Savoca (Borgo)
(Messina)
  
 

 

Sorge su un colle bivertice roccioso prospiciente il litorale ionico e conserva vestigia di origine medievale, rinascimentale e barocca.

Il comune di Savoca ha un'estensione di circa 8 km². L'abitato è costituito da un centro storico e da tante frazioni più o meno piccole immerse nella campagna.

Sulle origini della cittadina di Savoca esistono varie congetture.

1. Secondo la prima, proposta da Agatino Ajello, il primitivo centro abitato di Savoca ebbe origine in epoca tardo-anticaIV-V secolo d.C. In quegli anni le prime incursioni barbariche dei Vandali resero insicura la vita sul litorale ionico, ove sorgeva Phoinix, villaggio ubicato presso la foce del torrente Agrò (ove sorge Santa Teresa di Riva) abitato da agricoltori e pescatori, che, nell'estate del 36 a.C. aveva dato ospitalità all'esercito di Sesto Pompeo prima della battaglia contro Ottaviano. Quindi sembrerebbe che, tra il 365 e il 410 d.C., il villaggio di Phoinix si spopolò fino a scomparire e i suoi abitanti diedero origine al più sicuro sito di Pentefur, che fu il primo nucleo abitativo di Savoca.  

2. La seconda teoria vuole che l'origine di Savoca/Pentefur sia ascrivibile sempre agli abitanti di Phoinix, ma nel I secolo a.C. Parrebbe che Ottaviano abbia distrutto Phoinix per punire l'ospitalità data da questa alle armate di Sesto Pompeo; gli abitanti superstiti avrebbero deciso di fondare uno nuovo abitato in un sito collinare più salubre, ubicato ove oggi sorgono le rovine dell'omonimo castello e il quartiere del centro storico ancora nominato "Pentefur". Potrebbe sembrare condivisibile anche l'opinione di alcuni storici locali moderni, secondo la quale Pentefur sarebbe stata l'arx, cioè l'acropoli, della città di Phoinix.

3. Nel 1936, padre Basilio Gugliotta da Naso e padre Giampietro Rigano da Santa Teresa di Riva, frati cappuccini che abitarono nel convento di Savoca, sostenevano che i Pentefur fossero un gruppo di persone venuto dalla città di Phoinix, in un periodo in cui, per un motivo o per un altro, la vita sul litorale non era più sicura e agevole. Il toponimo Pentefur deriverebbe quindi dal patronimico Punctifur che stava probabilmente a indicare il nome di un eroe o capopopolo o di un qualche gruppo sociale.  

4. Secondo lo storico siciliano Tommaso Fazello, Savoca ebbe origine solo nel XII secolo, quando Re Ruggero II di Sicilia, "accozzando insieme alcuni villaggi saraceni" istituì un nuovo feudo, fondandone dal nulla il capoluogo sul colle bivertice di Pentefur.  

5. Una poco verosimile leggenda popolare, di origine medievale, narra che Savoca venne fondata da cinque ladroni (pente dal greco cinque, e fur dal latino ladro) che evasi dal carcere della vicina Tauromoenium, trovarono sicuro rifugio sul colle bipartito ove sorge il centro storico di Savoca, e da lì iniziarono le loro scorrerie per le contrade vicine.  

6. Infine, secondo recenti studi, in toponimo "Pentefur" deriverebbe da "pente" = cinque e "fulè" = quartiere, quindi cinque quartieri, per il fatto che l'originario abitato di Savoca, attorno all'VII secolo era ripartito in cinque quartieri. Detta recente teoria collocherebbe la nascita di Pentefur alias Savoca ad un periodo compreso tra la tarda età antica e il IX secolo d.C. A tutt'oggi, l'assenza di ritrovamenti archeologici non consente di stabilire quale delle suesposte teorie sia corrispondente alla realtà storica dei fatti. 

La rocca di Pentefur venne conquistata dagli islamici nell'827 e successivamente fu annessa all'Emirato di Sicilia, rimanendovi fino al 1072. Sembrerebbe che il nome Siculo arabo dato al piccolo centro fosse "Kalat Zabut" (Rocca del sambuco, dal nome della pianta che cresce rigogliosa su quelle alture) anche se in alcune mappe e documenti risulta la denominazione "Balm", da Palma. Venne riadattata l'antica fortezza di Pentefur che mantiene ancora il primitivo nome. Dal momento in cui Savoca entrò a far parte dell'Emirato di Sicilia, conobbe il suo primo periodo di sviluppo, vennero introdotte le coltivazioni degli agrumi, della melanzana, della canna da zucchero, del cotone e dell'albicocco e l'allevamento del baco da seta.  

Lo sviluppo di Savoca aumentò a partire dall'XI secolo, quando la cittadina entrò a far parte prima della Contea di Sicilia e poi del Regno di Sicilia. Venne rinominata "Sàbuca" (termine tardo-latino che sta ad indicare la pianta del sambuco) e munita di una cinta muraria dotata di due porte d'accesso di cui una ancora esistente. In anni recenti, qualche studioso di storia locale ha voluto dare una diversa origine etimologica del toponimo "Savoca", sostenendo che esso derivi dal Siculo arabo "As-Sabuqah" che andrebbe tradotto come "sella" oppure come "luogo difficilmente accessibile".

Nel 1139, il re di Sicilia Ruggero II istituì una Baronia, detta "Universitas Sabucae" o "Terra di Savoca", ponendo sotto la sua giurisdizione politica, religiosa e giudiziaria tutti i centri abitati compresi tra il torrente Agrò ed il torrente Pagliara (inclusi i villaggi di MisserioLocadi e Pagliara) e tra il mare Jonio e la linea spartiacque della catena dei monti Peloritani. Tale territorio, venne donato in feudo all'Archimandrita di Messina, il quale possedeva personalmente 24 dei 48 feudi in cui la Terra di Savoca era ripartita e, da signore feudale, vi esercitava i poteri di "mero e misto imperio", nominando e facendo eleggere alle cariche di governo della città persone di sua fiducia; inoltre gli abitanti di Savoca erano obbligati a diverse prestazioni a vantaggio del loro signore feudale, come il pagamento di una tassa annua sulla casa. Il primo signore della Terra di Savoca fu l'archimandrita messinese LucaI, abate basiliano. Nella prima metà del XII secolo si edificò, su preesistente struttura, la Cattedrale siculo-normanna dedicata alla Madonna Assunta, la quale si conserva ancora pur avendo subito una consistente modifica strutturale nel XV secolo.

Al 1150 risale la prima citazione ufficiale dell'abitato di Savoca, ad opera del geografo siculo-arabo Idrisi col nome di "Sant'ili". Altri documenti coevi o più risalenti appellano questo centro abitato col nome di Balm (= Palma: Phoinix). Un altro antico documento che parla di Savoca risale al XII secolo, è custodito nell'Archivio Vaticano, si tratta di un documento fiscale denominato "Collectoria".

