Sant'Agata
di Militello è un comune del Parco
dei Nebrodi, ed è la sede dell'ufficio di presidenza dell'ente parco
ospitata nei locali dell'ottocentesco palazzo Gentile.
Risalire
alle origini dell'abitato non è compito semplice, in quanto si deve partire
addirittura dall'età del bronzo ove si pensa che vi possa essere stato un
villaggio sulla sommità del monte Scurzi; come accertato da numerosi scavi
effettuati che hanno portato al ritrovamento di ceramiche e altri
suppellettili databili proprio in quell'era.
Con
l'arrivo dei Greci si ipotizza che l'attuale territorio cittadino possa aver
fatto parte della chora di Alontion, Agatirno o Apollonia. Quel
che è certo è che con la venuta dei Romani (III secolo) si insediarono
diversi villaggi rurali sulla costa, ove i terreni erano più fertili e
pianeggianti.
Numerosi
sono i ritrovamenti antichi quali la lapide marmorea dedicata a Canino
Aniceto o di altri blocchi e ceramiche sempre di epoca romana ritrovate
vicino all'odierna stazione ferroviaria.
Con
la caduta dell'Impero romano il territorio continuò a essere abitato e
coltivato, sempre in maniera rurale, per scopi agricoli. Ma presto le coste
divennero luoghi insicuri per via delle scorribande turche e
pertanto abbandonate. Un nucleo urbano, a cui appartenne il territorio
comunale è quello di Melitum (XII secolo) presidio di difesa
normanno; la descrizione attenta e minuziosa che riporta il geografo arabo Al-Edrisi della
marina di San Marco, l'antica Aluntim per l'appunto, è di un
territorio particolarmente rigoglioso e dedito alla agricoltura di
sostentamento.
Nel 1371 la
baronia di Militello è assegnata a Vinciguerra
d'Aragona da Federico
IV d'Aragona, già appartenente al padre Sanciolo
d'Aragona. La storia cittadina si sviluppa attorno alla "Torre
della Marina", una struttura d'avvistamento costiero edificata nel XIII
secolo per servire la medievale Militello
Valdemone.
Nella
seconda metà del Cinquecento quando
i viceré spagnoli
incaricarono i Camiliani di fare la ricognizione dei litorali la torre fu
giudicata insufficiente e vi fu aggiunto un "fortino".
Signori
della città furono gli appartenenti alla famiglia d'origine aragonese dei
Gallego che edificarono il castello costruito sul feudo della
"marina".
Nel 1573 in
concomitanza con l'edificazione nacque il primo nucleo abitativo su cui la
famiglia Gallego ottenne la signoria.
Nel XVII
secolo il borgo di Sant'Agata era compreso fra le terre baronali
appartenenti al principe di Militello, il quale nel 1627 assunse anche il
titolo di Marchese di Sant'Agata.
Nel 1628 don
Vincenzo Gallego ottenne la licenza di edificare il palazzo intorno alla
torre e nel 1663 suo
figlio Luigi, nominato Marchese e poi Principe di Sant'Agata, fece costruire
il castello, a presidio della costa, per concessione del re Filippo
IV che nel 1657 gli
concesse la licenzia
populandi per promuovere il futuro insediamento urbano del
piccolo borgo marinaro attorno a esso.
Il
castello Gallego articolato intorno a un'alberata corte quadrata, ingloba le
torri cilindriche di età medievale. Sull'ampio prospetto ornato da classici
finestroni, si apre il fornice d'ingresso, difeso in passato da ponte
levatoio. Dal cortile si accede agli ambienti destinati a scuderie,
magazzini e abitazione dei servi. Da una scala a chiocciola si sale al piano
nobile, con gli appartamenti del principe, da cui si accede alle torri e ai
terrazzi.
Il
possente edificio dalle severe linee architettoniche, sorge su una altura
rocciosa, guardando da un lato il centro cittadino e dall'altro un ampio
arco di costa. Intorno a esso venne a formarsi un abitato di pescatori e
contadini.
