Piazza Armerina
(Enna)

   

Il territorio di Piazza Armerina sorge su un'altura dei monti Erei meridionali, nella parte centro-orientale della Sicilia. Fino al 1927 era capoluogo di un esteso circondario e sede di sottoprefettura, quando non era ancora stata istituita la provincia di Enna, alla quale fu inglobata.

È un'antica città d'impianto medievale con un pregevole centro storico barocco e normanno. Sul suo territorio si trova la Villa romana del Casale con i suoi famosi mosaici, dal 1997 Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. Città d'arte, già definita Urbs Opulentissima, con forte richiamo turistico per il suo importante patrimonio archeologico, storico, artistico e naturale, nota come la "Città dei Mosaici e del Palio dei Normanni".  

Il più antico ritrovamento dell'uomo risale al Paleolitico Superiore, probabilmente all'Epigravettiano finale, riscontrato presso la contrada Ramata nei pressi della frazione di Pergusa ma ancora in territorio di Piazza Armerina. Una frequentazione neolitica è stata riscontrata sporadicamente nel territorio ma certamente è attestata presso la sommità del Monte Naone, nel quale gli scavatori rinvennero numerosi frammenti di ceramica impressa della facies di Stentinello. L'unica attestazione ben osservata e interpretata, per l'età dei metalli, è quella del villaggio capannicolo di Monte Manganello, dove l'uomo s'insediò a partire dalle prime fasi del Bronzo antico fino alle prime fasi del Bronzo medio, periodo nel quale in Sicilia si diffuse la cultura di Castelluccio. Nell'estate del 2000 la Soprintendenza BB.CC.AA. di Enna indagò il sito archeologico portando alla luce alcuni resti delle antiche capanne e numerosi frammenti ceramici. I frammenti ceramici, costituiti perlopiù da coppe su piede e tazze, sono esposti nel Museo della Città e del Territorio sito all'interno del Palazzo Trigona.

Dai ritrovamenti numismatici presenti sul Monte Naone non lontano dall'abitato si può presumere che qui esistesse un abitato di età greca, forse una sub-colonia di Gela e più precisamente la Hybla Geleatis di cui fa menzione Tucidide in seguito chiamata Stiela. Sulla storia poi di Piazza dove è attualmente ubicata si sa con certezza solo dalla dominazione normanna in poi, in riferimento alla ricostruzione della città nel 1163 ad opera di Guglielmo II

Per il periodo precedente alla fondazione diverse sono le ipotesi. Alcuni autori del Seicento favoleggiarono di un villaggio chiamato Plutia di origine romana, ma nessuna fonte classica ha mai riportato tale località. Tuttavia secondo fonti musulmane riportate da Michele Amari nella sua Storia dei Musulmani di Sicilia, esisteva una città che gli arabofoni pronunciavano Iblâtasa o Iblâtana, abitata da comunità islamiche, che dovette sorgere su un villaggio preesistente che le cronache medievali (come il Fazello) indicavano più tardi come Casalis Saracenorum.  

Tale villaggio potrebbe essere la Ibla Elatson o Ibla Elatton (Ibla minore) riportata da Idrisi che corrisponderebbe alla Ibla Geleate (ibla Gelese) descritta da Tucidide (per Pausania Ibla Gereate, per Stefano Bizantino Ibla Era o Minore). 

La città islamica venne ribattezzata Placia o Platsa dai Normanni che la conquistarono e la affidarono agli Aleramici. Re Guglielmo I di Sicilia, per punirla della sua ribellione capeggiata da Ruggero Sclavo, figlio illegittimo dell'aleramico Simoneconte di Policastro, che in pratica aveva trucidato la popolazione araba, la fece incendiare e distruggere nel 1161. Venne dunque ricostruita, nel 1163 più in alto da Guglielmo II sul colle Armerino e ripopolata con genti provenienti dalle aree "longobarde" settentrionali. Scavi recenti, condotti dall'università La Sapienza di Roma hanno messo in luce, nei dintorni della Villa Romana del Casale l'impianto di un villaggio di epoca medievale, presumibilmente riferibile alla città distrutta da Guglielmo il Malo.

Nel 1396, fu eretto il castello aragonese di Piazza Armerina (Platea o Plaza in Spagnolo) per volontà di Martino I di Trinacria e della consorte regina Maria di Sicilia e duchessa di Atene e Neopatria, affinché rappresentasse un potente deterrente militare contro lo strapotere dei baroni siciliani contrari alla corona. Per tale motivo i giovani reali di Sicilia (allora a seguito dei trattati sottoscritti con gli Angiò, definiti reali di Trinacria), soggiornarono diverso tempo nel maniero. La castellania fu affidata al Gran Priore dei gerosolimitani Don Giovanni Suriano, già nominato come tale nel 1392 dai sovrani e parente della casa Reale d'Aragona per tramite lo zio don Angelo Antonio Achille I Suriano (o Sorianos nome catalano). Quale Gran Priore Giovanni sedette tra i primi scranni dei Pari del Parlamento Siciliano. Don Angelo Antonio Achille fu grande d'Aragona "Fueros de Aragón" e governò in nome di Pietro IV d'Aragona e successivamente di Giovanni d'Aragona tutta la valle del Gela, del Dittaino e del Caltagirone, e prima di lui il padre don Raimundo giunto in Sicilia nei pressi della costa Palermitana, successivamente ai Vespri Siciliani, recando proprie milizie per difendere la legittimità della pretensione al trono di Sicilia di Pietro III d'Aragona e la popolazione dalle ritorsioni degli Angiò.

