'antico convento dei frati
carmelitani, infatti chiesa, convento e giardino erano adiacenti. Gran
parte del convento fu confiscata dallo Stato dopo l'Unità d'Italia e fu
ceduto al comune di Calascibetta, dove tuttora vi è la sede del
municipio.
Oggi
la villa comunale presenta, oltre alle piante, alcune sculture in pietra:
la prima una lapide sepolcrale realizzata in arenaria compatta (pietra di
cutu) per il sepolcro dell'architetto Giovanni Tabita nato nel 1510 e
morto nel 1586. Proveniente dalla prima chiesa dei carmelitani; la seconda
scultura, è un'opera di eccezionale bellezza: la “ Venere di Sicilia
” realizzata nell'anno 2011 dallo scultore Giovanni Balderi, nato a
Seravezza l'8 agosto 1970. La Venere è la prima opera realizzata
in Sicilia da questo autore, fu inaugurata dal comune di Calascibetta il 5
novembre 2011, in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
L'opera scolpita in pietra di Comiso, fu ideata e realizzata dallo
stesso scultore chiamandola appunto: Venere
di Sicilia, riconoscendola quale simbolo di bellezza, di
armonia di stile e dell'essere femminile - a suo dire - il particolare più
attraente, capace di richiamare alla memoria sensazioni ancestrali, è
senza ombra di dubbio, l'ombelico. Il centro della vita quale perno
dell'unità è la donna che resta l'elemento che unisce, in questo caso la
madre, la nostra terra, l'Italia intera.
Una
caratteristica dell'opera citata è quella di raggiungere la liricità e
il suo riferimento cardine la bellezza, anche se appena accennata, dove le
forme stilizzate ma interessanti accompagnano la sua creazione. Anche il
gioco di luci, sia naturale che artificiali, ricercato dallo stesso autore
nel momento della collocazione dell'opera ne aumenta il pregio.
L'illuminazione notturna con luci a led applicate sui due ciuffi di alghe
stilizzate, sono stato realizzate su disegni dell'architetto Marco
Statella di Piazza Armerina.
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