Costituisce
ancora oggi uno dei misteri del Mondo Antico e non c’è anno in cui non
stupisca gli archeologi del mondo con nuove scoperte: è la Città
Bruciata, un’altra delle attrazioni uniche al mondo di quella terra di
meraviglie che è l’Iran. È uno dei siti archeologici più grandi e più
ricchi dell’Era del Bronzo e si trova a sud-est della provincia iraniana
oggi chiamata Sistan-Baluchestan.
Situata
vicino alla città di Zabol, la Città Bruciata ricopre un’area di oltre
300 mila ettari, e non a caso attrae come una sorta di santuario degli
archeologi, studiosi e scienziati da tutto il mondo da quasi un secolo.
Fondata
nel 3200 a.C., la città cadde in rovina nel 2100 a.C. dopo essere stata
bruciata per ben tre volte e dopo che nessuno ha voluto più ricostruirla.
Quattro
civiltà l’hanno popolata e i reperti dimostrano che una volta era così
suddivisa: la parte a nord-est era costellata di distretti residenziali
mentre le altre parti erano adibite ad aree industriali, a un grande
cimitero e a edifici religiosi.
In realtà
non esiste una teoria affermata e collettivamente accettata sulle civiltà
che popolarono la Città Bruciata. Alcuni pensano che la città,
considerata la sua estensione, fosse la capitale di una antica e fiorente
civiltà che visse oltre mille anni sulla riva del fiume Helmand e che
aveva relazioni commerciali, politiche e sociali con altre città
importanti del tempo allora conosciute.
In
ogni caso, è quasi certo che la prima generazione che visse nella Città
Bruciata, stabilì contatti con gli abitanti dell’est e del nord-est
dell’Antica Persia, l’Asia Centrale e Quetta, oggi capoluogo di
provincia della parte pakistana del Baluchistan.
I sigilli
scoperti nella Città Bruciata, simili in tutto e per tutto a quelli
ritrovati nell’isola di Mishmahig in Bahrain, in Kuwait e a sud di
Khvarvaran in Iraq, suggeriscono che anche la seconda generazione della
città continuò ad avere scambi rilevanti con i propri vicini.
Per
quanto riguarda la terza e la quarta generazione degli abitanti della Città,
si pensa che concentrarono le reazioni con le regioni a nord e a est del
loro territorio per poi ridurre sempre più anche queste.
Durante
la sua esistenza, questo antico luogo è stato uno dei centri vitali della
civiltà asiatica dell’Età del Bronzo, praticamente un importante
centro di convergenza per molte delle civiltà preistoriche più
importanti come quelle persiane, mesopotamiche, indiane e cinesi.
Nonostante
sia un sito di grande interesse archeologico internazionale, ci sono
ancora alcuni enigmi che circondano il grande sito. Innanzitutto, la città
sembra comparire nel corso della storia dal nulla. Alcuni studiosi
attribuiscono la sua fondazione alla cultura Jiroft, ma è questione molto
dibattuta.
In
secondo luogo, anche la sua scomparsa sembra essere improvvisa, ma anche
catastrofica. Nel corso della sua storia, infatti, la città è stata
incendiata per ben tre volte, cadendo definitivamente in rovina dopo
l’ultimo incendio, quando fu deciso di non ricostruirla più. È
possibile che il suo nome sia correlato a questi eventi sconosciuti e
devastanti.
Poiché
gli scavi archeologici non hanno portato alla luce nessuna arma, fortezza
difensiva o mura di cinta per la difesa della città, molti studiosi
ritengono che gli abitanti della città fossero un popolo pacifico, mai
coinvolto in guerre o battaglie di sorta.
Lo
studioso britannico Orwell Stein fu il primo a rivelare l’esistenza
della città misteriosa nel 1915. Una squadra di archeologi italiani,
dell’Istituto per gli Studi Orientali e del Medioriente iniziarono gli
scavi nella zona nel 1960. Gli italiani portarono alla luce oltre 200
tombe prima che il loro progetto venisse interrotto alla fine degli anni
’70.
