Un
alone di mistero accompagna la nascita di Novara
di Sicilia, borgo tra i più belli d’Italia distante circa 70
chilometri da Messina e molto vicino alla costa settentrionale
dell’isola.
Leggenda
vuole che il piccolo paese, sorto nel punto in cui i monti Nebrodi incontrano
i Peloritani, fosse abitato dai Ciclopi e che, solo in un secondo
momento, si fosse sviluppato il centro abitato per volontà dei Saraceni,
che vi costruirono un castello.
Le
origini preistoriche di Novara di Sicilia sono documentate sia dai
ritrovamenti nella contrada Casalini che dalle rudimentali abitazioni
scavate all’interno della roccia Sperlinga presso San Basilio. Uno scritto
dl Bernabò Brea del 1948 documenta il ritrovamento di un riparo sotto tale
roccia dove è stato rinvenuto un notevole numero di frammenti di ceramica e
di vasi, oggi custoditi nel museo di Lipari; il riparo (era mesolitica
siciliana) per l’importanza dei reperti rinvenuti costituisce una notevole
unità archeologica. Per tale motivo la Soprintendenza ha sottoposto a
vincolo archeologico l’intero complesso.
Tra
storia e leggenda si ha motivo di ritenere che oltre 2000 anni prima di
Cristo, in contrada Grottazzi, tutt’ora esistente, abitassero i Ciclopi.
Nella contrada Casalini certamente ebbe origine l’antica Città di Noa, i
cui abitanti da Plinio furono chiamati Noeni; la città raggiunse il suo
massimo splendore in età greco-romana, ma in seguito è stata danneggiata
dal terremoto, che tra il 24 e il 79 d.c. distrusse anche Tindari.
Successivamente il territorio fu abitato e fortificato dai Saraceni, che
costruirono uno spazioso Castello del quale si possono ancora ammirare i
ruderi dell’intero complesso edilizio dichiarato di Interesse Storico ed
Architettonico particolarmente importante.
Le
tracce dell’antico Monastero cistercense (sec. XII) di Vallebona, a 5
chilometri dalla città, sono segni evidenti della notevole importanza che
esso ha avuto per la storia di Novara. Dell’intero complesso monastico,
primo del genere in tutta la Sicilia, insieme ai ruderi resta la Regia
Chiesa Abbaziale di Santa Maria La Noara, fondata col monastero da Ugone
Cistercense, mandato in Sicilia, per pace fatta tra il regno di Sicilia e il
papato, appositamente da San Bernardo di Chiaravalle del quale era stato
discepolo. Il Monastero fu abitato fino al 1659, dopo di che i monaci
bianchi si sono trasferiti in un nuovo monastero fondato in Novara Centro.
L’area
prescelta fu quella su cui oggi insistono l’attuale chiesa abbaziale di S.
Ugo e l’Istituto Antoniano del Santo Annibale Maria di Francia, su un
piccolo promontorio.
La
Chiesa custodisce insieme al Corpo del Santo anche le reliquie - che Egli
aveva portato con se, venendo a Novara - sistemate in un artistico e
sontuoso reliquiario ligneo (in via di restauro) che è tra i più pregiati
di Sicilia per la bellezza della struttura e per il numero e la preziosità
delle reliquie che contiene (se ne contano oltre 100: le più importanti
sono quella della Croce di Cristo e le “Arche di S. Ugo”).
Il
Castello di Novara e l’Abbazia Cistercense di Vallebona costituirono i
centri, l’uno civile e l’altro religioso, della Novara Medievale. Il
Borgo raggiunse il suo massimo sviluppo nel secolo XVII, periodo in cui fu
edificato quasi tutto il tessuto edilizio conservato fino ad oggi.
L’antico insediamento dell’attuale Novara ha avuto origine accanto alla
rocca del castello, sull’asse del Passitto che collegava la porta
Occidentale della fortezza alla quota sottostante (attuale piazza Duomo); in
seguito continuò a svilupparsi seguendo l’andamento morfologico del sito,
segnato da pendenze e scoscesità. Il tessuto dell’abitato di Novara è
caratterizzato da semplici elementi che lo configurano come un tipico
insediamento medievale siciliano: le strade, di cui alcune deturpate e altre
restaurate, sono per lo più pavimentate con acciottolato stretto tra due
file continue longitudinali di pietra arenaria locale; esse contribuiscono a
valorizzare l’architettura del centro storico.
La
pietra locale, che sul territorio affiora un po’ dovunque, è stata
utilizzata nell’architettura civile e con elaborazioni di grande pregio
artistico nell’architettura religiosa. La notevole quantità di elementi
architettonici realizzati in pietra arenaria o in pietra rossa marmorea
(cipollino), anch’essa locale, presenti in tutte le chiese del comune,
testimoniano l’importanza a Novara dell’arte dello scalpellino che si
tramandava da padre in figlio. Dopo una deplorevole pausa in coincidenza con
l’avvento del cemento, “il nobile mestiere” da alcuni anni è stato
ripreso e sono apprezzabili i risultati.
Visitare
il borgo
Il
borgo sorge sulla pendice della montagna da cui si scorge l'antica Tindari,
a valle di uno sperone di roccia, la Rocca Salvatesta, che raggiunge i
1 340 m.
L'arenaria
è stata utilizzata nelle costruzioni civili e con elaborazioni di grande
pregio in quelle religiose, dove sono presenti anche molti elementi
architettonici realizzati in cipollino, un'altra pietra locale, rossa e
marmorea. L'uso della pietra, che sul territorio affiora un po' ovunque,
testimonia l'importanza dell'arte dello scalpellino.
Il castello
di Novara, di cui oggi restano i ruderi, era situato su una rupe a
strapiombo.
La
via Dante Alighieri collega l'area del Castello al sottostante duomo di
Santa Maria Assunta (secolo XVI), raggiungibile anche
percorrendo la via lastricata che inizia dalla piazza principale. La chiesa
presenta una facciata con un'ampia scalinata; l'interno è a tre navate
delineate da colonne monolitiche in pietra. L'abside ospita un coro ligneo
settecentesco, e all'interno vi sono l'altare del Sacramento in marmo
intarsiato a smalto, il battistero in marmo cipollino locale sormontato da
una cupoletta in legno, la statua dell'Assunta e il grande crocifisso in
legno.