All'indomani
dell'abolizione del feudalesimo,
avvenuto con la Costituzione
siciliana del 1812, il centro costiero fu scelto come nuova residenza
dalle più importanti famiglie aristocratiche dei paesi collinari dei Nebrodi;
quest'ultime costruirono i loro palazzi di rappresentanza seguendo lo stile
imperante di quell'epoca ovvero il neoclassicismo e in seguito utilizzando
gli stilemi eclettici dell'Art Nouveau. Oggi questi edifici rappresentano
l'esempio tangibile dell'importanza economica e politica che S. Agata seppe
ritagliarsi durante tutto il XIX
secolo.
Tra
i più sfarzosi di essi vi sono i palazzi della famiglia Zito,
discendenti per via matrilineare dai Filangeri conti
di San Marco, i palazzi della famiglia Faraci baroni
del Prato, i palazzi e le ville della ricchissima e aristocratica famiglia Ciuppa d’Alcara,
i palazzi della nobile famiglia dei Cupitò di
Militello, esempio di architettura eclettica presente nella cittadina è il
palazzo dell’aristocratica famiglia Gullotti di Ucria,
il palazzo della famiglia Bordonaro e il palazzo dell’ambasciatore Giuseppe
Gentile (oggi sede del Parco
dei Nebrodi).
La
famiglia Zito edificò i suoi palazzi nel quartiere attiguo alla Chiesa
madre, i baroni Faraci intorno al castello e sulla prospiciente via Roma, i
Gullotti, Cupitò, Ciuppa e i Bordonaro sulla via Nazionale. I palazzi
nobiliari santagatesi oltre a connotare elegantemente il centro storico
della cittadina, sono i testimoni di un vero e proprio laboratorio di
straordinario interesse architettonico.
Un
consistente incremento demografico si ebbe solamente in seguito
all'autonomia amministrativa ottenuta dal centro collinare di Militello
Rosmarino, grazie a un regio decreto datato 1º gennaio 1857, per
concessione di re Ferdinando
II delle Due Sicilie; il primo sindaco a firmarsi come primo
cittadino del centro costiero fu don Salvatore Zito nel 1847. Allo sviluppò
economico contribuì in maniera decisiva la costruzione della strada
rotabile Palermo-Messina,
così come alla fine dell'Ottocento rivestì un'importanza fondamentale la
costruzione della ferrovia.
S.
Agata si andò via via a ritagliare uno spazio sempre più importante tra i
centri dei Nebrodi, diventandone de facto il "capoluogo"
amministrativo ed economico; questo fece sì che la popolazione proprio in
questi anni aumentasse considerevolmente.
Sul
finire del XIX
secolo si assistette alla costruzione del Duomo, dedicato a
Santa Maria del Carmelo, alto 22 metri, profondo 38 metri e alto 16. In
stile neoclassico, presenta tre navate in tre absidi. Progettista fu
l'architetto Leone Savoia, ingegnere capo del Genio Civile di Messina.
All'interno ci sono delle finestre alte 2,40 metri. I primi rifinimenti
interni furono eseguiti dai fratelli Benedetto e Basilio Arcuri. Le
decorazioni del tetto vennero eseguite da Antonio Gattuso di Palermo, mentre
le mattonelle del pavimento, donate per devozione dal signor Carmelo di
Paola. La parte più antica della chiesa è la splendida Cappella del
Sacramento, arricchita da sontuosi altari barocchi a intarsio marmoreo.
