Palazzolo Acreide
(Siracusa)

   

Città barocca dalle radici greche, situata nei Monti Iblei e non distante dal fiume Anapo e la Necropoli Rupestre di Pantalica, nel 2002 è stata insignita del titolo di Patrimonio dell'Umanità da parte dell'UNESCO, insieme con il Val di Noto.

La cittadina fa inoltre parte del circuito dei borghi più belli d'Italia.  

Così come riporta Tucidide, la città trae origine da Ákrai che derivando dal greco ákrā altro non significava che "cima, picco, estremità" ma anche "castello o cittadella che domina una città". Per quanto riguarda invece "Palazzolo" si tratta di un'aggiunta successiva, in epoca medievale. Trae chiaramente origine dal latino palatium con l'aggiunta del suffisso -olum che diventò quindi "Palatiolum", divenendo infine il "Palazzolo di Ákrai".  

L'esistenza di Palazzolo Acreide viene testimoniata da Tucidide nella Guerra del Peloponneso già in epoca antica. Era quindi una colonia siracusana fondata attorno al 664 a.C. (70 anni dopo la fondazione di Siracusa) dagli stessi siracusani. Della città antica si conservano numerose testimonianze, in particolare un importante edificio teatrale e un complesso di edifici adiacenti all'agorà greco-romana. Di una strada urbana identifica con il decumano si conserva integro il manto stradale. Molti degli edifici e dei complessi cimiteriali cristiani furono esplorati e dal Barone Gabriele Judica di Bauly. Delle ricerche effettuate dal nobile archeologo si conserva una dettagliata relazione in una pregiata edizione del 1819, oggi piuttosto rara, ma di facile reperimento nelle biblioteche specializzate. Le ricerche archeologiche hanno evidenziato una fase anteriore alla colonizzazione greca, d'interesse è a questo proposito la necropoli della Pinita un complesso di sepolcri scavati lungo una ripida parete di calcare, che molto si assomiglia alle maestose sepolture di Pantalica, della popolazione che vi seppellì i propri defunti si conosce poco, già svuotati nell'antichità hanno restituito alcuni manufatti noti all'Orsi, molto interessante è un sepolcro per la caratteristica volta micenea a testimonianza dei rapporti con il mondo greco ed egeo. altri luoghi di interesse sono l'antro di Sparno e alcune grotte-sepolcro nei pressi di Bauly.

Durante il periodo greco la città coniò una moneta con l'effigie della dea Demetra e si arricchì di importanti edifici civili, al regno di Gerone II, probabilmente nato o cresciuto in questa località, si deve il riordino urbano dell'abitato in epoca ellenistica. Del periodo romano si conservano parecchie testimonianze tra queste ad esempio la base di una statua onoraria dedicata a Caio Verre intercettata da Gabriele Judica. In epoca tardo antica e cristiana la città accolse una numerosa comunità di cristiani e di ebrei che migrarono dopo l'editto del 18 giugno 1492 che espelleva dai domini spagnoli le comunità israelitiche.  

Alla presenza dei cristiane delle catacombe urbane dell'Intagliata e dell'Intagliatella, ma anche e soprattutto un cospicuo numero di catacombe rurali note alla letteratura scientifica. Importanza notevole rivestono in questo contesto le iscrizione greche e cristiane studiate da Giovanni Pugliese Carratelli. in epoca moderna la città è tornata ad essere oggetto di scavi e di studi che hanno favorito una migliore comprensione della storia dell'abitato antico. Impulso notevole hanno esercitato le ricerche di Clelia Laviosa, Luigi Bernabò Brea, Beatrice Basile, Salvatore Distefano, Giuseppe Voza, Lorenzo Guzzardi.

La città antica fu distrutta dalle truppe islamiche nell'827 si accamparono nei suoi pressi in attesa di occupare Siracusa. Di recente le ricerche sono state riprese dall'Università di Varsavia che ha condotto nell'area della città greco-romana alcune campagne di scavo.

Nella seduta del 27 giugno 2002 a Budapest, durante la XXVI Sessione Plenaria dell'UNESCO, la chiesa di San Sebastiano e quella di San Paolo di Palazzolo Acreide sono state dichiarate monumento patrimonio dell'umanità.

Basilica di San Paolo

La basilica di San Paolo è la più importante delle chiese cittadine, appartenente all'arcidiocesi di Siracusa.

Il tempio fu edificato sull'area che occupava la primitiva chiesa di Santa Sofia. Quest'ultima fu concessa ai confrati a patto che mantenessero, nella nuova costruzione, un ambiente con altare dedicato alla santa. L'edificio era in parte perfezionato nel 1657, anno in cui fu intronizzato il simulacro di San Paolo.

Nel 1663 fu elevato a parrocchia sacramentale ad quinquennium e nel 1669 fu dichiarato sacramentale in perpetuum.

Nel mese di settembre del 1688 San Paolo fu eletto, in apposita assise popolare, patrono principale e protettore di Palazzolo Acreide. L'elezione fu confermata dalla Sacra Congregazione dei Riti nel luglio del 1690.

La città è suddivisa in contrade cui fanno capo altrettante chiese (dedicate rispettivamente a San Paolo, San Sebastiano, San Michele, Sant'Antonio). La chiesa di San Paolo aveva supremazia su tutte.

Con la concessione del titolo di parrocchia alla chiesa di San Sebastiano nel 1859 le tensioni e i dissidi tra le due comunità si inasprirono.

Le reciproche scaramucce e dispetti tra sambastianari e sampaolari, per sanguigne passioni e viscerale attaccamento alle tradizioni, assumono dimensioni tali da costituire oggetto d'analisi da parte dell'antropologo Giuseppe Pitrè.

