La
città fu riportata alla luce nell'autunno del 1955 dalla missione
archeologica dell'Università di Princeton (Stati Uniti). Gli scavi
sinora compiuti consentono di seguire lo sviluppo dell'insediamento per un
periodo di circa un millennio, dalla preistoria all'epoca romana.
L'area più facilmente visitabile, recintata dalla Sovraintendenza, conserva
resti dalla metà del V alla fine del I secolo a.C., il
periodo di massimo splendore della città.
Da
questo sito provengono importantissimi reperti archeologici come la Dea
di Morgantina, attualmente custodita presso il museo archeologico di
Aidone cui è giunta il 17 marzo 2011 dopo il contenzioso fra Italia e Stati
Uniti dove era esposta presso il Getty Museum a Malibù,
e il Tesoro di Morgantina, anch'esso restituito.
La
città antica sorgeva su un ondulato e allungato pianoro, scosceso ai
fianchi e culminante nel monte Cittadella (578 m s.l.m.) Posto a
sbarramento della valle del Simeto e dei suoi tributari, il sito
controllava una vastissima zona, delimitata dalle Madonie e
dall'Etna a nord, dal mar Ionio a est, dagli Erei meridionali
a sud e a ovest. Si trattava di un passaggio obbligato delle vie di
comunicazione tra la costa orientale e l'interno della Sicilia.
Ai
suoi piedi la fertile pianura del Gornalunga e i ricchi pascoli
che lo circondano alle spalle, costituivano un ulteriore vantaggio per
l'insediamento.

1. agorà 2. collina
est 3. contrada San Francesco 4. contrada
Drago 5. contrada San Francesco Bisconti/santuario 6.
santuario nord 7. collina ovest 8.
necropoli sud 9. collina Papa 10. casa
di Eupolemo 11. contrada Agnese 12. terme
nord 13. porta ovest |
Le
più antiche tracce di frequentazione del sito appartengono alla prima età
del bronzo (2100 -1600 a.C.), epoca a cui risale un villaggio di
capanne circolari e rettangolari che occupò il colle di Cittadella
(contrada "Terrazzi di San Francesco"). Il villaggio appartenne
alla Cultura di Castelluccio, caratterizzata da un'elementare
organizzazione civile e dal possesso di rudimentali tecniche di artigianato
domestico e agricole e alla successiva cultura di Thapsos.
Nel sito sono state rinvenute anche ceramiche micenee e submicenee
A
partire dal XIV secolo a.C. sino all'XI secolo a.C. la
popolazione dei Siculi (Sicilia),provenienti dall'Italia centrale,
raggiunse in ondate successive la Sicilia, cacciando gli indigeni nella
parte occidentale. Secondo la leggenda un gruppo di Morgeti guidato
dal mitico re Morgete, fondò nel X secolo a.C. la città di
Morgantina, sul colle della Cittadella. Per oltre trecento anni i Morgeti
occuparono il luogo, integrandosi con le altre popolazioni affini
dell'interno e prosperando grazie allo sfruttamento agricolo della vasta pianura
del Gornalunga
Nella
seconda metà dell'VIII secolo a.C., era iniziata in Sicilia la colonizzazione
greca e verso la metà del VI secolo a.C. Greci di origine calcidese giunsero
a Morgantina risalendo la valle del Simeto e del suo affluente Gornalunga;
si insediarono nella città convivendo abbastanza pacificamente con i
precedenti abitanti, come sembra testimoniare la mescolanza di elementi
culturali nei corredi funebri. I coloni calcidesi assimilando la religiosità
degli indigeni trasformarono la Dea Madre nelle loro divinità greca Demetra
e Persefone, come testimoniato dai famosi acroliti teste marmoree complete
di mani e piedi con il corpo composto da materiale deperibile risalenti agli
anni 525-510 a.C. La città sembra venisse distrutta una prima volta alla
fine del secolo, ad opera del tiranno di Gela, Ippocrate.