Nel corso del Duecento Savoca si arricchì di almeno due edifici sacri (la Chiesa di San Michele e la Chiesa di San Nicolò); prese parte alla Quinta Crociata e, nel 1282, partecipò ai Vespri siciliani. Durante la Guerra del Vespro, contro i nemici angioini, Savoca fornì al Regno Siciliano venti arcieri per la difesa della strada tra Messina e Taormina.

Nell'autunno del 1347 anche a Savoca (proveniente da Messina) si propagò il flagello della peste nera che cagionò gravissime perdite tra la popolazione residente e frenò l'ascesa economica della città. Nel corso (o alla fine) di questo frangente epidemico, il 30 novembre 1355, pochi mesi dopo la sua ascesa al trono, re Federico IV di Sicilia, elevò il Castello di Pentefur a "Castello Regio", sottraendolo di fatto al controllo politico degli Archimandriti messinesi e attribuendolo al nobile messinese Guglielmo Rosso Conte d'Aidone; con "lettera patente", il giovane monarca siciliano ordinò, all'archimandrita Teodoro e ai sindaci e giurati della città di recarsi al Palazzo della Curia di Savoca per giurare fedeltà al nuovo capitano del castello; secondo documentate testimonianze i suddetti notabili e ufficiali si rifiutarono di obbedire al re. Nel periodo in cui il Pentefur fu "Castello Regio", si avvicendarono come castellani alcuni esponenti della nobiltà militare siciliana. Successivamente, a partire dal 1386, con l'Archimandrita Paolo III, il Castello di Pentefur tornò definitivamente sotto il controllo dell'Archimandritato messinese, non risultando più nel novero dei "Castelli Regi". Per sopperire alle gravi perdite umane dovute alla peste nera, la città, durante tutta la seconda metà del XIV secolo, fu soggetta a un lento ma costante ripopolamento che fu alla base della ripresa che caratterizzò i due secoli successivi.

All'inizio del Quattrocento, la cittadina di Savoca entrò in una nuova fase di sviluppo economico e demografico. In questo periodo si stabilirono nella cittadina collinare, provenienti da Messina, esponenti della piccola nobiltà e dell'alta borghesia, come i Bucalo, i Trimarchi, i Crisafulli e i Trischitta. Provenienti dal Catanese erano le ricche famiglie dei Toscano e dei Nicòtina

Lo stesso Archimandrita messinese Luca IV de Bufalis, tra il 1421 e il 1450, accompagnato da tutta la sua corte, si trasferì in Savoca, ritenuta più salubre di Messina. Nel 1468, papa Paolo II istituì una minuscola diocesi archimandritale, con capoluogo Savoca, comprendente i territori di CasalvecchioPagliaraLocadiAntilloMisserioForza d'AgròMandaniciAlìItala, San Gregorio e Sant'Angiolo. 

Nella seconda metà del Quattrocento la cittadina conobbe, su iniziativa dell'Archimandrita Leonzio II Crisafi, un certo incremento edilizio. Venne ampliata e ristrutturata, per opera dell'architetto savocese messer Pietro Trimarchi (1465-1534), la Chiesa di Santa Maria in Cielo Assunta. Subirono analoghi interventi di ampliamento anche la chiesa di San Nicolò e la chiesa di San Michele.

Il Castello di Pentefur venne restaurato e ampliato; l'abitato, che fino allora era abbarbicato al colle bivertice di Pentefur, si espanse sensibilmente. Nacquero così, fuori dalla cinta muraria, due nuovi quartieri: "lu Burgu" (il Borgo) con svariate ed eleganti abitazioni appartenenti alle famiglie più agiate, e "Sant'Antonio", con l'omonima chiesetta oggi scomparsa. Infine, tra il 1444 e il 1456, presso piazza Fossìa, si eressero la chiesa dedicata a Santa Lucia e l'annesso convento Domenicano (crollati per una frana nel 1880) ove prese i voti e studiò il religioso savocese mons. Domenico Casablanca che fu poi vescovo di Vico Equense.  

Nel 1487, a dimostrazione della vitalità dei commerci, venne istituita a Savoca la "Fiera annuale della Beata Vergine Maria della Misericordia", presso la quale gli scambi commerciali avvenivano senza il pagamento del consueto sistema daziario. Fu in quegli anni che la cittadina collinare superò i quattromila abitanti. Durante il XIV e il XV secolo nell'area di Savoca (e di buona parte del messinese) era diffusa, da almeno quattro secoli, la coltivazione della canna da zucchero il cui (allora raro e prezioso) frutto veniva esportato dal Regno di Sicilia nella penisola italica e in Europa; lo zucchero siciliano impressionò anche Lorenzo il Magnifico che lo ritenne, insieme con l'ambrosia, una delle due cose più dolci del mondo.

Fino al 1492, nella Terra di Savoca era presente una consistente comunità ebraica: non sono ben chiare le origini di detta comunità nel territorio, esistono però documenti, risalenti al 1409 e al 1470, dai quali si evince che, in quegli anni, vi dimoravano circa 250/300 ebrei, ripartiti in circa 50/60 famiglie. I giudei savocesi erano soprattutto abili tessitori e tintori e non mancavano quelli dediti alla lavorazione del ferro e della seta e alla coltivazione della canna da zucchero e della vite. Il gruppo più numeroso di ebrei era dislocato nel centro abitato di Savoca e in quello vicino di Casalvecchio, ove esiste ancora una via del centro storico nominata "Strada della Judeca". Di tale comunità giudaica facevano parte anche persone economicamente agiate, ciò si evince dal fatto che, nel marzo 1492, quando venne emanato l'editto di espulsione da parte di re Ferdinando II, i notabili savocesi del tempo non si fecero scrupoli per accaparrarsi più ricchezze possibili tra quelle confiscate agli ebrei. Nel centro storico, accanto alla duecentesca chiesa di San Michele, esistono ancora i ruderi di quella che fu la Mischita, ossia la sinagoga di Savoca. Anche nella toponomastica e nei cognomi locali sono rimaste evidenti tracce di questa presenza ebraica.

Tra i primi anni del XV secolo e la fine del XVII, Savoca era nella sua fase di maggior sviluppo e prestigio, essendo (insieme a Taormina) la città più importante nel territorio compreso tra la Scaletta e il fiume Alcantara: arrivò a contare, nel censimento del 1540, 4.969 abitantiCatania, nello stesso censimento, non superò i trentamila. La cittadina godeva di una rilevante vitalità politica nel territorio del Val Demone, ne sono prova le ambizioni di autonomia da Messina che, nel 1567, sfociarono in una controversia di competenza territoriale sull'esercizio della giurisdizione civile e penale nel Territorio di Savoca tra lo Strategoto messinese e la Corte Capitanale savocese. A partire dal 1583, Savoca venne inserita nella comarca di Taormina, mettendo a disposizione del Regno di Sicilia una legione di 72 fanti e 2 cavalli. Notevole era lo sviluppo delle attività agricole, commerciali e artigianali come la coltura della vite e del baco da seta (in quegli anni erano censite nella Terra di Savoca circa venti filande per la lavorazione della seta). Il vino, l'olio d'oliva, e le sete locali erano famosi e ricercati in tutta la Sicilia e non solo, nel 1541, re Carlo V ricevette in dono dal Senato Messinese cento botti di rosso vino savocese.

