Mistretta (Borgo)
(Messina)
  
  

 

La cittadina è sita su un monte tra gli 850 e i 1100 metri sul livello del mare, nei boscosi monti Nebrodi, ricchi di selvaggina e famosi fin dall'antichità.

La cittadina, detta anche la "Sella dei Nebrodi" per la particolare conformazione, si trova a metà strada tra Palermo e Messina.  

Gli studi non hanno ancora chiarito le origini di Mistretta. Certo è che l'area era già abitata nell'età protostorica, come dimostra il ritrovamento di un ripostiglio dell'età del bronzo finale avvenuto alla fine del XIX secolo e dal quale Paolo Orsi riuscì ad acquistare una cuspide di lancia conservata a Siracusa nel museo archeologico regionale a lui intitolato. Sempre riferibile all'età protostorica è una oinochoe geometrica conservata nel locale museo "Ortolani" appartenente allo stile di Polizzello. Materiali ascrivibili alla presenza greca compaiono a partire dal VI secolo a.C., periodo in cui l'area incominciò a essere di passaggio per i calcidesi in movimento tra ZanclePizzo Cilona e Himera.

Non è chiaro quale fosse il nome di Mistretta tra V e III secolo a.C. A partire da Adolf Holm nacque una disputa riguardante ciò. Si è sempre ritenuto che a Mistretta fossero riferibili sia il toponimo Mytistraton sia quello Amestratos, ma presunti rinvenimenti di monete mytistratine nell'area del monte Castellazzo di Marianopoli fecero pensare che il primo dei due toponimi potesse appartenere a quel sito, cosa non ancora accertata. La sconosciuta Mytistraton, dotata della facoltà di battere moneta, secondo il racconto di Polibio, ereditato da Filino di Agrigento, si ribellò alla conquista romana e venne assediata tra il 263 e il 258 per ben tre volte, prima sotto i consoli Ottacilo e Valerio e poi, con successo, da parte dei consoli Attilio Calatino e Caio Sulpizio.

Certo è che nel III secolo a.C., la città antica sorgente dove ora è Mistretta, facente parte del gruppo di civitates decumanae col nome di Amestratos, batteva moneta (si conoscono due emissioni in bronzo, di cui una con l'iscrizione ΛΕΥ ΑΜΗΣΤΡΑΤΙΝΩΝ), ebbe un certo sviluppo e probabilmente il suo nome è identificabile alla riga 113 della lista dei theorodokoi di Delfi. Fece parte di una symmachia insieme con le città di Halaesa, Kalè Aktè e Herbita con le quali sconfisse i pirati provenienti dalle Eolie. Fu inoltre attraversata dalla strada romana Halaesa-Agyrion-Katane, che, distaccandosi dalla Valeria, giungeva sulla costa ionica siciliana, divenendo punto di riferimento imprescindibile per chi viaggiava tra il cuore della Sicilia e il Tirreno.

Silio Italico nel suo poema storico in versi "Punica" ci presenta Mistretta come un centro che forniva ai romani oltre al grano anche soldati ben addestrati. Tracce storiche inerenti alla città di Mistretta si trovano nelle "Verrine" di Cicerone in cui si narra dei soprusi commessi dal governatore Caio Verre in varie città siciliane, tra le quali anche Amestratos, che condivideva con Calacte decime esose che venivano depositate nel locale tempio di Venere sotto protezione del servo Bariobale. A partire dall'età imperiale le fonti citano di rado Amestratos, che verrà comunque continuata a essere abitata e produttiva come può testimoniare la villa del III sec. d.C. ritrovata in contrada Vocante. Testimonianze paleocristiana sono presenti in contrada Francavilla, dove piccole catacombe sono impiantate all'interno di megaliti quarzarenitici. Risalenti all'età bizantina sono una necropoli ritrovata in contrada Santa Maria La Scala e alcuni rinvenimenti sul monte del castello.  

Dopo la caduta dell'impero, Mistretta divenne preda dei Vandali, invasa poi dai Goti e infine ritorna ai domini imperiali con Bizantini che conquistarono l'intera Sicilia nel 535 d.C. In questo periodo, Mistretta dovette sostenere una forte fiscalizzazione e il suo territorio fu in seguito sottoposto a ruberie e saccheggi da parte islamica. Gli Arabi dominarono il paese tra l'827 e il 1070 e ristrutturarono il Castello bizantino edificato nel punto più alto della città. Dopo il dominio dell'impero romano d'oriente, la conquista dei musulmani, guidati da Ibrahim Ibn Ahmed, rappresenta un momento di incontro con le culture e le economie del Nord Africa; vi erano, tra gli invasori, mercanti e coltivatori che introdussero la coltivazione del dattero e numerosi palmeti. Dal punto di vista religioso veniva garantita la libertà di culto, a coloro che non volevano convertirsi all'islam, con il pagamento di una imposta. Per ciò che concerne gli aspetti sociali e politici e l'introduzione di nuove tecniche costruttive in edilizia o l'introduzione di nuove colture e tecniche di coltivazione, la presenza araba ha arricchito ulteriormente la cittadina mistrettese.  

Alla dominazione araba succedette quella normanna durante la quale il castello fu ulteriormente ampliato. Con i Normanni, i grandi latifondi, smembrati dagli Arabi, si ricostituirono e si rafforzò ancora di più il baronaggio. Il re normanno Ruggero I d'Altavilla, nel 1101, donò Mistretta con le sue chiese, i suoi splendori e con tutto il suo territorio al fratello Roberto, Abate della Santissima Trinità in Mileto Calabro e dall'atto di donazione si possono ricavare notizie storiche sul paese che in quel periodo si stava ampliando lungo le falde del monte su cui sorgeva il castello arabo-normanno ed entro le mura di difesa di cui resti sono visibili nel Vico Torrione e lungo la Strada Numea dove si apre la Porta Palermo, una delle due antiche porte della città. 