La castellania di Giovanni fu il primo ed ultimo contado con potere baronale di mero e misto impero di Piazza, che in seguito, alla morte del Gran Priore, molto probabilmente eliminato dall'Almirante Don Bernart Cabrera, che aveva mire di acquisire la contea di Piazza, questa divenne libera Universitatae. La nomina del Gran Priore costituì una solida garanzia di fedeltà della città di Piazza alla corona, sia per i legami di parentela del castellano con i reali, sia per la saggezza e la rinomata capacità di condottiero del Gran Priore, il cui padre don Pasquasio (Pasquale) ebbe in feudo la vastissima terra di Ramursura posta tra Barrafranca e Piazza, appartenuta al barone Raimondo Manganelli, dopo la sconfitta di questi, da parte delle truppe di Don Angelo Antonio Achille. Il barone Manganelli fu sconfitto assieme al suo alleato Don Scaloro degli Uberti conte di Assoro e ribelle della corona, proprio sotto le mura del castello di Assoro.  

Dopo la morte del gran Priore e la fine della età dei Martini e poi dei Trastamara a questi succeduti, Piazza ottiene il titolo di libera Universitatae, come promesso dalla regina Bianca di Navarra, seconda moglie del giovane sovrano Martino I. La Città viene dotata di un proprio senato ed autonoma dalle decisioni della castellania imposta dal tiranno Cabrera, grande almirante del regno, che aveva provveduto dopo la morte (probabilmente da lui ordita) del Gran Priore di nominare Castellano, contro la volontà regia e del popolo piazzese, un suo alleato fedele tale Alfonso De Cardines già capitano della roccaforte di Gaeta, ma ciò fu impedito dai Piazzesi e dal cugino di Don Giovanni Suriano il Gran Priore, ossia Don Angelo Antonio, che sollevò la popolazione contro il Cabrera, il castello fu isolato con un lungo assedio. Fu così che la casata dei De Cardines non osò mai entrare in possesso reale del castello ne tantomeno abitarlo. La roccaforte divenne, sotto il governo borbonico, una prigione. La Città di Piazza divenuta libera Universitatae è sede di senato e di tribunali, come fu nel periodo federiciano.

Nel 1517 Carlo V la fregia del titolo di Città, con appellativo ufficiale di Urbs Opulentissima. In ricordo della notevole compagine catalana che favorì la ricchezza del territorio, nella città di Piazza esiste ancora una "porta catalana". In questo periodo Piazza è capitale di una Comarca che riunisce a sé i diversi paesi lombardi, accomunati da un linguaggio e una storia comuni.

Dal 1689 fino al 1817 è sede della quarta Università del Regno. Dal 1817 è anche sede di vescovado con una vasta diocesi, mentre ottiene il titolo di Armerina nel 1863. Persa la sua egemonia sul territorio venne accorpata alla Valle di Caltanissetta e dal 1926 passò alla Provincia di Enna. Nel 2015 Piazza Armerina, con un referendum popolare e due votazioni del consiglio comunale, delibera l'adesione alla Città metropolitana di Catania, ma il disegno di legge predisposto dal Governo regionale per la conseguente modifica territoriale (ex art. 44 della L.R. n. 15/2015) non è stato approvato dall'ARS.  

Monumenti d'interesse

Le mura e i tetti dorati di Piazza Armerina, addossati gli uni agli altri nel centro storico che sorge su tre colli con dislivelli anche piuttosto notevoli, ne riflettono le origini antiche, sebbene la città, come tipico di questa parte di Sicilia, ci presenti oggi un predominante aspetto barocco e settecentesco.

E' una città d'arte con un forte richiamo turistico per il suo pregevole patrimonio archeologico, storico, artistico e naturale, nota come la "Città dei Mosaici e del Palio dei Normanni", è stata una delle 21 candidate al titolo di "Capitale Italiana della Cultura 2018".

Basilica cattedrale di Maria Santissima delle Vittorie

La basilica cattedrale di Maria Santissima delle Vittorie è dedicata a Maria Santissima delle Vittorie.

Secondo la tradizione, non confermata da alcuna fonte diretta o indiretta, durante la campagna di conquista e latinizzazione dell'isola, il Gran Conte Ruggero ricevette da Papa Niccolò II il vessillo decorato con l'immagine della Vergine Maria. Nella tradizione bizantina l'icona della Vergine con il Bambino era associata ai trionfi dell'imperatore. L'insegna campeggiava tra le truppe e le milizie della coalizione cristiana, sotto i suoi auspici erano riposte e serbate le speranze di un felice esito della campagna e di una totale, definitiva, prospera liberazione dell'isola dal dominio saraceno.

Dopo il buon esito dell'impresa locale, la restaurazione della Contea di Sicilia affidata agli Altavilla, fu richiesta e imposta dai cittadini a titolo onorifico la gelosa custodia del sacro vessillo. All'immagine sullo stendardo sono ispirate le diverse riproduzioni mariane d'epoca bizantina, fino alle raffigurazioni più moderne e contemporanee, che la tradizione vuole suggerite o comunque legate a San Luca, patrono degli artisti, protoiconografo delle raffigurazioni cristiane.