Dal 1589 il litorale costiero sotto la giurisdizione savocese assunse rilevanza strategico-militare, tanto da essere presidiato da una guarnigione militare. Nel 1652, in Savoca erano censite 1.156 case, sorgevano 17 chiese, tre conventi, un ospedale (ubicato, a detta dello storico Giuseppe Trischitta, nel quartiere San Giovanni) e diversi eleganti palazzotti signorili appartenenti alle famiglie più ricche del paese.

Tra gli archimandriti messinesi che nei secoli si distinsero per lo sviluppo di Savoca, spiccano Leonzio II Crisafi (in cattedra dal 1468 al 1503), che restaurò il Castello di Pentefur e la chiesa matrice, promuovendo la realizzazione di altre opere e Alfonso d'Aragona (in cattedra dal 1503 al 1510), che per primo avviò il popolamento e lo sfruttamento delle allora desolate contrade rivierasche.

Nella fase di massima espansione territoriale (XVII secolo), sotto la giurisdizione politico-amministrativa della Terra di Savoca, erano compresi gli attuali comuni di Savoca, Santa Teresa di RivaFurci SiculoCasalvecchio SiculoAntilloRoccalumera (in parte) e Pagliara. Nel 1603 gli abitanti di Casalvecchio riuscirono a conseguire l'autonomia municipale per il loro villaggio con decreto del Viceré di Sicilia; tuttavia le autorità savocesi, grazie al prestigio di cui godevano a Palermo e Messina, ottennero la cancellazione di detto decreto vicereale e, su decisione della Deputazione del Regno di Sicilia e della Corte Straticoziale, il casale di Casalvecchio, nel 1608, tornò alle dipendenze di Savoca.

A partire alla seconda metà del XVI secolo, il Regno di Sicilia subì una progressiva erosione della sua indipendenza politica, entrando a far parte di quello che era sempre più un Impero universale, l'Impero spagnolo; la Sicilia rimaneva pur sempre indipendente, soprattutto da un punto di vista amministrativo, giudiziario e finanziario, ma la politica estera e quella militare la sottoponevano alla Spagna.

Dal canto suo, la Corona di Spagna, titolare del Trono dell'Isola, al fine di neutralizzare il nazionalismo siciliano acuì le discordie e le divisioni tra le due maggiori città, soffiando sul fuoco delle dispute municipalistiche che esistevano tra Palermo e Messina. Era un periodo in cui molti giuristi e intellettuali siciliani auspicavano la necessità di avere un sovrano siciliano per l'isola, al fine di risollevarne le sorti politiche. In buona sostanza i monarchi spagnoli, prendendo le parti di Messina contro Palermo e viceversa, non facevano altro che indebolire entrambe le città. Era questo il clima politico che si respirava in Sicilia nel corso del Seicento e, nonostante il discreto sviluppo agricolo, artigianale e mercantile, Savoca subiva questa difficile congiuntura e la sottomissione alla città di Messina, da cui era, dal 1435, costretta a dipendere per l'approvvigionamento del grano; quindi i savocesi, non potendosi più rifornire a Randazzo, per far fronte alla carenza di grano, erano costretti a fare affidamento solo sulle non floride scorte della città dello Stretto.

Nel 1641 il campanile della Chiesa Matrice cittadina venne dotato di un mirabile orologio a una lancetta (per le sole ore) che aveva la particolare e molto rara caratteristica di ruotare in senso antiorario. La presenza di questo singolare meccanismo di misurazione del tempo non ha eguali in Sicilia e nel Mezzogiorno d'Italia.

Negli anni 1645-1646, la Sicilia fu colpita prima da una gravissima siccità e poi da piogge fuori stagione che causarono un brusco calo dei raccolti e una conseguente crisi granaria in tutta l'Isola, le autorità imposero la diminuzione della pezzatura standard del pane che inevitabilmente portò a un drastico aumento del prezzo di questo genere di prima necessità. La popolazione mal tollerò questo provvedimento e, tra la primavera e l'estate del 1647, scoppiarono a PalermoCatania e altre città, vasti moti di protesta, capeggiati da Giuseppe D'Alesi, che assunsero un carattere prettamente nazionalista. Messina, dotata di una certa autonomia che ne faceva una sorta di "Repubblica mercantile", essendo in continua disputa municipalistica con Palermo, non si unì a detti moti. I savocesi, al contrario, cercarono di prendere parte alle rivolte in chiave indipendentista, antispagnola e antimessinese. Stando a quanto narra Caio Domenico Gallo, all'alba di domenica 14 luglio 1647, era prevista un'insurrezione, capeggiata da tre capipopolo locali: si dovevano prendere d'assalto e depredare le case dei "cittadini più doviziosi", i cui magazzini erano pieni di olio, farina, vino e altri generi alimentari. Tuttavia, il giorno prima della rivolta, una spia mise in guardia le autorità militari e i promotori vennero catturati e giustiziati nel castello di Pentefur poche ore prima dello scoppio del tumulto. Continua ancora Caio Domenico Gallo scrivendo che nella "nobile città di Messina" si sparse voce che i "paesani savocesi erano gente audace e facinorosa"; da allora, su ordine del Senato Messinese, durante la notte, le strade e i quartieri di Savoca erano sorvegliati da ronde continue di soldati.

In occasione della Rivolta di Messina del 1674, Savoca rimase fedele al re Carlo II per tutta la prima fase del conflitto; antiche cronache riferiscono che, il 25 febbraio 1675 le milizie savocesi, dopo una giornata di combattimenti, riuscirono a respingere l'attacco sferrato dai ribelli messinesi al territorio municipale di Savoca. Tuttavia, il 3 novembre 1676, due mesi dopo la caduta di Taormina e Scaletta in mano francese e, dopo le devastazioni perpetrate dai messinesi nella vicina Fiumedinisi; i savocesi, volendo scongiurare un violento assalto nemico alla loro città, si arresero ai francesi e alla ribelle Messina (che a questi ultimi aveva chiesto aiuto contro la Corona di Spagna) concludendo con questi una vantaggiosa capitolazione. Questo trattato venne stipulato tra una delegazione di diciassette notabili savocesi, guidata dal Capitano giustiziere cittadino don Stefano Trischitta, e il visconte di Vivonne Louis Victor de Rochechouart de Mortemart, comandante del contingente transalpino. In base a detta capitolazione i francesi accordarono a Savoca svariati privilegi politici ed economici, quali l'erezione a capoluogo della Comarca di Taormina (che aveva un territorio che si estendeva dal Capo Scaletta al Fiume Alcantara e ai paesi della sua Valle) e migliori condizioni di vita per i ceti meno abbienti. Tuttavia, dopo la pace di Nimega, i francesi si ritirarono da Messina l'8 aprile 1678; gli spagnoli, dopo aver sedato le rivolte e riconquistato la città dello Stretto, ne decretarono la morte civile e, conseguentemente, revocarono a Savoca gli effimeri, privilegi concessi dai francesi.