Nel 459 a.C., la città venne presa e distrutta da Ducezio,
condottiero dei Siculi, durante la rivolta contro il dominio greco e fu
probabilmente in seguito abbandonata come centro abitato.
Dopo
la disfatta di Ducezio nel 450 a.C. il territorio di Morgantina
passò nell'orbita di Siracusa e fu in seguito ceduto a Camarina
nel 424 a.C. in cambio di una somma di denaro. Nel 396 a.C. la
città fu conquistato da Dionisio I, tiranno di Siracusa, durante una
campagna militare per riportare le comunità dell'interno sotto il suo
dominio. Ma la Polis mal sopportava il giogo siracusano tanto che
nel 392 a.C. ospitò l'esercito punico punico guidato da Magone.
Nella guerra combattuta in Sicilia fra Dione, l'allievo del grande
filosofo Platone, e suo nipote Dionisio II il giovane,
Morgantina aderì alla causa del condottiero siracusano per riprendersi la
propria autonomia.
Intorno
al 340 a.C. Timoleonte aveva sconfitto l'esercito punico e si
era sbarazzato dei vari tiranni delle Polis: salito al potere si impadronì
del territorio e la città venne ricostruita sul pianoro di Serra Orlando:
furono edificate le nuove mura e se ne delineò l'assetto
urbanistico a schema ortogonale, un nuovo Santuario venne eretto in onore di
Demetra e Persefone e
fu impiantato l'Ekklesiasterion con il Bouleterion.
La
popolazione aumentò parecchio con l'arrivo di nuovi coloni dalla Grecia. Agatocle chiedendo
ed ottenendo l'aiuto di 1.200 soldati di Morgantina conquistò, nel 317
a.C., Siracusa e fece realizzare l'agorà di Morgantina. Il massimo
splendore fu quindi raggiunto nel III secolo a.C. durante il lungo
regno di Gerone II (275-215 a.C.) e la città arrivò a contare
circa 10.000 abitanti.
Durante
la prima guerra punica, Morgantina insieme a tutta la Sicilia orientale
sotto Gerone II fu alleata dei Romani. Morto Re Gerone II,
durante la seconda guerra punica Morgantina e le altre città
siciliane passarono dalla parte dei cartaginesi (Tito Livio).
Infatti il giovanissimo Geronimo, nominato Re dal Consiglio dei 15 saggi
istituito dal nonno Gerone II, sconfessò l'alleanza con Roma e ricevette
alcuni emissari di Annibale il grande, i due fratelli Ippocrate ed Epicide
(di origini siracusane).
Morto
Geronimo a Leontini nel 213 a.C. a Siracusa venne istituita la cosiddetta
quarta Repubblica dal Senato ma il potere assoluto era nelle mani di
Ippocrate ed Epicide che cercarono di fronteggiare le legioni romane guidate
dal Console Claudio Marcello.
Morgantina
diventata la base operativa della lega siculo-punica si sbarazzò del
presidio romano e nella zecca furono coniate parecchie monete della serie
SIKELIOTAN. Attraverso le fonti storiche sappiamo che l'esercito punico di
Imilcone (mandato da Annibale) e quello siracusano di Ippocrate trovarono
rifugio entro le mura fortificate di Morgantina. La città non si arrese
neanche dopo la caduta di Siracusa nel 212 a.C. e fu assediata e
distrutta nel 211 a.C., da Marco Cornelio Cethego che la
consegnò all'ispanico Merico e ai suoi mercenari ispanici quale
premio per avere permesso al Console Claudio Marcello la conquista di
Siracusa, difesa da Archimede. Anche la serie di monete di bronzo HISPANORUM
coniate durante il dominio di Moerico sono servite agli studiosi per
dimostrare la scoperta scientifica come pure i denarii romani emessi prima
del 211 a.C.
