Giardini-Naxos dista
circa 40 chilometri da Messina e circa 39 chilometri da Catania.
Anticamente chiamata Naxos,
al vecchio nome del comune (Giardini), su proposta della Pro Loco, si
aggiunse "Naxos" per ricordare la sede dell'antica colonia greca,
e quindi il nome divenne Giardini-Naxos.
Nell'attuale
collocazione di Giardini-Naxos, presso Capo Schisò, nel 734 a.C. dei
coloni calcidesi fondarono quello che è stato ritenuto per molto
tempo il primo insediamento greco in Sicilia. Alla nuova
colonia venne attribuito il nome di Naxos come l'omonima isola nel
Mar Egeo. Nonostante
rimase un centro di modeste dimensioni mantenne il suo valore simbolico, in
quanto venne eretto un altare in onore di Apollo Archegetes, ed
era il punto di partenza degli ambasciatori greci in ritorno alla
madrepatria.
Durante la guerra
del Peloponneso Naxos si schierò con Atene, ma quando nel 413
a.C. la spedizione militare ateniese in Sicilia fallì, il tiranno siracusano Dionigi
il Vecchio la fece radere al suolo e fece costruire sull'altura
sovrastante Tauromenion (Taormina). Il territorio venne donato ai Siculi e
gli abitanti furono venduti come schiavi.
Il nome
Naxos permase nel tempo anche in epoca romana e nell'Itinerario
Antonino del III secolo d.C. viene citato come località per
lo scambio di cavalli lungo la strada consolare in direzione Siracusa.
Nel periodo bizantino sulle spoglie della colonia greca si andò a
formare un piccolo centro abitato, questo diventò l'approdo strategico per
la vicina Taormina. Il periodo di dominio arabo ha lasciato
numerosi toponimi come quello del vicino fiume Alcantara o dello
stesso Capo Schisò.
Durante il XV
secolo nelle campagne adiacenti al centro abitato si diffuse la
coltivazione della canna da zucchero e il paese iniziò ad essere
militarmente protetto grazie alla costruzione di un torrione quadrangolare
sull'estremità di Capo Schisò, della Torre Vignazza e
all'ampliamento di un vecchio castello medievale. Nel 1719 per
il crescente numero di abitanti si formò la comunità parrocchiale
intitolata a Maria Santissima della Raccomandata.
Giardini
dal 1º gennaio 1847 ottenne l'autonomia da Taormina e
nell'agosto del 1860 dalla sua baia partì Garibaldi con
la sua truppa per dirigersi sulle coste calabresi.
Dall'800 in
poi nel territorio si svilupparono, oltre che la pesca, attività
legate all'agricoltura, soprattutto di agrumi, all'artigianato in ferro
battuto e in ceramica.
Negli
ultimi decenni queste attività sono quasi del tutto scomparse e si è
cercato di riconvertire l'economia del paese guardando verso il turismo come
principale fonte di sostentamento, costruendo strutture ricettive e
sfruttando la vocazione turistica del litorale. Oggi Giardini-Naxos è,
assieme alle contigue Taormina e Letojanni, una delle località
balneari più popolari della Sicilia orientale.
Castello
di Schisò
Il castello
di Schisò si affaccia sulla baia di Giardini Naxos, è stato costruito
a cavallo del XIII e XIV secolo. Edificato nella forma
attuale su uno sperone roccioso formato da una colata lavica di età
preistorica, il nome Schisò deriva dalla corruzione araba volgare del
toponimo Naxos Al Qusus. E’ agevole ipotizzare progressive verosimili
corruzioni del nome “Naxos”: da “Nascsòs”, a “Naschisòs”, a
Quisòs, a “Schisòs”, fino all’attuale “Schisò”.
In epoca
normanna l'aggregato agricolo comprende una chiesetta esistente al
tempo del Gran Conte Ruggero dedicata a San Pantaleone,
utilizzata dai contadini e pescatori di Schisò prima che sorgessero edifici
di culto più recenti. L'agglomerato costituiva l'antica dipendenza del monastero
di Santa Maria di Gala, istituzione ubicata nell'odierna Barcellona
Pozzo di Gotto, data in concessione ai monaci Basiliani di rito
greco dalla reggente Adelasia del Vasto nel 1104 - 1105. Proprietà,
diritti e concessioni riconfermati con Regio Privilegio dal figlio Ruggero
II di Sicilia comprensivo dell'esercizio del diritto di pesca nelle
acque della riviera di Taormina. Oggi il primitivo luogo di culto è
inglobato nel complesso fortificato.