Nel 1693 un catastrofico terremoto devastò la Sicilia sud-orientale, Savoca venne colpita solo marginalmente; tuttavia, secondo antiche cronache il terremoto cagionò danni al castello di Pentefur e alla Chiesa di San Nicolò. Nel 1695, Savoca perse il dominio sui villaggi di Pagliara e Locadi, che divennero municipalità autonome dotate di ufficiali propri.

Con il trattato di Utrecht, nel 1713, il Regno di Sicilia cambiò, dopo due secoli, dinastia regnante, passando dagli Asburgo di Spagna ai Savoia, i quali, nel 1718, lo cedettero agli Asburgo d'Austria; tale situazione produsse una grave crisi politica sull'isola, che si protrasse fino al 1734. Nel corso del XVIII secolo, dal punto di vista sociale e culturale, Savoca mantenne sempre il suo prestigio, arrivando a toccare il picco massimo, mai raggiunto prima, di popolazione residente: 5.145 abitanti nel 1713 e dando i natali e la prima formazione, a diverse personalità di intellettuali e artisti come il pittore Filippo Giannetto; i teologi Padre Antonio da Savoca (n. ? - m. 1751) dell'Ordine dei Cappuccini e l'Abate Sac. don Giuseppe Nicòtina (1715-1795) professore di sacra Teologia in Messina e Palermo; il Sac. Don Antonino Garufi (1775-1842), poeta di epigrammi in latino e professore di Filosofia presso il Seminario di Palermo; i quattro giuristi Filippo Fleres (1686-1750), autore di pubblicazioni in materia amministrativa e fiscale e giudice del Tribunale del Concistoro del Regno di Sicilia nell'anno 1743, Giuseppe Trimarchi (1729-1784), giudice della Corte Pretoriana di Palermo nel 1767-68, del Tribunale del Concistoro negli anni 1775-76-77 e della Gran Corte civile nel 1784, Filippo Trischitta (1761-1826), Giudice del Tribunale della Regia Udienza di Messina e Pasquale Cicala (1769-1826) che oltre a ricoprire le cariche di Giudice della Gran Corte Civile di Messina e docente universitario, ebbe fama di "celebre letterato"; il filologo sac. don Antonino PuliattiAccademico dei Pericolanti, fondatore e docente, di una scuola di latino e belle lettere a Savoca; il prof. Matteo Procopio, Docente di letteratura presso l'Accademia Carolina di Stoccarda e traduttore di numerosi autori tedeschi; il poeta in lingua siciliana Vincenzo Cardile; il medico e accademico prof. Carmelo Pugliatti e il di lui fratello, il sacerdote e filosofo don Vincenzo Pugliatti (1785-1861).

Lo sviluppo economico, sociale e culturale consentì anche a Savoca la costituzione di enti sociali di beneficenza: il sac. don Vincenzo Giannetto (1698-1758) con testamento datato 28 marzo 1758 istituì un Monte frumentario con un capitale di cento onze; qualche decennio più tardi, nel 1838, Vincenzo Maria Trischitta (1772-1852) istituì un altro Monte frumentario a sostegno dei contadini poveri del paese.  

Nell'estate del 1743, un'epidemia di peste, propagatasi da Messina, infettò anche Savoca e le sue contrade cagionando numerosi decessi. Nel 1795 il grosso centro di Casalvecchio si emancipò dal dominio savocese, costituendosi comune autonomo. Alla fine del Settecento iniziò il declino della cittadina collinare, che iniziò lentamente a spopolarsi a favore dei centri rivieraschi.

Nel 1810, sul proprio territorio comunale, sulla riva sinistra della fiumara d'Agrò, Savoca ospitò un campo militare dell'Esercito britannico avente il compito di impedire, nel Regno di Sicilia, alleato della quinta coalizione antinapoleonica, possibili sbarchi e invasioni degli eserciti nemici provenienti dal Regno di Napoli di Gioacchino Murat.

Nel 1812 venne promulgata la nuova Costituzione del Regno di Sicilia che, all'avanguardia nel panorama giuridico europeo, abolì il feudalesimo nell'isola: ciò comportò la fine del mero e misto imperio degli Archimandriti messinesi sulla cittadina di Savoca.

Tuttavia, l'8 dicembre 1816, dopo più di sei secoli di indipendenza, il Regno di Sicilia venne soppresso da Ferdinando III di Borbone e accorpato al Regno di Napoli, generando il Regno delle Due Sicilie; ciò produsse un'onda di forte malcontento nel popolo siciliano. Nel 1817, con la soppressione delle Comarche siciliane, il nuovo Stato stravolse l'antica ripartizione amministrativa della Sicilia e Savoca venne inglobata nel distretto di Castroreale, diventando capoluogo dell'omonimo circondario: uno dei 27 circondari in cui la neonata Provincia di Messina era ripartita. Nonostante tutto ciò, cominciava la decadenza economico-politica di Savoca. Dal 1º ottobre 1818 la Terra di Savoca diventò il Comune di Savoca governato da un sindaco di nomina governativa (l'ultimo Archimandrita a esercitare il mero e misto imperio fu Emanuele II De Gregorio).

In occasione dei moti siciliani del 1820-1821, in Savoca si registrarono dei gravi tumulti popolari promossi e organizzati da alcuni nazionalisti antiborbonici appartenenti alla borghesia e al notabilato locali, come Angelo Caminiti, Nunzio Cuglitore, il notaio Luigi Trischitta e l'abate don Antonino Garufi. Dette sommosse si verificarono tra il 23 e il 30 luglio 1820 e videro una consistente partecipazione popolare. In quell'occasione, gli abitanti delle borgate rivierasche, soprattutto contadini, operai e pescatori, esasperati anche dalla pesante pressione fiscale imposta dall'amministrazione savocese, assalirono il centro storico, devastarono il Palazzo municipale e la sede del Regio Giudicato, espugnarono il carcere liberando i detenuti, incendiarono l'antico archivio cittadino e misero a soqquadro le residenze private del sindaco Domenico Scarcella, del giudice circondariale, del cassiere comunale e degli arcipreti del paese. Il processo che ne seguì si concluse con la totale assoluzione (per carenza di prove) degli organizzatori, ma vide la condanna a pene severe nei confronti di diversi popolani che con convinzione avevano partecipato alle sommosse.