Oltre all'insediamento urbano circondato dalle mura, vi erano numerosi bagli, aggregati sociali e produttivi circondati da orti, ed è proprio dagli antichi bagli che hanno avuto origine i quartieri medioevali di Mistretta ricalcati ancora nel tessuto urbano del centro storico. Il castello è più volte al centro di operazioni militari, come nel 1082, quando Giordano, figlio illegittimo di Ruggero, approfittando dell'assenza del padre recatosi nelle Calabrie, tenta con la complicità dei suoi cortigiani di usurpare il potere, insediandosi stabilmente al governo della Sicilia, o ai tempi di Guglielmo il Malo, quando Matteo Bonello, ricevuta nel 1160 l'investitura della città, si fa promotore di una cospirazione contro il monarca, che diede i risultati sperati (ebbe come unico effetto l'uccisione del ministro Maione di Bari).

La città fu insignita da Federico II di Svevia del titolo di "Città imperiale", l'imperatore procede a una serrata lotta contro i briganti musulmani in tutta la Sicilia, sradicando totalmente ogni resistenza. Mistretta fu successivamente infeudata a Federico d'Antiochia e quindi a suo figlio Corrado. Fu in questo periodo che nacque lo stemma della città raffigurante un'aquila, stemma degli Hohenstaufen nel Regno di Sicilia.  

Finita la dominazione sveva, vi fu l'occupazione angioina. Carlo I d'Angiò importò in Sicilia il feudalesimo danneggiando l'economia di molti importanti centri, tra cui Mistretta che fondava la sua prosperità sull'agricoltura e sul commercio. La città di Mistretta insorse e, nel 1282, i cittadini di Mistretta si unirono alla rivolta dei Vespri siciliani. Per il gran contributo apportato nella lotta contro i francesi, la città fu inserita tra quelle demaniali ed accolta nel Parlamento del Regno di Sicilia con capitale Palermo, sotto gli Aragonesi

Nel 1447, re Alfonso d'Aragona, sancì la demanialità di Mistretta ed i suoi Casali e, nel consentire al ceto artigiano di entrare a far parte del governo della città, creò i presupposti affinché, nel XVI secolo, la città si arricchisse di numerosi monumenti religiosi e civili. Notevoli testimonianze del Cinquecento, fase storica di splendore per Mistretta, ci sono date dalla magnificenza dei lavori con i quali gli scalpellini del paese arricchirono la Chiesa Madre, aggiungendoli ai raffinatissimi interventi dei Gagini. Di questo periodo è pure la fondazione dell'Ospedale e della "Casa dei Pellegrini", edifici ancora esistenti con le loro originarie caratteristiche. La città, tuttavia, mentre si arricchiva di arte (il barocco, le chiese, i palazzi, tele, sculture, …), subiva la stessa sorte del resto della Sicilia, la perdita del peso politico, dominata dai re di Castiglia.  

Il Settecento fu anch'esso periodo di benessere per i mistrettesi, per la crescita economica dovuta all'esportazione di prodotti agricoli ed allo sfruttamento dei boschi comunali. Mistretta diviene quindi importante centro commerciale e sede d'uffici e magazzini che consentivano una efficiente lavorazione e commercializzazione dei prodotti. A questa ricchezza corrisponde l'affermarsi di una ricca borghesia che, grazie alle proprie commesse, consentì il fiorire di una serie di attività artigianali per la lavorazione del ferro e del legno. Questa ricca classe sociale provvide a far edificare palazzi signorili e urbanizzò l'area di proprietà della chiesa di Santa Caterina d'Alessandria ai confini del bosco che sovrasta la cittadina.

Nel 1713 (Trattato di Utrecht), la Spagna cedette i suoi possedimenti in Italia all'Austria, ma il principe Vittorio Amedeo di Savoia cui spettava la Sicilia la barattò in cambio della Sardegna e l'isola passò a Carlo VII di Baviera e più tardi a Carlo III di Borbone; per i mistrettesi e tutti i siciliani iniziava la dominazione borbonica.  

Sotto i Borbone, assunse un ruolo ancora più centrale in quanto elevata nel 1812 a capoluogo dell'omonimo distretto. La borghesia locale si preoccupò di abbellire a ampliare la città e durante l'Ottocento furono costruiti palazzi, fu messo in opera un poderoso riassetto urbanistico, culminante con l'apertura del corso Libertà nel 1848, furono abbellite le chiese con numerose opere d'arte, fu aperta la biblioteca comunale. La città riacquistò così l'antica importanza e divenne il punto di riferimento commerciale e culturale per tutti i centri vicini.

Il malcontento diffusosi a Mistretta presso la nascente classe media costituita da professionisti, artigiani e massari, che sfociò nella rivolta di San Sebastiano del 1859, fecero sì che la cittadina mistrettese fosse tra le prime ad insorgere contro i borboni dopo Palermo nel 1860, contribuendo alla causa dell'unità d'Italia. Successivamente Mistretta subì le vicende di tutta la Sicilia nell'Italia post-unitaria fino ai giorni nostri. Nel 1860 fu soppresso l'omonimo distretto amministrativo, immediatamente sostituito però dall'ente analogo del Circondario di Mistretta, governato dal Sottoprefetto.