Ricostruito
nel XVI secolo con una torre di avvistamento idonea a sorvegliare
Capo Schisò, la baia compresa fino a Capo Taormina a nord e il golfo di Riposto a
sud, a difesa delle incursioni dei pirati guidati da corsaro turco Khayr
al-Din Barbarossa. Sul lungomare si affaccia la parte nobile e residenziale
del complesso, all'interno del castello era installata l'attrezzatura per la
raffinazione e distillazione dei prodotti della canna da zucchero, la
produzione di questa coltura era un'attività lucrativa sorta intorno al XVI
secolo estesa dagli spagnoli, praticata in epoca normanna e
introdotta dagli arabi in Sicilia (esiste oggi, per memoria, una
Via Cannameli nel rione Chianchitta).

Rinnovato
nel tardo XIX secolo con l'aggiunta di balconi sulla facciata,
delle primitive torri cilindriche d'avvistamento ne restano due e delimitano
la corte interna della costruzione.
* 1582, Il
primo proprietario don Cesare Statella nobile, giurato, giurista e
riformatore della città di Catania.
* 1705, La
proprietà passa in seguito alla nobile famiglia dei De Spucches Marchesi
di Schisò e Gaggi, della famiglia dei Duchi di Santo Stefano e
Principi di Galati;
* ?, a
Giovanni Conti facoltoso cittadino di Messina;
* ?, alla
casata dei Lombardo Alonço;
* XX secolo il
castello passa alla famiglia dei Paladino attuali proprietari.
Il castello
è attualmente disabitato e versa in stato di abbandono. Si mira ad un
graduale recupero dell'edificio storico pertanto la regione Siciliana ha
inserito il Castello di Schisò nel complesso del parco
archeologico comprendente il Museo e l'area archeologica di Giardini
Naxos.
Sito
archeologico di Naxos
La lunga
penisola che si conclude col Capo Schisò (corruzione volgare del nome Naxos)
è stata abitata in modo pressoché continuo dal neolitico fino
all'arrivo, secondo la tradizione nel 734 a.C., dei coloni greci. Infatti
sono state rinvenute capanne della media età del bronzo (Cultura
di Thapsos) e materiali pertinenti alla fase dell'età del ferro detta
di Cassibile (X-IX secolo a.C.): le fonti affermano che all'arrivo
dei Greci il sito della colonia di Naxos era già occupata da indigeni che
certamente popolavano, se non proprio Capo Schisò, le alture intorno alla
punta (secondo Diodoro), noto poi come il massiccio del Tauro, da cui
avrebbe preso il nome Tauromenion (Taormina).
Naxos è
ritenuta la prima colonia greca ad essere fondata in Sicilia nel 735
a.C.
Nel 495
a.C., il tiranno di Gela Ippocrate voleva la città ma non
riuscì a conquistarla. Naxos è alleata di Atene nella guerra
contro Siracusa. Nel 403 a.C. il tiranno di Siracusa Dionisio
I distrugge la città per punirla dell'alleanza con Atene. Gli abitanti
vengono venduti come schiavi e le rovine della città vengono cedute ai Siculi.
Dopo questo evento Naxos rimane un porto commerciale, ma perde il rango di polis (città-stato).
La popolazione si trasferisce sul Monte Tauro e fonda la città di Tauromenium l'attuale
Taormina.

"Primi
fra i Greci i Calcidesi venuti per mare dall'Eubea fondarono Nasso ed
innalzarono un altare ad Apollo Archegetes..." (Tucidide, La
guerra del Peloponneso, libro VI,3,1)
I racconti
sulla composizione etnica dei coloni che fondarono la più antica città
greca di Sicilia sono molteplici e non tutti concordanti. Secondo Tucidide,
i coloni erano Calcidesi; secondo Ellanico Calcidesi e Nassi;
secondo Eforo e lo pseudo-Scimno Calcidesi, Ioni e Dori, che in
seguito a controversie si sarebbero separati, andando i Calcidesi a fondare
Naxos, i Megaresi Megara Iblea e i Dori Capo Zefirio, in Calabria.
