Nel
corso della riunione annuale del World
Heritage Committee dell'UNESCO svoltosi
ad Istanbul il
17 luglio 2016, è stato
annunciato che 17
opere architettoniche e
urbanistiche, progettate
dall'architetto Le Corbusier, sono
state iscritte nella Lista
del Patrimonio Mondiale
dell'Umanità.
Il
risultato è frutto di un intenso
lavoro collettivo che ha coinvolto
oltre alla Fondazione
Le Corbusier, i
sette paesi partner dove sono
dislocate le opere (Argentina,
Belgio, India, Giappone, Svizzera,
Francia), le autorità locali, i
professionisti coinvolti nel
progetto, gli utenti e i residenti
degli edifici, tra le 17 opere
sono presenti infatti anche
abitazioni private.
Il riconoscimento dell'UNESCO,
attestando il contributo
eccezionale che questo maestro dell'architettura ha dato
al Movimento Moderno, è un
incoraggiamento alla promozione,
condivisione e tutela di un
patrimonio complesso e fragile
dell'architettura
mondiale.
Elenco
delle 17 opere:
Argentina: Maison
du docteur Curutchet, La Plata
Belgio: Maison
Guiette, Anvers
Francia: Cabanon
de Roquebrune - Chapelle Notre
Dame du Haut, Ronchamp - Cité
Frugès, Pessac - Cité
radieuse (o Unité d'Habitation),
Marseille - Couvent
Sainte Marie de la Tourette,
Evreux - Maison
de la culture, Firminy - Immeuble
locatif Molitor,
Boulogne-Billancourt - Maisons La
Roche et Jeanneret, Paris - Villa
Savoye et loge du jardinier,
Poissy - Manufacture, Saint-Dié
des-Vosges
Germania: Maison
de la Weissenhof-Seidlung,
Stuttgart
Giappone: Musée
National des Beaux-Arts de
l’Occident, Taito-Ku
India: Complexe
du Capitole, Chandigarh
Svizzera: Immeuble
Clarté Ginevra - Petite villa au
bord du Lac Léman, Corseaux
Charles-Edouard
Jeanneret nasce svizzero il 6
ottobre 1887 a La Chaux-de-Fonds e
muore francese nel 1965 durante
una nuotata al largo di Cap
Martin.
Impara
il mestiere sul campo; non
conseguirà mai un diploma. Nel
1912 costruisce la sua prima casa
a La Chaux-de-Fonds. In tutto
realizzerà un'ottantina di
progetti, servendosi in modo
pionieristico del calcestruzzo
armato. Tra le opere più note: la
villa Savoy a Possy (1932), l'unità
abitativa di Marsiglia
(1945-1952), la città di
Chandigarh (1952) e la cappella di
Ronchamp (1955). Le Corbusier
(pseudonimo che adotta a Parigi
nel 1920) è considerato uno dei
maestri del Movimento Moderno.
Maison
du docteur Curutchet
Maison
du docteur Curutchet è una
costruzione situata a La Plata.
Si stratta di uno dei due edifici
di Le Corbusier esistenti nel
continente americano, l'altro è
il Carpenter Center for the Visual
Arts à Cambridge, Massachusetts.
La
casa fu commissionata dal Dr.
Pedro Curutchet nel 1948. I lavori
iniziarono nel 1949 e terminarono
nel 1953. E' considerata monumento
storico nazionale dal 1987.

Maison
Guiette, Anvers
Casa
Guiette, è stata disegnata da Le
Corbusier nel 1926 ed è
considerata una delle sue opere
meno conosciute.
Quest’opera
architettonica non è in alcun
modo valorizzata, sembra
incredibile che Le Corbusier abbia
costruito qui e che quasi nessuno
ne sia a conoscenza. In mezzo a
terra, pietre e macerie e a quello
che pare un cantiere in corso si
scorge questo edificio bianco,
anzi precisamente un semplice
parallelepipedo bianco. In mezzo a
delle macerie.
L'edificio,
commissionato dal pittore Renè
Guiette, fu costruita nel 1927.