Dopo
la conquista romana le mura vennero abbattute e l'abitato si restrinse
notevolmente, ma la città continuò a vivere come importante nodo
commerciale per la produzione di terrecotte nelle fornaci e soprattutto per
la produzione di cereali (grano, orzo), dell'olio e del vino ricavato dalla
famosa Vite Murgentina. (Marco Porcio Catone - Columella - Plinio
il Vecchio).
Venne
costruito al centro dell'Agorà il Macellum e molti edifici pubblici (Bouleterion-Pritaneo)
furono utilizzati dai conquistatori romani come tabernae e termopolium. In
breve la Polis venne progressivamente trasformata in un oppidum romano
utilizzato dalle varie legioni di passaggio per la Sicilia.
Diodoro
Siculo ricorda che a Morgantina, che si era anch'essa ribellata come
Henna (Enna), venne tenuto prigioniero Euno, capo della rivolta
servile del 135 a.C., repressa dalle legioni romane.
Anche
nella seconda guerra servile, (105-101 a.C.), Morgantina venne
assediata dal capo dei ribelli Salvio e forse venne temporaneamente
conquistata.
Sembra
abbia parteggiato per Sesto Pompeo nella sua lotta contro Ottaviano,
ma Strabone, poco dopo, la ricorda tra le città scomparse e i dati
archeologici confermano che, intorno al 30 a.C., essa venne
gradualmente abbandonata. In Sicilia, in quegli anni, subirono il
medesimo destino svariate antiche città, ne sono un esempio Abacena e Phoinix.
I
resti - I
resti furono individuati per la prima volta alla fine del XIX secolo dall'archeologo Paolo
Orsi e inizialmente la città venne identificata con Herbita.
Il ritrovamento di alcune monete in bronzo e la
concordanza dei dati archeologici con le notizie riportate dalle fonti
permisero quindi il riconoscimento con l'antica Morgantina. La zona
archeologica occupa un'area di oltre venti ettari.
Della
città ellenistica restano nell'area recintata notevoli resti: diversi
edifici pubblici, per lo più articolati intorno alla piazza dell'Agorà (ginnasio o
"stoà nord"), "stoà orientale" e
"occidentale", il pritaneo, l'ekklesiasterion, il
duplice "santuario dell'Agorà", il granaio pubblico, la
"Grande Fornace", il teatro o koilon e
il Macello romano e importanti case di abitazione, riccamente ornate da
mosaici (case "del Capitello dorico", "del Mosaico di
Ganimede", "della Cisterna ad arco", "delle
Antefisse", "dei Capitelli tuscanici", "del
Magistrato", e ancora, la "Casa Fontana" e la "Casa
sud-est").
Le
altre emergenze, pur servite da sentieri, non sono visitabili senza una
competente guida. È prevista la realizzazione di un parco con corsi
preordinati, pannelli informativi ed attrezzature ricettive turistiche.
I
numerosi reperti provenienti dagli scavi sono conservati nel Museo di Aidone.
L'Agorà
- A
lato di un'ampia strada in acciottolato che costituiva l'asse viario
centrale della città, si notano i resti degli edifici pubblici del centro
politico ed amministrativo della polis, disposti intorno alla piazza
principale o agorà,
che occupa un pianoro delimitato da due rilievi ad ovest (più
esattamente sud-ovest) e ad est (nord-est),
e seguendo il dislivello naturale, è suddivisa in una piazza alta, verso
nord (nord-ovest), delimitata da portici (stoài)
su tre lati, e una piazza bassa verso sud (sud-est).
Sul
lato nord l'agorà è limitata da un lungo portico, di circa 90 m
identificato come gymnasium (ginnasio),
luogo destinato alle attività sportive dei giovani. Sul portico si
affacciavano vari ambienti di servizio (spogliatoi e bacini per le
abluzioni). Fu realizzato nel III
secolo a.C., sotto il regno di Gerone
II.
