La
costa di Porto Palo e di Capo Passero presenta una struttura particolare dai
lunghi litorali sabbiosi, alle scogliere mozzafiato, ora a strpiombo sul
mare, ora degradanti dolcemente verso l'acqua. Il tutto unito a una
vegetazione particolare che richiama alla mente paesaggi esotici.
Un
caloroso sole e un mare invitante fanno da cornice alle riserve naturali,
come la bellissima Riserva
di Vendicari, uno
dei pochi luoghi in cui è ancora possibile osservare la tipica macchia
mediterranea in tutto il suo splendore.
E
sempre sulla costa ionica, in un'oasi di verde, nella cittadina di Brucoli,
sorge il Santuario della Madonna dell'Adonai, con l'annesso eremo costruito
su una grotta naturale.
Il santuario sarebbe
un oratorio paleocristiano,
come attesta l'epiteto ebraico della Madonna Mater Adonai, ovvero Madre
del mio Signore.
L'oratorio
venne fondato nella prima metà del III
secolo da un cristiano di nome Publio, in uno degli ipogei
costituiti dalle cosiddette grotte del Greco che, fin dal paleolitico,
mostrano una marcata vocazione sacra. Inizialmente utilizzate come ipogei funebri,
poi occupate dai Greci Megaresi come
ricovero e luogo di sepoltura intorno al VII
secolo a.C., durante la colonizzazione greca della Siclia, quindi
rifugio e luogo di culto dei cristiani perseguitati (250
d.C.). Si trattava dei fedeli della comunità di Leontinoi, oppressa
dalla persecuzione di Decio e Valeriano.
La più grande delle Grotte, trasformate dai Greci in una vera e propria necropoli,
fu intitolata alla Mater Adonai. Le figure dipinte sullo sfondo risalgono al
III secolo e furono realizzate da Sant'Agatone, vescovo
di Lipari, che vi trovò rifugio insieme ai cristiani Lentinesi.
Nel IV
secolo, in seguito, all'editto
di Costantino, la grotta-oratorio cadde in abbandono. Dell'oratorio
di Mater Adonai si persero le tracce per circa un millennio,
anche se continuò ad essere tramandato il ricordo di una grotta con
un'immagine della Madonna,
che nessuno aveva più ritrovato. Una delle ipotesi è che al tempo
dell'invasione araba della Sicilia la grotta fosse stata nascosta per
evitare che venisse distrutta.
La
riscoperta di questo luogo di culto si colloca tra il 1500 e
il 1600.
La leggenda attribuisce
il fatto a un pastore che era entrato nella grotta per recuperare una mucca
rimastavi intrappolata.
Successivamente
la Grotta fu allargata e davanti ad essa fu costruito un avancorpo in
muratura. Accanto alla chiesetta nel 1600 fu edificato un piccolo convento dove
un gruppo di soldati spagnoli, dopo aver rinunciato alla vita militare, fondò
una comunità laica.

Il terremoto
del 1693 avvenne in due tempi. La prima forte scossa di
terremoto si verificò il 9 gennaio. Seguì poi quello che gli scienziati
chiamano il silenzio
sismico, cioè la mancanza dello sciame
sismico, ovvero delle scosse cosiddette di "assestamento".
L'11 gennaio, mentre la gente pensava ormai ad un pericolo scampato, si
manifestò la seconda terribile scossa: quella di massima intensità.
L'evento
sismico interessò un'area vastissima da Malta alla Calabria e
rase al suolo un terzo della Sicilia. L'intensità stimata corrisponderebbe
all'undicesimo grado della scala
Mercalli. Il numero delle vittime, non ricostruibile con esattezza,
oscilla tra oltre 60.000 e le 100.000. Secondo i racconti, tramandati dalle
passate generazioni, si verificò anche un maremoto (con
onde di 15 m)
e l'esplosione della polveriera del
castello che fece altre 800 vittime.
Il
movimento tellurico della seconda scossa distrusse completamente Augusta
(Siracusa): case, edifici pubblici e chiese. Stando ai racconti dei
sopravvissuti, l'unica chiesa che nel territorio di Augusta rimase illesa in
quell'immane cataclisma fu quella della Madonna di Adonai, a Brucoli, che
resistette poi anche a quelli del 1848 e 1990.