L'abitazione
è composta di tre piani, ed ha
grandi vetrate nel fronte e nel
retro, per dare maggiore luminosità
allo studio del pittore. Casa
Guiette venne inoltre restaurata
nel 1985 da Georges Baines.
Cabanon
de Roquebrune

Il
Cabanon è una costruzione
progettata da Le Corbusier nel
1951 e ubicata a Roquebrune-Cap-Martin,
in Francia.
Le
Corbusier progetta il Cabanon come
regalo di compleanno per la moglie
Yvonne e decide di collocarlo a
Roquebrune - Cap-Martin, in Costa
Azzurra, dove già abitava
all'interno della casa E 1027,
realizzata da Eileen Gray e Jean
Badovici nel 1927: la
peculiarità di tale proposta
progettuale era costituita dalle
sue dimensioni ridottissime.
Trattasi invero di un capanno -
traduzione dal francese del
termine stesso «Cabanon» - dalle
dimensioni in pianta di 3,66 x
3,66 metri e dall'altezza di 2,26
metri: queste dimensioni, studiate
con estrema precisione secondo i
dettami aurei e antropocentrici
del Modulor, sono frutto
anche della consapevolezza che a
un «uomo nudo» in vacanza «non
serve molto più di un letto,
servizi, un tetto e la vista del
sole che risplende sul mare».
Il
Cabanon, in effetti, si
costituisce come un minimum
architettonico irriducibile,
insemplificabile, grande appena
quattordici metri quadrati (come
la cabina di un treno), dove ogni
elemento è ridotto al massimo
dell'essenzialità. Per ottenere
una simile elementarietà
nell'organizzazione spaziale di
questa machine à habiter ciascun
arredo spesso svolge una duplice
funzione: il letto occulta i
cassetti dell'armadio, il supporto
del lavandino funge da elemento di
separazione, uno sgabello è anche
scala per il ripostiglio
superiore, e così via. Una simile
semplificazione coinvolge anche la
distribuzione di questo
microspazio, il quale si contrae
in un corridoio d'entrata, un
servizio e un vuoto unico
centrale, suo fulcro distributivo,
intorno al quale si dispongono in
maniera centripeta le diverse zone
funzionali (soggiorno, area pasti,
servizi igienici ...) di questa
"umile baracca". Persino
gli infissi sono minimalizzati,
con la presenza di sole due
finestre, rivolte verso
un'emergenza rocciosa e verso i
litorali monacensi, e di due
fessurazioni funzionali per
un'aerazione ottimale degli
interni. Il soffitto è infine
realizzato con pannelli di quercia
bianchi, rossi, verdi, gialli e
blu.
Malgrado
la manifesta semplicità, dunque,
gli interni del Cabanon sono
studiati con rigorosa diligenza, e
rimandano nel loro complesso a
un'ideale di calore, accoglienza,
introversione ed essenzialità.
Interessante è anche l'involucro
esterno, composto da doghe di
scorza di pino, il quale per la
sua rustica selvaticità sarebbe
quasi assimilabile a uno chalet
montano, se non fosse
armoniosamente connaturato nella
rigogliosa vegetazione
mediterranea circostante.
Chapelle
Notre Dame du Haut

Notre-Dame
du Haut è una cappella situata
a Ronchamp, presso Belfort in Francia realizzata
dall'architetto Le Corbusier,
secondo i canoni dell'architettura
brutalista (cfr. anche razionalismo).
È considerata uno dei più
celebri esempi di moderna
architettura
religiosa.
Progettata
a partire dal 1950, la prima
pietra venne posata il 4 aprile 1954 e
la chiesa fu ultimata il
20 giugno 1955, benedetta il
25 giugno 1955, e consacrata
l'11 settembre 2005.
La
costruzione, situata sulla sommità
di una montagna, è in calcestruzzo
armato. È costituita da un'unica navata di
forma irregolare. Nei lati della
navata sono ricavate tre piccole
cappelle indipendenti che
terminano in tre campanili di
forma semi cilindrica. La
copertura della chiesa è
realizzata con una gettata di
calcestruzzo modellata come se si
trattasse di una grande vela
rovesciata.