All'inizio del ‘900 la Sicilia aveva quasi del tutto consumato l'immagine forte che il secolo appena concluso le aveva permesso di costruire e consegnare, la sua storia regionale superava in varietà e prestigio quella delle altre regioni. Mistretta, come molte altre città sicule in quel periodo, aveva raggiunto l'apice del suo splendore economico, artigianale, artistico e culturale, ma dietro ai palazzi nobiliari, ai circoli culturali, alle fiere, alle feste di paese, si nascondevano le sorti infauste che hanno segnato le vicende di numerose cittadine della Sicilia. Il 31 ottobre del 1967 il centro nebroideo, unitamente ai comuni di Capizzi e Nicosia, fu colpito da un sisma di magnitudo 5.6 sulla scala Richter, evento che provocò il danneggiamento di edifici storici, nonché il crollo di parte della chiesa dedicata al patrono san Sebastiano, resa inagibile e riaperta al culto solo nel 1994. Non si registrarono né morti né feriti, tuttavia fu necessario dislocare diversi nuclei familiari dai quartieri maggiormente colpiti. Sebbene il sisma possa considerarsi di secondario interesse se paragonato a catastrofi naturali sia posteriori quanto anteriori, il fenomeno ebbe un impatto notevole sulla vita cittadina di Mistretta, poiché incentivò l'abbandono di parte del centro storico del paese.

La cittadina ha seguito il destino di gran parte dei centri di montagna siciliani nel Novecento, ha subito i colpi inferti dalla disoccupazione fino allo spopolamento per emigrazione (dai 20 000 abitanti dell'Ottocento, poi circa 5.000), subisce la fuga dei più giovani che per motivi di studio o per cercare nuove opportunità lasciano il centro nebroideo, vede scomparire ogni giorno parte del suo patrimonio artistico-culturale per negligenza e vandalismo. 

Chiesa di Santa Lucia

La chiesa di Santa Lucia è la chiesa madre. Le prime notizie del tempio cristiano, verosimilmente edificato su preesistente luogo di culto o edificio pagano, risalgono al 1170, anno in cui il vescovo Bosone de Gorram la donò con tutti i suoi arredi e patrimoni ad un canonico della sua cattedrale. Della struttura normanna orientata ad est, e del suo arredo, non è rimasto nulla.

Nel 1490 fu ricostruita nelle forme attuali con l'orientamento abside - prospetto ribaltato.

Nel 1521, fu edificata la possente torre campanaria. Nel 1552, in piena epoca rinascimentale l'edificio è stato arricchito con il portale di Giorgio Brigno, l'ancóna dei fratelli Vincenzo e Antonino Gagini mentre col fiorire del barocco siciliano nel XVII secolo, è realizzato il ricchissimo portale principale e quello meridionale, entrambi opere in pietra arenaria di scalpellini locali. Più contemporanea è la commissione e realizzazione di opere d'arte figurative e decorative per mezzo di manodopera locale abile in manufatti in pietra e legno, botteghe palermitane specializzate in marmi e argenti, maestranze dei centri vicini esperte in tele, stucchi ed affreschi.

Nel 1630 fu ampliata con l'innalzamento dell'abside e del transetto, la costruzione del tiburio ottagonale rivestito di maioliche verdi cristalline e le due cappelle mariane simmetriche: Cappella della Madonna dei Miracoli e Cappella di Santa Maria Odigitria. Nella nuova zona presbiteriale ad ovest, il coro e le due absidiole laterali: Cappella del Santissimo Sacramento e Cappella di Santa Lucia.

Questi lavori sono realizzati a ridosso del sisma del 25 agosto 1613 o "terremoto di Naso". Sono molti altri gli eventi sismici che nelle devastazioni su scala regionale, hanno provocato danni contenuti all'integrità complessiva del monumento come il terremoto del Val di Noto del 1693 e il terremoto della Calabria meridionale del 1783.

Ad ulteriori lavori di ampliamento e abbellimento seguì la nuova dedicazione nel 1775 e l'erezione a parrocchia nel 1790.

Negli ultimi anni, soprattutto dopo il "terremoto di Capizzi e Mistretta" del 31 ottobre 1967, la chiesa è stata sottoposta a radicali opere di restauro che hanno portato alla luce parte degli sfarzi che il tempo aveva celato.

Il 31 ottobre 2016 la chiesa madre è stata elevata a santuario della Madonna dei Miracoli.  

L'edificio aveva originariamente un’unica ampia navata ed era orientata all’opposto rispetto ad oggi, con l’accesso principale sull’attuale via Numea, che conduce alla ‘Porta di Palermo’. Importanti modifiche strutturali intervennero tra XIII e XV per trasformarla in basilica a tre navate, ma, tra fine XVI e prima metà del XVII secolo, si soprelevò la fabbrica, con l’inversione dell’orientamento, la costruzione del transetto con tiburio. ottagonale e, soprattutto, del profondo presbiterio pensile, su un arco che cavalca la via pubblica.

La torre campanaria cinquecentesca (1521-1562), che affiancava l’antica zona absidale, fu inglobata nella nuova facciata barocca che prevedeva l’edificazione di una seconda torre gemella, iniziata alla fine del XVIII sec. e mai completata.

Il superbo portale principale (metà del XVII sec) e quello meridionale, detto ‘di S. Gaetano’ (1626), sono opere di scalpellini in arenaria locale, quello che si apre a Nord (Giorgio da Milano o Andrea Mancino e Antonio Vanella, 1494), verosimilmente smontato e rimontato più in alto, presenta invece una mostra marmorea rinascimentale: l’architrave con stemma reale aragonese e i Santi Pietro e Paolo entro medaglioni e la sovrastante lunetta con la Madonna e il Bambino tra le Sante siciliane Lucia ed Agata, l’Annunciazione e il Salvatore benedicente.