Quello del
1693, definito il terremoto del Val
di Noto, ebbe il suo epicentro tra
Augusta e Melilli.
Altri terremoti che hanno devastato la Sicilia Sud-orientale, secondo gli
studiosi, (1452,
1693, 1848, 1990), hanno sempre avuto lo stesso epicentro: l'area di
Augusta.
Dopo
il sisma del
1990, si è deciso di eseguire il restauro del santuario e la sua messa in
sicurezza. I lavori, iniziati nel 2006,
hanno seguito un iter difficoltoso un iter difficoltoso che ha
determinato notevoli ritardi. Si è trattato nel complesso di un lavoro
invasivo, che ha pesantemente inficiato il patrimonio architettonico del
santuario. Alcune delle antiche pietre del pluricentenario cenobio sono
sparite e molte sono state le modifiche arbitrarie al suo interno. Altre
parti sono state demolite e non più ripristinate, cancellando la memoria
storica dell'antico sito.
Danni alla
flora del giardino del santuario e all'area verde immediatamente limitrofa
sono stati registrati e denunciati a più riprese e in diverse sedi. Questa
situazione ha determinato anche diversi e risentiti interventi da parte del
parroco responsabile, Don Palmiro Prisutto.
L'immagine
sacra della Vergine dell'Adonai, contrariamente a quanto si crede, non è
una Madonna
Nera forse risalente al III
sec. d.C. Tuttavia gli studiosi non sono riusciti finora a
stabilire una datazione certa.
La Madonna
è raffigurata seduta su un serto di nuvole con in braccio il bambino che
con la mano destra impugna una croce,
mentre con la sinistra poggia il suo scettro sul mondo.
Quanto alla
tradizione delle vergini nere, nei primi tre secoli dell'era cristiana si
aveva sempre più l'impressione che un'adorazione della Grande
Dea potesse affermarsi come religione dominante dell'Impero
Romano, che avrebbe incorporato addirittura i culti di Mithra e
del Sol
Invictus. Il culto della Grande
Madre aveva dominato da Oriente a Occidente sotto un gran numero
di nomi prima che gli Elleni arrivassero
in Grecia o
i Romani in Italia.
In seguito, nonostante il formalismo dell'adorazione dell'imperatore e della
religione ufficiale, un'ondata di devozione popolare la stava ormai
riportando al ruolo preminente di cui aveva goduto prima dell'avvento della
religione dell'Olimpo.
Nel Cristianesimo,
il principio femminile era rappresentato dalle Madonne nere. Man mano che il
Cristianesimo si affermò, le grandiose statue di bronzo e di marmo delle
divinità pagane vennero distrutte. Sopravvissero immagini domestiche più
piccole oppure offerte votiva, nascoste nella terra, nelle fenditure delle
rocce o dentro alberi cavi, specialmente nei luoghi di campagna più
sperduti. Alcune andarono perdute, altre, forse, continuarono ad essere
visitate come alberi e pietre mitologiche, molto tempo dopo che la loro vera
natura era stata dimenticata.
Le Vergini
nere del cristianesimo vengono talora identificate con Iside,
la Grande Madre, Cibele e Demetra.
Si pensi infatti all'epiteto greco di Melaina, che talora si accompagna alle
divinità femminili.

Portopalo
di Capo Passero
Portopalo
di Capo Passero è il comune più
meridionale della Sicilia.
Posto infatti alla punta estrema della costa sud, questo comune di circa
3700 abitanti appartiene alla provincia di Siracusa,
ed è bagnato da due mari, lo Ionio
e il Mediterraneo.
Il
territorio che oggi comprende Portopalo era abitato sin dall'antichità, in
particolare dai berberi durante
l’Emirato di
Sicilia. Il villaggio è stato denominata in vari modi: inizialmente
Capo Pachino, in seguito Terra Nobile ed infine Porto Palo. Il fondatore di
Portopalo è don Gaetano
Deodato Moncada, che se ne interessò fin dal 1778 e
che nel 1792 fece
edificare a sue spese un centinaio di case intorno alla tonnara. Il
primo nucleo urbano era composto da circa 300 persone, tra contadini,
pastori e pescatori.