Alla
sua estremità orientale sono stati rimessi in luce (1982-1984) i resti di
una fontana monumentale (ninfeo)
a doppia vasca, preceduta da un'ampia scalinata ed ornata con colonne a
fregi dorici. Costruita verosimilmente nella seconda metà del III
secolo a.C., era dedicata alle Ninfe e fu distrutta violentemente, forse
da un terremoto, nel corso degli ultimi anni del I
secolo a.C.
Sul
lato occidentale della piazza c'erano le botteghe, precedute da un altro lungo
portico, di cui non è rimasto quasi nulla. Sul lato orientale restano le
basi del colonnato del terzo portico (lungo 87 metri). L'edificio era deputato
alla giustizia, alla scuola e agli affari.
Sul
lato occidentale la piazza era limitata da una serie di botteghe, precedute
da un altro lungo portico, le cui tracce sono oggi poco visibili.
Sull'opposto lato orientale restano visibili le basi del colonnato del terzo
portico (lungo 87 m). L'edificio aveva funzioni polivalenti e poteva
essere destinato a sede dell'amministrazione della giustizia popolare, a
scuola e a luogo riparato d'incontro per gli affari.
Alla sua estremità
settentrionale, verso il ginnasio, sono chiaramente riconoscibili gli avanzi
di un bouleuterion (luogo
di riunione del consiglio cittadino) a pianta bipartita, con all'interno un
muro a semicerchio e un podio rettangolare, attorno al quale dovevano essere
disposti i seggi dei membri del consiglio.
Nella
piazza superiore, spostato verso sud e verso est, s'incontra un edificio di
epoca romana (prima
metà del II
secolo a.C., con orientamento divergente da quello degli edifici
ellenistici, costituito da un complesso di tredici botteghe d'uguali
dimensioni, disposte sui lati nord e sud di un cortile porticato, dotato al
centro di un'edicola circolare.
Si tratta di un macellum o
edificio per mercato, uno dei più antichi conosciuti. Il macellum non era
il mercato delle carni, ma un mercato in generale, che poteva offrire anche
carni quanto verdure ed altri generi alimentari. Sul lato ovest, ove
è l'ingresso, è inglobata un'area sacra greca preesistente, con ampio
altare rettangolare. I greci difficilmente demolivano i vecchi
templi, perché le divinità in essi ospitate potevano non gradire la cosa,
per cui li inserivano in qualsiasi edificio occorresse.
Dall'agorà
bassa, fiancheggiata sul lato ovest dal teatro, che si appoggia alle pendici
della collina occidentale, si passa, mediante una gradinata trapezoidale
utilizzata per le riunioni dell'assemblea cittadina (ekklesiasterion),
all'agorà alta.
La
gradinata del teatro, verso la metà del IV secolo a.C. aveva una forma
trapezoidale, rifatta poi con cavea a ferro di cavallo, tra la fine del IV e
gli inixi del III secolo a.C., insieme alla scalinata utilizzata come
ekklesiasterion, che riprende però, e che mantenne, la forma originaria.
Dal nome ekklesiasterion il cattolicesimo ha derivato il termine
"Chiesa".
E'
un complesso simile ad un teatro greco con una funzione analoga al comitium
romano. Si suppone che sia stato realizzato alla fine del IV secolo a.C. da
Timoleonte.
E'
un complesso di tre gradinate, tra le cui funzioni vi era anche quella di
collegare l'agorà bassa a quella alta; ma soprattutto fungeva da sede
all'assemblea cittadina.
Il
podio dalla quale parlavano gli oratori era locato di fronte al Pritaneo
(equivalente all'ufficio del sindaco). Questa disposizione indica che
Morgantina era una Polis democratica.
Nell'anno
317 a.C. Agatocle, esule da Siracusa di cui era stato il tiranno, usò
questo luogo per radunare un esercito di 1.500 soldati morgantini per
riconquistare il potere in patria.
Il
teatro era stato edificato dal ricco cittadino Archela figlio di
Eukleida e da questi consacrato a Dionisio, come si legge su un'iscrizione
scolpita sull'alzata di uno dei gradini che formavano la cavea.