Dopo la rivolta dei Baroni, con le sanguinose repressioni da parte del sovrano nei confronti di chi aveva trovato temporaneo rifugio altrove, prevedendo le bizzarre azioni del re che minacciava di mettere a ferro e fuoco l'abitato e il conseguente trasferimento della reliquia a Palermo, nel 1161 i notabili la rinchiusero segretamente in una cassa di legno e la seppellirono all'interno dell'eremo di Santa Maria in contrada Piazza Vecchia.

L'azione repressiva per la rivolta locale capeggiata da Ruggero Sclavo fu feroce, nel 1163 sono documentate le vicende che descrivono la primitiva borgata normanna " ... in poche ore incenerita, e nelle sue rovine sepolta dalla militar licenza delle Regie Truppe di Guglielmo I, detto per soprannome il "Malo"; ma poi rinata, secondo la più comune oppinione, per ordine dell'altro Re di simil nome, appellato il "Buono", dalle sue ceneri in luogo tre miglia distante dal primo sito, fu nominata Piazza la Nuova".

Rinvenimento dell'immagine della Madonna avvenuto in occasione dell'epidemia di peste del 1348. L'episodio è ammantato di mistero, sogni e rivelazioni segnalano il luogo ove è celato il vessillo. L'icona ritrovata fu trasferita nella chiesa di San Martino, chiesa madre dell'epoca, durante il corteo processionale sono segnalati l'attenuarsi e la scomparsa dei focolai di infezione.

La costruzione in stile gotico-catalano sotto il titolo di «Santa Maria Maggiore», è un edificio arricchito tra il '400 e il '500 da una poderosa torre campanaria e da un arco marmoreo gaginesco nel battistero, espressione del rinascimento siciliano.

Nel 1516 Panfilia Spinelli, vedova di Giovanni Andrea Calascibetta-Landolina, senza eredi, baronessa dei feudi Scalisa e Malocristianello, dona questi feudi e 60.000 scudi alla chiesa madre per restaurarla e ingrandirla. La nobildonna concluse la vita terrena come religiosa nel monastero dell'Ordine benedettino sotto il titolo di «San Giovanni Evangelista».

Il tempio fu seriamente danneggiato da un terremoto, verosimilmente il "Magnus Terremotus in terra Xiclis" del 1542. Il barone Marco Trigona nel 1598, tra le sue volontà testamentarie dispose che la maggiore chiesa di Piazza, sua erede universale, con le rendite appositamente destinate, dovesse essere ampliata ed allargata nella fabbrica. In sequenza, alcuni blocchi della struttura furono demoliti e riedificati: nel 1627 l'abside, nel 1705 il corpo della navata.

Per maramma, alla stregua di quelle storicamente documentate per le cattedrali di PalermoMessina e Catania, si intende la «Fabbrica del Duomo». L'istituzione e il luogo avevano le funzioni di cantiere ospitante i controllori preposti a dirigere la complessa «Fabbrica del Duomo». La voce indica il luogo e l'attività di conduzione di attività per la realizzazione e gestione della grande opera pubblica, nella fattispecie il termine sottintende la confusione con conseguenti contaminazioni, tipica di un edificio medievale dai cantieri perenni, costruito da maestranze miste secondo canoni ibridi e sovrapposizioni di stili.

Nel 1626 - 1627 fu chiamato a guidare l'arcidiocesi di Catania, il romano Innocenzo Massimo, che volle mettere fine alla querelle interminabile circa la ricostruzione del nuovo duomo di Piazza Armerina, opera che si protraeva da quasi trent'anni, e che aveva già visto fallire almeno tre validi progetti. La proposta vescovile fu accettata da Orazio Torriani architetto che poté innalzare il nuovo e imponente edificio sulle rovine dell'antica chiesa madre, inglobandovi quanto restava del precedente campanile e dell'arco gaginesco, coadiuvato dai maestri Maria Capelletti milanese e Domenico Costa messinese. L'opera ebbe inizio il 24 ottobre 1627.

Per il rifacimento fu favorito l'utilizzo del laterizio alternativo alla pietra, sia come materiale da costruzione, sia come elemento decorativo. Le tremende scosse del terremoto dell'11 gennaio 1693 lasciarono miracolosamente illesa la città che celebra ogni anno l'anniversario dell'evento. A ricordo imperituro fu edificata una chiesa con titolo appellativo del tremuoto. Dopo un'ulteriore interruzione di circa quarant'anni a cavallo fra il 1666 e il 1705, il duomo fu completato nelle strutture e inaugurato solo nel 1742, periodo dopo il quale si avvicendarono nuove maestranze.

Il tempio è elevato a basilica minore da Papa Giovanni XXIII nel febbraio 1962.

CUPOLA - La cattedrale attuale, dominata dalla sua alta cupola di 76.5 m ed ha un diametro di 13.88 metri, la più alta della Sicilia, visibile da tutta la città, fu iniziata nel 1604, continuata dall'architetto Orazio Torriani, completata nel 1719.

CAMPANILE - Il campanile, alto 40 metri, in stile tardo gotico catalano, risale al XV secolo ed è quello di una precedente chiesa, al posto della quale venne eretta l'attuale cattedrale.