Fino
al 1812, quando fu abolita la feudalità, Portopalo fu villaggio
suburbio di Noto.
Passò poi sotto il decurionato di Pachino,
finché il 23 marzo 1975 non divenne comune autonomo ad opera del Dott.
Salvatore Gozzo, medico e politico. L'autonomia del paese, che intanto
aveva assunto il nome completo di Portopalo di Capo Passero, fu approvata in
sede di Assemblea regionale, con legge regionale n. 1 del 1º marzo 1975.
Nel
1936, come risulta dal censimento, era abitato da 1.710 persone, sistemati
in piccole abitazioni lungo la via Vittorio Emanuele, e si presentava come
un tranquillo borgo di campagna. La maggior parte delle case erano bianche e
screpolate dal sole e dalla salsedine. In quasi tutte era presente un
piccolo spazio ('u bagghiu) adibito a stalla, dove era anche possibile
coltivare un piccolo orto.
In
paese non esisteva una rete idrica che fornisse acqua alle abitazioni: le
donne erano quindi costrette, per lavare i panni, a recarsi al pozzo
comunale presso il castello Bruno di Belmonte (ora Tafuri). La vita dei
portopalesi si consumava di giorno nei campi e di sera al mare, al cianciolo,
per arrotondare le entrate. Alle due e mezzo della notte del 10 luglio
del 1943 i primi soldati inglesi e canadesi sbarcavano sulle spiagge di
Portopalo di Capo Passero e di Marzamemi, nel corso dell'Operazione Husky.
Il medico di Portopalo, Salvatore Gozzo, aveva convinto i millecinquecento
abitanti del borgo a scendere nel rifugio che si trovava proprio davanti la
chiesa madre. Secondo alcuni testimoni oculari, dalla batteria di semplici
cannoni che si trovavano nel paese di Portopalo furono sparati solo alcuni
colpi, peraltro andati a vuoto e assolutamente inadeguati al confronto con
le potenti artiglierie navali del nemico.

Le
sue origini sono dunque indissolubilmente legate al mare, ed alle attività
della pesca e del turismo fonda la sua vivace economia. A questo bisogna
aggiungere l’importante valore dell’agricoltura, che come in ogni borgo
siciliano che si rispetti ha una funzione portante. Le più antiche case del
centro hanno conservato l’antica coloratura bianca, che solo il tempo ha
in parte disfatto. Questo nucleo originario del paese, che rimanda alle sue
origini contadine e marinaresche, si riflette in parte anche nelle vecchie,
e purtroppo cadenti, dimore dei vecchi pescatori site nella zona del porto.
Natura
e cultura attendono l’attenzione del visitatore. Spiagge sabbiose si
alternano infatti a cale rocciose, entrambe lambite da un mare sempre
cristallino e dall’invitante bellezza. Non distanti dalla costa, sorgono
inoltre due isole che rientrano nel territorio del comune: l’Isola
di Capo Passero e l’Isola
delle Correnti. La prima era un tempo una penisola unita alla
terraferma da una striscia di sabbia.
Pur
essendo lunga appena 1300 metri e larga 500, essa riserva diverse sorprese:
ad una tonnara ormai abbandonata e risalente al Duecento, sorge qui la Fortezza
di Carlo V, costruito al tempo del dominio aragonese in Sicilia
nel XIV secolo. Eretto a difesa della costa dalle incursioni dei pirati
saraceni, il Castello
è andato distrutto nel Cinquecento proprio da un attacco di questi
ultimi, per poi essere ricostruito successivamente ad opera del comune di Noto.
L’accesso era un tempo regolato da un ponte levatoio: all’interno è
possibile scorgere i resti di una cappella e di una tomba, profanata in
antico, di un capitano spagnolo. Una scalinata conduce invece agli spalti
del Castello Fortezza, presso cui sorge un bel faro. La Tonnara,
attiva sino ad epoca moderna, rappresenta uno straordinario esempio di
archeologia industriale, in nome di un’attività al tempo così importante
per le genti del luogo.
Il
25 e il 26 dicembre 1996 un
tragico evento funestò il paese. Il naufragio, non lontano da Portopalo, di
una nave che trasportava migranti fece 283 vittime, finendo per
rappresentare, all'epoca, la più grande tragedia navale del Mediterraneo
dalla fine della Seconda guerra mondiale.