Più
raccolta è la chiesa di San Francesco del secolo XIII, la
più antica e piccola del borgo: francescana, appunto, con un tetto-soffitto
di arte povera. Nel quartiere intorno alla chiesa sorge Villa Salvo,
con lo stemma del casato. Poco distante si trova la chiesa
dell'Annunziata (secolo XVII) a tre navate con colonne in pietra a
sezione quadrata, e ospita al suo interno un organo a canne del ‘700 e il
gruppo gaginesco dell'Annunciazione: tre statue in marmo pario decorato,
scolpite nel 1531 dal toscano Giovanbattista Mazzola.
Nella
parte alta del paese sorge la chiesa di sant'Ugo abate (secolo
XVII). Costruita con il
monastero cistercense, in seguito distrutto, conserva un reliquario ligneo,
la giara di sant'Ugo (in realtà un vaso arabo), un crocifisso ligneo e un
dipinto su tavola dello Statera, L'Annunciazione (1570).
Al
centro del paese è situata la chiesa di San Nicolò (secolo XVII),
in cima a una gradinata in pietra. Nella parte bassa del borgo si trovano
invece le chiese di San Giorgio Martire e Sant'Antonio Abate,
entrambe a tre navate. La
prima, secentesca, poi adibita ad auditorium, presenta sulla facciata
principale un gioco di rimandi con il colonnato interno su cui poggiano i
tetti e soffitto centrale a cassettoni.
Tra
i tanti edifici civili di rilievo il palazzo municipale (ex Oratorio
di San Filippo Neri), il Palazzo Stancanelli che si affaccia sulla
piazza principale e il Palazzo Salvo Risicato.
A
valle del duomo si conserva Casa Fontana, edificio del Settecento
avvolto da una cortina muraria seicentesca che ingloba caratteristiche
bucature impreziosite da elementi scolpiti nella pietra arenaria. Il teatro
comunale, intitolato al musicista novarese Riccardo Casalaina, presenta
dopo il restauro una facciata decorata con scorniciati di pietra e,
all'interno, tre livelli di palchi sistemati ad anfiteatro.
A
5 km da Novara resiste l'abbazia di Santa Maria La Noara fondata
nel secolo XII da Sant'Ugo Abate sotto re Ruggero II, prima edificazione
cistercense in Sicilia. In essa sono presenti molti segni dell'architettura
specifica dell'ordine dei monaci cistercensi, improntata alla sobrietà.
All'interno sono visibili archi scarni e, accanto all'altare, una porta in
pietra, alta, segno della presenza di un antico torrione normanno.
Castello

Su
una rupe che sovrasta il centro storico e che domina la vallata del Mazzarrà,
posto a cavaliere della fiumara di San Giorgio, sorge il Castello
di Novara, un maniero che doveva avere un’importanza fondamentale
dal punto di vista difensivo e militare, date le evidenti reciprocità
visive con i castelli di Tripi e di Tindari, e con le rocche Salvatesta (o Rocca
Novara) e Leone che dominano il paese e l’intera vallata.
I
ruderi del Castello di Novara di Sicilia si ergono a settentrione della
Rocca Salvatesta e Rocca Leone, dominando tutta la vallata del torrente San
Giorgio.
L'edificio
fortificato è ubicato nel quartiere omonimo, alle spalle del duomo di Santa
Maria Assunta, e da esso è possibile godere di un panorama che spazia dal
promontorio di Tindari a tutto il percorso del torrente Mazzarrà fra i
Peloritani.
Si
ritiene che il primo nucleo fortificato fu costruito dai Goti nel V secolo.
L'attuale edificio risale all'827, fu edificato dai saraceni che fecero del
castello il nuovo centro della vita civile: prima di allora tutte le attività
ruotavano attorno alla fortificazione di contrada Casalini, abitata fino a
tutta l'epoca bizantina.
Il
castello passò sotto il potere di una colonia di lombardi, aleramici, di
religione cattolica di rito latino al seguito di Ruggero I d'Altavilla e nel
1171 venne fondata l'abbazia di Santa Maria Nucaria, prima edificazione
dell'ordine cistercense in Sicilia. Questa colonia di Lombardi ha lasciato
un’impronta Gallo-Italica ancora oggi presente nel dialetto Novarese.

Del
castello, che aveva due grandi porte
d’ingresso, una a levante e l’altra a ponente, restano solamente
spesse mura, realizzate con tecnica ‘a sacco’ e con l’utilizzo di
malta idraulica, le quali formano quella che probabilmente era una torre o
un mastio
rettangolare.
Il
castello, che aveva pianta irregolare, era sicuramente recinto da una cortina
muraria di cui rimangono solo alcune tracce, dati i numerosi
crolli avvenuti ed i lavori per la sistemazione di un locale di ristoro
nell’area circostante. La tradizione vuole che la torre, utilizzata anche
come carcere, possedeva una lapide
marmorea avente una scritta in arabo, la quale andò a finire
nella frazione Scala di Patti, al Palazzo del Barone Sciacca. Ciò fa
presumere che il castello, o almeno il nucleo originario che lo costituiva,
sia molto più antico di quanto si pensi, e probabilmente rimonta
all’epoca dei Saraceni.
Del
castello oggi rimangono solo pochi ruderi: sono presenti i resti di uno dei
quattro torrioni che originariamente componevano il castello. Il castello è
andato distrutto a seguito di frane e terremoti ma anche per il fatto che,
in passato, le pietre che lo componevano sono state utilizzate per la
costruzione delle abitazioni del borgo. Sulla facciata di una torre del
castello era un tempo collocata una lapide con antiche incisioni che oggi è
esposta a Scala di Patti nel museo del Barone Sciacca.
Duomo

E’
una Chiesa di notevole bellezza e di grande importanza per ampiezza,
architettura, armonia di linee, arditezza di cupola, profusione di marmi,
elementi decorativi e preziose dotazioni. Di stile corinzio, maestosa, a tre
navate in forma di croce latina, con dodici colonne, la Chiesa, dedicata
all’Assunta, testimonia la fede, il sacrificio e l’arte di tante
generazioni di persone. La costruzione dei muri, la collocazione delle
colonne e la messa in opera degli altari è avvenuta lentamente nell’arco
del XV secolo.