FACCIATA - Il portale, del XVIII secolo, presenta elementi di stile barocco siciliano.

INTERNO - L'interno della cattedrale è dominato dall'alta cupola centrale. Dall'arco trionfale pende una grande croce dipinta su entrambi i lati, recante la raffigurazione della crocifissione e la resurrezione di Cristo, opera del 1485 convenzionalmente riferita al «Maestro della croce di Piazza Armerina», e un battistero realizzato da Antonuzzo Gagini nel 1594.

ALTARE MAGGIORE - L'altare maggiore in lapislazzuli, pietre dure e marmi siciliani, col pavimento e la balaustra dell'abside, sono realizzati dal maestro palermitano Filippo Pinistri su disegno dell'architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia

Duomo Icona.jpg (431623 byte)La sopraelevazione comprende la custodia in argento sbalzato del 1625, che contiene l'immagine di Maria Santissima delle Vittorie, patrona della città e della diocesi, cesellata dall'argentiere caltagironese Giuseppe Capra nel 1627, la manta in oro, argento e smalti per proteggerla, ideata e realizzata dall'orafo palermitano don Camillo Barbavara. Dietro l'altare sono collocati i monumenti funebri di Marco Trigona †1598 e di Melchiorre Trigona †1637. Sulla parete di fondo due grandi vetrate con San Pietro e San Paolo apostoli, al centro, nella finestra in alto, l'immagine del Redentore.

Lungo le pareti laterali del presbiterio è disposto il coro dei canonici, manufatto intagliato nel 1795 dai maestri locali Domenico Parlagreco, Luigi Montalto e Liborio Parlagreco su disegno fornito dagli architetti Francesco e Pietro Laganà da Modica. Sulla sinistra, posizionato su una pedana aggettante, è collocato il seggio vescovile.

Abbelliscono le pareti sul lato destro al di sopra del coro le tele raffiguranti l'Epifania o Adorazione dei Magi proveniente dalla chiesa di Sant'Agata, e San Benedetto e il servo di Re Totila di Giuseppe Salerno, sul lato sinistro lo Sposalizio mistico di Santa Caterina di Giuseppe Salerno e il Martirio dei Santi Quaranta.

Chiesa di San Rocco

La chiesa di San Rocco o Fundrò (o anche detta Condrò) e l'attiguo monastero appartennero ai Benedettini dal 1622. I monaci originariamente occupavano un monastero con annessa chiesa in contrada Fundrò (da qui il nome con cui la chiesa viene comunemente denominata), al confine fra i territori di Piazza e di Enna.

Il feudo e l'abbazia erano proprietà della famiglia degli Uberti e quando Giovanni degli Uberti si ribellò a re Martino, al tempo dei Quattro Vicari, la signoria venne concessa, il 6 dicembre del 1393, a Nicolò Branciforte. Nel 1396, in seguito alla lotta fra le fazioni catalana e latina, i borghi di Fundrò, Rossomanno, Polino e Gatta furono distrutti e gli abitanti obbligati a trasferirsi a Piazza e Castrogiovanni. I degli Uberti riuscirono a riacquisire la signoria sul feudo di Fundrò solo il 30 marzo 1397 grazie a Scaloro. La chiesa venne riedificata con le elargizioni dei cittadini di Piazza, ma già nel 1418 le condizioni statiche della fabbrica erano precarie. Il nuovo priore, Guglielmo Crescimanno, piazzese, la fece riedificare e fra le rovine dell’edificio precedente fu rinvenuta una statua della Madonna. Nel frattempo, la città di Enna aveva occupato il feudo impedendo ai legittimi proprietari di rientrarne in possesso.

Nel 1421 Alfonso il Magnanimo ordinò che il feudo di Fundrò fosse restituito alla città di Piazza. La città di Enna temporeggiò e nell’anno 1445 vendette diversi feudi, fra cui Fundrò, ad alcuni nobili, riservandosi il diritto di riscatto. La città di Piazza fece appello al viceré, che nel 1453 diede l'investitura di metà Fundrò (ovvero dei feudi venduti) ad Enna e restituì i feudi rimanenti, la parte più cospicua, a Piazza. Nel frattempo la città di Piazza riparava la chiesa di Santa Maria in Fundrò e costruiva il monastero dei Benedettini. Nel 1560 un devastante incendio rese inagibile il complesso ed i monaci si rifugiarono a Piazza dove, riuscirono a reperire i fondi per ricostruirlo.