Tra il 1820 e il 1830, in Savoca, si esercitavano ancora ben 25 mestieri, i più diffusi erano: tintore, murifabbro, mulattiere, mugnaio, ferraio, calzolaio, bracciale, bottaio, aromatorio; nello stesso periodo, esistevano, altresì, alcune professioni femminili, quali filandaia, tessitrice, levatrice e faticatrice; nel 1831 la popolazione era scesa a 3.285 unità. Dal 1846, anche il villaggio di Antillo si separò da Savoca, diventando comune autonomo.

La mattina del 25 dicembre 1847, per le vie di Savoca, comparvero affissi dei manifesti che recavano il seguente proclama: "Fratelli, l'ora è sonata! All'armi! All'armi!", poche settimane dopo, il 12 gennaio 1848, la Sicilia intera si sollevò contro il Regno delle Due Sicilie, autoproclamandosi indipendente e restaurando l'antico Parlamento siciliano. Anche Savoca prese parte alla Rivoluzione siciliana del 1848; sotto la guida di alcuni personaggi del notabilato locale, come Giuseppe Caminiti (figlio del succitato Angelo Caminiti), il sacerdote Vincenzo Trimarchi, il notaio Carmelo Salvadore, il sacerdote Domenico Altadonna, il notaio Vincenzo Saverio Fleres, il chirurgo Innocenzo Fleres, il medico Vincenzo Toscano e il possidente Giuseppe Cacopardo, i quali, oltre all'intento rivoluzionario e nazionalista, erano decisi a scalzare dal potere le vecchie famiglie aristocratiche e filo-borboniche presenti a Savoca. Detta Rivoluzione indipendentista venne violentemente repressa dall'Esercito del Regno delle Due Sicilie dopo 16 mesi di guerra, tuttavia i promotori poterono godere di generale amnistia.

Il 17 marzo 1851, il decurionato savocese, convocato a Messina presso la sede dell'Intendenza Provinciale Messinese, deliberò a maggioranza (6 voti contro 4) il nulla osta all'autonomia comunale di Santa Teresa di Riva.

Anche se in misura ridotta rispetto al passato, durante tutto il XIX secolo la cittadina di Savoca continuò a godere di un discreto prestigio sociale e culturale; tra gli intellettuali di maggior rilievo di questo periodo il medico prof. Santi Scarcella (1817-1878), allievo e successore di Anastasio Cocco nella cattedra di Farmacologia presso l'Università di Messina; il prof. Michele Crisafulli Trimarchi (1826-1903) primo preside della Facoltà di Medicina dell'Ateneo messinese e il prof. Giuseppe Crisafulli Trimarchi (1819-1887) che fu maestro di Tommaso Cannizzaro e poi preside della Facoltà di Lettere della stessa Università.

Nel 1854 le borgate rivierasche di Furci, Bucalo, Porto Salvo e Barracca si separarono dall'amministrazione savocese dando origine al comune di Santa Teresa di Riva. Allo stesso periodo risale la crisi della viticoltura e della bachicoltura, quest'ultima causata dall'annessione della Sicilia al neonato Regno d'Italia nel 1861: la costruzione della strada rotabile sul litorale ionico (oggi Strada statale 114 Orientale Sicula) nel 1828 e la realizzazione della ferrovia Messina-Siracusa nel 1867 tagliarono Savoca fuori dalle principali vie di comunicazione. Tra il 1796 e il 1863 l'arciprete della Chiesa Madre savocese perse, dopo secoli, la supremazia su chiese, parrocchie e cappelle dei comuni circostanti. Nel 1855 Savoca cessò di essere capoluogo del suo circondario, perdendo le sedi del Regio Giudicato e del Carcere che vengono trasferite a Santa Teresa di Riva, nuovo capoluogo di Circondario; nello stesso anno chiuse i battenti l'ultima filanda. Tutti questi fattori ebbero come conseguenza l'emigrazione verso i comuni rivieraschi (soprattutto verso Santa Teresa di Riva), ma anche verso il Nord Italia o l'estero; tali flussi spopolarono quasi completamente questo antico centro collinare.

Ad aumentare la decadenza influirono anche fattori di carattere naturale. Nel gennaio 1880, dopo tredici giorni di pioggia intensa, un grande movimento franoso provocò la distruzione di quasi tutto il quartiere di Sant'Antonio con l'omonima chiesetta del XVI secolo e della monumentale chiesa di Santa Lucia con l'annesso convento dei Domenicani del 1465.

A quanto pare a Savoca non ci furono vittime, ma senza dubbio si verificò una diminuzione degli abitanti del paese che si trasferirono altrove.

Nel 1884 si procedette alla soppressione della minuscola diocesi archimandritale di Savoca, costituita nel 1468.

Nel XX secolo, anche il terremoto del 1908 contribuì alla decadenza di Savoca, provocando il crollo del palazzo municipale (l'antica Curia del XIV secolo) e danneggiando la chiesa madre e la chiesa di San Nicolò. Nel 1929, si procedette alla soppressione, per opera del regime fascista, del comune di Savoca e al suo accorpamento a quello di Santa Teresa di Riva. L'antico paese venne spogliato per mano di una classe politica senza scrupoli, lo stesso palazzo municipale venne venduto all'asta. Tale situazione amministrativa si mantenne fino al 1948, allorquando, grazie all'interessamento del deputato regionale savocese avv. Rosario Cacopardo e a un provvedimento della Regione Siciliana, Savoca riconquistò l'autonomia comunale.

Solo negli ultimi quarant'anni Savoca sta lentamente vivendo un nuovo periodo di sviluppo, grazie anche al fatto che dal 1970 è stata scelta come set di numerosi film e fiction, in primis Il Padrino di Francis Ford Coppola. Il centro storico si sta sviluppando urbanisticamente mediante dei precisi parametri che mirano a valorizzare il patrimonio architettonico e paesaggistico presente e numerose strutture ricettive hanno aperto i battenti. Dal 1997 a Savoca è stato istituito un comando stazione del Corpo forestale della Regione siciliana. Dal 2008 Savoca è inserita tra i borghi più belli d'Italia. Nel mese di luglio del 2010, il Ministero per i beni e le attività culturali ha finanziato un progetto che prevede la ricostruzione virtuale del borgo medievale di Savoca dalle origini ai giorni nostri, ripercorrendone tutte le fasi storiche.

Visitare il borgo

L'antico e caratteristico centro storico, ricco di antichi monumenti di origine medioevale, si caratterizza per la presenza di stretti e tortuosi vicoli ed è suddiviso in sette quartieri:

Sant'Antonio, quartiere situato nelle immediate vicinanze di piazza Fossìa, limitrofo con quello del Borgo e con quello dei Cappuccini. Questo quartiere, un tempo vasto e popoloso, nacque verso la fine del XV secolo, quando il centro abitato si espanse fuori dalla cinta muraria. Prese il nome dall'antica omonima chiesa presente al centro del quartiere. Questa borgata, insieme alla chiesa di Sant'Antonio Abate, venne distrutta da una frana nel 1880. Rimane ben poco di questo quartiere, tuttavia le porzioni rimaste sono ancora ben popolate. Dal 1997 vi ha sede il comando stazione del Corpo forestale della Regione siciliana.  

