Caronia (Borgo)
(Messina)  
 

 

Situata a circa 300 metri s.l.m., Caronia occupa la sommità di un duplice colle, affacciato sul mare e sulla foce (ricoperta di agrumi) della fiumara che da essa prende il nome. Oltre a costituire il cuore del Parco dei Nebrodi, è anche il comune più boscato della Sicilia e uno dei più verdi d'Italia. I suoi boschi hanno da sempre segnato e dominato il paesaggio dei monti Nebrodi, al punto che per molto tempo queste montagne hanno portato il nome di Caronie. Il borgo costiero di Caronia Marina offre spiagge belle e pulite.

Le origini di Caronia risalgono al 448 a.C. anno  in cui Ducezio fondò la città di Calacte, che in greco significa bella costa, stabilendovi una colonia mista siculo-greca, con l’idea di farne la capitale di una federazione di città sicule indipendenti. Il fallimento del progetto politico di Ducezio non consentì a Calacte di interpretare il ruolo per cui era stata concepita. Nondimeno essa continuò a svolgere  per tutta l’antichità le funzioni di importante scalo marittimo sulla rotta tirrenica che collegava il nord Africa con l’Italia e la Magna Grecia e come tale è citata da Strabone e dagli Itinerari tardo-antichi. 

Dopo la conquista romana, all'inizio del II secolo a.C., la città iniziò a battere una serie di monete di bronzo, la più importante con la raffigurazione di Dioniso e di un grappolo d'uva. Durante l'impero romano fu rilevante centro agricolo e commerciale: esportava soprattutto vino, trasportato in anfore. Probabilmente esportava anche tonno e Silio Italico nel I secolo d.C. parlava del "litus piscosa Calacte" (14, 251). Anfore vinarie del IV secolo d.C. prodotte a Caleacte sono state trovate a Roma.

A partire dal III secolo a.C. coniò moneta propria. In epoca romana è menzionata da Cicerone come vittima delle estorsioni di Verre e da Plinio per la pescosità del mare. Suoi cittadini illustri furono Sileno, lo storico di Annibale, e Cecilio, retore tra i più apprezzati della corrente atticista, autore di un’opera andata perduta sulle rivolte servili.

I recenti scavi archeologici a Caronia e Marina di Caronia hanno mostrato che la città ellenistica sul sito dell'odierna Caronia fu distrutta verso la fine del I secolo d.C. da un incendio o un terremoto e fu forse abbandonata, mentre gli abitanti si spostarono sul mare, in corrispondenza dell'odierna Caronia Marina. Poco dopo la metà del IV secolo d.C., l'abitato portuale di Calacte a Caronia Marina fu distrutto, probabilmente da un terremoto. La vita dell'abitato continuò, ma dopo il V secolo d.C. su scala molto ridotta.

L’attuale insediamento fu fondato dai normanni che edificarono il castello. Attorno a quest’ultimo si sviluppò l’abitato.

Nel Medioevo fu feudo dei Ventimiglia, che lo sfruttarono come scalo commerciale, per poi divenire nel corso della dominazione spagnola, nel 1630, feudo in qualità di marchesato dei Pignatelli Aragona Córtez, la cui presenza è attestata dal vessillo comunale che presenta tre pignatte in campo senape.

Nel 2004 le abitazioni della frazione Canneto furono oggetto di apparenti e inspiegati fenomeni di autocombustione, che interessarono soprattutto gli elettrodomestici e i dispositivi elettronici. Tali incendi si sono poi dimostrati, ad una successiva e più approfondita indagine, di natura dolosa.

Intorno alla metà del XII sec. Edrisi così la descrive: “A Caronia ha inizio il territorio dei Demenni (Valdemone). E’ essa una rocca antica, sulla quale è stata elevata una nuova fortezza. Il paese possiede giardini, fiumi, vigne, alberi, e un porto di mare dove si tende la rete per pescare il tonno grande. La rocca è distante all’incirca un miglio dal mare”. La nuova fortezza di cui parla Edrisi è il Castello che ancor oggi domina Caronia, costruito durante il regno di Ruggero II, probabilmente come residenza di caccia dello stesso re. Nel 1178 le chiese di S. Nicola e dell’Annunziata alla Marina furono concesse dall’arci-vescovo di Messina all’abbazia benedettina di S. Maria di Maniace. In epoca sveva il Castello (con il bosco e la tonnara) fu infeudato ai Ventimiglia, che, dopo la parentesi angioina, lo riebbero dai sovrani aragonesi. 

Tra il 1338 e il 1354 Caronia fu posseduta prima da Matteo Palizzi e poi da Blasco d’Alagona, capi rispettivamente della fazione latina e catalana della feudalità siciliana; quindi da Enrico Rosso (1408-1411) e dai Cardona (1444-1595). Da questi ultimi l’ebbe nel 1595 Ettore Pignatelli. I suoi discendenti la manterranno fino alla fine della feudalità in Sicilia (1812).