Precedentemente
al 1400, nella zona della navata di sinistra sorgeva, di dimensioni modeste,
la prima Chiesa del nuovo paese arroccato attorno al Castello. La parte
decorativa è stata portata avanti gradatamente fino al sec. XIX e
modificata poi nel 1948 a seguito degli eventi bellici. Le severe colonne
monolitiche dai capitelli corinzi, le arcate e tutti i manufatti in pietra
arenaria locale, che trionfano sulla monumentale facciata, sono opera dei
valenti scalpellini novaresi.
Il
campanile, a torre tozza, realizzato durante il XVIII sec. è stato
modificato con la sopraelevazione della guglia nel 1948. Esso ospita due
ordini di campane.
Il
complesso edilizio è stato colpito almeno sei volte dai vari sismi che si
sono succeduti a partire dal 1693 sino al 1908: particolarmente gravi sono
stati i danni riportati nel 1786 e nel 1908. Sempre, il Duomo è stato
riparato e ogni volta ha conservato la secolare maestosità.

Contribuiscono
a dare magnificenza al sacro edificio dodici altari marmorei: quasi in tutti
è presente il “cipollino” estratto dalle cave locali. L’altare
maggiore, dai bassorilievi raffiguranti simboli biblici, troneggia nel
presbiterio dando alla Chiesa la dignità di Basilica. Adornano l’abside
un Coro ligneo a intagli (XVIII sec.), i quadri dello Spasimo o Caduta di
Cristo di Antonio Catalano (1598), della Vergine del Carmelo (XVII sec.), di
San Michele Arcangelo (1737), di Santa Venera del Cardillo (1607) e una
grande tela dell’Assunta Incoronata Regina di Giuseppe Russo (1805). La
Cappella del SS. Sacramento custodisce un altare (XVII sec.) dai marmi
pregiati e dai policromi smalti dove, oltre alle artistiche lavorazioni,
spiccano le statue dei Santi Pietro e Paolo e vari bassorilievi di buona
fattura.
In
fondo alla navata di destra vi è la Cappella della Madonna rivestita da
marmi colorati e decorati, disegnata dall’Ing. Michele Scandurra (XX
sec.). In essa domina la splendida statua della Vergine Assunta, Protettrice
Principale del paese, opera lignea (1764) dello scultore napoletano Filippo
Colicci. La statua fu donata da don Mario Sofia, notabile rappresentante
della famiglia Sofia, al popolo novarese. Il simulacro aveva dei colori
diversi da quelli attuali, frutto di un successivo intervento di restauro
intorno al 1932. Il manto era di colore azzurro, mentre la veste era di
colore rosaceo su cui si ripeteva come motivo una “S” stilizzata,
iniziale del cognome del donatore.
Nella
stessa navata si possono ammirare il dipinto di San Giovanni Battista
(1778), la luminosa statua lignea di San Michele Arcangelo (1864) di
Vincenzo Genovese, il quadro della Vergine del Rosario (1889), il quadro di
S. Anna attribuito al Cardillo (XVII sec.), la statua marmorea di San Biagio
V. M. (1711) e la statua lignea di San Sebastiano M. (1500) proveniente
dalla demolita omonima Chiesa.
Nella
navata di sinistra sono in venerazione il quadro delle Anime Purganti, il
quadro dell’Agonizzante (1756), la statua di Maria del Carmelo (1886) del
prof. Genovese, il quadro di S. Ugo Patrono che venera M. Immacolata (1862)
di Salvatore Gaggiano, la statua lignea di San Filippo d’Agìra (1721), il
SS. Crocifisso, antica opera lignea e la statua dell’Addolorata (1854) del
prof. Bagnasco (ex Chiesa San Sebastiano).
Entrando
nella Chiesa a destra, trovasi il Battistero, costruito sull’area
dell’antico campanile. Il tempietto, oltre al grande fonte battesimale in
marmo cipollino, sormontato da un ligneo padiglione, provvisoriamente
custodisce il gruppo marmoreo dell’Annunciazione di G. B. Mazzolo (1531),
migrato dall’omonima Chiesa in atto inagibile.
Nella
sacrestia, arredata da tre grandi, artistici armadi lignei (1700), si
conservano: Il dipinto su tavola, raffigurante la scena dell’Annunciazione
del Signore, dell’artista veneto Francesco Stetera (1570) proveniente
dall’Abbazia di Santa Maria La Noara, il dipinto ritenuto il vero ritratto
di S. Ugo Abate Patrono, un grande Crocifisso ligneo (1865) del prof.
Genovese, proveniente dalla demolita Chiesa di San Sebastiano e altri quadri
di valore.
Sotto
l’abside esiste una Cripta, utilizzata sino agli inizi del 1900, che
accoglie i resti mortali degli arcipreti, dei canonici e dei vicari foranei:
resistono al tempo alcuni corpi mummificati.
Il
Museo all’interno del complesso del Duomo custodisce parte della dovizia
di argenti, ori e paramenti sacri in dotazione della Parrocchia, preziosi
soprattutto per la valenza storica e artistica, la giara di S. Ugo, un
grande turibolo bronzeo a forma di campanile gotico con figure a sbalzo,
provenienti questi ultimi dalla antica Abbazia di Santa Maria La Noara (XII
sec.) e altri oggetti d’arte.
Chiesa
Maria SS. Annunziata

La
data (1697) riportata sul frontone della porta maggiore segna il rifacimento
dell’edificio che certamente è più antico, dal momento che nel ‘500 in
questa Chiesa era attiva una congrega e che il gruppo “gaginesco”
dell’Annunciazione ivi venerato è stato scolpito da Giovambattista
Mazzolo nel 1531.
Nella
Chiesa, a tre navate disegnate da due ordini di colonne a sezione quadra,
sono presenti sette altari. Le colonne e gli archi che le sormontano, tutti
in pietra locale, non mostrano la loro originaria bellezza perché nel 1873
sono stati coperti con stucchi, in occasione della costruzione delle volte
in gesso. L’insieme dei nuovi decori, comunque, è apprezzabile perché dà
alla Chiesa un particolare splendore.