Questa, con circa quindici gradini suddivisi in più settori era realizzata
in modo da consentire un sorprendente effetto acustico, ancor oggi
apprezzabile, ed è sostenuta da un robusto muro di contenimento in blocchi
accuratamente squadrati. Nei pressi sono visibili i resti di una conduttura
d'acqua in elementi di terracotta ad incastro, provvisti di spioncino
ellittico. Poteva
contenere fino a 5000 persone.
L'attuale
cavea del teatro fu costruita nel III sec. a.C. dove già sorgeva un altro
edificio teatrale, di dimensioni più ridotte. Due corridoi laterali (pàrodoi)
permettevano l'accesso all'orchestra (lo spazio entro il quale si
muoveva il coro), chiuso dall'edificio scenico. Questo era costituito da un
prospetto architettonico fisso, che doveva essere ornato da scenografie
mobili sorrette da travi lignee, i cui alloggiamenti sono visibili su un
grosso masso squadrato triangolare.
La
cavea, costruita in pietra calcarea, raggiunge il diametro di 57,70 metri.
Era suddivisa in due settori: uno inferiore, costituito da 16 ordini di
sedili, e uno superiore, in terra battuta. Poggia su uno spiazzo in leggera
pendenza del dorsale roccioso, che venne rinforzato con materiale di riporto
(sabbia e d terra). Questo materiale era contenuto dalle spesse mura di
contenimento in blocchi ben squadrati, il cui peso era sostenuto da
contrafforti.
Nei
pressi i resti una conduttura d'acqua in elementi di terracotta ad incastro,
provvisti di spioncino ellittico.
Accanto
al teatro e in stretta relazione con esso, in posizione elevata sorgeva il santuario
di Demetra e Kore,
le due divinità protettrici della città. Il santuario si sviluppava lungo
un pendio che presenta tre terrazzamenti, in ognuno dei quali sono ancora
visibili diversi sacelli, adibiti al culto. Vi si accedeva dal lato
occidentale, ed era costituito da due settori ben distinti, che sorgevano
intorno a due cortili.
La
parte settentrionale era dotata di una vasca per le purificazioni e una
stanzetta per le offerte, con diversi ambienti, attorno all'ampio cortile in
acciottolato, destinati alla sosta dei fedeli e alla fabbrica di
oggetti votivi in terracotta, prodotta mediante una fornace che ancora si
conserva nell'angolo nord-est.
La
parte meridionale era preposta al culto, ed era dotata di un grande altare
cilindrico, che conserva ancora tracce dell'intonaco originario. Accanto
all'altare, vi è un bothros o fossa sacra, circondata da un basso muretto
circolare, per le libagioni e le offerte alle divinità dell'oltretomba e
per le lucerne votive.
Il
cortile dell'altare era fiancheggiato ad est da un'esedra con sedili, ad
ovest da un'esedra più piccola, dove probabilmente si svolgevano
particolari scene di culto, e poi un piccolo sacello forse destinato ad
un'altra divinità. A sud del santuario si nota un secondo recinto sacro (temenos)
ancora a pianta trapezoidale.
Risulta che
il sacello B poggi le sue fondazioni sopra di quelle di un naiskos più
antico, di dimensioni più ridotte. Il naiskos è un piccolo tempio in
ordine architettonico con colonne o pilastri e timpano. Si pensa pertanto
che i primi sacelli votivi fossero sorti già nella seconda metà del VI
sec. a.C. Sul pavimento di questo naiskos più antico sono stati rinvenuti:
una statuetta fittile, un ago in bronzo, frammenti di statuette di offerenti
con porcellino.
Sul
lato opposto orientale della piazza inferiore, ai piedi della collina,
imponenti contrafforti reggono i muri perimetrali di quello che fu il granaio
principale della città, costituito da una serie continua di
magazzini, dove si raccoglieva la produzione agricola e probabilmente le
tasse dovute prima a Siracusa e
poi a Roma.