Per
aumentare il senso di leggerezza
dell'insieme la copertura non
appoggia direttamente sulle
pareti, bensì su corti pilastrini
affogati nella muratura delle
medesime. In questo modo,
osservando il soffitto
dall'interno, si percepisce una
lama di luce che penetra tra i
muri e la vela in calcestruzzo,
come se essa potesse quasi volar
via da un momento all'altro.
La
luce entra inoltre da decine di
aperture delle più varie forme. Feritoie,
finestre, vetrate e frangisole che
determinano suggestivi effetti di
luce valorizzati dal contrasto tra
il bianco dell'intonaco ed il
grigio sporco del cemento.
Ardito ed interessante
l'accostamento, proposto da Pierre
Guéguen tra queste feritoie ed i
tagli che Lucio Fontana iniziò a
praticare pochi anni dopo nelle
sue tele: "Rencontre de
luminaristes en des arts
differents". La chiesa è
stata concepita per essere
utilizzata anche all'esterno,
dove, sotto l'ampio tetto, si
trovano un altare e un pulpito.
La costruzione può ospitare circa
200 persone.
"Ho
voluto creare un luogo di
silenzio, di preghiera, di pace,
di gioia interiore",
disse Le Corbusier, il giorno
dell'inaugurazione.
Cité
Frugès, Pessac

Frutto
dell'incontro fra un architetto
urbanista audace, quel
Charles-Eduard Jeanneret detto Le
Corbusier e Henry Frugès, un
industriale bordelese
lungimirante, nasce, fra il 1924 e
il 1926 la Cité Frugès a Pessac
che all'epoca rappresenta una vera
rivoluzione sia sul piano
dell'habitat sociale che su quello
dell'architettura. Le Corbusier ha
finalmente l'occasione di passare
dalla teoria alla pratica, di
applicare i suoi principi
costruttivi base, di sperimentare
la produzione in serie e il
prefabbricato, la sua
"filosofia del vivere"
che rispetta l'uomo e le sue
esigenze non resterà più solo
sulla carta. Da parte loro gli
abitanti godranno di ben 75 metri
quadri di appartamento, di comodità
moderne inimmaginabili all'epoca
persino nelle ricche case borghesi
di Bordeaux come
ripostiglio-lavanderia, stanza da
bagno con doccia, riscaldamento
centralizzato, garage o tetti-
terrazza, luminosi spazi
individuali e collettivi per i
diversi momenti del vivere
quotidiano.
Cinque
tipologie di case, "la maison
Gratte-Ciel", "la maison
Arcade", "la maison
Jumelle", "la maison
Zig-Zag" e "la maison
Quinconce", come un gioco del
lego con i pezzi rispondenti a
caratteristiche comuni che vengono
assemblati ogni volta diversamente
e la policromia quale
protagonista. Il colore è un
fattore determinante nella
composizione della Cité Frugès,
giochi cromatici non solo sulle
pareti all'interno, ma anche negli
esterni.
Previste
inizialmente bianche, strada
facendo ci si accorgerà che il
colore ha il potere di valorizzare
gli elementi architettonici, da la
sensazione di uniformità a certi
gruppe di case o viceversa può
creare alternanze, variazioni fra
le diverse costruzioni.
Presso
gli abitanti c'è la
consapevolezza di vivere in un
luogo particolare che rappresenta
una pagina di storia
dell'architettura moderna del XX°
secolo e la volontà di procedere
alla salvaguardia delle unità nel
rispetto dei piani originali anche
se la ristrutturazione è molto più
lunga e costosa se paragonata a
una casa comune, vige infatti una
severa normativa rispetto questa
Zona di Protezione del Patrimonio
Architettonico.
Cité
Radieuse (o Unité d'Habitation)

L'Unité
d'Habitation de Marseille,
conosciuta anche come Cité
Radieuse, è un edificio civile di Marsiglia,
progettato dall'architetto
svizzero Le Corbusier.