Il terremoto di Santa Lucia del 13 dicembre 1990 determinò un lungo periodo di chiusura.  

FACCIATA - Una gradinata a rampa unica di 11 gradini raccorda il piano stradale con il sagrato su cui insistono i tre archi del portico o pronao d'accesso alla basilica. Atri sei gradini attraverso il solo varco centrale permettono l'accesso al vestibolo, le arcate minori laterali presentano balaustre in pietra.

La suggestiva facciata barocca è opera del netino Vincenzo Sinatra, ripartita su tre ordini divisi in tre corpi al primo livello, un unico corpo centrale per i restanti livelli caratterizzati da volumetrie via via decrescenti. Elaborati cornicioni e marcapiano dalle ricche modanature separano i livelli, ringhiere in ferro battuto proteggono i rispettivi camminamenti.

Il primo ordine è delimitato da paraste angolari curvilinee che raccordano la controfacciata determinando nell'atrio due arcate sfalsate laterali con sviluppo ad ogiva. Il corpo centrale, per due livelli, è ulteriormente arricchito da coppie di colonne binate aggettanti che contribuiscono ad esaltare la prospettiva convessa di tutta la struttura. L'arcata centrale poggia su colonne parimenti sormontate da capitelli corinzi.

Il secondo ordine ricalca lo schema del corpo centrale del primo con lesene ai lati della grande arcata. All'interno della campata è collocato un gruppo statuario raffigurante un Gesù Cristo con globo crucigero ritratto in atto benedicente, ai lati due angeli osannanti. Due grandi volute raccordano il corpo centrale al livello inferiore conferendo all'insieme slancio e simmetria, sulle mensole superiori sono collocati vasi fiammati acroteriali. Disposte simmetricamente su piedistalli otto statue raffiguranti gli Apostoli.

Il terzo ordine è costituito da un solo corpo centrale abbellito da coppie di lesene binate e colonne a sostegno dell'arco. L'ambiente interno ha funzioni di cella o loggia campanaria. Le restanti quattro statue degli apostoli delimitano l'apertura frontale.

Chiude la prospettiva una cuspide a bulbo contornata da vasi acroteriali fiammati con croci sommitali. La superficie esterna del bulbo reca uno stemma raffigurante una spada che sostiene tre corone sovrapposte simboleggianti gli ordini feudali: l'ordine demaniale o civico proprio delle città regie, l'ordine feudale o baronale, l'ordine ecclesiastico.

INTERNO - Impianto basilicale a tre navate ripartite da pilastri, due absidi laterali che racchiudono le due navate minori, lungo le pareti e nei vari ambienti sono addossati undici altari, di cui due ubicati nelle cappelle laterali. Il valente pittore Giuseppe Crestadoro tra la fine del '700 ed i primi anni dell'800, lavorò molto per la commissione del ciclo pittorico su tela realizzando ben otto quadri autografi o attribuiti, per la maggior parte collocati ad ornamento degli altari della navata destra.

NAVATA DESTRA - Prima campata: fonte battesimale, alla parete l'olio su tela raffigurante il Battesimo di Gesù di Giuseppe Crestadoro.

Seconda campata: Cappella di San Biagio. Sull'altare il quadro raffigurante il Martirio di San Biagio.

Terza campata: Cappella di San Paolo. Sull'altare il quadro raffigurante il Battesimo di San Paolo.

Pulpito. Manufatto ligneo realizzato da Giuseppe e Sebastiano Giuliano nel 1833.

Quarta campata: Cappella di Santa Sofia. Sull'altare un quadro dedicato a Santa Sofia.

Quinta campata: Cappella di San Silvestro. Sull'altare marmoreo il quadro San Silvestro battezza Costantino, opera di Giuseppe Crestadoro.

NAVATA SINISTRA - Prima campata: Cappella delle Anime Purganti. Sull'altare un grande quadro di Giuseppe Crestadoro.

Seconda campata: ingresso laterale sinistro.

Terza campata: Cappella del Santissimo Crocifisso. Ambiente con altare marmoreo, completato da un retroaltare lapideo di fattura settecentesca. Pregiato Crocifisso collocato su tela raffigurante la Beata Vergine Maria ritratta con Santa Maria Maddalena e San Giovanni Evangelista, opera d'autore ignoto.

Quarta campata: Cappella della Madonna Addolorata. Altare realizzato con marmi pregiati da mastro Carmelo Bonaveura di Catania, nel 1778. Le colonne ed il timpano sono opera del valente artista scalpellino don Antonio Gibilisco, artista attivo negli anni venti del XX secolo. Nella nicchia è posta la statua in cartapesta raffigurante la Madonna Addolorata.

Quinta campata: Cappella di San Gaetano di Tiene. L'altare di fattura ottocentesca, ha una particolare struttura architettonica che lo rende singolare. Le colonne esterne poggiano sul vuoto, vale a dire il baricentro delle colonne laterali cade al di fuori del ridotto stilobate. La particolare realizzazione è resa possibile da mensole con volute orientate verso l'osservatore. L'artificio rende una prospettiva concava di colonne tortili binate con sviluppo elicoidale alterno, che determina un altrettanto articolato timpano ad archi archi spezzati, sovrapposti e simmetrici disposti su due livelli. Il corpo centrale delimita una stele intermedia arricchita da stemma coronato disposto su raggiera. Del manufatto se ne ignora l'autore. Nell'edicola è custodito il dipinto San Gaetano di Tiene  d'autore ignoto.