All'estremità settentrionale del granaio, è visibile una ben conservata fornace.
Una seconda fornace più grande, a forma d'ampio cunicolo, spartito da
arcate, è visibile all'angolo sud-est dell'agorà. Essa era destinata alla
produzione di terrecotte per l'edilizia (mattoni e tubi per acquedotti).
Sul
pendici della collina orientale, s'incontra salendo un vasto edificio,
dotato di più stanze ed ampio cortile pavimentato in cotto e affacciato
sulla sottostante pubblica piazza. Secondo la ricostruzione fatta dagli
archeologi si tratta di un prytaneion (pritaneo),
luogo destinato al magistrato supremo della città e che ospitava il fuoco
sacro.
Sono visibili tre grossi conci incavati per alloggiarvi
capaci anfore per
la conservazione dell'acqua e del vino, e il basamento di un forno
domestico, con i mattoni ancora anneriti.
I
Quartieri residenziali - Ad
est dell'agorà si trova un quartiere residenziale. Proseguendo oltre il
pritaneo si trovano in cima alla collina i resti della Casa del
Capitello dorico (o Casa del Saluto, per un'iscrizione
di benvenuto realizzata sul pavimento), anch'essa affacciata dall'alto
sull'agorà.
Gli ambienti si articolano simmetricamente ai lati di un
peristilio centrale che, oltre a dar luce agli ambienti interni, permetteva
la raccolta dell'acqua piovana, convogliandola in due cisterne.
Le colonne
del peristilio sono realizzate con mattoni appositamente sagomati in forma
anulare (tecnica utilizzata per contenere i costi e supplire alla mancanza
di pietra adatta localmente).
Per i pavimenti fu largamente utilizzato il cocciopesto,
ottenuto mescolando cocci di terrecotte al cementizio, abbellito da disegni
geometrici realizzati in tessere di pietra bianca.
All'angolo
sud della collina orientale affiorano i resti della Casa di Ganimede con
grande peristilio rettangolare, colonne scanalate e capitelli di stile
dorico. Sono conservate due piccole stanze, ricostruite dagli archeologi con
intonaco dipinto in rosso sulle pareti, tuttora ben conservate, e pavimenti
a mosaico,
tra i più antichi dell'arte ellenistica in Magna
Grecia (III
secolo a.C.).
Il primo riproduce il ratto di Ganimede ed
il secondo un meandro prospettico, preceduto da un riquadro con un nastro
annodato e foglie d'edera, simboli della vittoria in una competizione
sportiva o letteraria. La dimora, appartenente all'epoca geroniana,
venne riutilizzata dopo la presa della città da parte dei Romani e
divisa in due parti con un muro che attraversava il peristilio.
Sulle
pendici dell'opposta collina occidentale, raggiungibile costeggiando i resti
delle fortificazioni a
sud dell'abitato, si trova un secondo quartiere residenziale, non ancora
interamente scavato, che mostra chiare evidenze dell'impianto urbanistico
regolare ed ortogonale di Morgantina, articolato su una serie d'isolati
d'uguali dimensioni (110 × 37,50 m). Lungo le strade che separano gli
isolati correvano stretti canali di drenaggio, per lo smaltimento delle
acque piovane.
Procedendo
da sud verso nord, s'incontra una grande dimora di ben ventiquattro stanze,
molto verosimilmente appartenuta ad uno dei governanti della città (da qui
il nome di Casa del Magistrato). Vi s'accede da un ampio
ingresso sul lungo muro orientale ed è divisa nettamente in due settori:
quello privato a nord e quello di rappresentanza a sud. Quest'ultimo si
articola sui due lati di un cortile porticato, su cui si affacciano un atrio
preceduto da due colonne, con pavimento riccamente decorato, ed una grande
sala quadrata con lo spazio sufficiente per nove tricilini,
destinata a ricevimenti e banchetti.