Il feudo di Fundrò, ormai senza abitanti ad esclusione dei monaci, divenne una sede scomoda per i religiosi che si accordarono con i giurati di Enna, che gli avevano promesso la chiesa di Santa Sofia e dei locali annessi. L’abate, fra' Germano da Capua, ottenne dal vescovo di Catania, nel 1612, il permesso al trasferimento. I cittadini di Piazza vissero l’accaduto come un mancato riconoscimento della loro devozione e delle donazioni fatte a quel monastero e fecero appello al Tribunale di Monarchia, tan

to che l’abate rinunciò al trasferimento. Per risolvere la situazione intervenne l’abate Angelo da Fondi che ottenne, grazie anche all'appoggio dei nobili Don Ottavio Trigona, barone di San Cono, di don Girolamo Calascibetta e del municipio di Piazza, il trasferimento nella città di Piazza dei monaci, con decreto emesso a Parma il 1º dicembre 1621. Vennero concessi ai monaci la chiesa di San Rocco, del 1613, mentre una nobile, Virginia Tirdera, donò l'abitazione adiacente alla chiesa. Enna protestò ed intervenne la Congregazione Cassinese che, dopo aver vagliato attentamente le due situazioni, scelse Piazza. Enna fece ricorso al viceré Filiberto di Savoia, che nel 1622 decretò che i monaci si trasferissero a Piazza e qui entrarono il 2 febbraio 1622. Alcuni nobili si obbligarono, con un contratto che reca la data del 15 aprile 1622, ad edificare una chiesa degna dell’ordine ed a rendere l’abitazione un adeguato monastero.

Nel 1866, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi, i monaci vennero espulsi ed i locali dell’abbazia divennero sede del Comune di Piazza Armerina.

ESTERNO - La facciata si presenta a capanna, con un campanile, di poco più alto della chiesa, innalzato sul lato destro. È inquadrata da due massicci cantonali in pietra arenaria e rivestita di laterizi

Anche il campanile, sino alla cornice del cantonale, ne riprende lo stile presentando, nei due lati visibili dalla facciata, anch'esso pietra arenaria e laterizi, ripartiti in quattro piani con strette e piccole feritoie ad illuminarne l’interno; gli altri due lati sono realizzati in pietrame informe. L’ultimo ordine del campanile è, invece, interamente in mattoni e presenta paraste che inquadrano archi a tutto sesto. La copertura del campanile è a quattro spioventi.

La facciata della chiesa è arricchita da un sontuoso ed elaborato portale in pietra arenaria, la cui struttura è unitaria con quella della finestra soprastante. Il portale presenta due paraste (ad erma) per lato, con capitelli dorici e rilievi piumati. Il tutto è sormontato da un architrave riccamente scolpito ed una cornice aggettante. Al di sopra della cornice, fra volute e fiamme, trova posto una meridiana scolpita anch'essa nella pietra arenaria. La finestra presenta decorazione ad ovuli e fregi laterali ed è sormontata da un cornicione aggettante. Da menzionare la porta lignea intagliata con delle caratteristiche formelle fiorite, disegno che si ripresenta a metà nella scalinata.

INTERNO - L’interno è ad unica navata, ripartita in quattro campate di differente dimensione da paraste con capitelli dorici. Su un largo cornicione, che corre lungo tutta la chiesa, si imposta la volta a botte, lunettata in corrispondenza degli altari minori, ove, sopra il cornicione, si aprono semplici finestre rettangolari.

Due semicolonne addossate alle pareti ed altre due colonne, definiscono un atrio sopra il quale trovano posto una cantoria ed un organo a canne. Nell'ultima campata si aprono, sulla sinistra, l'ingresso secondario della chiesa e, sulla destra, l'ingresso alla sacrestia e agli altri locali di servizio. Il cornicione della cantoria è riccamente rivestito di stucchi. Altri stucchi e affreschi decoravano interamente la chiesa: degli affreschi restano solo poche tracce dalle quali si intuisce che complessivamente dovevano produrre un effetto ottico illusorio teso a deformare le linee dell’edificio.

Gli altari minori sono in marmo e legno e conservano alcune opere d'arte. Da menzionare, in particolare, la statua di San Rocco, una tela raffigurante la Madonna con ostensorio e santi datata all'inizio del XVII secolo e un'altra tela con la Comunione di Padri Benedettini del secondo quarto del XVII secolo.

Il presbiterio è rialzato ed inquadrato da un arco a tutto sesto poggiante su pilastri cruciformi. La chiave di quest'arco presenta uno scudo in stucco riportante l'iscrizione PAX. Il presbiterio è coperto da una volta a botte lunettata. Le lunette si aprono in corrispondenza delle finestre arricchite da stucchi. Nel presbiterio è alloggiato un altare in marmo e legno con dorature, il quale, per mezzo di paraste e colonnine con capitelli corinzi, inquadra una nicchia absidata ove è custodita la venerata scultura marmorea gaginesca raffigurante la Vergine ed il Bambino, che proviene dalla distrutta chiesa di Santa Maria di Fundrò.

Particolarmente interessante è la decorazione ad affresco illusorio della parete di fondo del presbiterio. Secondo modalità tipicamente barocche, la pittura sfonda le linee architettoniche, dando l'illusione che il presbiterio sia absidato e che tale abside abbia copertura a catino.

Il pavimento della chiesa è ancora quello originale in ceramica policroma. Il rivestimento smaltato è quasi interamente scomparso ma in molti angoli è ancora leggibile l'originaria decorazione. Al centro della navata, in prossimità del presbiterio, una lastra in pietra copre l'ingresso alla cripta ove venivano posti i corpi dei benedettini.

Altri edifici religiosi

Piazza Armerina denominata anche "città delle 100 chiese" appunto per la quantità svariata di chiese, infatti tra esse abbiamo:

Chiesa di Sant'Ignazio, fu la prima dedicata al.santo dopo la beatificazione. I lavori per l'edificazione della fabbrica risalgono al 1600. Alla chiesa era annesso il monastero che, sotto i Gesuiti, nel 1689, avviò un corso universitario. Attualmente i locali dell'ex monastero in parte ospitato una scuola media ed in parte la Biblioteca Comunale con la "Mostra del libro antico".  