L’Isola
delle Correnti ospita un secondo faro, ed è collegata alla
terraferma da un braccio artificiale che in periodo di bassa marea rende
l’isola una penisola. Per la presenza di esempi tipici della macchia
mediterranea, come il cappero, oggi l’Isola è sottoposta a forme di
tutela ambientale.
Patrono
particolarmente venerato di Portopalo
è San
Gaetano, il cui edificio di culto è oggi la chiesa principale
del comune. L’edificio era in realtà un tempo un magazzino destinato a
merci di vario tipo, poi donato alla comunità da una famiglia locale e
destinato alle sue funzioni religiose. La chiesa è stata eretta nel XX
secolo ma ha subito già vari rifacimenti che hanno modificato in parte
l’aspetto originario.
Esempio
dell’architettura civile è il Castello
Tafuri, risalente al XVII secolo e purtroppo abbandonato a causa di
dispute ereditarie. Utilizzato sino alla metà degli anni Novanta come hotel
di lusso e ristorante, è stato poi chiuso. Costruito in stile liberty da un
architetto fiorentino, è un vero e proprio monumento che merita di tornare
al suo antico, o meglio recente splendore

La storia del castello
Tafuri inizia nel 1933,
quando il marchese Bruno di Belmonte, affascinato dal panorama del
territorio che allora era sotto la provincia di Pachino, volle costruire un
edificio maestoso, che fosse all’altezza delle meraviglie naturali del
territorio.
L’opera, progettata dall’architetto Crotti di Firenze, in completo stile
Liberty, fu realizzata con il solo materiale della cava di pietra
dell’Isola delle Correnti e fu portata a termine nel 1935.
Il castello, che si erge
proprio accanto a quella che fu la tonnara di Portopalo, non venne mai
abitato dalla famiglia Belmonte, in quanto questa abitazione era stata
progettata come residenza estiva.
Negli anni ’60 la
famiglia Bruno di Belmonte passo la proprietà del castello a Gaetano Tafuri
di Pachino. Divenne quindi un locale per serate da ballo fino a metà degli
anni ’90 quando fu trasformato in un prestigioso hotel da un imprenditore
di Siracusa.
Negli anni successivi fu
purtroppo abbandonato senza alcuna destinazione d’uso. Il progetto di
riqualificazione partito nel 2015, ha ridato splendore a questa magnifica
opera. Oggi è un luxury Resort sul mare!
Isola
di Capo Passero

L’isola di Capo Passero si affaccia di fronte alla cittadina di
Portopalo, proprio nell’estrema punta meridionale della Sicilia. Bagnata
dal mar Ionio misura circa 35 ettari ed è separata dalla terra ferma da una
striscia di mare poco profonda, larga circa 300 metri.
Nel
XVI secolo,
il Capo Passero fu oggetto di intense attività piratesche
turco-barbaresche. I pirati, infatti, al capo si rifornivano di acqua e
saccheggiavano la zona, prendendo talvolta in schiavitù gli europei in cui
si imbattevano. Nel 1607, fu completato il Forte
di Capo Passero, che ebbe una
funzione difensiva almeno fino al 1830.
La
località è famosa per la battaglia navale, avvenuta nel 1718, nel corso della quale la flotta spagnola venne sconfitta dalla flotta
inglese comandata dall'ammiraglio sir George Byrn, facendo l'Inghilterra
parte della Quadruplice Alleanza (Austria,
Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi).
Di
particolare impatto visivo, la tonnara di Capo Passero ricoprì un ruolo più
che mai fondamentale nell'economia della zona, lungo tutta la sua esistenza.
Situata appena fuori dal paese in direzione Marzamemi, ha origini antichissime risalenti fino al Medioevo, ma è solo dalla seconda metà del Settecento che la tonnara
moderna comincia a prendere la forma attuale, grazie all'intervento del principe di Villadorata, Corradino
Nicolaci.