Uno stretto corridoio a destra
dell'atrio immette nella parte privata, ove un secondo peristilio disimpegna
le numerose camere che lo circondano. In epoca romana, la casa fu frazionata
ed occupata da un vasaio, le cui fornaci, ancora integre, sono visibili
all'angolo nord-ovest.
Oltre
questa casa una grande arteria centrale in acciottolato, larga 6,40 m,
con direzione ovest-est, divide il quartiere in due settori. Lungo il suo
percorso si incontra per prima la Casa dei Capitelli tuscanici,
disposta su più livelli e rimaneggiata nel corso del I
secolo a.C., con l'inserimento d'elementi architettonici di tradizione
italica. Un cortile delimitato da quattro colonne ne costituiva ad est
l'atrio monumentale, mentre un lungo e stretto peristilio la chiudeva ad
ovest.
Affiancata
ad essa è la Casa sud-ovest, articolata attorno ad un
peristilio a dodici colonne, sul quale si apre un soggiorno esposto a sud,
costituito da un vano centrale di 35 m² e due vani simmetrici
laterali, il tutto pavimentato con un raffinato cocciopesto, arricchito da
meandri di tessere bianche e da stelle a più colori.
L'isolato
successivo comprende quattro case, la prima delle quali, detta Casa
delle Botteghe, fu trasformata in epoca romana con l'inserimento di più tabernae (negozi),
composti da un vano per la vendita ed un retrostante deposito.
Segue la Casa
del Palmento, che conserva i resti di un locale per la produzione di
olio, e quindi la Casa Pappalardo, con peristilio a dodici
colonne e splendidi pavimenti a mosaico. Risale alla metà del III
secolo a.C. e misurava ben 500 m². Lungo il muro perimetrale
est della casa, è visibile l'estremità del canale fognario che serviva
tutto l'isolato.
L'ultima delle abitazioni portate alla luce in questo
settore è la Casa delle quarantaquattro monete d'oro, dove
venne rinvenuto un ripostiglio
monetale con monete dell'epoca di Filippo
II di Macedonia (359-336 a.C., di Alessandro
Magno (336-323 a.C.) di Agatocle (304-289
a.C.) di Icetas (287-280 a.C.) di Pirro (280-278
a.C.).

Sulla
parte più settentrionale della collina si trova un altro isolato, metà del
quale è occupato dalla Casa della cisterna ad arco, con
ingresso sul lato occidentale e con ambienti dai pavimenti a mosaico
articolati attorno a due peristili.
La
grande sala di soggiorno (tablinium) affacciata sul peristilio
meridionale è stata ricostruita per proteggerne l'intonaco dipinto delle
pareti ed il mosaico pavimentale; sulla parete occidentale è conservata
l'imboccatura di una cisterna, con volta in
conci squadrati e vasca in terracotta. Dai resti di una scala si è desunta
l'esistenza di un secondo piano, presente in più di una casa di Morgantina.
Altre due abitazioni, molto meno lussuose (Casa delle antefisse e Casa
sud-est), completano l'isolato, ma i resti allo stato attuale sono poco
leggibili.
All'ingresso
del sito archeologico sono stati collocati alcuni mulini familiari,
costituiti da due elementi ad incastro in pietra lavica, moltissimi
esemplari dei quali sono stati rinvenuti fra gli arredi delle case
d'abitazione.
Resti
sulla collina della Cittadella - La
collina, ad est del pianoro su cui sorge la città, a circa un chilometro,
è il sito dell'antica città, distrutta da Ducezio,
i cui edifici, non ancora del tutto identificati, occupano i terrazzamenti a
nord e ad ovest. Sulla sommità sono i resti di un tempio dalla pianta assai
allungata, databile alla seconda metà del VI
secolo a.C.
La
ripida pendice orientale è occupata da una serie di tombe
a camera scavate nella roccia e, in più tratti, sono anche
visibili tracce delle mura di fortificazione, costituite da due cortine in
pietra, riempite all'interno di terriccio.
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