Cappuccini, è ubicato poco sopra il quartiere Sant'Antonio, prende il nome dal vicinissimo convento dei padri cappuccini, edificato nel 1603. Conserva vari edifici di antica origine ed è discretamente popolato.  

Borgo, il cuore nevralgico del centro storico, sorge attorno alla piazza Fossìa, in tale quartiere si trova il Municipio, il Palazzo Trimarchi del XVIII secolo, il Bar Vitelli ed altri piccoli e caratteristici esercizi commerciali. Anche questo quartiere si formò verso la fine del XV secolo, quando il centro abitato si sviluppò anche al di fuori della cinta muraria; è caratterizzato dalla presenza di eleganti edifici signorili di indubbio interesse storico e artistico di epoca compresa tra il XVI ed il XX secolo.  

San Michele, è ubicato dentro la cinta muraria, tra la Porta della Città e la chiesa di San Nicolò. Prende il nome dalla chiesa di San Michele che sorge nel bel mezzo del quartiere. Durante il Medioevo ed il Rinascimento, questo quartiere aveva una grande importanza in quanto ivi sorgevano il Palazzo della Curia, il Giudicato, il carcere, la Sinagoga di Savoca e vi si trovava un'importante fontana per l'approvvigionamento di tutto l'abitato; insomma qui avevano sede le magistrature amministrative e giudiziarie della cittadina. Vi ha sede il Museo comunale ed è caratterizzato per i suoi stretti vicoli e la presenza di ruderi di molti antichi edifici.  

San Rocco, sito anch'esso dentro le mura cittadine, era il quartiere dei pescatori. È alquanto vasto, nei secoli passati era densamente popolato soprattutto dal ceto popolare. Oggi è quasi completamente disabitato. Presenta una conformazione caratterizzata dalla presenza di stretti e tortuosi vicoli e umili case plebee. Degni di nota sono i ruderi della chiesa di San Rocco del 1593 e il panorama suggestivo che vi si gode. In questo quartiere sono stati realizzati un resort ed un villaggio turistico.  

Pentefur, antichissimo quartiere, è il nucleo originario della città di Savoca. Alcuni storici locali ritengono sia di origine tardo romana o bizantina. Sorge ai piedi dell'omonimo castello, in una zona compresa tra la Chiesa Madre e il Borgo. Anche questa borgata, ancora abbastanza popolata, presenta un'urbanistica prettamente medioevale.  

San Giovanni, situato all'estremità sud del centro storico è, come Pentefur, il più antico quartiere di Savoca, popolato già in epoca anteriore all'invasione araba del IX secolo. Vi si trovava la porta di ingresso meridionale del paese, più imponente di quella tuttora visibile nel quartiere San Michele. È caratterizzato da edifici signorili tipicamente medioevali, come la Casa della Bifora del XV secolo. Vi si trovano la Chiesa Madre del XII secolo e i ruderi della chiesa di San Giovanni del XII secolo. Nei secoli scorsi, in virtù di quanto riferisce lo storico Giuseppe Trischitta, in questo quartiere era ubicato l'antico Ospedale di San Giovanni, non più esistente; tuttavia, è possibile ammirare l'edificio a due elevazioni che ospitava detto ospedale.

Chiesa di Santa Maria in Cielo Assunta

Chiesa di Santa Maria in Cielo Assunta, è la chiesa matrice di Savoca ed è un monumento nazionale italiano dal 1910. Secondo consolidate fonti storiche, la chiesa venne eretta verso il 1130 su una preesistente struttura di incerta origine, durante il regno del Re Ruggero II di Sicilia, il monarca avrebbe personalmente contribuito alle spese di edificazione. Tuttavia, secondo un recente parere di alcuni esperti, la chiesa venne costruita nei primi anni del IX secolo, pochi decenni prima della conquista islamica della Sicilia, ciò sembrerebbe desumersi dall'epigrafe di un'antica pietra su cui si distinguerebbero tre numeri: 802, ad ogni modo, non è al momento possibile dare certezze sull'attendibilità di questa retro-datazione.

Tra la fine del XV secolo e l'inizio del successivo, venne ristrutturata ad opera di messer Pietro Trimarchi (1465-1534), facoltoso architetto savocese, con tale intervento si invertì l'orientamento del tempio (la struttura originaria era con le absidi rivolte verso Est, adesso sono rivolte verso Ovest) si edificarono le attuali abside e facciata e si realizzarono, ai lati del tempio, due ampie cappelle; si diede quindi alla chiesa madre una struttura tipicamente siculo-rinascimentale, abbandonando il preesistente stile siculo-normanno. A memoria di tale posticcio rifacimento, il portale centrale reca la seguente iscrizione marmorea: HOC OPUS M. PETRUS TRIMARCHI FIERI FECIT.

Tra il 1555 ed il 1736 venne edificato il campanile, sul quale vedasi approfondimento.

Negli anni' 50 del Settecento, alla destra dell'edificio sacro, venne edificato, a spese dell'allora arciprete della città di Savoca, don Giuseppe Nicòtina (1715-1795), il palazzotto a due elevazioni della canonica, che, al piano primo è da sempre adibito a sagrestia e al piano terra ospitò la sede del Monte frumentario, istituito nel 1758 col capitale di onze 100 donate per testamento dal sacerdote savocese don Vincenzo Giannetto. All'interno del primo piano di detto edificio erano custodite ed esposte opere pittoriche di grande pregio, oggi quasi interamente perdute.

In questo importante edificio di culto celebravano ben dodici sacerdoti ed è stato, per secoli, sede periferica dell'archimandrita di Messina e sede di arcipretura dalla quale dipendevano tutte le chiese delle frazioni e dei comuni contigui.

Il terremoto del 1908 causò alcuni danni come il crollo di parte del tetto e della caratteristica cuspide del campanile. La chiesa, proclamata monumento nazionale nel 1910, venne riparata dai danni del terremoto nel 1911.

Oggi il territorio parrocchiale della chiesa madre di Savoca comprende, oltre al centro storico, le frazioni di Cucco, Santa domenica, Romissa, Mancusa e Rogani.

La facciata a doppio spiovente presenta il portale centrale, di impostazione siculo-rinascimentale, spinto verso l'alto da paraste laterali che guidano lo sguardo verso il rosone in pietra a cinque bracci (che non trova eguali in nessuna chiesa del Messinese) opera di maestranze locali, scultori e scalpellini che diedero prova della loro notevole abilità, operando ai limiti della capacità di resistenza dei materiali lavorati. La chiesa è a tre navate, divise tra loro da colonne monolitiche, sormontate da pregevoli capitelli romanici.