All'interno, ci sono vari quadri e statue antiche. Innanzitutto la statua di
San Giuseppe, la più ricca e preziosa dell'edificio, conservata
nell'omonima cappella, costruita nel 1800 da un artista palermitano, il
Bagnasco e portata in processione in occasione della festa patronale. Vi
sono, poi, i quadri della Pietà, della Madonna del Carmelo e della Madonna
del Rosario, l'altare del Sacro Cuore, realizzato in stile barocco a
Palermo, la Cappella del Sacro Cuore, commissionata a Parigi, l'altare con
la statua dell'Immacolata, realizzata probabilmente dal Bagnasco. Degni di
nota sono, infine, il fonte battesimale di fine Ottocento, l'organo
realizzato da Pietro La Grassa nel 1870 a Palermo, la vetrata raffigurante
la Cena di Emmaus, un mezzobusto su colonna e una lapide marmorea
raffigurante due arcipreti santagatesi, Zappalà e Sancetta, i primi della
parrocchia.
L'edificazione
del salotto cittadino ovvero piazza Vittorio Emanuele, oggi
rinominata in onore dello scrittore santagatese Vincenzo Consolo, è da
datarsi proprio in quegli anni. Ben presto la piazza assumerà un importante
ruolo di aggregatore sociale, divenendo palcoscenico di tutti gli
avvenimenti sociali di rilievo della cittadina. Sul lato finale della stessa
insiste un edificio dalle pregevoli linee neoclassiche ospitante il Circolo
Dante Alighieri; quest' ultimo venne fondato il 27 settembre 1868 dai
membri delle famiglie notabili del paese, inizialmente venne chiamato
"Casino di campagna" o "Circolo dei Nobili”; assunse
l'attuale denominazione alla fine della seconda guerra mondiale.
Trascorsi
i primi anni del Novecento segnati dalla crisi economica che ebbe i suoi
effetti più vistosi nel fenomeno dell'emigrazione verso il Nuovo
Mondo, si arrivò all'entrata in guerra dell'Italia nel primo
conflitto mondiale. Una situazione di profonda crisi era dunque
quella che si presentava anche a S.Agata allo scoppio della Grande Guerra. I
soldati santagatesi mobilitati per il fronte al 30 giugno del 1915 erano
220, senza contare quelli che vennero chiamati alle armi nel 1917
appartenenti ai cosiddetti “ragazzi del ‘99”. Al termine del conflitto
mondiale, ben 85 furono i giovani partiti dal centro costiero e non più
tornati; così come risulta dall'albo d'oro del ministero della guerra.
Lo
stesso sacerdote don Giuseppe Zappalà, che in seguito divenne arciprete di
Sant'Agata, all'avvio del conflitto fu dichiarato cappellano militare al
seguito delle truppe italiane. L'ecclesiastico venne ferito nel 1916 da un
colpo di artiglieria e pertanto espletò il suo servizio negli ospedali di
Roma, rientrando in paese solo nel 1919 insignito del titolo di Cavaliere
della Corona d'Italia.
L'omaggio
che Sant'Agata volle dar ai propri caduti fu tributato con l'erezione nel
periodo postbellico, durante la transizione tra l'Italia liberale e quella
fascista, di un monumento che celebrasse il sacrificio di vite patito.
Analogamente dunque a quanto avveniva in tutto il Paese, a Sant'Agata fu il
comune a sostenere le spese della realizzazione dell'opera, collocandola
nella piazza antistante il castello di fronte la stessa sede municipale. La
statua in bronzo che raffigura il milite italico venne realizzata da Turillo
Sindoni a Roma, la sua inaugurazione fissata per il 4 novembre 1922 avvenne
in realtà il 22 aprile 1923; tale slittamento di date fu dovuto in realtà
a un ritardo nella spedizione dell'opera da parte dell'artista.
Sant'Agata
diventava nel tempo sempre più polo di attrazione culturale, commerciale e
amministrativa dei paesi del circondario dei Nebrodi.