Nel 1997,
gli esperti dell’Organizzazione per il Patrimonio Culturale iraniano
hanno ripreso gli scavi nell’antico sito dopo 18 anni di sosta. Gli
iraniani iniziarono ad esaminare le zone più colpite dai fatali incendi e
più tardi, nel 1999, estesero gli scavi pure alle aree residenziali.
Gran
parte delle aree scoperte risalgono allo spazio tra il 2700-2300 a.C. ed
hanno riportato alla luce centinaia di oggetti ed utensili che sono stati
sottoposti allo studio dei ricercatori dell’ICHTO, l’Organizzazione
iraniana per il Patrimonio Culturale, l’Artigianato ed il Turismo.
Tra le
molte scoperte, quelle più significative riguardano lo stile
architettonico degli edifici della città, come un tratto di muro spesso
circa 90 cm, sulla cui superficie poggiavano pezzi orizzontali di legno
coperti con fango e malta. Si pensa che tale tecnica servisse per
rafforzare le strutture edilizie per far fronte ai terremoti, ma questo
particolare architettonico non è ancora del tutto spiegato.
Sono
stati rinvenuti anche i resti di molti laboratori industriali, per non
contare tutti gli artefatti scoperti come piatti in pietra, terracotta e
vari pezzi di stoffa. I ritrovamenti fanno pensare che gli abitanti di
Shahr-I Sokhta fossero abili falegnami, cacciatori e tessitori. Inoltre,
erano anche esperti in metallurgia, come suggeriscono i ritrovamenti
metallici nel sito.
Uno degli
artefatti più significativi portati alla luce dagli archeologi italiani
nel 1983 è un calice decorato color crema sul quale si pensa sia stata
realizzata la più antica animazione del mondo. Cinque immagini
consecutive disegnate attorno al calice ritraggono una capra che si muove
verso un albero e mangiarne le foglie.
Le
immagini combinate sono considerate il più antico cartone animato
conosciuto della storia. Il regista iraniano Mohsen Ramezani ha girato un
documentario di 11 minuti intitolato The Tree of Life, nel quale ha
utilizzato le illustrazioni del calice per mostrare il movimento della
capra. L’immagine della capra è poi diventata il logo della ASIFA,
l’Associazione iraniana per i Film d’Animazione.
Nel
Dicembre 2006, però, gli archeologi hanno trovato un’altra cosa che ha
lasciato di stucco il mondo intero inducendo gli studiosi a fare nuove
teorie sul grado di sviluppo e la raffinatezza della civiltà che popolò
la Città Bruciata.
Si
trattava di un bulbo oculare artificiale: la primo protesi all’occhio
utilizzata dall'uomo. L’occhio artificiale apparteneva allo scheletro di
una donna di 1.82 cm, una donna che era quindi molto più alta di quelle
normali del suo tempo e che sarebbe vissuta tra il 2900 ed il 2800 a.C.
Ebbene,
il bulbo oculare aveva una forma emisferica con un diametro di poco più
di 2,5 cm ed era stata fatta di materiale molto leggero. La superficie era
coperta con un sottile strato d'oro, inciso con un cerchio centrale per
rappresentare la pupilla. L'occhio veniva tenuto fermo con un filo d'oro,
che passava attraverso piccoli fori realizzati su entrambi i lati
dell'occhio. Studi microscopici hanno dimostrato che il bulbo oculare
veniva indossato dalla sua proprietaria in vita.
Ma
non è l’unica scoperta incredibile sulle capacità degli abitanti della
Città Bruciata nel settore della medicina.
Un’altro
scheletro ritrovato ha rivelato che gli abili medici del tempo avevano
condotto un intervento chirurgico per curare un problema di idrocefali
contratto da una bambina di 13 anni.
Tra gli
altri oggetti preziosi che il sito ha dato alla luce vi è il più antico
Backgammon del mondo, con tanto di dadi e semi di cumino usati per
giocare, nonché numerosi reperti che testimoniano la bravura degli
abitanti della città nella lavorazione dei metalli.
L’altra
avvincente ed allo stesso tempo misteriosa attrazione del sito è il
palazzo di 17 stanze scoperto nel 1999, un palazzo che doveva essere un
luogo pubblico per via delle sue larghe scalinate e per via dei sigilli,
dei pezzi di stoffa e degli utensili di legno e metallo che contiene.