Al suo interno sono presenti antiche opere di indubbio valore storico e artistico. Nel 2002, in occasione di lavori di restauro, vennero casualmente scoperti due affreschi murali del XII secolo di sapore squisitamente siculo-normanno, raffiguranti San Giovanni Crisostomo e San Basilio Magno. Ancora visibile, all'altare maggiore, l'antica cattedra lignea dell'archimandrita di Messina e pregevole risulta il quattrocentesco soffitto ligneo a capriate; degni di nota gli affreschi cinquecenteschi, che adornano le pareti ed il catino dell'abside, raffiguranti l'Assunzione di Maria Vergine al Cielo (nel catino) e i Dodici Apostoli, nelle pareti. Caratteristico risulta il pulpito ligneo barocco.

La chiesa, oltre all'Altare maggiore in marmo pregiato, del 1795, posto al centro dell'abside, è dotata di altri sei altari marmorei: a destra dell'abside, il rinascimentale altare dedicato al Santissimo Crocifisso, dotato di antica croce lignea seicentesca e paliotto in marmo raffigurante San Nicola di Bari; a sinistra dell'abside si trovano l'altare e la statua dedicati alla Madonna del Fervore entrambi del XVI secolo. Alle pareti laterali della navata si trovano: a destra, il cinquecentesco altare di San Giuseppe e a sinistra l'altare in stile barocco siciliano dedicato a Santa Rita da Cascia, con antica pala raffigurante la Santa che benedice Savoca e la sua chiesa matrice. Si ammirano infine, un quadro raffigurante la pietà ed una grande tela che riproduce la Sacra Famiglia, entrambi risalenti al secolo XVII e restaurati nel XX secolo a spese di tre cittadini savocesi.

Come già detto, la chiesa è dotata di due ampie cappelle laterali, risalenti al grande restauro operato ai primi del XVI secolo da Pietro Trimarchi. La cappella di destra, dotata di pregevole altare barocco siciliano è dedicata al Santissimo Sacramento e venne realizzata a spese della potente famiglia savocese dei Trimarchi; quella di sinistra (che immette nella sagrestia) è, dal 2002, dedicata Madonna di Fátima, su detto altare è posizionato un grande complesso statuario benedetto da Papa Giovanni Paolo II.

Nella sottostante cripta, ubicata sotto l'abside, è presente il Putridarium ove, nei secoli passati, si procedeva alla mummificazione delle salme dei notabili del paese.

Nella zona del portale centrale di ingresso, recentemente, sono venute alla luce tracce dell'antica pavimentazione risalente al XII secolo.

Il Campanile e l'orologio antiorario - Come riportato dall'evidente incisione su una pietra angolare, il campanile della Matrice di Savoca venne edificato a partire dall'anno 1555, inizialmente su tre ordini, con un'architettura tipicamente siculo-rinascimentale e manierista. Nel 1641, su iniziativa dell'allora Arciprete Sac. Mazzullo e a spese dei Giurati Salvo Cuglituri, Antonio Vinci, Giovan Domenico Cuglituri e del Sindaco di Savoca Antonio Crisafulli, venne posizionata, all'interno dell'ordine sommitale della torre, una grande campana bronzea, detta in siciliano "lu Campanuni", realizzata a Tortorici da mastro Gregorio Zumbo. Fu probabilmente nello stesso periodo che il campanile venne dotato di un mirabile orologio ad una lancetta (per le sole ore) che aveva la particolare e molto rara caratteristica di ruotare in senso antiorario. Esso funzionava secondo il metodo dell'Ora italica e, in base a recenti studi, è unico in Sicilia e nel Meridione d'Italia: altri soli 5 esemplari sono presenti in Lombardia, Veneto, Toscana e Marche. 

Dopo essere stato lesionato dal terremoto del 1693, il campanile venne restaurato e, nel 1736, fu sopraelevato mediante costruzione di un quarto ordine e di una pregevole e caratteristica guglia a cipolla sullo stile di altre simili progettate dal noto architetto messinese Filippo Juvarra. Detta sopraelevazione scaturiva dall'esigenza di rendere più percepibili e a distanze sempre maggiori, i rintocchi delle campane che scandivano il succedersi delle ore regolando la vita lavorativa dei savocesi. L'orologio antiorario di Savoca smise di funzionare non molto dopo il 1875, di esso rimane solo il pregevole grande quadrante lapideo che fa mostra di sé in cima alla vetusta torre campanaria. Degli ingranaggi meccanici, che nel corso dei secoli venivano regolati e manutenuti da persone esperte all'uopo preposte, non rimane più nulla. Il campanile subì ancora gravi danni a causa del terremoto del 1908, che richiesero la demolizione dell'ordine sommitale settecentesco e della caratteristica guglia a cipolla, riportando il manufatto all'altezza che aveva prima del 1736.

Chiesa di San Michele

Chiesa di San Michele, costruita attorno al 1250, per volere degli Archimandriti, era la chiesa del castello di Pentefur. Edificata anteriormente al 1250 per volontà degli archimandriti messinesi, era la chiesa del Castello di Pentefur. Inizialmente l'edificio era di esigue dimensioni e, secondo un antico manoscritto datato 1308, vi celebravano la Divina Liturgia numerosi sacerdoti di rito greco.

Verso il 1420 la chiesa venne ampliata e si procedette ad impreziosirla con i due attuali portali in stile gotico-siculo-chiaramontano. Durante tutto il Medioevo ed oltre, il non credente che si convertiva al Cristianesimo, secondo una documentata tradizione, doveva salire ginocchioni, in atto di penitenza, i suoi sette gradini, per poi ricevere il sacramento del battesimo.

Fino a tutto il secolo XVIII, secondo fonti archivistiche del 1748, la chiesa era parrocchiale anche se non appare chiaro su quali quartieri si estendesse il suo territorio.

Documenti storici risalenti al 1624 testimoniano la chiusura al culto, causa inagibilità, di questa chiesa; le celebrazioni sacre avevano luogo nella vicinissima chiesa di Gesù e Maria. Negli ultimi anni del Seicento (su iniziativa dell'allora cappellano della chiesa, don Vincenzo Miuccio) gli interni del sacro edificio vennero sontuosamente restaurati seguendo lo stile del barocco siciliano; detti lavori si conclusero nel 1701 con la realizzazione di un ricco ciclo pittorico di affreschi tuttora esistenti ma in precarie condizioni di conservazione. Nel 1761, poi, si procedette al rifacimento della copertura lignea a capriate che ancora oggi sorregge il tetto; nello stesso periodo vi esercitò le funzioni di parroco il letterato don Antonino Puliatti.

Nel 1996 vennero restaurati il tetto ed il soffitto ligneo interno. Questo prezioso edificio fu dichiarato monumento nazionale nel 2002.

Nel mese di agosto 2015, su iniziativa di alcuni giovani savocesi, dell'arciprete don Agostino Giacalone, dell'amministrazione comunale e di varie associazioni, è partito il crowdfunding finalizzato a reperire i fondi necessari a salvare dal degrado gli interni barocchi della chiesa.

Dopo essere rimasta chiusa al culto per decenni, il 29 settembre 2020, solennità di San Michele Arcangelo, conclusi i lavori di restauro degli interni, con solenne celebrazione eucaristica la chiesa è stata riaperta al culto.