Visitare il borgo

Il nucleo originario del paese, che insiste sul medesimo sito dell’antica Calacte, è costituito da un borgo (un tempo murato) aggrappato al castello normanno e delimitato a sud da Porta Torre e dalla piazza Idria, dove oggi si trova il Municipio. Presenta alcuni scorci pittoreschi, come la Porta Torre dall’arco ogivale della fine del XIII secolo; il cortile Contino, circondato da edifici costruiti a ridosso delle mura antiche; la torre Sansiveri, dov’è un gruppo di case insediate sopra un preesistente bastione.

Chiesa Madre San Nicolò di Bari

La chiesa Madre di Caronia, dedicata a San Nicolò di Bari, Vescovo di Mira (nel vicino Medio Oriente) fu edificata dagli abitanti caronesi nel 1178 e riedificata nel 1685. 

Nel 1753 il pittore Michele Latino decorò in stile "Rococò" la volta dell'Abside, e nel 1754, il pittore Biagio Ferro, iniziò la pittura della volta che fu poi completata dal pittore Antonio Petringa.

All'interno della Chiesa vi sono custoditi nr. 5 quadri su tela, di pregevole fattura che risalgono al 1700 e, in nessuno di essi, vi è apposta la firma dell'autore. Essi raffigurano (da sinistra a destra entrando):

1. San Francesco di Paola nell'atto di attraversare lo stretto di Messina sul suo mantello;

2. la Sacra Famiglia e San Gioacchino e Anna;

3. la Gloria di San Nicolò di Bari;

a destra:

1. la Sacra Famiglia con Gesù e San Giovanni Battista;

2. Sant'Ignazio di Loyola e San Francesco Saverio, con in alto l'Arcangelo Gabriele nell'atto di precipitare nell'inferno gli Angeli ribelli. In basso, a sinistra, si intravede uno scorcio di Caronia.

Vi è anche un quadro della Madonna di Pompei, di fattura recente.

In questi ultimi anni sono stati eseguiti interessanti lavori che hanno riportato i muri perimetrali all'originale pietra viva, ed è stata rifatta per intero, la copertura esterna, onde evitare infiltrazioni di acqua che in passato hanno danneggiato la volta. Tali lavori sono stati finanziati dall'assessorato ai lavori pubblici di Palermo, sotto la direzione dell'architetto Liuzzo. Anche il pavimento è stato rifatto dando alla Chiesa un aspetto nuovo e dignitoso.

Castello

Il Castello di Caronia fu costruito in epoca normanna (XII secolo) probabilmente al tempo di re Ruggero. Il castello, oggi di proprietà privata, è uno degli edifici meglio conservati dell'architettura normanna in Sicilia. 

Il complesso castrale fonda le ragioni della sua collocazione sull’eccezionale valore paesaggistico e strategico di un colle che, scosceso su tre lati, si eleva appena 350 m s.l.m., dista dal litorale poco più di un chilometro, vanta buone potenzialità visive e gode di condizioni climatiche permanentemente miti; solo nel versante orientale, questa cresta digrada più dolcemente prestando la situazione più favorevole al nucleo medievale, ancora fortemente connotato dalla fitta trama del tessuto edilizio e dai tracciati viari che lo innervano adattandosi alle curve di livello e culminando alla fortezza; da quest’ultima si diramavano le mura che circondavano l’insediamento, cortina di cui permane una significativa porta urbica con arcata a sesto acuto. 

La mole del castello ancora prevarica l’abitato sottostante, malgrado alcune deprecabili soprelevazioni di edifici che si trovano nell’immediato intorno; essa domina sulla vicina fiumara, naturale via di comunicazione verso l’entroterra boschivo, sul probabile sito di kale Akte, insediamento greco-romano, e su un vasto territorio costiero frequentato da secolari attività marinare; rapporti visivi sicuri potevano intrattenersi con la Croce di Santo Stefano, con i castelli di Motta d’Afferm, Marina di Tusa, Serravalle e San Marco d’Alunzio.

La disposizione d’insieme del complesso segue la sommità triangolare del colle che si rastrema in modo più pronunciato verso ovest. Questa giacitura è stata perimetrata da mura e torri; sul fronte orientale, raggiungibile da via Castello, si apre l’unico accesso con un portale neoclassico sovrapposto all’originaria arcata ogivale e mentre nella parte più meridionale del medesimo fronte svetta la cosiddetta “torre dell’orologio”, all’angolo nord gli alti muraglioni celano una cappella a tre navate, plausibilmente subentrata alle strutture di una seconda torre aggettante rispetto al filo delle mura; tale aggetto odiernamente è stato assorbito dall’avanzamento (5 m ca.) di altri corpi di fabbrica addossati all’originaria cortina.