L'edificio
è il primo dei cinque analoghi
realizzati in Europa e
rappresenta una delle
realizzazioni pratiche delle
teorie ideate dal celebre
architetto circa il nuovo concetto
di costruire la città, nonché
uno dei punti di arrivo
fondamentali del Movimento
Moderno nel concepire
l'architettura e
l'urbanistica.
Nel
1946, in un tragico scenario di
devastazione e macerie, le varie
nazioni europee, sopravvissute
alla seconda guerra mondiale,
avviarono ognuna dei grandi
progetti di ricostruzione. In Francia il
ministro dell'Urbanistica e della
Ricostruzione Raoul Dautry interpellò,
tra gli altri, il celebre
architetto avanguardista Le
Corbusier, che ebbe così
l'opportunità di mettere in
pratica i suoi innovativi studi
sui princìpi funzionali volti ad
un nuovo modo di concepire lo
spazio abitativo collettivo.
L'idea
dell'Unité d'Habitation, infatti,
veniva coltivata da Le Corbusier
seppur in forma estremamente
embrionale sin dal lontano 1907,
quando egli fu in visita alla certosa
di Ema, presso Firenze. Questa
struttura lo colpì non sotto il
profilo estetico, o formale, bensì
per il suo efficacissimo motore
distributivo, perfettamente in
grado di coniugare la vita
individuale con quella collettiva.
In questo complesso monastico,
infatti, la vita privata dei frati
era tutelata da ogni promiscuità
grazie alla presenza di celle che
garantivano un isolatento pressoché
totale: al contempo, tuttavia, la
vita collettiva era assai sentita.
«A partire da questo momento mi
è apparso il binomio: individuo e
collettivo, binomio indissolubile»
avrebbe scritto l'architetto,
folgorato dalla sinergia che nella
certosa di Ema si veniva a creare
fra queste due sfere,
apparentemente inconciliabili.
Pur
suscitando accesi dibattiti o
violente stroncature, i suoi
progetti si rivelarono
apprezzabili e con intuizioni
all'avanguardia per i tempi,
anticipando molte delle più
diffuse concezioni architettoniche
contemporanee. Inutile rimarcare
che, se queste varie idee
progettuali erano sino a quel
momento rimaste sulla carta, ora
con l'occasione marsigliese era
necessario concretarle. Per questo
motivo Le Corbusier decise di
istituire l'Ascoral, Assembée de
Constructeurs pour une Rénovation
Architecturale, nella prospettiva
di avviare un'intensa ricerca
teorica - sfociata poi con
l'ideazione del Modulor -
e di stabilire una feconda e
solidale collaborazione tra
architetti e ingegneri, in maniera
perfettamente antitetica al
sentire comune del tempo, per il
quale questa dicotomia era
insolubile: sotto questi auspici
creò l'Atbat, Atelier de Bâtisseurs,
un gruppo omogeneo di
collaboratori tra architetti e
ingegneri coordinati
dall'ingegnere Vladimir
Bodiansky.
Fu
così che nel 1947 il progetto
prese il via. Stabilito il luogo
propedeutico all'edificazione
della prima Unité d'Habitation -
boulevard Michelet, a Marsiglia -
vennero eseguiti più di mille
disegni, sotto la tenace tutela di
Le Corbusier, che non si lasciò
affatto scoraggiare dalle
innumerevoli difficoltà che lo
ostacolavano (le formalità con
l'amministrazione furono
estenuanti, così come le
ininterrotte critiche dei
detrattori). Dopo cinque anni
di intenso lavoro, nel 1952, la
costruzione poté finalmente dirsi
ultimata e l'Unité d'Habitation
di Marsiglia venne solennemente
inaugurata: da quell'anno in poi
complessi edilizi analoghi vennero
realizzati a Nantes per
una cooperativa privata
(1953-555), a Berlino sotto
la spinta dell'Interbau (1957), a
Briey (1961) e infine a Firminy (1967).