ABSIDIOLE - Absidiola destra: Cappella del Santissimo Sacramento. Ambiente con altare ligneo del ‘600 e due quadri ovali di Giuseppe Crestadoro: la Beata Vergine degli Agonizzanti e l'Assunzione di Maria. Nella cappella uno stupendo altare ligneo con un elaborato tabernacolo del XVII - XVIII secolo, la cui base appartiene all'organo proveniente da una primitiva collocazione fra il primo e secondo pilastro della navata di sinistra. Nell'ambiente sono custodite le statue raffiguranti il Cristo Risorto, proveniente dalla chiesa di San Domenico, e quella della Madonna Bambina, scolpita da Giuseppe Giuliano.

Absidiola sinistra: Cappella della Madonna del Rosario e di San Domenico, sono presenti le statue dei due santi eponimi,  completano l'apparato pittorico due copie della Conversione di San Paolo del Caravaggio, realizzate e donate dal Liceo Artistico di Palazzolo.

ALTARE MAGGIORE - Sull'altare maggiore è posto un Crocifisso del XVI - XVII secolo. La monumentale sopraelevazione versus Deum presenta enormi colonne tortili policrome con rilievi fitomorfi lungo lo sviluppo elicoidale dei fusti, i possenti manufatti delimitano l'edicola centrale contenente il quadro raffigurante la Conversione di San Paolo, dipinto attribuito a Giuseppe Crestadoro, dietro la tela è celata la nicchia ove è custodita abitualmente la statua di San Paolo. Chiude la prospettiva un massiccio architrave ornato da vasotti fiammati acroteriali che fanno ala all'iscrizione celebrativa della stele centrale. L'icona è svelata e rimossa dalla custodia abituale in occasione delle due principali festività dell'apostolo delle genti.

La statua fu scolpita dal ragusano Vincenzo Lorefice nel 1567. In tutti questi secoli ha subito diversi interventi di restauro, che ne hanno alterato lo stile originario. Quando fu consegnata nel XVI secolo, la statua era dipinta a tempera e con colori uniformi, turchino la veste e rosso il manto. Nel 1681, sembra abbia subito un primo restauro, in seguito al terremoto del 1693 la statua subì gravi danni, maggiormente al viso, per cui uno statuario di Messina, nel 1695, ne rifece totalmente la testa.

Alle pareti laterali sopra gli scranni del coro sono collocati due dipinti, a sinistra il Naufragio di San Paolo a Malta, a destra la Predicazione di San Paolo.

In fondo all'abside, una sovrapposizione d'altari lignei: la base appartiene ad un antico altare, probabilmente del XVI secolo caratterizzato da archi gotici sostenuti da colonnine tortili; coevo è il paliotto di damasco. Il sopraltare appartiene, invece, ad altro altare ligneo barocco del XVII - XVIII secolo; sopra, la statua della Madonna del Carmelo, proveniente dalla chiesa di San Domenico.

Il seggiolone e le quattro sedie presbiterali scolpite dai fratelli Giuliano nel 1860.

SAGRESTIA E ORGANO - In sagrestia oltre ad un prezioso cassarizzo scolpito nel 1778 da Giovanni Torrisi di Catania e Gaetano Rametta di Siracusa, vi sono quattro grandi armadi, a due a due simili, con sedie boffetti, inginocchiatoi, cassapanche, e quattro portiere che in alto incorniciano delle pregevoli tele.

L'organo, in origine sistemato tra il primo e il secondo pilastro della navata sinistra, negli anni '30 del XX secolo fu trasferito nella cantoria. Le decorazioni e le pitture di questo palco sono attribuibili a Scalia di Catania.  

Le due bare, quella della reliquia e quella di San Paolo, sono permanentemente esposte nella chiesa. Della prima non si conosce l'anno di fabbricazione, la seconda fu realizzata da Giuseppe e Sebastiano Giuliano nel 1899. Nel 1900 fu indorata da Giovanni Tanasi di Ragusa.

Basilica di San Sebastiano

Con l’abbassamento del piano antistante e la conseguente, necessaria, costruzione dell’ampia scalinata, la facciata della Chiesa di San Sebastiano ha acquistato una monumentalità scenografica che forse non possedeva nel XVIII secolo, al momento della riedificazione dopo il terremoto del 1693.

L’originaria Chiesa di San Sebastiano fu edificata nell’area dell’attuale sito, probabilmente nella seconda metà del 1400, vicino ad una piccola chiesa dedicata a San Rocco. Subì degli ampliamenti già nel XVI secolo ed ancora nella prima metà del ‘600.

Il terremoto del 1693 la distrusse quasi del tutto; quella che noi oggi vediamo è appunto la chiesa ricostruita nel primo ventennio del ‘700 e risorta dalle macerie del terremoto.

Fu riedificata a tre navate – la prima era ad una sola navata – più grande ed “imbellita” di prima. Alla monumentale facciata, disegnata dal mastro-architetto Mario Diamanti, siracusano, si diede inizio, con l’intaglio dei pezzi necessari, nel 1721.

La prima pietra fu posta nel 1723; e lo stesso Diamanti, assieme a mastro Giovan Battista Milito e mastro Giuseppe Buscema scolpirono tutti i pezzi del primo ordine, portale, colonne, leoni e cornicioni.

FACCIATA - Una monumentale scalinata costruita nel 1877 (due rampe per un totale di 25 gradini) raccorda il piano stradale con il ballatoio - balconata su cui insistono i portali d'accesso alla basilica. La maestosa facciata barocca, realizzata in pietra giuggiolona, è ripartita su tre ordini divisi in tre corpi delimitati da lesene binate, un unico corpo centrale costituisce il terzo livello. Elaborati cornicioni e marcapiano dalle ricche modanature separano i livelli, ringhiere in ferro battuto proteggono i rispettivi camminamenti.