Tra le poche tracce visibili del periodo medievale sono i resti dell’originaria facciata (cantonali e portale dentro i locali dell’attuale museo parrocchiale) la pavimentazione in terracotta, la base intagliata e porzione di una colonna affrescata nel 1488 con figure di Santi, recentemente ritrovati, nonché le mostre tardogotiche e rinascimentali delle finestre aperte sulle navate e poche suppellettili liturgiche superstiti.

Il secolo XVI vede giungere da Palermo la ‘cona’ per l’altare maggiore con gli Apostoli nella predella, il Risorto tra i Santi Pietro e Paolo, l’Annunciazione e il Padre Eterno (1552), nonché il fonte battesimale e la statua della titolare Santa Lucia (1575), tutti in marmo bianco di Carrara scolpito dai Gagini, ed il monumentale ostensorio architettonico in argento di Nibilio Gagini (1601-1604).

Botteghe di marmorari palermitani del ‘600 producono gli altari della Madonna dei Miracoli e della Madonna dell’Itria, alle due estremità del transetto, per conciliare all’interno della Matrice l’anima latina con quella greca ancora molto viva nella popolazione fino alla metà del XVII sec. Abili intagliatori messinesi, locali e palermitani realizzano gli stalli e il leggio del nuovo coro (1665-1809) che sostituiva quello più antico. 

I complessi decorati a commesso marmoreo, con altorilievi e statue, delle cappelle della Madonna dei MiracoliSS. Sacramento e SS. Crocifisso sono dovuti alla bottega catanese di Domenico Battaglia (1732 - post 1750), mentre i rilievi in marmo bianco statuario dell’altare maggiore neoclassico sono di Francesco Ignazio Marabitti (1771). 

Il monumentale organo a canne con cassa barocca intagliata e dorata – ricollocato dall’ingresso principale al presbiterio nel 1875, occultando la nicchia in stucco dove era il Risorto gaginesco - è sorretto da una ricca cantoria (1657), con dipinti l’Immacolata, il Redentore e gli Apostoli. Gli stucchi di maestranze locali, palermitane e catanesi (fine ‘700) che ricoprono pareti e volte danno all’edificio il prevalente aspetto rocailles, completato da bei lampadari neoclassici coevi in legno dorato di intagliatore catanese.

Ogni anno, per tutto il tempo di Quaresima, un enorme ottocentesco telo di lino, dipinto con Cristo davanti ad Anna e simboli della passione, oscura il presbiterio e si fa cadere tradizionalmente solo durante la veglia pasquale. L’archivio storico e la biblioteca annessi al sacro edificio conservano materiali a partire dal XVI secolo. Gli ambienti restaurati sotto il transetto sono sede del museo parrocchiale. 

1. Presbiterio: organo a canne di Onofrio La Gala (1656-1664) e Giuseppe Lugaro (1874-1888); cantoria di Paolo La Cristina (1657); coro ligneo delle botteghe dei Li Volsi (ante 1598), Ramfardi (1671), Allò (1685-1710), di Giovanni Biffarella e Antonino Azzolina da Mistretta (1712-1726), Ciro Bagnasco (1803); leggio centrale di Angelo Messina a Carmelo Barone (1809); al centro del coro: lapide con figura del sac. Giacomo Scaduto (sec. XVI).

2. Altare Maggiore: marmoraio palermitano Angelo Gabriele, con parti a rilievo di Francesco Ignazio Marabitti (1771-1772); balaustra di Domenico Battaglia (post 1750).

3. Cappella del SS. Sacramento: ciborio architettonico (1739) e balaustra, decorazioni a commesso marmoreo e altorilievi di Domenico Battaglia (post 1750); ninfa in argento e rame dorato di Bonaventura Caruso (1770-1771); decorazioni della volta del XIX secolo.

4. Cappella della Madonna dei Miracoli: statua e plinto marmorei attribuiti ad Andrea Mancino e Antonio Vanella (1495); altare e monumento del barone Pietro Scaduto di Giuseppe Musca, (1639-1646); decorazioni a commesso marmoreo e altorilievi di Domenico Battaglia (1732); balaustra della stessa bottega (1753).

5. Altare della Deposizione o ‘delle cinque piaghe’: olio su tela di Antonino Manno (1771).

6. Altare del Cristo Risorto: statua marmorea di Antonino Gagini (1552), un tempo al centro della “cona” oggi nella cappella di S. Lucia, nel sec. XVII entro una nicchia sul fondo del presbiterio, nell’attuale sito dal 1875.

7. Portale meridionale: maestranze locali (1626); statua marmorea di S. Lucia di scultore palermitano. È detto ‘di S. Gaetano’ per il motto inciso sull’architrave.

8. Altare dei Santi Ausiliatori: olio su tela di Benedetto Berna (1692).

9. Altare di S. Anna: olio su tela di Antonino Manno (1771).

10. Cappella del Fonte battesimale: intagli lapidei e decorazioni murali dipinte (sec. XVI); fonte marmoreo di Vincenzo Gagini (1575); copertura lignea e statue di Giovanni Biffarella, (1732). Prima dell’inversione della chiesa, la cappella ospitava la statua di S. Lucia.

11. Torre campanaria: maestranze locali e palermitane (1521, 1562).

12. Pronao: acquasantiere marmoree di Ambrogio Schillaci (1667); portale principale in arenaria locale con rilievi e statue, al posto dell’antica zona absidale (metà del XVII secolo).