Con il regio decreto del 28 gennaio 1929 di Vittorio Emanuele III veniva
sancita l'unificazione dei comuni di Sant'Agata, San Marco e Militello
Rosmarino, al fine di frenare il progressivo abbandono dei borghi montani. Il
nuovo comune prendeva nome e capoluogo “Sant'Agata di Militello”. La
decisione suscitò però aspre polemiche, sino a degenerare in disordini
pubblici da parte dei militellesi e degli aluntini. I politici santagatesi,
e soprattutto l'on. Giuseppe Gentile e il commissario prefettizio dott.
Vittorio Ravot, furono accusati di mire espansioniste al fine di creare la
cosiddetta “Grande Sant'Agata”, nel sogno di farla ambire a capoluogo di
provincia. Il punto più alto della polemica fu raggiunto allorché il
16 aprile 1929 un gruppo di aluntini occuparono i locali del Palazzo
Comunale aggredendo il commissario prefettizio. Dopo tre anni di dure
polemiche e contrapposizioni politiche, con legge n. 1775 del 22 dicembre
1932 venne ratificata la fine del progetto che sancì lo smembramento delle
tre comunità e il ripristino dei comuni autonomi. Lo scoppio del secondo
conflitto mondiale arrestò il processo di sviluppo economico e sociale di
Sant'Agata. La liberazione dalle truppe tedesche avvenne nell'agosto del
1943 allorché le armate alleate, guidate dal gen. Patton, vi sbarcarono con
l'intento di accerchiare i nemici attestati nelle colline di S. Fratello,
per poi sbaragliarle a Brolo e costringerle a ripiegare verso Messina e nel
continente.

Il
dopoguerra fu caratterizzato da grandi fermenti sociali, economici,
culturali: nel 1959 la cittadina contava già una popolazione di 10 915
abitanti e si dotava di diverse grandi opere grazie ai numerosi
finanziamenti pubblici: tra essi l'ospedale, la scuola statale elementare
Luigi Capuana, il lungomare, le Case popolari e la ristrutturazione
urbanistica di diverse piazze e vie del paese. In quegli stessi anni anche
il Banco di
Sicilia sceglieva Sant'Agata come sede della nuova filiale.
Tra
gli artefici di questa ripresa fu Annibale Bianco, genero di don Paolo
Ciuppa; la figura di Bianco, parlamentare all'Assemblea
regionale siciliana e vice presidente della Regione
Siciliana, fu ambivalente: infatti se durante il regime egli per
contrapporsi al politico concorrente l'On. Giuseppe
Gentile, ideatore del progetto di unificazione dei comuni, era stato
uno strenue difensore dell'autonomia degli aluntini ora che era lui sindaco
(1956-1960) proponeva la costituzione di un Consorzio di Comuni nella zona
occidentale della provincia di Messina.
Il
decreto legislativo del Presidente della Regione del 29 ottobre 1955
prevedeva la possibilità di creare dei consorzi che, di fatto,
rappresentavano delle province regionali distinte da quelle statali già
esistenti: la “provincia regionale”, o consorzio, infatti, non aveva le
stesse esigenze delle province statali e non occorreva che il capoluogo
ospitasse tutti gli uffici di Stato che si affiancano alle Prefetture. La
legge imponeva che la circoscrizione superasse, con un margine di sicurezza,
i minimi congiunti di 150 000 abitanti e di 26 comuni. La delibera del
Consiglio Comunale di Sant'Agata Militello, datata primo febbraio 1959 alla
presenza dei sindaci di altri quattordici centri, gettava le basi per la
costituzione della nuova provincia, comprensiva di trentatré comuni da Tusa
a Piraino e a sud sino ai territori di Capizzi e Cesarò per una popolazione
complessiva di 162 871 abitanti (secondo il censimento del 1951).