I portali laterali sono delimitati da colonne scanalate sormontate da capitelli corinzi sormontati da timpani sovrapposti ad arco spezzato. Architravi con decorazioni fitomorfi e testa di putto intermedia ornano la cornice dei due ingressi. Finestre cieche con cornici mistilinee o occhialoni a cartiglio, sormontano i varchi d'accesso laterali. 

Il portale centrale presenta una coppia di leoni in pietra bianca scolpiti da Mario Diamanti, ideatore e realizzatore dell'intero prospetto, decorazioni in rilievo abbelliscono gli alti plinti delle colonne binate che presentano la parte inferiore del fusto arabescata. L'arco a tutto sesto dell'ingresso mostra putti nei pennacchi, architrave con motivi floreali sormontato da timpani sovrapposti spezzati. Costituisce vano intermedio la nicchia contenente la statua raffigurante San Sebastiano Martire.

Il secondo ordine delimitato da pilastri acroteriali (le statue d'abbellimento non furono mai realizzate), comprende grandi volute a vela di raccordo, alla base volute a ricciolo e controvolute. Il corpo centrale è occupato da un timpano che ricalca lo stile e l'architettura del manufatto simile posto al primo livello. Nell'edicola è collocato il quadrante di un orologio elettrico andato a rimpiazzare l'orologio meccanico installato per la prima volta nel 1885. 

Il terzo ordine è costituito da un solo corpo centrale delimitato da pilastri acroteriali con cuspidi ad obelisco (piramidali), comprende vele con volute a ricciolo di raccordo e una monofora intermedia con funzioni di cella o loggia campanaria. 

Chiude la prospettiva un'incastellatura in ferro battuto posta a quota 42 metri sul livello della piazza, ove svetta u palieddu, una banderuola segnavento con foggia di bandiera.  

INTERNO - Impianto a croce latina ripartito in tre navate separate da quattro pilastri per lato con semicolonne sorreggenti cinque arcate. La navata centrale e quella destra si concludono con absidi circolari. La volta della navata presenta un apparato pittorico con scene raffiguranti Martirio di San Sebastiano con nugolo di frecceSan Sebastiano processato da DioclezianoGloria Celeste di San Sebastiano Martire Cristiano. Il perimetro della navata e del presbiterio è contraddistinto da un elaborato cornicione delimitato da un'artistica inferriata in ferro battuto smaltato.

NAVATA DESTRA

Prima campata: Cappella di Sant'Agata. Sull'altare il dipinto raffigurante il Martirio di Sant'Agata, tela attribuita a Piero Quintavalle. L'ambiente insieme alla corrispettiva cappella della navata di sinistra, fu rifinito nel 1867 con pregiato marmo locale rinvenuto in contrada Purbella.

Seconda campata: Cappella di San Mauro. Sull'altare il dipinto raffigurante San Mauro, tela di Giuseppe Tanasi del 1853.

Terza campata: Cappella di San Sebastiano. Sull'altare il dipinto raffigurante San Sebastiano, tela di ignoto autore.

Pulpito.

Quarta campata: Cappella di San Rocco e San Giacomo. Sull'altare il dipinto raffigurante San Rocco e San Giacomo, tela di Michele Di Domenico del 1720.

Quinta campata: Cappella di San Pietro. Sull'altare il dipinto raffigurante San Pietro in Vincoli, tela di Marcello Vieri del 1785.

NAVATA SINISTRA

Prima campata: Cappella dei Santi Cosma e Damiano. Sull'altare il dipinto raffigurante i Santi Cosma e Damiano, tela di Piero Quintavalle del 1855. Fonte battesimale di Giovanni Campisi del 1734.

Seconda campata: Cappella dell'Addolorata. Sull'altare il dipinto raffigurante Maria Santissima Addolorata, tela di Saverio Marchese Giuseppe Tanasi del 1864.

Terza campata: Varco d'ingresso. Porta d'entrata laterale. Sull'altare il dipinto raffigurante San Sebastiano, tela di Giovanni Belfiore del 1950, riproduzione di soggetto de Il Sodoma.

Quarta campata: Cappella della Madonna Odigitria. Sull'altare il dipinto raffigurante la Madonna Odigitria, tela di Saverio Marchese del 1859. Nella nicchia, dietro la tela, è conservato un gruppo statuario risalente al cinquecento raffigurante la Madonna Odigitria eletta nel 1644 Patrona Reale di Palazzolo Acreide. Il gruppo statuario è visibile nel mese di maggio periodo dei festeggiamenti in onore della Madonna Odigitria.

Quinta campata: Cappella di Santa Margherita. Sull'altare il dipinto raffigurante Santa Margherita da Cortona, tela di Vito D'Anna del 1758.

ABSIDI - Absidiola destra: Cappella del Santissimo Crocifisso altrimenti nota come Cappella di Sant'Anna. Ambiente patrocinato dalla Confraternita del Santissimo Crocifisso del 1721, commissionata all'architetto palazzoleze Giuseppe Ferrara. Altare con colonne binate e timpano triangolare con angeli sulle cimase, raggiera nella calotta. Nell'edicola è custodito il Crocifisso, manufatto in cartapesta, opera di Infantino Farina del XVII secolo. Ai lati le allegorie della Fede a sinistra e la Speranza a destra, statue in gesso realizzate da Gioacchino Gianforma di Catania nel 1783 - 1784.