L'attività
di pesca continuò fino a fine secolo, ma in seguito a una cessione di
proprietà si interruppe ai primi anni dell'Ottocento. La tonnara venne
riattivata nel 1895 per opera di don Pietro Bruno di Belmonte, che all'epoca
possedeva i titoli di esercizio dell'attività ittica, e continuò la sua
attività annualmente fino al 1969. Dal '69 al 2000 si passò a una cadenza
quinquennale. Oggi è completamente inattiva, ma svolge, insieme con il
castello Tafuri, un importante ruolo folcloristico e ambientale per i
residenti e i turisti della zona.
Mario
Soldati, nel suo viaggio alla scoperta dei vini genuini, nel 1968, che poi
riportò sulla pubblicazione 'Vino al Vino' scrisse in riferimento a Capo
Passero: “Per arrivarci, abbiamo attraversato chilometri e chilometri di
vigneti: e qui è la tonnara. Non vi accennerei neanche, se non fosse uno
dei luoghi più meravigliosi che ho visto, in tutto il mondo, America e
Africa comprese”.
Nel
1981 vennero scoperte dieci vasche in muratura, nella spiaggia "del
Collo", vicino Scalo Mandrie. All'interno, sono state trovate vertebre
di tonno e numerose monete, resti di lavorazione del pesce, conservato sotto
sale.

L’isola di Capo Passero fino alla metà del XVIII secolo era collegata
alla terraferma da un sottile istmo sabbioso, che la collegavano fino alla “Spiaggia del
Collo”, situata nelle immediate vicinanze del centro di Portopalo. Ne
abbiamo testimonianza anche grazie alle antiche mappe, che indicavano
l’attuale Isola di Capo Passero come un piccolo promontorio roccioso che
andava a formare una penisola protesa verso est. Successivamente le correnti
hanno determinato la sommersione di questa lingua di sabbia, formando così
l’attuale canale largo circa 300 metri.
Sulle sponda occidentale di
Capo Passero, proprio di fronte al centro di Portopalo, sono ancora presenti
i caseggiati della vecchia Tonnara, dove sono ancora presenti gli scieri (le
imbarcazioni utilizzate per la pesca dei tonni) e le grandi ancore di ferro.
Questi caseggiati sono risalenti al 1640, e furono fatti costruire per
volontà di Pietro Nicolaci, gabellotto della antica tonnara.
Dal punto di attracco delle
barche si snoda un sentiero di circa 800 metri che conduce verso il
“centro” dell’isola: percorrendolo si incontrano per prime le rovine
di una chiesa intitolata alla Madonna del Carmelo, eretta nel XVII secolo,
per poi arrivare al Forte di Capo Passero e alla Vergine Maria Scala del
Paradiso, statua di bronzo eretta nel 1959.

Il Forte di Capo Passero è un'opera di architettura militare, sita in
Sicilia, sull'Isola di Capo Passero,
nel comune di Portopalo di Capo Passero.
Il forte fu costruito tra il 1599
e il 1607.
Originariamente di proprietà della Corona di Spagna, fu voluta dalla
Deputazione del Regno, allora presieduta dal viceré Marcantonio Colonna,
in una riunione svoltasi nell'aprile del 1583,
per combattere le attività piratesche turco-barbaresche, molto violente
all'epoca sul Capo Passero. I pirati, infatti, al capo si rifornivano di acqua
e saccheggiavano la zona, prendendo talvolta in schiavitù gli europei in
cui si imbattevano. Fu dunque dato incarico all'ingegnere Giovanni
Antonio del Nobile, un tedesco, dal 1572
"ingegnere maggiore" per conto del Regno
di Sicilia, affinché si recasse a Capo Passero "a riconoscer diligentemente
le torri et forti che vi bisognino, per scoprimento di cale, corrispondenza
de' segni et maggior sicurezza di quella parte".
Fu però solo nel 1596
che la Deputazione tornò ad occuparsi della cosa, impegnandosi a
"metter in essecutione l'opera lungamente procurata d'un forte
designato a Capo Passero" e preventivando una spesa di 18.000 scudi.
Il cantiere venne effettivamente aperto solo nel 1599,
sotto la direzione dell'ingegnere regio Diego Sánchez, ma venne chiuso già
l'anno successivo, per mancanza di fondi. Nel luglio del 1600,
il Parlamento siciliano
riuscì a raccogliere tramite imposta alle terre del regno 21.000 scudi, che
stabilì di offrire al re Filippo III di Spagna
per "fortificare il Capo Passero". Il cantiere fu dunque riaperto
nel 1603
e completato nel 1607, sotto la direzione dell'ingegner Giulio Lasso. Per
ultimo, fu posto sopra il portale di ingresso lo stemma reale, in pietra
arenaria.
