Djemila (“la bella” in lingua
berbera),
l’antica
Cuicul latina, si trova a
900
metri
di
quota
sui
rilievi
della
Piccola
Kabylia,
a
metà
strada
tra
Sètif
e
Constantine,
l’antica
Cirta,
capitale
prima
della
Numidia
e
poi
della
colonia
romana
d’Africa,
della
quale
restano
però
ben
poche
tracce.
Fu
fondata
verso
la
fine
del
I
secolo
dopo
Cristo,
sotto
l’imperatore
Nerva,
come
colonia
di
veterani,
all’incrocio
di
due
importanti
assi
stradali
nord-sud
e
est-ovest,
nell’intento
di
garantire
stabilità
alla
regione
con
l’insediamento
di
un
nucleo
di
ex
legionari
e
la
conseguente
romanizzazione.
Ma
l’instabilità
del
limes non riuscì mai a
garantire
una
vera
pax romana, nemmeno dopo la promulgazione dell’editto di
Caracalla
che
nel
212
riconosceva
la
cittadinanza
latina
a
tutti
i
cittadini
liberi
dell’impero.
Faceva
parte
della
seconda
provincia
proconsolare
d’Africa,
la
Numidia,
ed
era
amministrata
da
un
propretore
nominato
direttamente
dall’imperatore,
che
comandava
anche
la
potente
III
legione
Augusta,
il
maggior
corpo
di
occupazione
militare
in
Africa,
di
stanza
nella
vicina
Lambesi.
Il
cristianesimo
vi
compare
molto
presto,
tanto
che
nel
256
dispone
già
di
un
vescovo,
Pudentianus,
che
partecipa
al
concilio
di
Cartagine.
La
forte
presenza
cristiana,
di
osservanza
donatista,
a
Djemila
durante
il
IV
secolo
attesta
il
malessere
delle
popolazioni
berbere
locali
nei
confronti
dei
colonizzatori,
che
solo
il
teologo
e
vescovo
algerino
Sant’Agostino
riuscì
a
far
rientrare
nel
412.
Ma
la
calma
fu
di
breve
durata
perché
nel
439
la
Numidia
venne
conquistata
dai
Vandali,
arrivati
dalla
Spagna.
L’economia
della
città
doveva
basarsi
principalmente
sull’allevamento
e
l’agricoltura,
in
particolare
sulla
coltivazione
dell’ulivo
considerando
l’alto
numero
di
frantoi
rinvenuti
nel
circondario.
La
scelta
di
uno
sperone
a
picco
su
due
torrenti,
facilmente
difendibile,
e
la
presenza
di
mura
fanno
pensare
che
dovette
certamente
subire
le
incursioni
da
parte
delle
popolazioni
berbere
autoctone,
sostanzialmente
mai
dome
al
giogo
degli
invasori
d’oltremare.
Conobbe
il
suo
maggiore
splendore
sotto
la
dinastia
dei
Severi,
famiglia
imperiale
originaria
di
Leptis
Magna
in
Libia,
all’inizio
del
III
secolo,
e
poi
nella
seconda
metà
del
IV,
quando
ospitò
una
consistente
colonia
cristiana
come
attestano
alcune
imponenti
basiliche.
Abitata
in
seguito
da
Vandali
e
Bizantini,
sopravvisse
in
qualche
modo
fino
al
1000-1100,
quando
se
ne
perse
traccia.
Le sue
rovine
furono
scoperte
da
viaggiatori
europei
nel
Settecento.
I
lavori
di
scavo,
iniziati
dai
Francesi
nel
1909,
sono
ben
lungi
dall’essere
completati:
manca
ad
esempio
quasi
tutto
il
settore
ad
ovest
del
cardo,
sede
di
una
vasta
espansione
in
epoca
cristiana,
e
parecchi
monumenti
e
ambienti
aspettano
ancora
una
facile
ricostruzione.
Anche
così
rappresenta
comunque
un
eloquente
esempio
della
capacità
dei
Romani
di
adattare
il
tradizionale
schema
urbanistico,
impostato
sul
classico
incrocio
ortogonale
di
cardo
e
decumanus
e
della
successiva
suddivisione
laterale
in
insulae
quadrate
a
scacchiera,
alla
situazione
topografica
dell’ambiente
locale.
La città,
soprattutto
quella
più
antica
ospitata
sull’estrema
punta
settentrionale
dello
sperone,
si
sviluppa
infatti
quasi
tutta
latitudinalmente
sul
lato
orientale
del
lungo
cardo
in
discesa,
e
anche
il
breve
decumano
si
sviluppa
solo
verso
est.
Il
contesto
ambientale
circostante,
rimasto
essenzialmente
agricolo
e
pastorale
tanto
che
non
è
raro
incontrare
mandrie
di
pecore
e
capre
anche
in
mezzo
alle
rovine,
appare
estremamente
suggestivo:
due
corsi
d’acqua
nei
fondovalle
sottostanti,
campi
coltivati
ai
lati,
macchie
di
foresta
qua
e
là,
qualche
calanco
d’erosione
e
sullo
sfondo
una
montagna
di
scisti
neri,
il
tutto
in
un
silenzio
ovattato
che
invita
alla
riflessione
e
fa
rimbombare
i
passi
sull’antico
selciato.