Altare di destra. La nicchia custodisce la statua in cartapesta di San Sebastiano raffigurato sul globo terracqueo del 1926. Sotto l'altare sono custodite le seguenti reliquie: San Sebastiano MartireVelo della MadonnaSan Placido MartireSan Pietro Martire, San GiosuèSan Vitale MartireSan Celso MartireSan Giuseppe da CopertinoLignum CrucisSanta Concordia MartireSan Gaudioso MartireSan Bernardo da CorleoneSanta Liberata MartireSan Francesco d'AssisiSanta Margherita da Cortona.

Absidiola sinistra: Cappella del Sacro Cuore. La sopraelevazione dell'altare è costituita da una coppia di colonne binate poste in prospettiva convessa (fusto arabescato nella parte inferiore e scanalato superiormente), sormontate da capitelli corinzi.

Architrave e timpano spezzato con parti aggettanti sulle quali gravano volute a ricciolo, sulle cimase sono collocati putti adoranti, costituisce stele intermedia la riproduzione di raggiera. Nella nicchia centrale è custodita la statua raffigurante il Sacro Cuore, manufatto in gesso di ignoto autore.

Arco presbiteriale sorretto da colonne ioniche binate, gruppi scultorei sul cornicione e stemma centrale in stucco.

Abside e altare maggiore: Cappellone di San Sebastiano. Ambiente delimitato da balustra, alle estremità sinistra la statua raffigurante l'apostolo San Pietro, sul lato destro San Paolo, manufatti in gesso, opere di Gioacchino Gianforma del 1783 - 1784. Sui quadroni mistilinei i dipinti raffiguranti Mosè e le Tavole dei dieci ComandamentiGiuditta ed Oloferne. Cattedra di ignoto autore del 1870. Sulla parete di fondo due colonne sorreggono un camminamento sul cornicione protetto da ringhiera in ferro battuto che si interrompe ai lati del grande dipinto.

San Sebastiano, statua lignea di ignoto autore del 1663. Il simulacro di pregevole fattura è esposto solo durante i festeggiamenti di gennaio e agosto.

In tali ricorrenze la fisionomia dell'altare maggiore cambia notevolmente. Grandi apparati decorativi adornano gli ambienti interni dell'intero edificio. 

Maestosi baldacchini, frutto di stratificazioni di tessuti, panneggi, paramenti e arredi liturgici addobbano il presbiterio. Un apparato effimero è sovrapposto all'area corrispondente al grande dipinto absidale. La pittura cela la nicchia ove è riposto il simulacro occultandolo alla vista dei fedeli per lunghi periodi dell'anno, consuetudine molto in voga nelle chiese delle province sud - orientali dell'Isola. 

L'architettura temporanea riproduce il frontone di un tempio con un'edicola strombata al centro delimitata da teorie di colonne, all'interno della quale scivola con opportune guide, l'icona nella funzione denominata Svelata. Con questa operazione la figura del Santo appare e si mostra ufficialmente ai fedeli, ai devoti, alla pubblica venerazione dopo l'operazione di velatura compiuta alla fine dei festeggiamenti precedenti.

Chiesa dell'Annunziata

E’ da ritenersi fra le più antiche e più belle chiese di Palazzolo. Edificata probabilmente nel XIII-XIV sec. fu abbattuta in parte dal terremoto del 1693. La Confraternita dell’Annunziata, in segno della propria vetustà, occupava il primo posto nelle processioni ufficiali.

Nel 1474 la chiesa si arricchì di un tesoro d’arte. E’ di quest’anno il contratto stipulato da Juliano Maniuni, rettore della chiesa, con Antonello da Messina, in cui il più grande pittore siciliano si obbligava a dipingere su legno il grande quadro dell’Annunciazione. Questo capolavoro è rimasto nella chiesa fino al 1906, quando, acquistato dalla soprintendenza, con la motivazione della conservazione e del restauro, fu trasportato a Siracusa. Oggi il quadro restaurato e riportato su tela si trova esposto nel Museo Bellomo. 

La chiesa ha una splendida facciata barocca ricostruita dopo il terremoto da un capomastro architetto locale: Matteo Travisi. Ed il progetto ed il disegno della facciata è, probabilmente, di Giuseppe Ferrara. Il grande portale è caratterizzato da quattro colonne tortili, binate, e da una elaborata trabeazione; il tutto magistralmente intagliato con motivi agresti e festoni di frutta: uva, melagrane, mele cotogne, pere, fichi ed altro. L’interno della chiesa, a tre navate, semplice, pulito, luminoso, raffinato, è di grande suggestione. Le alte arcate della navata centrale sono adornate con visi e festoni di frutta di bella scultura, mentre prezioso è il cornicione interno nei suoi diversi elementi decorativi e la volta con leggeri stucchi settecenteschi.

Nella navata di destra si trova una statua di Santa Teresa D’Avila scolpita da Giuseppe Giuliano nella seconda metà dell’800, poi un altare ligneo settecentesco con il quadro della “Sacra Famiglia”. Dopo la porta laterale, resti di acquasantiere medioevali, ed un altare ligneo settecentesco con il bel quadro che rappresenta “Il martirio di Santo Stefano”.

In fondo un altare ligneo barocco con un bel quadro della “Madonna del Carmelo” dipinto da Marcello Vieri nel 1785. Nel transetto una splendida statua della Madonna del Carmelo, molto venerata in questa chiesa, scolpita nell’anno 1700; fu indorata verso la metà dell’800 da Cesare Cappellani, ottimo indoratore e buon artista palazzolese.