13. Cappella della Madonna di Pompei: decorazioni in stucco, altare in marmo e dipinto su tela entro cornice neogotica (1922), voluti dalla famiglia Seminara – Ortoleva.

14. Altare delle Anime Purganti: olio su tela di Giuseppe Tomasi da Tortorici (1651), commissionato dalla confraternita, che di lì a qualche anno si trasferirà nella vicina chiesa con lo stesso titolo.

15. Altare di S. Gaetano da Thiene: olio su tela di Giuseppe Tomasi da Tortorici (1651). Alla base del dipinto è riprodotta per la prima volta l’immagine della città.

16. Portale settentrionale: mostra marmorea di Giorgio da Bregno o Andrea Mancino e Antonio Vanella (1494).

17. Portale gotico dalla chiesa di S. Antonio abate (XIV-XV sec.), in cui è incisa la significativa scritta: “1575 FU LA PESTA”.

18. Altare dell’Ecce Homo: statua lignea del XVII secolo.

19. Altare del Crocifisso della Provvidenza: commesso marmoreo con altorilievi di Domenico Battaglia (ante 1750); Crocifisso ligneo di Vincenzo Genovese (1866), che sostituisce l’antico, fino al 1598 esposto su un’alta trave a metà della navata centrale.

20. Cappella della Madonna dell’Itria: altare in marmi mischi di Giuseppe Musca, Luigi Geraci e Bartolomeo Travaglia (1649-1654), commissionati con i lasciti del sacerdote Filippo Mongiovì.

21. Statua lignea di San Sebastiano (metà del XVI sec.), proveniente dall’omonima chiesa.

22. Cappella di Santa Lucia: statua marmorea di Vincenzo Gagini, (1575) e ‘cona’ con Apostoli, SS. Pietro e Paolo, Annunciazione e Padre eterno di Antonino Gagini (1552); decorazione marmorea delle pareti del XIX secolo e dipinti della volta di Salvatore e Giovanni La Cugnina (1875); balaustra di Ambrogio Schillaci (1667). Al posto di S. Lucia la cona comprendeva il Cristo Risorto.

Altri edifici religiosi

La CHIESA DELLA SS. TRINITA' è un gioiello di storia e arte. Le sue radici risalgono all’epoca normanna, ma ciò che la rende veramente unica è la sua struttura ellittica combinata con elementi barocchi. Il prospetto attuale, risalente al XVII secolo, è impreziosito da due campanili che culminano in guglie coniche, rivestite da tessere policrome in ceramica che brillano al sole. Un dettaglio particolarmente affascinante è l’Angelo sulla bara, una scultura di Noè Marullo. 

LA PARROCCHIA SAN NICOLO' DI BARI è un luogo affascinante. Il suo portale, con elementi in stile gotico-catalano tardivo, accoglie con un senso di storia e bellezza. 

All'interno, si trova il simulacro dell'Immacolata. un'opera che unisce l'umano e il divino, attribuita all'artista Marullo. Ma ciò che cattura l'attenzione è la pala dell'altare maggiore, un capolavoro artistico che raffigura San Nicola.

La CHIESA DEL PURGATORIO è adornata da affreschi e statue policrome. Al suo interno custodisce il crocifisso ligneo dei Li Volsi del 1608 e affreschi del 1720-1729, tra cui il Giudizio Universale e la Gloria del Paradiso.

ChiesaSanSebastiano.jpg (195470 byte)ChiesaSanSebastiano2.jpg (213888 byte)La CHIESA DI SAN SEBASTIANO è un affascinante mix di stili e storia. Iniziata nella seconda metà del 500, vanta un portale gotico-catalano e un campanile a quattro ordini con una cupola a bulbo. Durante l’800, la chiesa ha subito una trasformazione in stile neoclassico, e ha poi subito ulteriori modifiche a seguito del terremoto del 1967. La facciata, con un rilievo che raffigura San Sebastiano.

La CHIESA DEL SS. SALVATORE è un luogo che ti avvolge con la sua storia. All’interno, nel catino absidale, troverai un affresco bizantino che raffigura un Cristo Pantocratore, un’opera che ti riporta alle antiche chiese normanne siciliane.

La CHIESA DI SAN GIOVANNI, costruita nel 1534 su un antico tempio pagano, si fonde armoniosamente con l’architettura della Piazza dei Vespri. L’accesso alla chiesa è reso maestoso da una doppia scalinata semicircolare. Il portale, sormontato da una lunetta ogivale, è un bell’esempio di fusione tra elementi rinascimentali e gotico-catalani.

La CHIESA DI SAN FRANCESCO, già annessa al monastero delle benedettine, fu rimaneggiata dai Frati Cappuccini nel 1569. L’altare maggiore rappresenta uno dei maggiori capolavori in legno esistenti in Sicilia, fu eseguito dallo scultore, intagliatore, sacerdote Giovanni Biffarella e da Frate Bernardino da Mistretta. Tutte le tele sono inserite in cornici lignee che sovrastano gli altari anch’essi in legno. L’ex convento annesso alla chiesa è adibito a penitenziario. 

ChiesaSantaCaterina.jpg (412016 byte)CHIESA DI SANTA CATERINA, in origine piccola chiesa rurale, in seguito ampliata a tre navate dagli archi leggeri, con colonne monolitiche che poggiano su basamenti istoriati che alludono alla lotta fra il bene e il male.

E' rinascimentale l'altare maggiore su cui è collocata la statua della Santa, attribuita a Giorgio da Bregno (1492). Le pitture a guazzo sulla volta absidale di ignoto, rappresentano i quattro Evangelisti, il Pantocratore e gli angeli musici.