Diventata, nonostante le iniziali
incomprensioni, ambita residenza
di esponenti del ceto borghese
medio-alto, professionisti e
intellettuali del capoluogo
francese, l'Unité d'Habitation è
stata nominata il 12 ottobre 1995
«Monument historique» ed è
luogo di visita di numerosi
turisti, scolaresche e studiosi
d'architettura ogni anno.
Secondo
il pensiero di Le Corbusier non
esisteva una sostanziale
distinzione tra l'urbanistica e
l'architettura, arti che tentò di
ricondurre a unità con una
demiurgica opera di ricucitura. La
sua attenzione era principalmente
rivolta a studiare un sistema di
relazioni che, partendo dalla
singola unità abitativa intesa
come cellula di un insieme,
si estendeva all'edificio, al quartiere e
all'intero ambiente
costruito.
L'Unité
d'Habitation è la magistrale
sintesi di questa teoria e
racchiude in sé tutti i princìpi
architettonici da lui ideati,
divenendo la somma delle funzioni
prettamente domestiche coniugate a
quelle urbanistiche. Essa venne
quindi concepita come una vera e
propria «città verticale»
caratterizzata da spazi
individuali inseriti in un ampio
contesto di aree comuni; questo
equilibrio fu supportato
dall'impiego delle più moderne
tecniche progettuali e costruttive
già scoperte in precedenza dal Razionalismo e
dall'esperienza del Bauhaus.
L'edificio
rappresenta quindi una sorta di
contenitore che racchiude in esso
uno spazio urbano, trascendendo la
funzione meramente abitativa di un
semplice condominio e concependo
l'edificio come una sorta di «macchina
per abitare» per un elevato
numero di persone. Secondo i
principi di Le Corbusier,
l'attuazione di questa teoria
porterebbe al salto dimensionale
tra il singolo edificio e la città,
cosicché il primo divenga un
sottomultiplo della seconda.

Attraverso
un accurato studio delle piante Le
Corbusier, con la sua Unité
d'Habitation, riesce a proporre un
modello architettonico in grado di
armonizzare la vita individuale,
familiare e collettiva. Se la
proliferazione di case isolate
aveva dato vita a un elevato
consumo di suolo agricolo e
naturale e ad altri fenomeni
energivori e poco sani, come
quelli dello sprawl e della città
diffusa, Le Corbusier con l'Unité
d'Habitation intende dare vita a
un unico organismo polifunzionale
complesso che, pur preservando una
densità abitativa elevata, riesce
a costituirsi come un'alternativa
alla colata di cemento delle
villette unifamiliari riuscendo a
destinare la parte restante del
terreno a verde.
Partendo
da queste premesse, si pone il
problema di gestire con cautela la
concrezione abitativa che si viene
così a generare. Le Corbusier,
come già accennato, risolve in
maniera geniale questa
problematica, a partire sin dalle
piante dei singoli alloggi:
l'architetto, infatti, ripudia
l'architettura così come
tradizionalmente concepita - in
maniera scatolare, come mera
giustapposizione di stanze, e
perciò tendente a frantumare
l'unità familiare e a generare
disgregazione - e approda a un
impianto distributivo che da un
lato stimola i momenti di
riunione, ma dall'altro assicura
spazi individuali dove il singolo
utente può isolarsi in maniera
tranquilla.
Aumentando
di scala, Le Corbusier si rende
conto di come sia necessario anche
salvaguardare il nucleo famigliare
dalle ingerenze esterne, evitando
per quanto più possibile
promiscuità - sia fisica ma anche
morale - con le famiglie
adiacenti. La lottizzazione delle
case isolate si rivelava carente
in tal senso, in quanto le singole
unità abitative erano separate
tra di loro solo da sottili
strisce di terreno, di dimensioni
modestissime, che non garantivano
una sufficiente protezione visiva
e acustica tra i vari nuclei
famigliari.