Nel
corso della seconda guerra mondiale un ordigno ha danneggiato gravemente il
tetto della Chiesa che la pietà dei fedeli ha subito riparato. Oltre al
gruppo marmoreo dell’Annunciazione (tre statue, di cui quella
dell’Eterno Padre murata in sommità alla cappella) collocato all’altare
maggiore, impreziosito questo da smalti pregiati, la Chiesa ospita un bel
Crocefisso ligneo, le statue dell’Addolorata e di San Sebastiano (1500),
anch’esse in legno, migrate dalla Chiesa dedicata a quest’ultimo, la
statua di S. Antonio di Padova (1600), la statua di S. Rosalia e ancora due
tele raffiguranti, una la Strage degli Innocenti e l’altra S. Girolamo
insieme a S. Agata Martire, all’Arcangelo Raffaele e Tobia (Giuseppe Carta
1883).
La
Chiesa è dotata di un artistico organo a canne (1700). Una scala a
chiocciola di 48 gradini in pietra conduce sulla torre accanto alla Chiesa
ove la presenza di una delle tre campane con incisi caratteri bizantini in
uso prima del 1400 segna l’epoca della costruzione che, peraltro, ha
l’aspetto di un torrione arabo. Il sacro edificio è sede della
Confraternita di S. Antonio di Padova. In atto la Chiesa è chiusa al culto
per le cattive condizioni del tetto: pertanto, il Crocefisso e tutte le
statue sono in venerazione nel Duomo.
Chiesa
San Giorgio

La
Chiesa a tre navate, con 12 colonne monolitiche in stile corinzio, è stata
eretta in onore di San Giorgio, protettore speciale dei Normanni che ne
hanno introdotto il culto in Novara.
L’originaria
Chiesa, forse costruita dagli stessi Normanni, è certamente preesistente al
1479. Nel XV secolo presso di essa era attiva la Confraternita di San
Giorgio Patrono.
La
facciata presenta tre portali di bella e artistica fattura che rispecchiano
la sontuosità degli interni. Colonne, capitelli, arcate, fregi e decori
sono in pietra arenaria locale, ad eccezione degli elementi dei due altari
laterali realizzati in stucco, di stile tardo barocco.
I
soffitti sono in legno e formano un tutt’uno coi tetti; quello centrale a
cassettoni, distrutto dal tempo e sostituito con una volta in gesso, nel
1985 è stato ricostruito, così com’era in origine, dal maestro artigiano
novarese Carmelo Alula. Le travi dei tetti sono sorrette da mensole in legno
(cagnò) ricche di decorazioni ad intaglio che raffigurano misteriosi
personaggi.
Nel
muro arcuato dell’abside vi sono quattro nicchie con le statue in stucco
dei Santi: Gelasio, Guglielmo, Giovanni di S. Facondo e Tommaso da
Villanova, segno eloquente della presenza degli Agostiniani Scalzi che
custodirono la Chiesa insieme all’attiguo Convento, dal 1670 fino
all’epoca dell’incameramento dei beni ecclesiastici.
Il
Convento fu dichiarato Casa di Priorato l’anno 1686. Al centro della
navata maggiore vi era la sepoltura dei Fratelli e delle Sorelle della Buona
Morte, una delle tante Pie Congreghe del paese. L’edificio è opera dei
maestri scalpellini e degli artigiani novaresi.
La
Chiesa, chiusa al culto nel 1963, per mancata manutenzione, è stata
successivamente danneggiata da saccheggiatori e da ladri. Dopo
i lavori di restauro (1978-1986) che le hanno restituito l’antico
splendore, la Chiesa è stata adibita ad Auditorium.
Chiesa di
San Nicolò
La
costruzione dell’edificio di culto è stata ultimata nel 1600, come
rilevasi dalla iscrizione sul portale maggiore (Diss. Chs. Societ.
1600).
La
Chiesa si affaccia sul corso del paese: conduce all’ingresso principale
una monumentale gradinata in pietra che, insieme alle due colonne del
portale, alle istoriazioni e ai decori del prospetto, dà all’edificio uno
slancio elegante e armonioso.
Esso
è ad unica navata che culmina nell’abside a forma di prua. In essa
troneggia una bella statua in legno dell’Immacolata, ascrivibile al 1700.
Anche l’artistico coro ligneo ivi collocato è stato costruito nel XVIII
secolo. Nel lato sinistro, trovano posto in apposite nicchie la statua di
Santa Rita da Cascia, opera in legno dello scultore novarese L. Prestipino e
la statua di S. Rocco (1500); sul tratto finale della stessa parete si apre
la Cappella del Crocifisso, pregevole per i suoi ornamenti barocchi in gesso
ma soprattutto per la cinquecentesca statua in legno del Cristo dai chiodi
d’oro appeso a una artistica croce a raggiera. La statua viene portata in
processione su un’alta croce - che un tempo raggiungeva i 21 metri - il
Venerdì Santo e nelle grandi calamità, quando in modo particolare viene
sperimentata la “miracolosità” della Sacra Immagine.

Simmetrica
a tale Cappella vi è quella di San Giuseppe, Sposo di Maria Vergine. In
essa si venera la meravigliosa statua in legno del Santo, scolpita in
Messina nel 1768, dall’artista napoletano Filippo Colicci che pochi anni
prima aveva arricchito il popolo di Novara con l’incantevole simulacro
dell’Assunta, protettrice della città. La statua di San Giuseppe è
fortemente espressiva: pare voglia parlarti mentre conduce per mano il
Bambino Gesù; molto riuscito è il panneggiamento del manto e della veste
che insieme alle fattezze del corpo sottolineano i tratti orientali.
Sulla
stessa parete destra, accanto all’ingresso secondario, sorge l’altare di
San Nicolò: qui è collocato un dipinto del S. Vescovo, nell’atto di
benedire il popolo. Il dipinto risale all’epoca di costruzione della
Chiesa (1600). Superiormente all’ingresso principale trovasi una bella
cantoria in legno ove spiccano pannelli variopinti; in essa si conserva un
artistico organo a canne del 1700.