L'iniziativa
alla fine naufragò, non riscuotendo il consenso unanime degli altri centri,
in disaccordo soprattutto nella scelta del capoluogo: determinante fu anche
l'opposizione della città di Patti, non rientrante nel progetto primitivo e
che riuscì a far retrocedere dalla scelta diversi comuni costituendi,
proponendo un consorzio alternativo molto più esteso a oriente e idoneo a
favorire la sua scelta come capoluogo. La stessa definizione dei confini del
consorzio creò inoltre problemi, a causa della contrapposizione tra le
amministrazioni di diversa coloritura alla ricerca di meri vantaggi
partitici. Al di là delle legittime istanze dei comuni interessati, il
progetto aveva una sua ragion d'essere. Per la sua posizione geografica e
per la condizione raggiunta in poco meno di un secolo Sant'Agata,
costituiva, ieri come oggi, uno dei pochi centri in tutta la zona capace di
fare il giusto salto di qualità. Inoltre, poteva risultare particolarmente
innovativa l'idea di un consorzio di comuni così da rilanciare l'economia e
da candidarsi, magari in solido con i maggiori centri vicini, come
pretendente naturale a capoluogo della "provincia dei Nebrodi".
Visitare il
borgo

Il
Castello Gallego del XIII
secolo e simbolo della città, sorge su uno sperone roccioso e si
sviluppa lungo il perimetro di una grande corte quadrangolare. La facciata
in piazza Crispi si articola su un lungo prospetto che si conclude, a
destra, con la Chiesa Madre di Maria SS. del Carmelo, antica
Cappella del Castello.
Al
centro si apre il portale d’ingresso in pietra calcarea bianca locale
sormontato da una finestra e da due feritoie che in origine servivano per
far passare le catene che alzavano ed abbassavano un ponte levatoio (più
probabilmente, una controporta). Superato il portale, si giunge
nell’androne dove a sinistra è un locale un tempo adibito a sala della
guardia.
Sotto
il pavimento si sviluppano quattro piccole e umide celle che testimoniano
del privilegio che aveva il Principe di amministrare la giustizia civile e
criminale. Pervenuti nella corte, a destra si apre il portale laterale della
Cappella e in fondo, l’ambiente per la carrozza. Ad angolo sorge la torre
aragonese di avvistamento (secoli XIV-XV),
raffrontata a sinistra dalla seconda, eretta verso la fine del XVI secolo. Adiacente è la scuderia e la scala a
chiocciola seicentesca che consente di accedere al piano nobile dove sono le
camere della residenza.

Il
centro storico con l'elegante piazza Vincenzo Consolo, i palazzi
aristocratici del XIX
secolo e l'ottocentesca Chiesa
madre. La Chiesa della Madonna Addolorata del Carmelo è
stata edificata verso la fine del XVII secolo ed è stata completamente
restaurata nel 2000 per riportarla al suo aspetto originario.
La
sua origine si deve alla volontà della famiglia dei principi Gallego, già
proprietari del castello adiacente, accanto al quale la chiesa fu realizzata
per diventare la cappella di famiglia. In effetti il suo interno è
strutturato proprio per accogliere al suo interno l'intera famiglia dei
principi e tenerla al riparo da sguardi indiscreti: a questo scopo, infatti,
è stata realizzata una finestra all'interno del presbiterio protetta da una
grata di legno intarsiata dietro la quale il principe e la sua corte
potevano assistere alla funzione religiosa senza essere visti dagli altri
fedeli in chiesa. Nel corso del tempo, poi, quella che nasceva come una
cappella privata è stata poi non solo ampliata ma anche arricchita con
opere d'arte, affreschi e molto altro ancora, fino ad essere insignita del
titolo di Chiesa Madre e, quindi, di Duomo.
Dal
punto di vista architettonico, una visita al Duomo di Sant'Agata di
Militello conquisterà davvero tutti per la sua bellezza.
La
sua facciata esterna, che è realizzata in stile neoclassico e con
pietra bianca che è stata lasciata a vista, è stata pensata in ottica
monumentale, quindi, è estremamente imponente e si ispira alle grandi
cattedrali cattoliche. Spiccano il doppio ordine di colonne di stile
corinzio e il mosaico che rappresenta la Sacra Famiglia. Inoltre, si fanno
notare anche il campanile a vela e la torre dell'orologio,
leggermente defilata.