L’altare maggiore è l’altro capolavoro che la chiesa possiede. E’ un altare con preziosi intarsi marmorei colorati raffiguranti uccelli e delicati motivi floreali. Le decorazioni, la finezza della esecuzione ed i vari colori dei marmi sono di una armonia compositiva e cromatica senza pari. Un grande, quanto raffinato, tabernacolo scolpito nel marmo e caratterizzato da una miriade di colonnine sormontate da deliziose testine di putti si erge maestoso sull’altare.

Un complesso di grande bellezza. In alto, dietro l’altare, una grande tela rappresentante l’ “Annunciazione” dipinta da Paolo Tanasi nel 1827. Di ottima fattura la credenza del XVIII sec. così come le belle sedie presbiteriali del 1865. A chiudere la navata di sinistra si trova un altare ligneo settecentesco con un bel quadro di “S. Francesco di Paola” dipinto da Paolo Tanasi nel 1827. Accanto una statua lignea di “S. Francesco di Paola” scolpita nel 1858 da Cesare Cappellani. Completano la navata da sinistra tre altari lignei del XVIII sec. con altrettante tele di autori ignoti: una “Crocifissione con S. Giovanni Battista e S. Paolo”, “Sant’Apollonia e Santa Caterina, S. Sebastiano”.

Altri edifici religiosi

La Chiesa del Convento è di costruzione recente, annesso alla chiesa è il Convento dei Padri Cappuccini.

La Chiesa di S. Antonio Abate progettata inizialmente a tre navate a croce latina, non è mai stata completata. Il culto preminente è verso la Madonna Addolorata.  

La Chiesa dell'Annunziata è la più antica di Palazzolo A. Ricostruita dopo il terremoto, ebbe un'impostazione più maestosa, a tre navate. Tre sono i capolavori d'indiscusso pregio artistico: l'altare di marmo intarsiato con marmi di diversi colori, rappresentanti l'allegoria della primavera; il portale della facciata risalente al '700 è di intonazione barocca e spagnoleggiante; il quadro dell'Annunciazione di Antonello da Messina, oggi esposto al Museo Bellomo di Siracusa.

La Chiesa di S. Michele, semplice nel suo insieme, presenta all'interno colonne in stile corinzio. La facciata è movimentata da un portale centrale con colonne anch'esse corinzie.

La Chiesa di S. Paolo nasce sulla vecchia Chiesa di S. Sofia. L'imponente facciata in stile barocco, forse opera di Vincenzo Sinatra (architetto attivo soprattutto a Noto), è a tre ordini scanditi da archi a tutto sesto e colonne con capitelli corinzi. L'ultimo livello si eleva in una torre campanaria correndo via dell'Annunziata, si raggiunge l'omonima chiesa. La facciata, incompiuta, è arricchita da un notevole portale incorniciato da colonne tortili.

La Chiesa di S. Nicolò è la Chiesa Madre, è a croce latina con cupola nel transetto, l'interno è a tre navate e la trabeazione del cornicione presenta una ricca decorazione barocca. La facciata, rifatta nel 1893, presenta qualche motivo architettonico classicheggiante.

La Chiesa dell'Immacolata ad una navata, è semplice nella sua struttura. All'interno si può ammirare la pregevole statua della "Madonna col Bambino" di Francesco Laurana.

Teatro di Akrai

È sovente attribuito a Gerone II, ma la sua datazione oscilla tra III secolo a.C. e II secolo a.C..

Il teatro subì delle modifiche durante l'epoca romana: venne edificata una scena più avanzata, venne ridotto lo spazio già angusto dedicato all'orchestra, si elevò la scena a circa m 1.20 e la si estese fino al muro di fondo dalla scena greca. In questo periodo venne ingentilito il chioschetto attiguo e si pavimentò l'orchestra con rivestimenti levigati anche in situ.

Sotto la dominazione bizantina, l'edificio venne utilizzato come basamento per l'edificazione di una struttura per la lavorazione del grano: fu riportato in superficie dal barone Gabriele Iudica nel 1824.  

Il teatro, diversamente da quello di Siracusa, non è stato scavato nella roccia per asportazione ma è stato invece adagiato su un preesistente pendio naturale, posto a sud del teatro. La cavea è composta da nove settori, divisi da otto scalinate: Gabriele Iudica ipotizzò la presenza di sole dodici file di sedili, ma non si può escludere fossero di più nella parte centrale. I sedili laterali sono addossati ai muri; ogni gradino è alto 27 centimetri e largo 74 cm.

Al centro si sviluppa l'orchestra, contraddistinta dalla caratteristica forma semi-circolare: quest'ultima consente una maggior vicinanza della scena al pubblico. Il basamento del proscenio era costituito da grossi blocchi di pietra, che avevano lo scopo di sostenere gli elementi superiori del loggiato composto probabilmente da otto colonne o da otto pilastri. La scena, non molto ampia e realizzata in legno, aveva una profondità di tre metri ed era chiusa da un muro.

Data questa descrizione, ci si accorge di come il complesso apparisse asimmetrico e di piccole dimensioni: questo era dovuto allo svilupparsi dell'edificio in un tessuto urbano già saturo.

Il teatro è direttamente collegato tramite una galleria all'agorà della città e al bouleuterion: non si conoscono le motivazioni che spinsero a una simile scelta.

Il teatro è dal 1991 sede delle rappresentazioni Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani organizzato dall'Istituto nazionale del dramma antico.

I Santoni

Si tratta di un complesso di figurazioni relative ad uno dei culti più misteriosi dell'antichità: il culto della Magna Mater. Il sito, nonostante il deplorevole stato di conservazione, è unico al mondo per la grandezza e per la completezza delle rappresentazioni ed è considerato il principale centro del culto della Dea Cibele in Sicilia.  