Altre chiese presenti a Mistretta sono: la Chiesa di Maria Santissima del Rosario, la Chiesa di San Biagio, la Chiesa di San Giuseppe, la Chiesa di San Giovanni Battista, e la Chiesa di Sant’Antonio. Ogni edificio sacro racconta una storia, pronta ad essere scoperta da te.

Castello

Sul punto più alto della città si trovano i resti del Castello, edificato dai bizantini e ristrutturato e ampliato prima dagli arabi e poi dai normanni. Nei secoli successivi l'edificio subì diversi crolli che lo hanno portato allo stato di degrado.

Le prime notizie sulla fortezza si hanno da un privilegio del 1101 con il quale il conte Ruggero dona al Demanio Regio e infeuda a se stesso Mistretta con il suo castello. Questo fu teatro di grandi avvenimenti per circa 300 anni, infatti lì si rifugiò Matteo Bonello durante la rivolta contro Guglielmo Re dei Normanni, vi si stabilì Federico D’Antiochia durante la rivolta contro Re Pietro D’Aragona nel 1337. 

Nel 1360 vi si trattenne Re Federico D’Aragona prima del matrimonio con Costanza. Altre notizie si riferiscono al 1474, quando era castellano regio Sigismondo De Luna, che aveva il compito della riscossione delle gabelle e che lasciò nell’incuria il castello. 

Nel 1520 il castello era già in rovina e ridotto a carcere. Il personale era costituito da due sole persone, il castellano e il portiere.

Nel 1608, il castello era completamente in rovina. Nel 1633 i mistrettesi distrussero quanto rimaneva del castello simbolo delle angherie del potere regio. 

Nel 1686 una grande frana, che interessò tutta la vallata, distrusse il versante nord-est della rocca del castello che cambiò per sempre la sua morfologia. Dall’epoca della sua distruzione, i ruderi del castello e le rocce vicine vennero usati come cava di pietra per la costruzione delle case dei mistrettesi. 

Nel 1863 il Sindaco proibì con una ordinanza di "fare pietra al castello".

Di tale complesso oggi rimangono i ruderi delle mura perimetrali, e sul lato nord si configura ancora uno degli ingressi. Inoltre sono riconoscibili i ruderi delle mura di cinta nonché di strutture sussidiarie.

Con gli scavi archeologi effettuati nell’area sottostante i ruderi, negli anni ’80, sono stati rinvenuti le fondamenta di una piccola chiesa triabsidata, di probabile epoca normanna impiantata in uno strato di materiale bizantino.  

Porta Palermo

Nel Settecento le mura della città avevano perso la loro funzione difensiva e anche le maestose porte della città costruite con la dura pietra locale non venivano più sorvegliate.

Le prime notizie certe sull'esistenza di porte a Mistretta risalgono al 1475 perché vengono menzionate in alcuni documenti dell'epoca, ma da altri documenti successivi sappiamo che avevano perso la loro funzione principale, tanto che nel 1771 venne concessa al Barone Giaconia l'autorizzazione a costruire sulle mura. 

Il Barone costruì sulla porta da cui partiva la strada che conduceva a Palermo rafforzandone i contrafforti, trasformando così la maestosa porta in una struttura portante dei suoi palazzi. 

Nel corso del Novecento il monumento è stato deturpato dall'innesto di strutture abusive, una su tutte un locale adibito a toilette che occlude la volta dell'arco.

Passando attraverso la porta che sorregge i palazzi del Settecento si accede alla ripida "via Porta Palermo" che s'immette nel cuore del centro storico creando uno scorcio unico nel suo genere.

Architetture civili

Tra le cose da vedere a Mistretta non possono mancare i palazzi storici, ognuno con una storia particolare

PALAZZO TITA - Sito nel Quartiere della SS. Trinità, di fronte alla chiesa omonima (chiamata anche chiesa di San Vincenzo), il Palazzo Tita fu ricostruito nel 1885 con la facciata in stile bugnato. I balconi sono decorati con putti scolpiti da Noè Marullo. Il portale principale è in forma di arco sulla cui chiave di volta è scolpita la Medusa, mentre l'estradosso è arricchito da bassorilievi di mostri marini. È uno dei più bei palazzi di Mistretta e prende il nome da una delle antiche famiglie signorili di Mistretta.

PALAZZO SCADUTO - Palazzo Scaduto è uno dei più antichi di Mistretta. Venne edificato nel 1660, in stile barocco, il cui portale principale è arricchito da due maestose sculture laterali e da bassorilievi; all'interno il palazzo conserva tra le più rilevanti "scale alla trapanese" di Sicilia.

Costruito dal Barone Pietro Scaduto, Giurato della Città, diventò di proprietà dei Baroni Bosco, alla fine del Settecento, in via ereditaria. Nel 1816, il Barone Biagio Lipari costruisce un corpo di casa fra il vicolo Cuscè e la via Catania, a fianco del Palazzo Bosco. Il Barone Antonino, figlio di Biagio, acquista dai Bosco il palazzo e l'area circostante e inoltre diventa proprietario della casa beneficiale Cuscè, attigua al palazzo. Nel 1826, amplia il palazzo inglobandovi la casa costruita dal padre e la casa Cuscè costituendo un nuovo corpo, in via Cairoli.

Lo stemma della famiglia Lipari, il leone rampante ai piedi di un albero, è scolpito nella chiave di volta della porta d'ingresso della via Cairoli. Il palazzo viene ereditato dal nipote Giuseppe, che nel 1891 lo ristruttura in occasione del matrimonio della figlia con il Barone Giaconia.  