Pochi giorni dopo il completamento del forte, giunse in visita, il 2 ottobre
1607, il viceré Juan
Gaspar Fernández Pacheco.
Nel corso del XVIII
secolo,
il forte fu utilizzato come prigione per i soldati che avevano avuto
problemi con la giustizia. Mantenne la sua funzione difensiva almeno fino al
1830.
In forza del Regio decreto del 30 dicembre
1866,
il forte di Capo Passero, insieme a numerose altre architetture militari
dell'allora Regno d'Italia,
cessò di essere considerato opera di fortificazione.
Nel 1871,
fu costruito sulla terrazza un piccolo faro, il cui funzionamento era
assicurato da personale della Marina militare italiana.
Alla fine degli anni
cinquanta
il sistema di accensione del faro fu reso automatico: fu così che fu posto
un termine anche al servizio di guardiania.
Il forte è stato restaurato tra il 2005 e il 2007, nell'ambito del
finanziamento Por Sicilia 2000-2006.

Il forte è posto sul punto più alto dell'isola e poggia su una
massiccia porzione di quella roccia
calcarea
che caratterizza l'isola. Il perimetro è quadrato, con lati di 35 metri. Il
basamento si innalza dal piano di campagna per 4 metri e non presenta
aperture. Il piano superiore è raggiungibile solo attraverso una rampa di
scale, oggi a forma di L, ma originariamente dritta. La scala, posta sul
lato est, si interrompeva a qualche metro dal portone di ingresso,
raggiungibile tramite un ponte levatoio. Sopra il portale è posto lo stemma di Federico
III di Spagna. I muri esterni sono costituiti da pietrame calcareo
intonacato e da blocchi di arenaria agli angoli. All'interno è posta una
corte, anch'essa quadrata, di 12 metri circa di lato. Un sistema di grondaie
convogliava l'acqua piovana all'interno di una cisterna, posta al centro
della corte.
Al piano terra stanno quindici ambienti, privi di aperture all'esterno,
illuminati solo da aperture sulla corte interna. Agli angoli corrispondono
ambienti quadrati con volte
a vela.
I restanti ambienti sono rettangolari, con volta
a botte.
È presente una cappella dedicata alla Vergine Annunziata, mentre gli altri
vani di questo livello rappresentavano gli alloggi del cappellano e dei
soldati.
Sull'architrave posta all'ingresso di uno degli alloggi è presente la
seguente scritta: «Melius
est invidia urgeri quam commiseratione deplorari. 1701.»
Al
piano superiore stanno sedici ambienti, anch'essi pressoché privi di
aperture verso l'esterno, fatta eccezione per otto piccole finestre poste ai
quattro lati del forte, disposte senza ricerca di simmetria. Rispetto alla
distribuzione del piano terra,
le differenze sono lievi. Gli ambienti del primo piano ospitavano il
comandante e gli ufficiali, e sono disimpegnati da un ballatoio sostenuto da
grandi mensole.
Sulla terrazza era posta l'artiglieria. Sull'angolo di nordest, a partire
dal 1871, si erge un piccolo faro, con una portata luminosa di 10,8 miglia
nautiche.
L'alfiere Lope Medrano fu castellano del forte dal
1623
alla morte, occorsa (probabilmente per peste)
il 1º settembre 1631.
Fu sepolto nella cappella del forte. Ancora oggi è visibile una lastra
tombale che reca il suo nome. È stato ritrovato il suo testamento, scritto
di proprio pugno ma incompleto, dove Medrano esprime la volontà di essere
seppellito "sutta la fonti di l'acqua beneditta". Era sposato con
la nobildonna netina Dorotea Sortino.
Subito accanto alla
fortezza, potrete ammirare la statua bronzea di Maria Santissima Scala del
Paradiso, realizzata da Mario Ferretti e inaugurata nel 1959, che domina con
lo sguardo tutta l’isola, uno sguardo che “protegge” i navigatori e la
cittadina di Portopalo.
Agosto 2019
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