Il colle su cui fu fondata la colonia siracusana di Akrai fu sede di abitazione umana fin da epoca molto antica. Sul suo pendio settentrionale si apre, infatti, un riparo sotto la roccia che ha fornito al Museo di Siracusa un'abbondante industria litica che mostra, nel suo complesso, tutti i caratteri di quel paleolitico superiore che è, ad oggi, la più antica civiltà sicuramente identificata nell'isola.

Tucidide riporta che Akrai fu fondata nel 664 a.C.- 665 a.C. dai siracusani su un altipiano delimitato da margini scoscesi e da quattro corsi d'acqua, dal quale si dominavano tutte le vie di accesso. La città fu la fortezza che garantì a Siracusa le libere comunicazioni con le città greche della costa meridionale della Sicilia e con le città sicule dell'interno.

Nel corso del IV e V secolo Akrai si affermò come il più importante centro cristiano della Sicilia orientale dopo Siracusa, come attestano le molte e vaste catacombe.

Non è noto quando la città abbia cessato di esistere, lo storico Michele Amari ipotizzò la sua distruzione nel corso della conquista islamica della Sicilia dell'827.

La medievale Palazzolo Acreide, sorta in prossimità dell'antica Akrai, è citata per la prima volta nella geografia di Edrisi.  

Il grande complesso di sculture rupestri ubicato lungo il lato meridionale del colle Orbo si svolge su un costone roccioso affacciato su un sentiero alle cui estremità si aprono due spianate semi-circolari. Nelle due spianate e lungo il sentiero sono visibili delle pietre circolari, verosimilmente basamenti di altari.

Le sculture sono racchiuse in dodici ampie nicchie scavate nella roccia, undici poste sullo stesso livello e una posta su un livello più basso. Ulteriori nicchie più piccole, prive di immagini, completano la struttura che presenta un impianto architettonico regolare il cui carattere unitario ha consentito di identificare il luogo come un santuario e non come un aggregato di rilievi aventi carattere votivo. Il ritrovamento di lucerne, olle e piccole patere ha consentito, inoltre, di identificare il sito come sede di culto.

In dieci delle nicchie è riprodotta l'immagine della dea assisa in trono di prospetto circondata da altre figure. In uno solo dei rilievi la dea è raffigurata in piedi, a grandezza naturale.

L'identificazione della dea raffigurata nelle nicchie con Cibele è derivata dal raffronto con l'iconografia con cui essa era rappresentata nel mondo greco e, in particolare, ad Atene. La dea è raffigurata con il chitone pieghettato e l'himaton ricadente dalla spalla sinistra e raccolto sulle ginocchia. I capelli sono acconciati nella forma cosiddetta “a melone” con due lunghi riccioli che scendono sulle spalle e, sul capo, è posto il modio. Ai suoi lati, in basso, sono presenti due leoni in posizione araldica.  

In alcune figurazioni sono chiaramente visibili la patera nella mano destra posata sul sedile e il timpano nella sinistra, nelle altre, ragioni di verosimiglianza e tenui tracce sui rilievi sfigurati possono farcene ragionevolmente presumere la presenza.

La posizione della dea raffigurata nelle nicchie ripropone due modelli iconografici: quello della dea seduta in trono, spesso all'interno di un naiskos, caratteristica del contesto nord-ionico ed eolico meridionale e quello della dea con la figura in piedi caratteristica del contesto sud ionico.

Tra le figure minori raffigurate accanto alla dea Cibele in almeno cinque nicchie (nelle altre non è possibile, per le scarse condizioni di conservazione, escludere l'originaria presenza di figure minori) sono stati identificati HermesAttisHecate, i Dioscuri, i Galli e i Coribanti.

In merito alla figura principale rappresentata all'interno della dodicesima nicchia, quella posta nel livello più basso, sono state formulate, finora, solo delle ipotesi che tendono, comunque, ad escludere che si tratti di Cibele per via della foggia dell'abito, una corta tunica che lascia scoperte le ginocchia che non trova alcun riscontro nell'iconografia della dea.

Come si è detto, oltre a Cibele, nei rilievi sono raffigurati alcuni personaggi nel cui rapporto con la dea sono riconoscibili tre schemi iconografici riconducibili a precisi motivi religiosi che si ritrovano in monumenti di età ellenistica e romana.

Il primo schema è costituito dal riferimento, insieme mitico e rituale, ai Galli, sacerdoti della Dea e ai Coribanti, suoi mitici accompagnatori, raffigurati come due piccole figure che in cinque rilievi appaiono alla destra e alla sinistra del capo di Cibele. Essi indossano una tunica, spesso un mantello, un berretto frigio e portano, come attributi, un timpano nella sinistra e un'asta nella destra.

L'associazione di tre personaggi divini: Cibele, Ermes e Attis riconoscibile nel II rilievo acerense, costituisce il secondo schema iconografico riscontrato in altre raffigurazioni greche. In questo rilievo, il maggiore di tutto il complesso, Cibele è raffigurata in una posizione insolita, in piedi con le braccia allargate e le mani appoggiate, in gesto protettivo, sul capo di Hermes a destra e di Attis a sinistra. Il primo è riconoscibile per il caduceo, il secondo per il pedum pastorale e per la tipica posizione incrociata delle gambe.