PALAZZO RUSSO - Il Palazzo Russo è un esempio di architettura del Settecento, con portale ad arco a tutto sesto in pietra arenaria con alla sommità l'aquila rampante dello stemma nobiliare. All'interno vi è una loggia che risale sicuramente ad un'epoca precedente. Il palazzo fu ultimato nel 1775 come testimonia la data incisa su una pietra sottostante il tetto. L'edificio fu costruito dal Barone Armao e acquistato dal Cavalier Giovanni Russo in occasione del suo matrimonio con Remigia Catania, circa un secolo dopo. 

PALAZZO SALAMONE-GIACONIA - Il Palazzo Salamone-Giaconia, esistente già nel Seicento e ristrutturato nel 1865, è caratterizzato da sculture e bassorilievi in mensole, chiavi di volta e lo stemma della famiglia nel portale. Si affaccia sulla Piazza Concordia, totalmente in muratura, con un'alta scala in monoblocchi di pietra arenaria.

PALAZZO FAILLACI, nato nella prima metà dell’800, colpisce per il suo rapporto con la via Libertà e le quattro lunette sulla facciata, arricchite da Noè Marullo, che raffigurano le allegorie delle arti.

Ogni palazzo racconta una storia unica, unendo l’arte e la storia in un’esperienza affascinante.  

PALAZZO PASSARELLO - Il Palazzo Passarello, situato sulla via principale, è stato edificato nel 1865 dalla famiglia Passarello Giaconia, con un pregevole portale neoclassico.

PALAZZO GALLO si distingue per i suoi balconi fregiati con maschere teatrali, simbolo della cultura nobiliare.  

FONTANA SAN VINCENZO - Adiacente alla chiesa di San Vincenzo nello spiazzale denominato "Largo Progresso", nel 1875 fu costruita una fontana in pietra, dal mastro scalpellino Vincenzo Arcieri, il quale appaltò i lavori di costruzione dell'acquedotto. Dalla fontana non sgorga più acqua, ma è possibile ammirare il mirabile lavoro realizzato dall'artigiano mistrettese.

FONTANA PALO - La città di Mistretta essendo in montagna è ricca di acqua che sgorga in molte fontane e confluisce nell'acquedotto comunale. Nel quartiere "Palo" chiamato così perché nel "Largo Buonconsiglio" durante il Seicento venivano "messi al palo", cioè impiccati i dissidenti, vi è una maestosa fontana.

Questa fontana venne costruita nel 1860 dai maestri scalpellini locali e dai fratelli Pellegrino. Oggi si alimenta tramite l'acquedotto comunale, ma in passato era e collegata attraverso un sistema idraulico alle sorgenti dette "Virdicanne".

FONTANA DEL SANTISSIMO ROSARIO - Vicino alla chiesa del Santissimo Rosario, definita e pavimentata tra il 1868 e il 1870 in seguito ad un riassetto urbanistico della città, vi era una fontana in pietra, eseguita dagli scalpellini Giaimo e Cannata riutilizzando pezzi provenienti dalla "Fontana del Fruscio", prima sita nella P.zza Vittorio Veneto.

La fontana negli anni sessanta fu spostata di qualche centinaio di metri per facilitare il percorso delle macchine che diventavano sempre più numerose.  

Villa Garibaldi

Nel 1873, il terreno antistante al monastero dei Padri Cappuccini trasformato in carcere, divenne di proprietà del comune che ne delimitò il perimetro con mura di cinta in pietra ed inferriate in ferro battuto. La Villa fu dedicata a Garibaldi, collocandovi un suo busto marmoreo scolpito dall'artista mistrettese Noè Marullo.

La "Villa Garibaldi" s'ispira allo stile italiano che deriva dal modello del giardino medievale, circondato da alte siepi di disegno geometrico. Il comune acquistò a Palermo numerose piante, anche rare e particolari, che andarono ad affiancare quelle già presenti sul posto e curate dai frati. Vi sono anche alberi secolari che imponenti spiccano in questa oasi di verde nel cuore della cittadina.

Luoghi d'interesse naturalistico

La valle delle cascate di Mistretta è un angolo di paradiso, situato a pochi chilometri dal centro di Mistretta che accoglie con il suono rilassante dell’acqua che scorre tra le rocce.

Qui, tre torrenti hanno dato vita a una serie di cascate di varie dimensioni, creando uno scenario davvero unico. La più grande di queste cascate, situata in contrada Pietrebianche, raggiunge addirittura i 33 metri di altezza. E non è l’unica: nel raggio di meno di 500 metri, potrai ammirare altre sei cascate, ognuna con la sua particolare bellezza.

Ma la valle delle cascate di Mistretta non è solo questo. Più a valle, dove i due torrenti principali si uniscono, si trovano altre due cascate che formano alla base delle ampie vasche. Un vero spettacolo da non perdere!

La primavera è il momento migliore per visitare la valle: l’acqua invernale ha lasciato il segno e la natura si risveglia in tutto il suo splendore. 

URIO QUATTROCCHI - Posto a quota 1.030 metri sul livello del mare, in zona “B” all'interno del parco dei Nebrodi. Si tratta di un laghetto che ricade nel territorio di Mistretta, alle pendici del monte Castelli. Si trova in una posizione strategica, in quanto collocato all'inizio della dorsale dei monti Nebrodi, in un percorso di circa 70 chilometri che unisce il territorio di Mistretta con quello di Floresta.

Il laghetto è circondato da distese di boschi di faggio (Fagus sylvatica). Nelle zone limitrofe, dalla primavera sino al tardo autunno, si rivestono di colori lussureggianti e di diverse essenze. Alla tipica vegetazione xerofila si aggiungono specie appartenenti alle graminacee, leguminose e alle composite, tra cui l'endemico cardo di Valdemone.