Vi è comunque consenso sulla priorità e importanza dell'elemento calcidese,
ma la presenza di Ioni di Naxos sembra assicurata dal nome stesso dato alla
colonia. L'ecista sarebbe stato Teocle, verosimilmente calcidese e
fondatore della calcidese Leontinoi, anche se Eforo lo considera
ateniese (origine forse da attribuire alla propaganda imperialistica
periclea). I coloni avrebbero preso terra su di una spiaggia, dove eressero
un altare ad Apollo ‘Archegetes', il dio di Delo venerato anche
in Eubea, protettore dell'impresa coloniale e oggetto di culto ancora
nel V secolo a.C. da parte dei ‘théoroi', gli ambasciatori sacri che
dalla colonia si recavano in madrepatria per rinnovare i rapporti religiosi
tradizionali.
Nel 729
a.C. un gruppo di coloni fondò Katane (l'attuale Catania)
e Leontinoi (l'odierna Lentini). La città si sviluppò ed
assunse importanza tanto da attirare l'attenzione delle altre colonie greche
che si erano via via costituite in Sicilia. Nasso avrebbe fondato (secondo Strabone, Stefano
di Bisanzio, Scimno e Silio Italico) la sottocolonia di Kallipolis (un
nome attribuito all'isola greca di Naxos, secondo Plinio il Vecchio),
d'incerta localizzazione (forse l'odierna Giarre).
Nel 495
a.C. Kallipolis fu distrutta dal tiranno di Gela Ippocrate
(secondo Erodoto). Ippocrate quindi assediò Naxos, ma non riuscì ad
espugnarla. Nel 476 a.C. fu conquistata e distrutta da Ierone di Syrakousai e
gli abitanti concentrati con quelli di Katane e Leontinoi (secondo Diodoro).
Dieci anni dopo, con la caduta dei Dinomenidi, i Nassi fecero ritorno
all'antica loro sede, nella città ricostruita nel frattempo da Ierone forse
con coloni locresi (come dimostra il santuario di Francavilla
nell'entroterra di Naxos, frequentato in quest'epoca e oggetto di culto, con pinakes di
tipo locrese), secondo un piano urbanistico messo in luce dagli scavi.
Alleata di Atene durante
la guerra del Peloponneso all'epoca sia della prima spedizione
ateniese nel 427 a.C. - 424 a.C. (secondo Tucidide) che della seconda
impresa del 415 a.C.-413 a.C. (secondo Tucidide e Diodoro),
la città fu conquistata da Dionigi di Siracusa nel 403 a.C. in
seguito al tradimento di un cittadino di Naxos, Polieno, forse lo stesso che
conia le monete del tardo V secolo a.C. (secondo Diodoro e Polieno). Naxos
fu completamente rasa al suolo e gli abitanti venduti come schiavi. I pochi
abitanti che riuscirono a sottrarsi dalla vendita come schiavi tornarono
tuttavia sul posto, ricostruirono gli edifici e iniziarono a battere moneta
con il nome di Neapolis.
Nel 358
a.C. Andromaco, padre dello storico Timeo, riunì questi
superstiti nell'antico centro di Tauromenium (secondo Diodoro) che
continuò nella monetazione la tradizione della colonia calcidese (secondo
Plinio).
La memoria
dell'antico centro, tuttavia, non andò del tutto perduta: nel 36 a.C.,
le flotte di Sesto Pompeo e Ottaviano si scontrarono nelle acque circostanti
e abbiamo riferimenti sia nell'antica statua del culto di Apollo, di piccole
dimensioni, sia del culto di Afrodite (Appiano), mentre l'‘Itinerarium
Antonini' menziona una ‘mansio', un posto di cambio di cavalli, col nome
di Naxos.

La prima
colonia greca di Sicilia durò poco più di trecento anni. A causa di questa
situazione, più unica che rara, gli scavi archeologici hanno consentito di
conoscere con precisione l'urbanistica delle città arcaiche greche. Il sito
archeologico della antica Naxos insiste sulla penisola di Schisò su una
superficie di circa 37 ettari. L'insenatura esistente fra Capo Taormina e
Capo Schisò forma la baia di Naxos. Questa insenatura costituiva un riparo
naturale per le piccole e fragili navi di allora.
Le campagne
di scavo hanno consentito di conoscere la struttura urbanistica della città
arcaica. Essa si sviluppò, nella sua fase iniziale, principalmente sulla
costa e su di una estensione di circa 12-13 ettari. Nel corso degli anni la
città si allargò verso l'entroterra e furono realizzate delle mura che la
difendessero da attacchi via terra. Nelle mura, realizzate in pietra lavica
grezza, esistevano quattro porte per consentire la comunicazione con
l'esterno. Lo spessore delle mura alla base era di circa 5 metri. Dentro la
città esistevano laboratori artigianali, abitazioni, edifici pubblici e per
il culto. Le strade principali erano più larghe ed orientate secondo la
direttrice nord-sud per favorire il trasporto delle merci dal porto verso
l'entroterra.