A
sinistra di chi entra, una porta in legno pregiato con sbalzi e fregi dà
l’accesso all’Oratorio della Confraternita della Concezione, fondata nel
1613 e denominata “Sciapica”, tutt’ora attiva. Nel seminterrato sotto
l’Oratorio, trovasi una cripta nelle cui pareti sono ricavati avelli
aperti in pietra “gaitte” dove venivano collocate le salme mummificate
dei notabili del paese. Nell’austera aula sepolcrale è venerata la statua
di Gesù Morto.
La
sacrestia custodisce un grande armadio ligneo del 1600, nel quale è
incastonato un dipinto della Vergine Immacolata; il mobile di notevole
pregio artistico è sormontato da un antico Crocifisso. Dopo una accurata
opera di restauro da parte del Servizio Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina,
che ha rimesso in evidenza molte artistiche strutture in pietra, nel 2001 la
Chiesa ha ritrovato l’originaria luminosità che affascina il visitatore. In
questo luogo sacro S. Annibale Maria Di Francia ha elevato le lodi a Dio.

Chiesa
di Sant'Ugo
La
Chiesa, di regio patronato, era parte integrante del Monastero Cistercense
eretto dai Monaci Bianchi nel 1659, dove si trasferirono dal Cenobio di
Vallebona, voluto da Ruggero II e fondato dall’Abate Ugo. Sulle rovine del
secondo Monastero, nel 1927 sorse qui l’Orfanotrofio Antoniano Femminile
per volontà dell’arciprete mons. Abbadessa e ad opera di S. Annibale
Maria Di Francia.
L’edificio
sacro, grande e ad unica navata, oggi dedicato a Sant’Ugo Abate Patrono
Secondario del paese, ha cinque altari. Esso custodisce oggetti di notevole
valenza storica e di gran pregio artistico che in gran parte appartennero
all’Abbazia di S. Maria La Noara, prima fondazione cistercense in
Sicilia:
 -
un dipinto su tavola, raffigurante la scena dell’Annunciazione del
Signore, dell’artista veneto Francesco Stetera, realizzato nel 1570. - un
grande Crocifisso ligneo risalente al 1300.
-
un pregevole Reliquiario ligneo (1700), fra i primi di Sicilia, che si
innalza sulla parete sinistra e che espone alla venerazione circa 130 Sacre
Reliquie; tra esse una spina della Corona di Gesù, un pezzetto di Legno
della S. Croce, una Pietra del S. Sepolcro, sangue e ossa di Martiri, oltre
al Cranio, alle Ossa e ai Guanti di S. Ugo. In una nicchia del Reliquiario
erano nascoste tre cassettine, una in legno e due eburnee, scrigni preziosi
e rari, opera dell’artigianato islamico (XII sec.), denominate le arche di
S. Ugo, secondo la tradizione usate dal Santo per trasportare alcune delle
Sacre Reliquie nel viaggio alla volta di Novara.
-
la Giara di Sant’Ugo: un vaso arabo ispano (XI secolo), di bellissima
fattura, pregevolissimo, a bocca esagonale, utilizzato dal Santo quale
contenitore dell’acqua purificatrice per ottenere dal Signore conversioni,
guarigioni e grazie.
-
un turibolo bronzeo di elegante fattura, di stile gotico, per decenni
impropriamente adibito a fontana; ha la forma di un campanile gotico a
caratteri bizantini e reca l’iscrizione: “Ave Maria Gratia Plena Dominus
Tecum”. E’ stato restaurato negli anni novanta del XX sec. a cura del
Servizio Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina. - un dipinto ad olio ritenuto
il vero ritratto di Sant’Ugo Abate, restaurato nel 1990.
-
il fercolo settecentesco, manufatto di notevole pregio artistico, su cui si
portano in processione le Sacre Reliquie del Patrono; è stato restaurato
nel 1997 a spese del Comune. In questo luogo sacro, davanti alle Reliquie di
S. Ugo ha pregato il can. Annibale Maria Di Francia oggi asceso agli onori
degli altari. La Chiesa, in corso di restauro, è chiusa al culto. Molte
delle opere descritte possono essere ammirate presso il Duomo.

Chiesa
di San Francesco di Assisi
E’
la Chiesa più antica della città, annessa a quanto resta del Conventino
che fu dei Frati Minori Conventuali dal 1237 al 1652. S. Antonio di Padova
nel recarsi a Patti transitava per Novara ove “dispose le cose” per
l’erezione del Convento e della Chiesa.
Alcune
finestre e due portali della Chiesa danno contezza dell’epoca della
costruzione. Nell’unica navata vi sono sei altari. Sull’altare maggiore,
coperto da marmi nel 1884, si venera un crocifisso ligneo che risale al
tempo dei frati.
A
destra di chi entra dalla porta maggiore vi sono tre cappelle; nella prima
è la statua di S. Gregorio Magno venerata un tempo nella sua Chiesa oggi
inglobata nella struttura sanitaria, nella seconda è la statua in legno di
S. Lucia, scolpita in Roma dal novarese Salvatore Buemi nel 1904, nella
terza è la statua lignea di S. Francesco ascrivibile al sec. XV. A sinistra
di chi entra trovansi l’altare della Madonna della Consolazione ove si
venera una statua in legno della Vergine (1700), migrata qui con la omonima
Confraternita dall’Oratorio che sorgeva accanto alla Chiesa di S. Giorgio
e l’altare dei Santi Pasquale e Felice raffigurati, su una antica tela
logorata, nell’atto di venerare la Vergine che appare in alto col Bambino
e con San Giuseppe, gloriosa tra gli angeli del cielo.
Nonostante
alcune trasformazioni subite nei secoli, la Chiesa conserva l’originaria
austerità scandita dall’arco arabo in pietra posto tra l’aula e il
presbiterio e dal tetto in legno: semplice orditura che ammanta 9 capriate
poggiate su mensole dalle “facce umane”. La Chiesa, l’ultima volta, è
stata restaurata negli anni novanta e riaperta al culto il 7 gennaio 1996.
L’attuale disposizione delle immagini risale a tale data.
