Quante volte ci siamo
chiesti: "Che cosa è avvenuto di
loro?". Quante volte, camminando
tra le rovine messe in luce da uno scavo
archeologico o, più semplicemente,
assistendo a un documentario seduti in
poltrona a casa nostra o, ancora,
sfogliando una rivista illustrata con
qualche bella immagine di Pompei, ci
siamo domandati: "Come vivevano?
Quali erano le loro abitudini, le loro
passioni e i loro problemi
quotidiani?". Ecco, in momenti
simili bisognerebbe osare di più e
chiedersi: "Che cosa pensavano dei
loro predecessori, che quesiti si
ponevano sul loro stesso passato?".
Può suonare strano, ma è proprio così:
i Romani osservavano le piramidi di Giza
e si interrogavano sui faraoni che le
avevano fatte erigere, così come gli
Aztechi, aggirandosi tra gli immani
resti di Teotihuacan, si domandavano che
fine avessero fatto i costruttori della
metropoli deserta.
Fin dall'inizio della
civiltà, pensando alle generazioni
trascorse, gli uomini si sono posti
queste domande, poiché sentivano che la
loro storia, racchiusa in un breve
volgere di anni, aveva un senso proprio
perché non era qualcosa di definito,
concluso, un episodio con un inizio e un
termine, ma era piuttosto un momento di
una sequenza infinita, un
"effetto" che avrebbe generato
una "causa" in un eterno gioco
di rimandi. Gli uomini, dunque,
scoprirono presto che per conoscere bene
sé stessi avrebbero dovuto conoscere ciò
che era stato prima di loro e nel
contempo lasciare una testimonianza di sé
a quanti sarebbero venuti dopo. Proprio
per questa ragione la storia si è
impegnata a chiarire quanto più
possibile le vicende del passato e a
comprenderne sempre meglio il
significato e la ragione. In questa
ricerca, ogni testimonianza potrebbe
rivelarsi di inestimabile valore:
iscrizioni, pergamene, papiri, ma anche
monumenti, statue, oggetti di uso
comune, armi, stoviglie e anfore. In
poche parole reperti archeologici. Tutto
serve alla storia per rendere più
completo il quadro e chiara la visione:
in questo difficile compito
l'archeologia è la più preziosa
alleata. Il significato di questa parola
che deriva dal greco è letteralmente
"scienza delle cose antiche" e
dunque l'archeologia è la disciplina
che studia le civiltà del passato,
ricercandone le testimonianze sepolte.
L'archeologia fa
riemergere dall'oblio città favolose è
la memoria di lotte, vittorie, conquiste
e sconfitte, ma anche la conoscenza
delle quotidiane vicende di popoli che
proprio come facciamo noi soffrirono,
gioirono e amarono.
L'archeologia riporta
alla luce le tracce più o meno
grandiose della loro operosità, delle
loro aspirazioni e credenze, delle loro
opinioni sulla vita e sulla morte.
L'archeologia ci
restituisce l'arte di un tempo e ci
aiuta a capire come venisse prodotta.
Ricostruisce i campi di battaglia e
spiega quali armi furono impiegate da
eserciti da lungo tempo ridotti in
polvere. Svela come facessero politica i
Greci. Strappa al verde abbraccio delle
mangrovie le vertiginose piramidi di
Tikal e ci permette di immaginare come
venissero officiate le cerimonie
religiose maya. Ricostruisce gli stupa
di Taxila e comprende come si evolse il
buddhismo.
Se la si valuta in
questi termini, l'archeologia cessa di
essere quella materia noiosa che spesso
ci si immagina che sia. Non è solo un
ammasso di pietre ricomposte o un
tedioso spazzolare di cocci e frammenti
o un disegnare planimetrie di quattro
muri sbrecciati. E' il riappropriasi
della nostra stessa essenza di esseri
umani, è l'inebriante profumo di spezie
mai assaporate, è l'entusiasmante
scoperta di soluzioni diverse a medesimi
problemi.