La città
si estende sulla modica elevazione di terreno lavico di circa 700x550 m
che termina con il Capo Schisò, coprendo una superficie di 40 ettari
guarnita a nord-est da un'ampia baia, porto naturale di Naxos, e a sud-est,
e a sud-est da una lunga spiaggia, nella quale sboccano il torrente Santa
Venera presso le mura e, più oltre, ad ovest, il fiume ‘Akesines' (o
Assinos), l'attuale Alcantara. Dell'insediamento dei primi tempi della
colonia, esteso soprattutto nell'area nord dell'abitato classico, si conosce
solo una casa di 4x4 m del tipo quadrato, ben attestato a Megara
Hyblaea ma anche a Siracusa, con banchina sul lato di fondo per la
suppellettile, scoperta al centro della penisola di Schisò sotto la
‘plateia' A del V secolo a.C.
Dell'età
arcaica, fino alla distruzione del 476 a.C., sono stati individuati
alcuni tracciati stradali e abitazioni in tecnica poligonale, il ‘temenos'
all'estremità sud-ovest, nonché vari sacelli nell'abitato e
fuori: tra questi vanno ricordati quello sulla riva destra di Santa Venera,
ricco di terrecotte architettoniche (notevoli i resti di un colossale
‘gorgoneion' frontonale arcaico), con tutta probabilità da identificare
col santuario di Apollo ‘Archegetes' (alla luce di un passo di Appiano e
della verosimiglianza che la foce del fiume sia stato il luogo dell'approdo
dei primi coloni), e il tempio C, al centro della penisola di Schisò, un
‘oikos' con ante di 2,20x6,90 m, conservato nel primo filare di
blocchi e con probabile soprastrutture a mattoni crudi.
Soprattutto
notevoli sono le mura della fine del VI secolo a.C., che seguono il corso
del Santa Venera ad ovest e la linea costiera a sud, ad est e a nord-est; il
tratto più incerto è a nord-ovest, dove l'urbanizzazione moderna ha
guastato notevolmente l'aspetto originario del terreno. Sono note tre porte
sul lato ovest, due su quello sud ed una su quello nord-est; inoltre, presso
una delle porte occidentali, vi è una torre. La necropoli arcaica è
sconosciuta, tranne due tombe a tegoloni della fine del VI secolo a nord-est
della città.

Dopo la
distruzione del 476 a.C., la città fu ricostruita da Ierone stesso, o dagli
esuli al loro rientro nel 466 a.C., secondo un piano regolare basato su tre
‘plateiai', di cui quella centrale, la ‘plateia' A, ha dimensioni
maggiori (m 9,50) delle altre due, e su di una serie di strade ortogonali,
costantemente di 5 m, tranne la sesta ad ovest di misure più grandi
(6,50 m). Ne risulta un impianto con isolati orientati
nord-est/sud-ovest di 175x39 m, ad eccezione di quelli la cui normale
lunghezza è stata impedita da irregolarità del terreno o dalla presenza
del ‘temenos' arcaico, rispettato nella ricostruzione. Negli isolati
regolari è osservata una divisione in quattro (invece della normale
bipartizione) nel senso della lunghezza: ogni striscia comprendeva 12 lotti
di 9x12 m, con case di dimensioni un po' più limitate quindi rispetto
alle altre città siceliote.
Caratteristica
di questi isolati è la presenza, agli incroci fra le ‘plateiai' e le
strade ortogonali, costantemente sul lato orientale, di basamenti
quadrangolari (m 1,50x1,25), in origine sormontati da lastre di 0,80 m,
sulla cui funzione sono state fatte varie ipotesi: si è pensato che fossero
‘horoi' o cippi di delimitazione degli isolati sul tipo di quelli usati
dall'urbanista Ippodamo di Mileto nella ricostruzione del Pireo;
ovvero altari destinati a sostituire precedenti sacelli arcaici distrutti a
rappresentare culti che esprimevano la solidarietà degli abitanti
dell'isolato, a mo' dei ‘compita'; o altari d'incrocio o di quartiere,
noti nella tradizione romana.