Chiesa
di Sant'Antonio Abate
L’intero
complesso iniziato nel 1400 è stato ultimato nel 1600 ad opera e per
devozione dei fedeli. Di pregio è il portale della Chiesa con l’arco a
sesto acuto di stile normanno e con due capitelli su cui figurano a sbalzo
S. Paolo Apostolo e S. Antonio Abate.
La
Chiesa è a tre navate, distinte l’una dall’altra da due ordini di
colonne monolitiche nel numero di 10. Le colonne dai fini capitelli, gli
archi, i decori interni ed esterni, i fregi, tutti in pietra arenaria
locale, sono opera degli infaticabili, ingegnosi scalpellini novaresi, veri
e propri artisti.
La
volta della navata centrale, posticcia, nasconde il tetto a capriate in
legno ove sono presenti mensole raffiguranti maschere e personaggi. Sei
altari laterali fanno corona a quello centrale su cui troneggia una tela
secentesca raffigurante S. Antonio Abate in dolce colloquio con S. Paolo di
Tebe. Accanto ad esso, a sinistra, sorge l’altare su cui si venera una
statua lignea di S. Antonio Abate ascrivibile al 1600, datata 1738 (anno di
un primo restauro); a destra l’altare di S. Francesco di Paola su cui si
venera la statua lignea del Santo calabrese scolpita dal Cardella ad
Agrigento nel 1872: per la dolcezza dell’espressione e per i movimenti
delle linee è una delle raffigurazioni più belle dell’arte sacra.
Nell’angolo
sinistro del transetto trovano posto un grande Crocifisso ligneo, la statua
lignea di S. Marco Ev. (1500) e la statua in cartapesta di S. Giorgio M.,
tutti qui migrati dalla Chiesa dedicata a quest’ultimo, allorquando (1986)
la stessa è stata adibita ad Auditorium.

Il
primo altare della navata di destra ospita la statua di S. Caterina V. M. di
Alessandria proveniente dalla Chiesa distrutta a Lei dedicata; sul secondo
altare di tale navata si venera un quadro raffigurante l’atroce martirio
dell’Apostolo S. Bartolomeo, dipinto nel 1834 da Gaetano Bonsignore.
Nella
navata sinistra si venerano una statua in cartapesta di Gesù alla colonna e
un luminoso dipinto raffigurante la discesa dello Spirito Santo sulla
Madonna e sugli Apostoli in preghiera. Arricchisce la Chiesa un’altra
tela, la Madonna dell’Itria, restaurata dal prof. Angelo Cristaudo nel
2004, posta all’entrata di destra, venerata alcuni secoli or sono nella
Chiesa di S. Giovanni Battista.
Nell’angolo
destro del transetto sorge la cantoria dotata di un organo a canne costruito
nel 1848 a Messina da Antonio Rizzo. In sacrestia si possono ammirare un
artistico armadio in legno e una piccola fontana in marmo del 1506
proveniente dall’antico Monastero Cistercense di Vallebona.
L’elegante
campanile è formato da una torre quadrangolare merlettata, sormontata da
una guglia rivestita di mattoni colorati. La sua costruzione, iniziata in
epoca remota, è stata ultimata nel 1732. Al suo interno una gigantesca
scala in pietra, formata da blocchi naturali, dà l’accesso all’alloggio
delle campane.
Nel
mese di gennaio, la festa di S. Antonio Abate richiama molti fedeli per la
tradizionale devozione del fuoco e per la benedizione degli animali seguita
dall’omaggio al Santo da parte dei devoti a cavallo.

Chiesa
abbaziale di S. Maria La Noara
La Chiesa
di Santa Maria la Noara si trova nella frazione di Badiavecchia, a circa due
chilometri da Novara di Sicilia. Faceva parte di un’abbazia circestense,
la prima fondata in Sicilia, la cui costruzione risale al 1137. L’aspetto
attuale della chiesa è una fusione tra alcuni elementi dell’abbazia
originaria e i rifacimenti apportati all’edificio a partire
dall’Ottocento.
La
costruzione dell’Abbazia di Santa Maria di Vallebona iniziò nel 1137 e si
concluse nel 1167. A volerla fu Ruggero II il Normanno che incaricò San
Bernardo di costruire l’edificio e diventarne abate. In Sicilia arrivò
invece Ugo insieme ad altri due frati che fecero iniziare i lavori prima in
un’altra zona per poi stabilirsi definitivamente dove oggi sorge la Chiesa
di Santa Maria la Noara.
Con la morte di Sant’Ugo nel 1130 l’Abbazia di
Vallebona iniziò un lento periodo di decadenza. I monaci, stanchi di vivere
in campagna, si trasferirono in una nuova abbazia a Novara di Sicilia, dove
oggi sorge la Chiesa
di Sant’Ugo Abate. Nel 1626 un’alluvione distrusse
definitivamente i resti della vecchia abbazia. L’edificio fu restaurato
nel 1731 e abitato da alcuni frati per qualche anno. Nel 1784 i monaci
furono espulsi per sempre da Novara di Sicilia e l’abbazia si avviò verso
un inesorabile declino.
La Chiesa
di Santa Maria la Noara oggi ingloba sia gli elementi tipici dello stile
sobrio dell’ordine di Citeaux che quello dei restauri realizzati a partire
dal 1878. Sul prospetto laterale sono presenti aperture a tutto sesto e due
piccoli ingressi entrambi murati. L’interno è ad una sola navata e il
soffitto presenta una copertura a capriate in legno.
Dall’antica Abbazia
Circestense di Santa Maria la Noara provengono alcuni reperti molto preziosi
che oggi sono esposti nel Tesoro
del Duomo di Novara di Sicilia. Tra questi ci sono una cassetta in
avorio decorata del XII secolo e la cosiddetta Giara di Sant’Ugo. Questa
è un antico vaso arabo che, secondo la tradizione, era usato da Sant’Ugo
per le benedizioni e le guarigioni dei malati.
Rocca
Novara e Rocca Leone
La Rocca
Novara (1.340 m s.l.m.), detta anche Rocca Salvatesta dagli
abitanti di Novara
di Sicilia,
è una delle montagne più
alte dei monti
Peloritani,
in Sicilia.