Sempre nel secondo rilievo, alla destra di Attis è raffigurato un personaggio femminile di cui sono riconoscibili con sicurezza solo i contorni e parti di una tunica panneggiata. Il movimento in avanti del piede destro e la presenza, nella mano sinistra di un oggetto che somiglia ad una lunga torcia hanno portato ad identificare il personaggio con Hecate dadofora. Si delinea così un terzo schema iconografico riconducibile al motivo religioso di un'ulteriore triade divina Cibele, Hermes ed Hecate di cui si ha riscontro in una serie di monumenti di età ellenistica e romana.

Nel secondo rilievo è, inoltre, presente un ulteriore elemento degno di nota: due personaggi che incedono su due grandi cavalli nei quali sono stati riconosciuti i Dioscuri. Anche di quest'ultimo schema iconografico che associa i Dioscuri alla grande dea dei misteri esistono riscontri in fonti epigrafiche e monumentali.

Il santuario rupestre di Akrai offre, quindi, nella ricchezza e nella complessità delle sue raffigurazioni, una sorta di sintesi delle iconografie e delle dottrine teologiche connesse al culto metroaco.

La singolarità del monumento acerense risiede proprio in questa contemporanea presenza, attorno alla dea, di personaggi che molteplici fonti letterarie, epigrafiche e monumentali indicano essere ad essa connessi, ma secondo formule distinte e, in nessun altro caso noto, in un'unica composizione.

Sulla base di un giudizio sullo stile delle sculture e dei reperti archeologici emersi nell'area, il santuario è stato datato dagli studiosi intorno al IV-III secolo a.C., in piena età ellenistica.

I Santoni furono per la prima volta nominati nel XVIII secolo da Ignazio Paternò principe di Biscari nel libro Viaggio per tutte le antichità della Sicilia e dal pittore francese Jean Houel che ne diede una descrizione artistica corredata da tavole pittoriche di gusto classicheggiante.

I disegni di Houel, seppur ricchi di fascino, non sono fedeli alle raffigurazioni originali e, insieme all'interpretazione di sculture funerarie data dall'autore, hanno contribuito a determinare le errate conclusioni di alcuni studiosi successivi. Ad esempio nella figura 2 è possibile osservare come, nel disegno di Houel, i leoni al fianco della Dea sono raffigurati come cani.

L'indagine scientifica di scavo iniziò nel XIX sec ad opera del barone Gabriele Iudica, custode reale delle antichità della Valle di Noto che, ricercando le tombe ipotizzate da Houel, portò alla luce altri gruppi scultorei, un lastricato e oggetti quali lucere, olle e piccole patere. Lo Iudica condivise l'interpretazione di Houel che considerava le sculture espressione di pratiche funerarie.

Nel 1840 Domenico Lo Faso, Duca di Serradifalco pubblicò la descrizione del sito corredata da alcuni disegni di Francesco Saverio Cavallari e, basandosi sul riferimento funerario delle sculture ventilato da Houel e dallo Iudica, ipotizzò l'identificazione del personaggio principale con Iside Persefone. La sua tesi fu condivisa nel secolo successivo dall'Orsi e dal Pace che ravvisarono nel complesso scultoreo le immagini Demetra e Core Persefone, due divinità siciliote per eccellenza.

L'autorevolezza dei due studiosi ha, per lungo tempo, fatto passare in secondo piano le argomentazioni di Alexander Conze che, nel 1880, basandosi sui disegni del Cavallari, colse per primo le analogie tra le raffigurazioni acerensi e quelle anatoliche e greche della Dea Cibele.

Nel 1953, con gli Scavi della Soprintendenza alle Antichità furono eseguiti precisi disegni delle sculture da Rosario Carta e, delle fotografie che furono pubblicati dal Prof. Luigi Bernabò Brea in un volume che ha operato una prezioso lavoro di raccolta di elementi di valutazione e di ricostruzione scientifica che ha consentito di inserire il santuario metroaco di Akrai nel più ampio contesto della diffusione del culto di Cibele nel mondo greco romano.

Il riconoscimento della struttura unitaria che caratterizza il sito si deve, infine, all'approfondita indagine svolta dalla prof. Giulia Sfameni Gasparro Gasparro che, attraverso il confronto con un'ampia serie di documenti riconducibili al contesto religioso e storico nel quale il santuario si inserisce, ha consentito di ricostruire, per quanto possibile stante lo stato di degrado del complesso, il significato delle raffigurazioni del santuario rupestre di Akrai. nella monografia I culti orientali in Sicilia.

Contigue al teatro, due latomie (cave) di epoca greca, sono state trasformate dai cristiani in catacombe ed in abitazioni. In quella denominata Intagliatella, più stretta, si può distinguere all'inizio, sulla destra, un bassorilievo raffigurante un eroe che partecipa ad un banchetto (sulla destra) e che effettua un sacrificio (a sinistra). Vicino alla recinzione, gli scavi hanno riportato alla luce dei quartieri abitati ed una costruzione circolare, probabilmente un tempio di epoca romana.

Ai piedi del colle una serie di bassorilievi scolpiti nel calcare documenta il culto degli acrensi nei confronti della dea Cibele o Magna Mater, riconoscibile per il timpano, il Modio e i leoni. I rilievi risalenti alla metà del III sec. a.C. scoperti anch'essi dal barone Judica (nel 1809)), sono 12 e nel gergo locale vengono denominati "Santoni". 

Scolpiti su una parete che si estende per circa 30 metri, sono di fattura rozza ma testimoni di valore storico e religioso. La necropoli della pineta occupa la sommità pianeggiante di detta contrada, ed è visibile dalla strada panoramica.

E' possibile percorrere la strada che costeggia la zona archeologica che offre belle viste sulla vallata circostante e permette di rendersi conto della posizione di dominio e controllo della città antica, nata come avamposto difensivo di Siracusa.