CascateCiddia.JPG (255579 byte)Piccoli mammiferi, donnole, martore e volpi predano occasionalmente nei dintorni del laghetto. L'avifauna nebroidea è una delle più ricche di Sicilia. Tra le specie più curiose annoveriamo cicogne bianche e nere e cormorani, attirati dall'abbondante presenza di pesce. Morette, fischioni, marzaiole e codoni fanno da cornice al paesaggio del lago.

CASCATE DI CIDDIA - Queste cascate, ben nove, sono maggiormente visibili nel mese di Marzo, quando lo scioglimento della neve ne alimenta il corso. La più alta, la Pietrebianche, di ben 35 metri, è la maggiore, insieme con la Cascata Occhialino di Caronia, presente sui Nebrodi. Le cascate di Ponte Ciddia e Cuttufa scorrono anche in estate.

Feste

FESTA DI SAN SEBASTIANO - La festività di san Sebastiano è celebrata dal mondo occidentale il 20 gennaio e dal mondo orientale il 18 dicembre. A Mistretta il culto del santo sembra sia stato introdotto nell'anno 1063, ma la devozione a san Sebastiano si accrebbe tra 1625 e il 1630, quando s'invocò la sua intercessione per fermare la terribile epidemia di peste che affliggeva tutta la Sicilia. La festa di San Sebastiano di Mistretta è considerata una delle più belle, suggestive e sentite processioni di tutta la Sicilia.

A Mistretta la festa del santo si svolge due volte l'anno, proprio il 20 gennaio, la data in cui la chiesa ricorda la morte di San Sebastiano e il 18 agosto per ricordare la liberazione dalla peste di Mistretta avvenuta per intercessione di San Sebastiano nel Diciassettesimo Secolo.

A gennaio la festa si svolge in tono minore, ma si tratta ugualmente di un giorno solenne, molto sentito. La statua del santo esce dalla chiesa e viene portata in giro per le vie del paese nel prezioso fercolo (vara), di corsa in diversi tratti, sulle spalle di decine di uomini, che vestono in abiti tradizionali, pantaloni in velluto e gilet, con il tipico fazzoletto rosso. 

Invece, è in agosto che la processione raggiunge gli apici di folklore e religiosità. La pesante vara in legno massiccio e oro su cui è posta la statua del Santo è portata a piedi scalzi da circa 80 devoti che ricevono il privilegio di portare il fercolo per eredità, tramandato dai padri, ed è preceduta nella sua corsa per tutta la processione, dalla varetta, un fercolo in cui due angeli, circondati da ceri votivi, sorreggono le reliquie di San Sebastiano che vengono portate in processione dai devoti più giovani. La processione tocca i luoghi più significativi della città con diverse tappe in essi.

Tutto il popolo corre dietro San Sebastiano per le vie del centro storico. In occasione del 18 agosto la città si riempie di gente venuta da fuori per vedere la festa, attirata dallo sfarzo e dalla grandiosità.

La festa si chiude la notte quando il santo viene ricollocato nella sua chiesa dopo una lunga corsa, tra applausi, pianti, invocazioni e musica che lo salutano. La serata si chiude sempre con giochi pirotecnici suggestivi e spettacolari. Moltissime persone dopo la processione si recano al Castello Saraceno, situano nell'omonimo molte, ad aspettare "l'Alba", simbolo della fine della festa e dell'estate.  

FESTA DELLA MADONNA DELLA LUCE - La festa si celebra ogni anno per due giorni nelle date del 7 e dell'8 settembre. La modalità di svolgimento della festa è curiosa e caratteristica, una coppia di guerrieri giganti chiamati "Cronos" e "Mitia" seguono la statua della Madonna trasportata per le vie della città. I giganti sono di cartapesta e vengono portati a spalla per le vie del paese già molti giorni prima della festa ballando e raccogliendo le offerte. La statua della Madonna è custodita nella Chiesa del cimitero, fuori città, dove vi è un'antichissima immagine dipinta su una roccia sopra la quale è stata costruita la chiesa. La leggenda narra che per caso venne scoperta l'immagine sacra e che vicino ad essa vi fossero delle ossa umane di dimensioni fuori dal comune, appunto i giganti posti a guardia della Madonna.

Il primo giorno la statua della Madonna "esce" dalla chiesa per salire nel paese incontrandosi ad un certo punto con i giganti che l'affiancano facendole la guardia per tutto il tempo. Emozionante l'incontro tra i giganti e la Madonna, infatti nel momento dell'incontro i giganti si inginocchiano e fanno un inchino a Maria in segno di riverenza.

La Madonna e i giganti vanno poi nella Chiesa Madre di Mistretta e sul piazzale antistante alla Chiesa, i giganti ballano per festeggiare l'arrivo della Madre Santa.

Il giorno dopo, Mitia e Cronos si affiancano alla statua della Madonna portata anch'essa in spalla da uomini robusti e la scortano per tutto il percorso della processione. Il simulacro risale al Seicento e raffigura Sant'Anna che regge in mano la Madonna bambina. Il popolo in massa prende parte alla processione.

Alla sera, dopo avere attraversato le vie del paese illuminate da luci colorate, la processione si avvia lungo la strada di campagna che porta alla Chiesa del Cimitero dove si arriva in tarda serata. Giunti in Chiesa, dopo la lunga processione, la statua rientra per essere ricollocata al suo posto e i giganti ballano per l'ultima volta illuminati da un grande falò, ritirandosi infine tra gli applausi di tutti.  

Fonte
https://it.wikipedia.org