Non appena si pensa
all'archeologia non più come a un trito
campionario di resti architettonici o a
un susseguirsi di teche trasparenti
ingombre di manufatti minuziosamente
catalogati, ecco che l'archeologia si
trasforma in una magnifica avventura, in
una creatura vivente capace di portarci
a zonzo nel tempo. L'archeologia apre
finestre su scenari mai neppure
immaginati o ci sorprende svelandoci il
prezioso segreto delle piccole cose, di
consuetudini dimenticate, di gesti
ripetuti all'infinito nella spirale dei
secoli.
Ogni giorno, in
qualche parte del mondo, gli archeologi
mettono a nostra disposizione le
risposte attinenti a mille quesiti,
trasformando il passato in una materia
viva, avvincente, capace di modificare
la stessa percezione che abbiamo del
nostro presente. La curiosità di sapere
come mangiassero i Romani, come
vestissero o arredassero la casa, come
si divertissero
o passassero le serate non è
vana, né una mera esercitazione della
fantasia. Cercare di scoprire
quali fossero i mezzi di
riscaldamento e di illuminazione
nell'antica Cina, non è un esercizio
fine a sé stesso. Impegnarsi a
comprendere come gli Inca potessero
tagliare immensi blocchi di pietra senza
l'ausilio dei metalli, è
concreto quanto imparare a usare
un computer. Rispondere a tali quesiti
ci aiuta a capire un po' di più
noi stessi. Scoprire che le
matrone romane usavano anche loro
l'ombrello e portavano la borsetta, che
le donne egizie si cospargevano il viso
di creme antirughe e si tingevano i
capelli, non è una seppur divertente
perdita di tempo, ma ci insegna che i
desideri e le aspirazioni, nonché le
soluzioni ai problemi contingenti, sono
uguali in ogni tempo e in ogni luogo e
che proprio questo ci rende homines
sapientes.
L'archeologia ci dice
che in tempi e luoghi diversi, gli
uomini hanno venerato dèi diversi in
modo identico, combattuto guerre diverse
per i medesimi ideali ed eretto
architetture tanto dissimili tra loro
per affermare lo stesso primato sugli
elementi. Ci dice che civiltà sono
sorte e altre sono cadute, che a tutte
le latitudini gli uomini hanno eretto
ponti per superare il corso dei fiumi,
che a tutte le longitudini hanno
costruito un tetto per proteggere sé
sessi e offrire riparo alla propria
discendenza.
L'archeologia cerca
di rispondere al quesito iniziale
"Che cosa è avvenuto di
loro?" anche per rispondere a una
domanda ben più ardua: "Che cosa
accadrà di noi?". Ci dice inoltre
quali errori sono stati commessi e
quante volte; costituisce un monito e
nel contempo un faro di speranza poiché
ci spiega che dopo ogni sconfitta c'è
stato il tempo della rinascita.
In definitiva,
l'archeologia ci lascia intendere che al
di là delle religioni, delle lingue e
del colore dalla pelle, l'uomo non è
altro che la "scimmia nuda"
descritta dal grande etologo inglese
Desmond Morris: una scimmia scesa dagli
alberi oltre un milione di anni fa e che
ancona sta faticosamente tracciando il
proprio cammino su questo pianeta.
Spesso ci troviamo a
dire "Come sono cambiati i
tempi!" Ma è poi vero? Case,
templi, fortezze, tutto è stato
costruito per rispondere alle medesime
esigenze, nelle foreste della Cambogia,
così come sugli altopiani del Perù. I
servizi igienici del palazzo di Masada
sul Mar Morto, sono sorprendentemente
simili a quelli che usiamo tutti i
giorni, gli Etruschi mescevano lo stesso
vino che ancora delizia i nostri palati,
i monaci di Borobodur facevano salire al
cielo le medesime preghiere che recitano
tutt'oggi i discepoli del Dalai Lama. |