La visita
al
sito
archeologico
inizia
dal
museo,
piccolo
e
polveroso,
ma
adorno
sulle
pareti
di
enormi
e
straordinari
mosaici,
veri
capolavori
dell’arte
musiva
romana,
i
quali
da
soli
giustificherebbero
un
viaggio
fino
a
queste
contrade.
Nel
giardino
esterno
si
possono
ammirare
statue,
capitelli,
colonne,
anfore,
epigrafi,
bassorilievi
e
pietre
tombali.
Si
accede
alla
città
dall’estremo
sud,
nel
punto
più
alto,
percorrendo
in
discesa
il
lungo
cardo
massimo.
A
destra
si
sviluppa
il
grande
quartiere
cristiano,
in
posizione
panoramica,
con
numerose
chiese
ad
abside,
due
vaste
basiliche
e
un
battistero
con
cupola
intatta,
fonte
battesimale
e
mosaici
bizantineggianti.
Sulla
sinistra
sorgono
invece
quartieri
residenziali,
tra
cui
la
cosiddetta
Casa
di
Bacco,
un’elegante
villa
ad
impianto
tradizionale.
A
sinistra
ancora,
ma
più
in
basso,
si
trova
l’ampio
complesso
delle
terme,
realizzato
nel
183
dall’imperatore
Comodo,
dove
non
poche
sale
conservano
intatte
le
volte
originarie.
Dopo una
graziosa
fontana
si
sbuca
nel
monumentale
Foro
meridionale,
detto
anche
piazza
dei
Severi,
cuore
ed
epicentro
della
città,
punto
focale
della
vita
di
ieri
e
delle
visite
di
oggi.
Procedendo
in
senso
orario
da
sinistra
si
ammirano
il
grande
arco
di
trionfo,
adorno
di
colonne
e
di
nicchie
che
un
tempo
ospitavano
statue,
innalzato
nel
216
in
onore
dell’imperatore
Caracalla,
figlio
di
Settimio
Severo,
e
pressoché
intatto,
che
nel
1839
il
duca
d’Orleans
voleva
trasportare
a
Parigi,
con
alle
spalle
il
mercato
delle
stoffe
e
le
latrine.
Oltre le
mura
della
città
vecchia,
ingentilite
da
un
porticato
con
statue,
e
la
porta
di
Cirta,
ecco
lo
spettacolare
tempio
costruito
nel
229
dall’imperatore
Settimio
Severo,
dedicato
a
Marte
patrono
della
città,
fiancheggiato
da
due
file
di
14
colonne
corinzie
alte
10
metri
e
con
altre
6
davanti
al
pronao,
a
cui
si
accede
attraverso
due
gradinate,
e
tuttora
in
buono
stato.
A
fianco
sorgeva
la
basilica
giudiziaria.
Una breve
strada
che
parte
dalla
porta
di
Cirta
conduce
al
teatro,
capace
di
2.500
posti,
mirabilmente
impiantato
su
un’insenatura
naturale
del
rilievo;
con
la
sua
scena
ancora
quasi
intatta
costituisce
un
manufatto
di
grande
suggestione,
anche
per
lo
splendido
panorama
bucolico
sui
monti
circostanti.
Proseguendo
dalla
piazza
dei
Severi
lungo
il
cardo
porticato
si
incontrano
a
sinistra
i
resti
di
una
basilica
cristiana,
mentre
a
destra
quelli
della
ricca
villa
di
Castorius
e,
più
oltre,
il
tempio
di
Venere
Genitrix,
a
sei
colonne
corinzie,
uno
dei
pochissimi
in
Africa
dedicati
a
questa
divinità.
Superata
l’antica
porta
sud,
all’incrocio
con
il
decumano
si
entra
nel
nucleo
della
città
più
vecchia,
raccolta
attorno
al
grande
foro
(44x48
metri)
affiancato
da
una
basilica
civica,
dalla
Curia
e
dal
mercato
porticato
di
Cosinius,
assai
ben
conservato,
dove
sono
ancora
riconoscibili
diciotto
botteghe
disposte
sui
quattro
lati
e
con
al
centro
una
fontana
poligonale
coperta
da
una
cupola;
curiosa
la
presenza
di
alcuni
banchi
di
vendita
e
di
un
ponderarium,
una
tavola
di
misura
con
varie
capacità.
All’estremo
limite
nord
il
Campidoglio,
le
terme
e
la
cosiddetta
Casa
d’Europa,
un
edificio
privato
a
pianta
greco-romana.
La
città
disponeva
ovviamente
anche
di
un
bordello:
per
localizzarlo
basta
individuare
sul
portale
d’ingresso
un
simbolo
scolpito
che
non
lascia
dubbi
sulla
destinazione
dell’edificio.
Poche
altre
città
come
Djemila
sono
in
grado
di
offrire
una
così
perfetta
visione
d’insieme
su
un
agglomerato
urbano
romano,
in
un
contesto
naturale
altamente
suggestivo
rimasto
totalmente
integro.
Non
a
caso
dal
1982
è
stata
inserita
dall’Unesco
nella
lista
del
Patrimonio
dell’Umanità.
Anche
lo
scrittore
algerino
Albert
Camus,
premio
Nobel
per
la
letteratura
nel
1957,
ne
rimase
affascinato
e
le
dedicò
uno
scritto,
Il
vento
di
Djemila,
1937.
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