Altro dato
notevole di questa fase è la presenza di numerose officine di vasai e di
coroplasti all'interno e all'esterno della città: ne sono note alcune
nell'abitato (due nel ‘temenos' sud-occidentale), ma il grosso si situa in
aree extra-urbane, sul versante sud-ovest, tra il Santa Venera e
l'Alcantara, e soprattutto a nord-est, al centro dell'attuale abitato di Giardini-Naxos (sotto
lo svincolo autostradale), con tre fornaci e vasche per la decantazione
delle argille e stradine di raccordo tra i vari forni.

La
necropoli classica è a metà strada tra il Santa Venera e l'Alcantara, con
tombe alla cappuccina contenenti modesta suppellettile. L'abitato databile
fra la distruzione del 403 a.C. e lo spostamento definitivo della
popolazione è costituito da abitazioni sparse soprattutto lungo la linea
costiera, e le sue necropoli sono state identificate presso la riva destra
del Santa Venera, dove sorgevano sacelli d'età arcaica, e nell'attuale
cimitero di Giardini. L'occupazione romana in relazione alla ‘mansio' è
suggerita da grandi depositi di anfore d'epoca tardo-imperiale.
L'area
archeologica comprende il ‘temenos' sud-occidentale, tratti delle mura e
dell'abitato. Il ‘temenos', assai esteso, è il primo santuario noto delle
colonie calcidesi di Sicilia. Il muro di recinzione, costituito da una
struttura poligonale, a volte con blocchi di dimensioni ciclopiche, presenta
due aperture principali, veri e propri propilei, entrambi coperti con
tegole e terrecotte architettoniche; quello settentrionale, più piccolo, ha
porta e controporta. Tutto il ‘temenos', sorto nel VI secolo a.C. a
cingere un'area sacra più antica e poi inserito nella cinta difensiva
urbana, venne così a costituire una sorta d'acropoli della città, e
il propileo nord assunse la funzione d'ingresso monumentale dell'abitato,
mentre il propileo sud finì col diventare una vera e propria porta urbica.
All'interno
sono noti due templi; all'estremità nord-est dell'area è il tempio più
importante, identificato con buoni argomenti con l'Aphrosidium noto da
Appiano, che presenta due fasi, una solo parzialmente nota del VII secolo
a.C. e un'altra dell'iniziale V secolo, rappresentata da un ‘oikos' di
38x16 m, ricostruito forse in occasione della grande ristrutturazione
urbanistica regolare, di cui fedelmente ripete l'orientamento (diverso da
quello del precedente tempio). All'estremità opposta dell'area si trovava
un alto sacello arcaico (non visibile), mentre l'esistenza di altri edifici
minori (templi o ‘thesauroi', non si sa) è suggerita da terrecotte
architettoniche con antefisse a testa silenica.

Nella
medesima area, a sud-ovest del tempio maggiore, è un altare quadrangolare
con tre gradini sul lato ovest, realizzato in testa poligonale, mentre
numerose stele o piccoli altari con residui di sacrifici guarnivano il
santuario, oggetto d'intenso culto tra il VII e il Vi secolo, come
dimostrano i numerosi materiali votivi rinvenuti, terrecotte, statuette,
ceramiche locali e armi. Lungo il muro del temenos sono stati raccolti
abbondanti resti delle terrecotte architettoniche dei templi, che hanno
permesso di ricostruire la decorazione degli edifici, la più significativa
delle quali è quella pertinente al tempio maggiore, con un insolito antemio
plastico a palmette e fiori di loto.
Sempre
nell'area sacra sono due fornaci, una circolare per vasi, una rettangolare
per tegole, appartenenti al santuario e funzionanti per le necessità
cultuali e per la manutenzione degli edifici.
Usciti
attraverso il propileo nord si possono visitare gli isolati adiacenti, con
la già ricordata partizione in unità abitative assai limitate, costituite
in genere da un piccolo cortile d'accesso e piccoli ambienti ai lati.
Usciti
dalla porta urbica adiacente al ‘temenos', si segua il muro di cinta fino
alla porta ovest. Il muro, eseguito con tecnica più rozza di quello del ‘temenos',
con massicci blocchi grossolanamente sbozzati, ha doppio paramento ed è
spesso 4,60 m (ciascun paramento misura in media 1,80 m), con
riempimento di pietrame a secco; la porta, guarnita a sud dall'unica torre
nota della cinta (assai mal conservata), ha una luce di oltre 2,50 m.
Dagli scavi
è emerso che alla fine del VI secolo a.C., la città di Naxos batteva
monete d'argento segno di una società sviluppata.
|