La
montagna è collocata al confine meridionale dei monti
Peloritani,
nel territorio di Novara
di Sicilia e
di Fondachelli
Fantina da
dove partono sentieri per raggiungere la sua vetta.
È
detta anche il "Cervino di
Sicilia" per la sua particolare conformazione tronco-conica. Costituita
da rocce calcaree, la presenza di conchiglie e pesci fossili, indica
la formazione dovuta all'innalzamento del fondo del mare derivante dalle
tensioni, scontro e scivolamento della placca
africana con
la placca
euroasiatica.
Sulla sommità ampi terrazzamenti offrono una visuale panoramica a tutto
campo.
Verosimilmente
ai piedi della rupe sorgeva l'antichissima Noa, circostanza
supportata dai rilievi aerei che danno certa la presenza di ampie superfici
occupate da edifici dal perimetro regolare, e non di minore importanza,
dalla presenza di una infinità di frammenti di coccio - con la
caratteristica bombatura di recipiente atto contenere liquidi o granaglie -
sparsi sull'intera area dell'altopiano.
La
vetta è meta di escursioni, dalla sua cima è possibile godere di un
ragguardevole panorama che spazia a 360 gradi: dal promontorio del Tindari con
la baia di Oliveri fino alla penisola di Milazzo,
dal golfo
di Patti al
golfo della città mamertina - entrambi coronati dall'arcipelago
eoliano,
sul versante tirrenico e su quello jonico culminanti nello Stretto
di Messina con
l'estremità meridionale della Calabria,
l'intera dorsale dei Peloritani con Monte
Dinnammare - Monte
Scuderi - Colle
del Re,
a sud dalla valle dell'Alcantara,
la mole del vulcano Etna e
dalla Montagna
di Vernà,
in prossimità della sua base è situato il precipizio dei Ritagli di Lecca.
Le
falde sono coperte da selva da rimboschimento (quercia e pino), a mezza
costa compaiono affioramenti rocciosi che si alternano a prati, distese di felci che
ben si prestano all'allevamento e alla pastorizia in quota. La flora
endemica della Sicilia è
rappresentata da diverse specie di euphorbia, origano.
Una
grande croce nera con Gesù crocifisso
è situata sulla sua cima dove ogni 18
agosto si
effettua un pellegrinaggio per celebrare una messa. Sulle sue pendici
vi si trovano le neviere,
fosse create un tempo per conservare la neve e riutilizzarla in estate.
Da
un particolare punto di osservazione a settentrione, una intera sua parete
prende la fisionomia di una faccia, elemento che si aggiunge all'antica
leggenda di un tesoro sepolto su di essa, scopribile da chi superi una serie
di prove, conferiscono al sito un alone di mistero.
Tra
le prominenze immediatamente adiacenti, che insistono sulla stessa base,
spicca la Rocca Leone o Rocca del Leone (1.222
m s.l.m.). Il rilievo orografico lievemente avanzato a settentrione,
presenta sul versante tirrenico, le sembianze di un leone accovacciato con
il capo rivolto verso ponente.
Artigianato
Novara
di Sicilia è un paese il cui aspetto urbanistico e l’arredo urbano hanno
mantenuto nel tempo una fisionomia che si è evoluta maturandosi
nell’avvincente sfida dell’uomo alla durezza della pietra e alla solidità
del metallo. Nel corso dei secoli, al certosino lavoro dei maestri della
pietra, si unì quello degli intagliatori del legno e degli scultori del
bronzo. Nasce così una classe sociale ben definita, costituita dai
cosiddetti mastri delle arti che, in quanto tali, esercitavano i vari
mestieri con orgoglio e privilegio di casta.
Sul
finire del XIX secolo esistevano nel territorio novarese numerosi artigiani
ripartiti nelle più disparate categorie di mestieri; a parte gli
scalpellini, gli artigiani novaresi esercitavano i mestieri in stretta
connessione con l’attività agro-silvo-pastorale e in seno ad ambiti di
impresa a conduzione familiare. Gli scalpellini, artisti del taglio e della
lavorazione della pietra, contribuirono attivamente a dare un nuovo impulso
all’arte popolare; basti pensare alle numerose opere d’arte, realizzate
in pietra arenaria locale, metallo e legno, messe in opera per le vie del
borgo storico: chiavi di volta decorate, eleganti finestre, suggestivi
balconi con ringhiere ornamentali e supporti figurati delle mensole, i
cosiddetti cagnò e ancora edicole sacre murarie, sontuosi portali
monumentali, selciati stradali, paraste decorative di edifici signorili,
elementi architettonici di spoliazione riutilizzati estemporaneamente, i
tipici oblò novaresi e strutture architettoniche in legno per edifici
pubblici. Gli scalpellini tra l’Ottocento e i primi del Novecento
raggiunsero una piena espressione d’arte grazie anche all’apporto dato
dalla scuola di Salvatore e Giuseppe Buemi, entrambi scultori del luogo di
fama internazionale.
Ancora
oggi esiste a Novara di Sicilia una prestigiosa tradizione di intagliatori
della pietra impegnata a riprendere le antiche lavorazioni fondendole con
scelte più ardite e contemporanee; punto d’incontro di queste
sperimentazioni è la bottega dell’artigiano Mario Affannato.
La
Piazza Stancanelli Basile, conosciuta anche come Piazza San
Sebastiano, un tempo sovrastata dall’omonima Chiesa eretta nel 1577 e
abbattuta nel 1968 (dell’edificio sacro sopravvive solo l’elemento
architettonico centrale a “Rosone” ricollocato nella muratura esterna
dell’abside della Chiesa Maria SS. Annunziata), oggi ospita il Monumento
ai Caduti opera esemplare del Guastalla inaugurata il 24 Maggio 1932. Il
gruppo bronzeo rappresenta la sintesi matura di un patrimonio scultoreo non
indifferente e che facilmente si può ammirare per le vie e le piazze
principali del paese.