Nei
dintorni della città vera e propria, inoltre, sono stati trovati altri
100 centri che secondo gli studiosi sono i villaggi che circondavano la
città principale.
Anche se
oggi il clima della regione è secco ed arido, gli esperti dicono che al
tempo dell’esistenza della città il clima era fresco e moderato e la
vegetazione era rigogliosa ed erano diffusi alberi come il salice
piangente, l’acero e il pioppo bianco.
La prima
fase degli scavi ha portato alla luce tubature idriche sotterranee di
argilla che attraversano in lungo ed in largo tutta la città e gli studi
hanno mostrato che il fiume Helmand e suoi molti rami irrigavano le
piantagioni della città.
Gli
esperti stimano intorno a 20.000 le tombe presenti nel cimitero della città,
scoperto per la prima volta nel 1972. Le tombe hanno dato il maggior
numero di informazioni sullo stile di vita e la società di questa antica
e sconosciuta civiltà.
La tomba
più antica trovata appartiene ad una donna di 60 anni. Intanto, gli studi
hanno dimostrato che la femmine della Città Bruciata vivevano molto di più
dei membri maschi della loro Comunità. Nel giugno del 2009, gli
archeologi iraniani hanno annunciato che gli uomini della città morivano
tra l'età di 35 e 45 anni, mentre le donne di solito superavano gli 80
anni.
L’altra
scoperta sulle donne è che alcune di loro hanno al dito degli anelli con
dei segni di riconoscimento, che probabilmente indicano la dinastia
nobiliare o il ruolo politico o sociale svolta dalla donna in questione.
Ad ogni modo, l’insieme dei reperti ritrovati non lascia perplessità
sul fatto che le donne, in quella civiltà, avevano un ruolo del tutto
particolare.
Gli studi
archeologici ci aiutano ad immaginare la Città Bruciata come una
raffinata città di agricoltori ed artigiani che avevano trasformato la
loro terra in un importante centro industriale ed artistico. I gioielli e
gli accessori di bellezza considerevole trovati nel sito testimoniano la
creatività degli artigiani e soprattutto il raggiungimento di tecniche
avanzate per la lavorazione dei metalli e degli altri materiali.
Nelle
tombe sono state ritrovate collane d’oro nelle quali sono state
incastrate pietre preziose azzurre; l’esame attento dei gioielli ha
rivelato che le lame usate dagli orefici per tagliare il metallo prezioso
avevano uno spessore di meno di un millimetro.
Un numero
di pentole sono state rinvenute con tracce di vernice, suggerendo che la
gente della Città Bruciata ci sapeva fare anche con la pittura dei vasi
di Creta. In genere, sono tante le ciotole, le tazze e le brocche d'acqua
di terracotta ritrovate.
Tenendo
presente che gran parte degli accessori e dei vasi ritrovati nel sito si
trovavano nelle tombe, gli archeologi dicono che gli abitanti della Città
Bruciata credevano nella vita oltretomba e per questo venivano sepolti con
vestiti, posate, utensili, per non rimanere senza nella vita dell’aldilà.
In alcune
tombe sono state ritrovate pure tracce di aglio e secondo alcuni
archeologi, come avveniva in altre civiltà, anche questa gente pensava
che l’aglio allontanasse gli spiriti maligni. L’area tombale veniva
inoltre coperta con frammenti di vasi, come se questo venisse usato per
fare una sorta di pavimentazione.
I diversi
tipi di vasi di terracotta, gli utensili di pietra, le stuoie di paglia, i
tessuti e i mosaici scoperti mostrano che la Città Bruciata erano un
centro industriale rilevante del suo tempo. Gli studiosi stimano che
fossero 12 le fabbriche nell’area della città principale. Gli studi
condotti sui denti degli scheletri ritrovati rivelano che gli artigiani
della città usavano abitualmente i denti come utensile per la tessitura
di cesti ed altri oggetti artigianali prodotti con le canne che sorgevano
sulla riva del lago Hamoun.
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