Di contro, la torre situata al centro del lato settentrionale è la meglio conservata poiché reca tracce di ammorsature murarie, di varchi tompagnati aperti sugli originari camminamenti di ronda e, soprattutto, di tre finestrelle a tutto sesto contornate con mattoni di laterizio, composte in un elegante motivo piramidale che si ritrova solo nella facciata occidentale del palazzo normanno; tratti murari di un’ultima torre rimaneggiata a seguito di consistenti crolli si trovano alla cuspide occidentale; il recinto murario appare sporadicamente rifatto o riparato in età posteriore al XII secolo e nel tratto subito ad ovest della torre settentrionale; fino alla torre occidentale, essendo crollato, è stato riproposto a mo’ di parapetto.

In posizione baricentrica rispetto alla cinta, è situato un edificio normanno a due livelli, avente pianta rettangolare con asse maggiore nord-sud (m 21,80 x 9,35); ai suoi lati sono stati addossati in epoche diverse alcuni avancorpi che rivestono completamente il pianterreno e una piccola parte del piano superiore; essi, con gli ultimi restauri (1965 – 1970) hanno subito una rimodulazione mirata ad evidenziare le fabbriche normanne; l’avancorpo addossato alla facciata orientale è diviso in due piani; quello terreno è attraversato da un andito con volta a botte ogivale, in asse con il portale del nucleo originario; quello superiore è composto da un solo vano, giustapposto all’estremità settentrionale, con un’elegante bifora angolare che alla base del piantone reca l’arme Pignatelli, signori di caronia dopo il 1544.

Al pianterreno del medesimo fronte si apre l’accesso principale del palazzo, dato da un grande portale ad ogiva con doppio archivolto scandito dalla bicromia di conci calcarei e di mattoni in laterizio; analogo trattamento è reperibile superiormente in due archivolti quadripartiti da fasce a tutto sesto, progressivamente incassate fino al vano delle rispettive monofore appena ogivali; allo stesso livello si apre una porta finestra, plausibile accesso sublime del piano nobile, sormontata da una ghiera di conci addentellati congiunti a seggiola.  

Lo schema distributivo del palazzo si organizza in entrambi i piani attorno a due sale centrali, aperte verso ovest in ampie nicchie ed affiancate simmetricamente verso nord e sud, da altri ambienti; le coperture dei locali al pianterreno sono costituite da volte a botte; negli spessori murari sono stati individuati pozzi di comunicazione con i livelli superiori e canalizzazioni per cisterne. Il piano nobile presenta una più marcata caratterizzazione degli spazi attraverso peculiari soluzioni adoperate nella tecnica muraria, nelle volte e nelle aperture; al centro della sala principale (m 7,70 x 5,54) si apre una grande nicchia (sala cum miniano), dove si staglia il profilo curvilineo dei piedritti e di un’arcata trasversa, posta esattamente al contatto fra l’avancorpo occidentale e il parallelepipedo del palazzo; le sale minori collegate a quella centrale sono sostanzialmente diverse poiché quella a sud è un semplice vano rettangolare (m 4,70 x 7,10) mentre quella a nord si assimila ad un “iwan” sovrastato da una rociera e desinente in una nicchia centrale con catino a muqarnas ed in due laterali con calotte scanalate da fasce ombrelliformi.

Nell’angolo nordorientale del complesso si trova una cappella orientata, divisa in tre navate da pilastri rettangolari che sorreggono archi a sesto acuto; l’edificio, in senso trasversale, si sviluppa in tre campate, con quella più orientale introdotta da arcate e conclusa da absidi in asse con le navate; le due campate occidentali della navata centrale sono coperte da volta a crociera su base quadrata, sistema ribadito e sdoppiato nelle rispettive campate dell’adiacente navatella destra; il santuario è coperto da un rustico tetto ligneo che, spiovendo verso il muro delle absidi, attualmente intercetta l’archivolto del catino centrale, soluzione scaturita dal crollo dell’originaria copertura; sotto la campata orientale, con dimensioni che si approssimano ad essa, si trova una cisterna sormontata da una volta a botte; la datazione della cappella è tutt’oggi materia controversa (Kronig 1977, XII secolo; Bellafiore 1990, Ciotta 1993, post XII secolo).

Tra gli oggetti mobili si segnalano rilievi, statuette e frammenti marmorei di incerta provenienza, opere comunque databili dal XIII al XV secolo.

Tutte le murature consistono di pietrame e di blocchi in arenaria e calcare ma, soprattutto, le pristine strutture e le membrane di maggiore impegno costruttivo sono connotate dalla diffusa utilizzazione di grossi mattoni in laterizio, accorgimento tecnologico e figurativo adoperato anche nelle fabbriche dei monasteri bizantini del Val Demone.