Chiesa di Maria SS. delle Grazie (1606).

Chiesa di San Filippo d'Agira (1625).

Chiesa di San Francesco d'Assisi (1742).

Chiesa di San Giovanni Evangelista (1615). Interamente affrescata nel XVIII secolo dal pittore fiammingo Guglielmo Borremans.

Chiesa di San Giuseppe.

chiesa di Santa Chiara.

Chiesa Sacro cuore di Gesù.

Chiesa Sant'Antonio da Padova.

Chiesa Madonna dell'Indirizzo.

Chiesa di Santa Barbara.

Chiesa di San Nicolò o Madonna della catena.

Chiesa di Santa Veneranda.

Chiesa Madonna d'Itria

Chiesa Anime Sante del purgatorio o Madonna della Carità.

Chiesa di San Vincenzo.

Chiesa di San Lorenzo (o Chiesa dei Teatini).

Chiesa di Santa Lucia (XVII sec.) edificata, probabilmente, sul sito di una precedente sinagoga.

Chiesa della Madonna della Neve (seconda metà XVII sec.) si presenta con una facciata semplice e sobria ma, al suo interno, racchiude una barocca decorazione a stucchi.

Chiesa di Santa Maria di Gesù con l'annesso cimitero nobiliare.

Chiesa di San Martino di Tours (XII sec.).

Chiesa di San Pietro (XVII sec. su una fabbr|ica precedente) nei secoli è servita da Pantheon per la nobiltà cittadina. Alla chiesa era annesso un monastero (attualmente in restauro) e la "Selva" adibita poi a Giardino Pubblico ("La Villa Garibaldi" come è generalmente chiamata dagli abitanti). Il Giardino ospita diverse specie rare e numerose piante secolari.

Chiesa di Santo Stefano (fine XVI sec.).

Chiesa degli Angeli Custodi (XVII sec.).

Chiesa del Carmine (XIV sec.) presenta un pregevole campanile in stile gotico-catalano e l'attiguo chiostro con testimonianze del primitivo tempio dei Cavalieri Templari.

Chiesa del Purgatorio (XVII sec.).

Collegiata del SS. Crocifisso.

Commenda dei Cavalieri di Malta (XII sec.).

Chiesa di Sant'Anna (XVIII sec.) dal pregevole prospetto concavo di gusto barocco.

Gran Priorato di Sant'Andrea (1096) in realtà Priorato sin dal suo esordio, elevato a Gran Priorato di Sant'Andrea e Sant'Elia, facenti capo ai priorati di Piazza e di Adernò l'attuale Adrano riunendo tutti i capitoli gerosolimitani della Sicilia Centro Orientale, da Martino I di Trinacria e dalla consorte la regina Maria di Sicilia nel 1392 che nominarono un loro parente un nobile cavaliere gerosolimitano Giovanni Suriano già Priore di Sant'Andrea a primo Gran Priore di Sant'Andrea e Sant'Elia, di origine catalana e di nobilissima casata, giunta in Sicilia per difendere gli isolani dagli Angiò dopo i famosi Vespri Siciliani nel 1282 e difendere anche le pretese al trono di Sicilia da parte del Re Pietro III d'Aragona.

Nel 1396 il Gran Priore fu elevato alla dignità patriarcale e gli fu affidata la castellania del nuovo castello aragonese fatto erigere dal re Martino I, fu così il primo ed unico Conte castellano di Piazza, con poteri di mero e misto impero. 

Al suo interno la Chiesa di Sant'Andrea custodisce affreschi medievali databili dal XII al XV secolo. Chiesa e Cenobio costituivano l'antico Priorato dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme in Sicilia. Con la Chiesa di Santa Croce di Messina è sede dei canonici regolari di Sant'Agostino unita poi al monastero del Santo Sepolcro in Gerusalemme. Sede dei Cavalieri del Santo Sepolcro quale donazione del conte Simone del Vasto, signore di Butera e di Policastro, nipote del gran conte Ruggero, sette anni dopo la presa di Gerusalemme.

Eremo di Fundrò

Eremo di Piazza Vecchia con annesso convento e chiesa dedicata a Maria SS di Piazza Vecchia

Eremo di Leano

Ruderi chiesa di Gesù Maria.

Ruderi chiesa di Dommartino.

Ruderi chiesa di Sant'ippolito.

Edifici civili

Palazzo Villardita o Velardita sorge di fronte al Castello Aragonese prima sede della Casata dei Suriano, che concorsero all'elevazione dei Velardita dal grado di Signori a quello di Baroni dei molini di Sant'Andrea, vassallaggio del capitolo del Gran Priorato, con annesse contrade.  

Palazzo Trigona della Floresta sorge a fianco della Cattedrale. Il Palazzo Trigona della Floresta e di San Cono è un importante palazzo nobiliare. Fu progettato e realizzato dall'architetto Orazio Torriani nella metà del XVII secolo. Sorge sulla sommità del centro storico accanto alla Cattedrale di Maria Santissima delle Vittorie. Oggi è sede degli uffici del Parco Archeologico della Villa romana del Casale e accoglie il Museo della Città e del Territorio.