La
fontana architettonica, datata 1897, inaugura una serie di fontane
monumentali frequentemente messe in opera nei punti più popolati del borgo
novarese. Lo stemma ufficiale del Comune, intagliato nel marmo, è
rappresentato sul prospetto: esso raffigura un albero di noce, nei pressi
del quale si trova da un lato una V (Universitas), dall’altro una N
(Novariae); alla base si legge il nome di Novara. La testimonianza dei
connotati dello stemma del Comune di Novara di Sicilia proviene da un
manoscritto anonimo, costituito da un quaderno di appunti, il cui
frontespizio reca la data del 23 Giugno 1884.
Nel
cuore del paese si apre la Piazza Michele Bertolami, opera d’arte
in pietra disegnata dall’ ingegnere Michele Scandurra; all’estremità
destra di essa, si può ammirare il “David”. La statua, scolpita a Roma
nel 1882 da Giuseppe Buemi (1859-1882), fu collocata qui nel 1951; il
giovane, dai tratti anatomici perfetti, fa trasparire dal suo volto
l’intima gioia per la vittoria conseguita sul gigante. L’opera è stata
premiata alla Mostra Nazionale di Torino nel 1882. Giuseppe Buemi fu il
primo degli scultori novaresi che con quest’opera segnò il passaggio
dall’antico artigianato di pietra alla scultura in bronzo. Dell’artista
ricordiamo anche l’obelisco o meridiana oggi collocata nella Piazza
Sedili all’ombra di platani secolari.
Situata
all’interno dell’antico nucleo urbano, Casa “Fontana” è una
dimora di modeste dimensioni a tre elevazioni fuori terra. Il prospetto,
pregnante di elementi architettonici, risale probabilmente al periodo
compreso tra la seconda metà del XVI e il XVII secolo, momento storico in
cui ferve un’intensa attività edilizia privata ed ecclesiale in tutta
Novara. Seicentesca sembra infatti la cortina muraria anteriore che ingloba
le caratteristiche bucature impreziosite da elementi sapientemente scolpiti.
Di notevole effetto plastico è la chiave di volta del portale al piano
terra, raffigurante una fontana, simbolo gentilizio della famiglia. Essa è
costituita da due vasche semicircolari a calice attraversate da un getto
d’acqua, apparentemente congelata nel suo fluire, che sgorga da una
sorgente a forma di “pecten” conchiglia tanto cara alla tradizione tardo
cinquecentesca e barocca dell’architettura dei giardini e dei ninfei.
Notevole è inoltre la modellatura vagamente arabesca dei piedritti del
balcone al primo piano che rammenta caratteri stilistici ascrivibili al
gotico catalano.
Fu proprio in questa casa che nacque e trascorse la sua
giovinezza Suor Teresa Fontana, morta in aria di santità e seppellita nel
Duomo ai piedi dell’altare di S. Anna.
La
piazzetta situata nei pressi della Chiesa di San Nicolò ospita il dono del
maggiore scultore novarese Salvatore Buemi (1867-1916). La scultura,
denominata “Fune al Lavoro”, rappresenta l’intento
dell’artista di esprimere pubblicamente una denuncia sociale contro lo
sfruttamento del lavoro minorile; essa fu collocata dal Comune solo nel 1950
insieme ad una fontana proprio nella piazzola a lui intitolata.
Salvatore
Buemi, che operò soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, conquistò
la fama grazie all’opera dedicata alla “Batteria Masotto”, a memoria
del sacrificio di Abba Carina, monumento che si può ammirare a Messina nei
pressi dell’edificio della “Fiera”.
Soggiornando a Cuba per due anni
lasciò l’indelebile segno della sua arte nel monumento all’eroe cubano
Josè Marti, rappresentando il “Trionfo della Libertà”; sempre a Cuba,
dell’artista novarese resta il superbo “Eterno Ribelle” collocato
all’interno del Cortile del Palazzo del Parlamento. Modellò vari busti
per molti committenti privati; altre sue opere significative (la Chiesa di
S. Francesco a Novara di Sicilia conserva una sua S. Lucia) sono state
collocate a Milano, Roma, Narni e Livorno. Tra le opere del virtuoso
scultore Luigi Prestipino (1905-1961) si annovera: l’erma in onore di
Salvatore Furnari, celebre oculista e naturalista novarese del XIX secolo,
collocata nella piazzetta a lui dedicata, e una statua in bronzo
raffigurante San Francesco in atteggiamento di intima contemplazione ai
piedi del Crocifisso, posta sulla tomba di famiglia, all’ingresso del
Cimitero di Novara.
Il
Teatro Comunale è dedicato alla figura del musicista e compositore
novarese Riccardo Casalaina (1881-1908). L’edificio fu ultimato nel 1770,
nel 1830 fu inoltrato l’avviso d’asta per il riattamento dell’immobile
e nel 1844, con deliberazione decurionale, furono prenotati i palchi da
parte del ceto civile. Fra il 1858 e il 1873 furono eseguiti ulteriori
rifacimenti e restauri; il Teatro ha conservato la sua originaria fisionomia
fino al 1958 quando, su perizia del Genio Civile di Messina, le strutture
lignee, finemente decorate, hanno ceduto il posto all’ossatura in cemento
armato: in quell’occasione i palchi furono ricostruiti a pianta irregolare
e diseguale fra loro, la sala fu ampliata con riduzione della superficie del
palcoscenico e l’anfiteatro andò così perdendo la suggestiva
conformazione settecentesca.
Nel 1995 l’Amministrazione Comunale optò per
l’adeguamento dell’edificio preesistente effettuando la manutenzione
dell’immobile, il collaudo statico e l’adeguamento degli impianti. Il 26
dicembre del 2004, a lavori ultimati, l’edificio scenico fu inaugurato;
nel 2005 la Commissione Comunale di vigilanza sui locali di pubblico
spettacolo ha rilasciato l’agibilità della struttura come “Sala di
pubblico spettacolo” alla quale è seguito; nel 2007, il parere definitivo
di agibilità come “Teatro Comunale”. Il Teatro ospita ancora oggi una
prestigiosa “Stagione teatrale” a partire dal mese di Dicembre, durante
la quale si susseguono compagnie nazionali ed internazionali con autori di
fama mondiale.

- Fonte
- https://www.comunedinovaradisicilia.me.it/
- https://it.wikipedia.org
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