L'ingresso
della chiesa, invece, è accessibile attraverso un portone ligneo che
conduce ad una navata centrale e unica con pianta rettangolare, al termine
della quale c'è il presbiterio che si trova rialzato su una breve scalinata
composta da cinque gradini e sormontata da un arco trionfale. Nel
presbiterio è anche presente la famosa finestra con grata di legno che
serviva per impedire al popolo di vedere i principi durante la celebrazione
della messa, accorgimento utilizzato soprattutto nei periodi di grande
scontento popolare, per evitare che potessero scatenarsi tumulti. Sui
laterali del presbiterio, infine, sono presenti tre altari che sono
realizzati completamente in stucco e sono inseriti in altrettante campate
decorate con motivi molto vivaci, davvero una particolarità per strutture
di questo tipo. Infine, il soffitto è riccamente decorato con marmi
policromi, per rendere la visuale complessiva ancora più suggestiva.
Certamente
merita uno sguardo più che approfondito il dipinto che raffigura la Madonna
del Carmelo e che è opera del pittore Francesco Nachera di Patti che l'ha
realizzata verso la fine dell'Ottocento. Della stessa epoca è anche un
altro dipinto, questa volta raffigurante Sant'Agata e Santa Lucia, che è
invece opera di Antonio Balsamo, un padre cappuccino di Motta
Sant'Anastasia.
Il
quadro che rappresenta la Madonna del Rosario, invece, non è di un autore
preciso ma gli studiosi concordano nell'affermare che si tratta di una
scuola francese e che l'opera è stata realizzata nel medesimo periodo dei
precedenti dipinti.
Ci
sono altre opere, però, che sono degne di attenzione, come l'organo interno
realizzato da Pietro La Grassa di Palermo e risalente al 1870 circa oppure
l'Urna di Gesù Morto che invece è di epoca certamente più recente in
quanto è stata scolpita nel 1951. Ci sono, infine, le statue, fra le quali
spiccano quella dell'Immacolata che è stata realizzata da Bagnasco Figlio e
che è stata posizionata all'interno di una delle cappelle dell'altare, la
cui scultura risale al 1887. Dello stesso autore anche quella di San
Giuseppe col Bambino che è di qualche anno prima, realizzata nel 1883.
L'arco
di via Roma, chiamato anche Porta di Mare poiché anticamente era il
tradizionale luogo di accesso dal mare al paese. Fu costruito intorno al
XVIII secolo sull'antica via dei Pioppi.
È
uno degli edifici più rappresentativi della cittadina tanto che l'intero
quartiere che sorgeva attorno veniva chiamato Porta di mare. Si tratta di un
edificio ad arco in stile neoclassico, che presenta ai lati due finestre i
cui locali erano adibiti a prigione.
Di
notevole importanza è la statuetta di Sant'Agata, realizzata in pietra e
caratterizzata dal ricco e fluente panneggio delle vesti, retaggio di un
gusto barocco associato a una particolare solennità dell'atteggiamento.
Essa si collega alla famosa leggenda dei pescatori catanesi che avrebbero
fatto naufragio sulle spiagge santagatesi. Attualmente è di proprietà
della famiglia dei baroni Faraci
del Prato.
Il
Lungomare di Sant’Agata di Militello costeggia la cittadina
messisnese. E’ una spiaggia lunga ed ampia, che si estende sino alla foce
del fiume Rosmarino. La spiaggia è libera ma non mancano i lidi dove poter
prendere a noleggio lettini, sdraio ed ombrelloni e nel lungomare vi sono
bar e ristoranti. L’arenile è composto da sabbia mista a ghiaia.
Possibilità di parcheggio lungo la costa.

- Fonte
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