Palazzo Trigona di S. Elia

Palazzo Starrabba

Palazzo Trigona di Montagna di Marzo

Palazzo Trigona di Dainamare e Canicarao

Palazzo Mandrascate

Palazzo Trigona di Azzolina e Gallizzi

Torre del Padre Santo

Antico cimitero monumentale ed ex convento di Santa Maria del Gesù

Palazzo di Città (ex palazzo senatorio) - Costruito originariamente come sede della Corte Capitanale, è attualmente un centro culturale al piano terra mentre al primo piano è diviso in due, da una parte la sala consiliare, dall'altra parte locali attualmente vuoti che hanno ospitato fino a qualche anno fa una mostra di reperti ceramici dall'epoca romana al medioevo.

La facciata tardo barocca del Palazzo di Città si affaccia sulla piazza Garibaldi; è costituito da due ordini di lesene formate da elementi in pietre da taglio che contengono dei paramenti in mattoni crudi. Nella parte inferiore, interposti tra le lesene, risaltano il grande portale in pietra arenaria sormontato da un frontespizio accartocciato recante lo stemma della città e due finestroni a frontespizio arcato. La parte superiore è caratterizzata da tre ampi balconi comunicanti tra loro attraverso un ballatoio con ringhiera in ferro battuto che percorre tutta l'ampiezza del prospetto. Al di sopra del cornicione che conclude il secondo ordine, un particolare elemento di coronamento, contenente un orologio, definisce la facciata.

Attraverso il portale principale si accede ad un ampio salone pavimentato in marmo e caratterizzato dalla presenza di quattro grandi colonne su basamento che definiscono una zona centrale a botte lunetta separandola da due zone laterali simmetriche definite dai grandi archi e coperte con volte a crocieraCapitelli pensili definiscono la conclusione degli archi sulle pareti. Dal salone una porta conduce ad un ambiente laterale, mentre di fronte alcuni gradini conducevano ai locali retrostanti e la continuazione della scala portava al piano superiore (attualmente l'accesso del salone è murato). Al piano superiore ed ai locali retrostanti si accede da un ambiente con ingresso in via Cavour, caratterizzato da due archi da cui si diparte una scala a due rampe che conduce al piano superiore costituito da cinque ambienti comunicanti tra loro. Di essi il maggiore si affaccia con tre balconi sulla piazza Garibaldi e con uno su via Cavour, presenta la volta a padiglione interamente affrescata dal pittore palermitano Martorana. Il piano superiore è stato recentemente ripavimentato in cotto.

La costruzione fu iniziata nel 1773 ad opera dei benedettini. Nel 1777 divenne sede del senato della città ed in seguito, anche sede di museo archeologico. Nel 1783 venne iniziata la costruzione dell'attuale facciata del Palazzo di Città con il contributo del popolo e quello cospicuo del Marchese Luigi trigona della Floresta.

Teatro Garibaldi - Il teatro fu edificato ad est, a ridosso del muro di cinta trecentesco, di fronte alla chiesa di Santo Stefano. Secondo la descrizione del Pastorelli, progettista nel 1902 dell'attuale prospetto, la facciata è in stile rinascimento, due corpi in avanti con pilastri binati con capitelli a due ordini sovrapposti, con riquadri in marmo a pianterreno per la pubblicità degli spettacoli e due finestre bifore al primo piano. Il rimanente in fondo, che corrisponde al vestibolo, è stato decorato con bugne a pianterreno e colonnine incassate per le finestre del foyer, le quali sono munite di parapetti con balaustre di pietra pece bianca; quattro medaglioni disposti al primo piano contengono al centro, le figure di Giuseppe Verdi e Vincenzo Bellini e lateralmente quelle di Vittorio Alfieri e Carlo Goldoni. Un gruppo decorativo realizzato dallo scultore decoratore Pasquale Massa di Barrafranca, completa il finimento del prospetto.

Il teatro con un'agibilità di 320 posti, ha un sistema teatrale così costituito: palcoscenicoboccascena, sala a ferro di cavallo con tre ordini di palchi e loggione. Oggi esso presenta in sostanza la stessa struttura di inizio secolo, tranne per le modifiche che hanno riguardato le attrezzature al servizio del palcoscenico, come i camerini (ricavati nelle abitazioni addossate al teatro posteriormente), i servizi igienici e l'adeguamento alle nuove norme di sicurezza. Le strutture in legno dei palchi sono state sostituite da altre in acciaio, ma le decorazioni dei parapetti e dei controsoffitti in legno, sono ancora quelle originali. E attualmente ospita rassegne teatrali, di musica jazz e classica, iniziative culturali e anche proiezioni cinematografiche.

Non è possibile avere notizie da fonti storiche, essendo andati distrutti gli archivi comunali precedenti all'Unità d'Italia. Comunque, si possono avere notizie riguardanti il teatro facendo riferimento agli storici locali. Remigio Roccella, che non fa ipotesi sulla data di costruzione, dice che nel 1800 ogni nobile aveva diritto di preferenza per ogni palchetto; la cosa ci fa supporre che i baroni avevano contribuito alla fondazione del teatro. Padre E. Franchino cita la relazione di due periti inviati dal Vescovo di Siracusa Siracusa nel 1814 per verificare se Piazza Armerina fosse idonea ad accogliere la nuova diocesi; nella relazione si parla di un teatro pubblico detto Santa Maria capace di accogliere numerosa gente sia in platea che nei suoi palchi a quattro ordini. 