All'interno della chiesa, a navata unica, è possibile ammirare un imponente ciclo pittorico costituito da:

- un prezioso affresco del 1701 raffigurante il Battesimo di Gesù al Fiume Giordano;

- un piccolo affresco che reca l'immagine della Madonna della Lettera risalente al 1701;

- due antichi quadri del 1701 raffiguranti San Michele Arcangelo e i Santi Cosma e Damiano;

ed altre preziose opere quali:

- tre altari barocchi dedicati rispettivamente ai Santi Cosma e Damiano, a Santa Maria dell'Idria e a San Giovanni;

- un pregevole pulpito ligneo settecentesco.

- le tombe di alcuni notabili locali, come quella dei Crisafulli, realizzata nel 1581, e quella della famiglia di Onofrio Cicala, del 1749.

- la torre campanaria.

La chiesa è stata riaperta al culto, dopo decenni, nel settembre 2020, ma nel corso degli anni ha ospitato mostre ed altre iniziative culturali. Presso questa chiesa, ogni anno, il giorno prima della festa agostana di Santa Lucia, avviene una sorta di "passaggio delle consegne" tra le "Lucie"; infatti la bambina che l'anno precedente ha impersonato Santa Lucia, consegna a quella dell'anno corrente il ramoscello di palma d'oro; fatto ciò, iniziano i grandi festeggiamenti.

Una lapide, nell'antistante piazzetta, ricorda che in tale luogo venivano tumulati i bambini morti senza battesimo. A breve distanza da questa antica chiesa, si vedono ancora le rovine di quella che, fino al 1470, fu la sinagoga di Savoca.

Chiesa di San Nicolò

Chiesa di San Nicolò, edificata nel XIII secolo, fino a tutto il XVII secolo era riccamente adornata con affreschi in stile bizantino.

Venne edificata nel XIII secolo e, come testimonia un antico documento datato 1308, vi officiarono la Divina Liturgia numerosi cappellani greci. Originariamente, gli interni erano riccamente adornati con affreschi in stile siculo-normanno risalenti al XIII secolo. Nei secoli scorsi (fino alla fine del XIX secolo) era chiesa parrocchiale, sotto la cui giurisdizione erano poste anche le piccole cappelle di quella che fu (fino al 1854) la Marina di Savoca. Secondo fonti archivistiche risalenti al 1676, all'interno di questa chiesa, ogni anno, l'ultima domenica di agosto, si tenevano le elezioni dei Giurati e del Sindaco di Savoca. È infine documentato, in questa chiesa, il culto di Santa Barbara, di cui oggi non resta traccia alcuna.

È stata oggetto di due importanti restauri: il primo alla fine del XV secolo (effettuato, secondo la tradizione orale, ad opera dell'architetto savocese messer Pietro Trimarchi (1465-1534) ma non vi sono fonti attendibili) e il secondo nei primi anni del XVIII secolo (forse perché danneggiata dal terremoto del 1693) che ne hanno profondamente modificato la fisionomia originaria; di conseguenza l'edificio sacro presenta oggi un'architettura settecentesca. La chiesa di San Nicolò ha avuto una grande valenza storico-sociale anche perché, a partire dal Medioevo e fino al XIX secolo, al suo esterno (nell'area del sagrato frontale e laterale) hanno trovato sepoltura i cittadini savocesi appartenenti ai ceti popolari. Ancora oggi, sotto il piano di calpestio della piazzetta che circonda la chiesa, esistono (ma non sono visibili) le cripte-ossuario che contengono i resti mortali di centinaia di popolani savocesi vissuti e deceduti tra il XIV ed il XIX secolo. Il terremoto del 1908 danneggiò la chiesa, che dovette subire un ulteriore restauro. Nel mese di agosto del 1970, sul sagrato di questo edificio sacro vennero girate alcune celebri scene del film Il Padrino di Francis Ford Coppola. L'ultimo restauro della chiesa risale al 1981.

Ha un caratteristico stile merlato che la fa somigliare ad una fortezza. Sorge in una posizione panoramica, protesa in direzione di un profondo dirupo. Accanto alla chiesa sono visibili i resti della cripta, crollata a causa di una frana verso il 1943. La costruzione è a tre navate con colonne di granito sormontate da capitelli; è dotata di altari di marmo pregiato e opere di scultura e di pittura di indubbio valore artistico e storico.

Questa chiesa ospita alcune importanti opere scultoree e pittoriche provenienti dalla seicentesca Chiesa dell'Immacolata (oggi centro filarmonico) e dalla quattrocentesca Chiesa di Santa Lucia con annesso convento domenicano crollati a causa di una frana nel 1880; proprio per tale motivo quest'edificio sacro oggi viene comunemente appellato chiesa di Santa Lucia.

L'opera più antica, è sicuramente la trecentesca tavola raffigurante San Michele Arcangelo, che, secondo una leggenda, verso la fine del XV secolo, venne rocambolescamente rubata dai savocesi agli abitanti di Forza d'Agrò. Fino al secolo scorso era custodita all'interno dell'omonima chiesa savocese.

Degna di attenzione è un'antica grande tela (366x242), opera di Gaspare Camarda del 1623, raffigurante la Madonna del Parto, commissionata dalla famiglia Trischitta; originariamente posta nella vicina Chiesa dell'Immacolata (oggi centro filarmonico), venne qui collocata durante il secolo scorso, quando questa andò in rovina.

Interessante risulta la statua lignea di san Vincenzo Ferreri, realizzata dallo scultore gangitano Filippo Quattrocchi nella seconda metà del XVIII secolo, anche detta opera scultorea era custodita nel convento domenicano, venendo qui trasferita dopo il crollo di questo nel 1880.

Di valore inestimabile risulta il preziosissimo simulacro in argento cesellato raffigurante santa Lucia da Siracusa, realizzato nel 1666, su commissione della Confraternita di Santa Lucia, da ignoto argentiere messinese. Pregevoli appaiono le statue lignee della Madonna del Carmelo (anch'essa opera di Filippo Quattrocchi) di sant'Antonio Abate e di san Michele Arcangelo, risalenti al XVIII secolo. Un piccolo busto marmoreo quattrocentesco, raffigurante la Martire siracusana troneggia al centro della facciata, sull'architrave del portale centrale.

Recentemente il monumento è stato arricchito con opere d'arte del maestro Licinio Fazio (dipinti su legno aventi per oggetto episodi biblici), dell'artista tedesco Siegmund Wagner (dipinti su tela raffiguranti santa Lucia ed il suo martirio) e dell'artista savocese Carmelo Salemi Scarcella (1937-2019) (riproduzioni in terracotta delle stazioni della Via Crucis). Da non dimenticare la statua lignea di Santa Lucia eseguita dallo scultore Reginaldo D'Agostino. A destra della chiesa sorge una torre campanaria sormontata da orologio.

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