Ponte Aureliano  

Il Ponte Aureliano, che si erge sul torrente Caronia, testimonia una importante presenza romana di epoca tardo imperiale. L'arcata centrale è crollata. In località Torre di Lauro vi è una torre costiera (detta anche torre di passo del Lauro), sita lungo il litorale. Attestata per la prima volta nel 1583, è oggi adibita ad abitazione privata.

Aveva superato tutte le avversità del tempo cronologico e del tempo meteorologico, sembrava un gigante della storia, destinato a durare nel tempo illimitatamente se lo spirito distruttivo della guerra non lo avesse avvolto nelle sue spire per segnarne la fine. Il Ponte Romano sul Fiume Caronia era una delle opere architettoniche più belle della provincia di Messina, un’infrastruttura di grande utilità e di indescrivibile fascino. 

Oggi del ponte resta ben poco, ma quanto basta per immaginarne la bellezza originaria e per rivivere un pezzo di storia. Il ponte è a tre campate di cui due sono ancora presenti, mentre quella centrale è scomparsa del tutto. Un grande vuoto invade quella che per millenni era stata la sede dell’arcata principale, un vuoto che si estende a tutta la valle, la risale e raggiunge il cuore dei Caronesi. Dall’alto del centro nebroideo la visone del ponte era sicuramente motivo di vanto storico ed economico oltre che elemento rassicurante che conferiva fierezza e sicurezza a tutti gli abitanti. La perdita della campata centrale in un certo senso ha segnato l’inizio di un declino che ha coinvolto la vita del paese in tutte le sue multiformi espressioni.  

La campata della sponda di levante è quella che versa in migliori condizioni e che permette di comprendere la bellezza originaria della struttura, la sua architettura, lo stile e la tecnologia utilizzati nella costruzione del ponte. Il ponte ovviamente è in muratura di pietra, la sua struttura poggia su imponenti pilastri da cui, come ali spiegate nel cielo, si innalzano le campate ad arco. Nella struttura del ponte sono evidenti tre tipologie di pietre. La prima è costituita da blocchi a forma di parallelepipedo, presumibilmente di travertino, di evidente fattura antica, la seconda da pietrame di fiume di misura varia, in parte squadrato,  in parte utilizzato nella forma naturale, la terza da blocchi di pietra arenaria, del tipo locale, reperita quindi sul posto, di evidente fattura recente. Le tre tipologie di pietra occupano spazi e parti differenti della struttura. Il travertino è presente negli archi, nelle spalle, nelle volte, nei  basamenti di protezione. 

La pietra di fiume è presente nei piloni e nella formazione del segmento carrabile che si appoggia sugli archi e sulle volte, con funzione più di riempimento che portante. I blocchi di arenaria formano un plinto di fondazione, la cui fattura sembra recente, aggiunto a sostegno del plinto originario, scavato dalla erosine della corrente fluviale. Lo stile e l’architettura di questo plinto testimoniano la sua presunta  diversa epoca di realizzazione.  Il travertino non è una pietra locale, ma una pietra del Lazio, ampiamente utilizzata nell’Impero Romano per la costruzione di grandi opere architettoniche. 

Magnifica è la collocazione paesaggistica del ponte. Esso funge contemporaneamente da ingresso per due realtà ambientali diverse e opposte ma entrambe affascinanti. Guardando verso la costa il ponte apre il campo ottico verso gli sconfinati orizzonti di un fantastico e azzurro Tirreno. Guardando verso l’entroterra, invece, esso immette il visitatore all’interno di una delle vallate più suggestive dei Nebrodi, la vallata del Torrente Caronia. La sua posizione sembra quasi segnare il confine tra queste due differenti nature. L’ambiente circostante  il ponte è ricco di vegetazione spontanea e di colture agricole. 

Nel greto del fiume abbondano coloratissimi oleandri e aromatici tamerici, entrambi confinati sulle sponde esterne, come eleganti siepi naturali che fanno da cornice al passaggio dell’acqua. Sulle attigue colline si estendono, invece, antichi uliveti e quello che resta della coltivazione del limone.  Il ponte, nonostante le sue gravi mutilazioni, spicca in mezzo a questo giardino naturale come un antico monumento di segreta bellezza.   

Avvicinandosi ad esso e osservandolo con attenzione il mistero delle sue sembianze è rivelato dai grandi conci di pietra che ne compongono le strutture, ne disegnano le forme e ne proiettano l’evoluzione tridimensionale completa.  Le parti ancora presenti, anche se ridotte a ruderi, lanciano nelle direzioni dello spazio vuoto linee immaginarie che compongono le parti mancanti, completando nella mente del visitatore la struttura originaria.