Lo stesso Franchino però, cita come data di costruzione del teatro il 1820, ma con grande probabilità quelli del 1820 furono dei grandi lavori di ristrutturazione. Tra il 1844 e il 1847, altri importanti lavori furono realizzati dal sottointendente Tommaso Amato Barcellona che fece riformare l'organizzazione dei palchi, riducendo gli ordini a tre e facendo realizzare la galleria. L'esistenza del quarto ordine conferma che il teatro, visitato dai due periti nel 1814, era proprio quello che sarebbe divenuto il teatro Garibaldi.

Nel 1852 il muro di cinta medievale della città crollò travolgendo il portico della vecchia facciata del teatro. Non si hanno notizie di ridisegni della facciata, da ciò si deduce che questa rimase mutilata del portico fino agli inizi del ventesimo secolo.

Nel 1902 il geometra Pastorelli ebbe l'incarico di realizzare il nuovo prospetto del teatro; prospetto che venne spostato in avanti di m. 6,20 rispetto al preesistente tanto da poterne ricavare un vestibolo d'ingresso, la biglietteria, la stanza del custode ed il caffè. Nel dopoguerra il teatro ospita anche un cinema, che però venne chiuso nel 1970 con ordinanza del Genio Civile.  

Castello Aragonese

Il Castello Aragonese di Piazza Armerina sorge sul lato meridionale della Piazza Castello, situata sul “Colle Mira”, nell’antico nucleo medievale della città, l’odierno quartiere Monte. 

La fortezza presenta una pianta rettangolare con quattro torrioni quadrangolari disposti ai vertici, collegati da mura bastionate ad impianto trapezoidale: indubbi gli influssi dell’architettura federiciana sveva. 

Il castello sovrasta, inoltre, un alto terrapieno sostenuto da muri bastionali a modo di rivelini, opere aggiunte in seguito per adeguare l’edificio alla difesa con armi da fuoco. Le origini del castello non sono documentate: l’analisi stilistica e tecnico-costruttiva suggerisce però che esso sia stato costruito sul finire del XIV secolo; gli storici ne collocano la fondazione tra il 1392 e il 1396 e ne attribuiscono l’edificazione all’aragonese Martino I il Giovane, Re di Sicilia, sposo della Regina Maria, figlia di Re Federico IV il Semplice. L’edificio doveva assolvere una funzione principalmente difensiva e solo in misura secondaria residenziale. 

Fu edificato probabilmente come sede del cosiddetto provisores castrorum, un alto funzionario regio preposto all’amministrazione dei castelli e dunque alla tutela e alla difesa dell’ordinamento aragonese. Non vi è alcuna documentazione su eventuali interventi di ricostruzione, restauro o ripristino; si sa tuttavia che dopo il 1812 il castello fu adibito a carcere e in seguito alla nuova destinazione furono operate alcune rilevanti trasformazioni. Il Castello Aragonese è oggi di proprietà di un privato cittadino sensibile alle pratiche di tutela e di valorizzazione del bene in questione. 

L’edificio non svolge attualmente alcuna funzione d’uso, nonostante rappresenti per la collettività piazzese un’importante testimonianza storica e culturale da custodire e tramandare. La Piazza Castello originariamente rappresentava uno dei principali spazi urbani della città settecentesca, fulcro del potere politico e militare e fruita come spazio sociale e di raccordo delle varie strade che seguivano i terrazzamenti naturali del Colle Mira. 

Oggi la piazza ricopre solo un ruolo di natura urbana, cioè spazio di rispetto al monumento e di confluenza stradale. Motivi di interesse Organismo di grande interesse castellano per la forma planimetrica delle parti che lo compongono che sono essenzialmente costituite da quattro torri quadrate collegate da mura bastionate ad impianto trapezoidale. Il castello sovrasta un alto terrapieno sostenuto da muri bastionali a modo di rivelini. Queste opere sono state aggiunte in seguito per adeguarlo alla difesa con armi da fuoco. 

Come era consuetudine per i castelli feudali, anche il castello piazzese fu edificato in una posizione originariamente isolata ed emergente rispetto alla città medievale, fondando la propria sicurezza sull’inaccessibilità naturale garantitagli dall’altura del Colle Mira. Dalla posizione altimetrica della fortezza, con la semplice pianta rettangolare ed i quattro torrioni quadrangolari disposti ai vertici, è possibile ravvisare influssi di derivazione federiciana. Indubbia è, infatti, l’influenza dell’architettura federiciana sveva in un periodo dove non si era ancora definitivamente affermato il dominio aragonese e di conseguenza neppure una cultura architettonica che subentrasse a quella sveva. 

L’edificio nel tempo ha subito un grave impoverimento strutturale, in particolare a causa dell’azione di riadattamento risalente ai primi decenni del XIX secolo (quando l’edificio fu adibito a carcere), che ha quasi totalmente modificato gli spazi interni ed esterni. Pertanto, dell’originario modello trecentesco rimangono solo alcune parti di strutture murarie principali, in particolare quelle esterne.

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