Memore
della lezione dei certosini di
Ema, tuttavia, Le Corbusier è
consapevole che tutelare
l'individualità familiare non
significa necessariamente
rinunciare a una vita collettiva
intensa: essendo l'uomo un animale
per natura sociale, esso tende per
natura ad aggregarsi con altri
individui e a costituirsi in
società, e per questo - pur
avendo il diritto di realizzarsi
privatamente, in seno alla
famiglia, nella propria vita
individuale - deve anche
riconoscersi in una dimensione
culturale collettiva. Partendo da
quest'esigenza Le Corbusier
integra gli alloggi, di per sé
isolati come si è visto, in una
collettività, nel segno di
un'equilibrata riconciliazione tra
famiglia e società: per ricucire
queste due sfere antropologiche
egli prevede esternamente agli
alloggi, concependoli come veri e
propri «prolungamenti», una
dotazione di servizi
extraresidenziali - asili nido,
palestre, supermercati - a diretto
beneficio di tutti gli abitanti.

Localmente
noto come «maison du fada» il
complesso residenziale si estende
su un'area di circa 3.500 metri
quadrati e misura 137 metri di
lunghezza per 24 metri di
larghezza e può contenere più di
1.500 abitanti.
L'edificio
si sviluppa su diciotto piani, per
un'altezza complessiva di 56
metri: osservando il basamento si
può notare l'adozione di grandi e
massicci pilastri di forma
tronco-conica che, sorreggendo
tutto il corpo di fabbrica,
sostituiscono i setti
portanti. Inoltre, la loro
funzione strutturale separa
volutamente l'edificio dal suolo
e, soprattutto, elimina
definitivamente la presenza di
abitazioni penalizzate
dall'oscurità e dall'umidità
derivanti dalla collocazione a
terra.
L'arretramento
degli stessi pilastri rispetto al
filo dei solai consente,
inoltre, il libero sviluppo della
facciata con l'impiego di ampie
finestrature a «nastro» lungo le
pareti perimetrali a tutto
vantaggio di un ottimale livello
di illuminazione interna, uno
degli aspetti fondamentali
dell'opera di Le Corbusier. I
prospetti delle facciate sono
invece scandite da ripetuti moduli
rettangolari costantemente
caratterizzati dalla presenza del
colore in netto contrasto con
l'uniformità cromatica del
cemento armato che caratterizza
l'intera struttura: «parallelepipedo
imponente che, rinnegando il gusto
della superficie levigata, esalta
il béton brut, il
cemento roccioso colato in
casseforme di legno grezzo, la
materia scabra su cui è impressa
la sigla del Modulor» ricorda il
critico Bruno Zevi.

Come
è noto l'edificio ospita anche
aree dedicate a servizi
solitamente dislocati nel contesto
urbano circostante: tuttavia, la
commistione di spazi comuni, zone
commerciali e aree residenziali è
organizzata con razionalità, pur
senza tralasciare la funzionalità.
Al
settimo e ottavo piano, un ampio
corridoio interno, che percorre
longitudinalmente la struttura
come una sorta di strada, consente
l'accesso ai principali servizi
utili alla collettività: una lavanderia,
un supermercato, un albergo con
ventuno camere, una biblioteca e
poi svariati negozi, ristoranti e
uffici. Come per l'esterno, gli
interni dell'edificio sono
costantemente caratterizzati dalla
presenza del colore, utilizzato
come elemento di arredo. Al di
sopra e al di sotto del settore
centrale dedicato ai servizi vi è
la parte residenziale
dell'edificio, composta da una
successione di 337 appartamenti
disposti trasversalmente rispetto
allo sviluppo dell'edificio.
Uno
degli aspetti più rivoluzionari
fu la nuova concezione della
singola cellula abitativa, non più
contraddistinta dal contesto
sociale di chi lo abita;
analizzando la planimetria degli
appartamenti è interessante
notare come Le Corbusier abbia
concepito delle unità abitative
tutte uguali e di dimensioni
medio-grandi, quasi fossero
oggetti da assemblare in serie.
Ciascuna di esse è del tipo duplex,
ovvero disposta su due livelli
diversi collegati da una scala
interna; gli ingressi sono
disposti lungo ampi corridoi
interni dalle coloratissime pareti
situati ogni due piani che, nella
logica progettuale di Le
Corbusier, rappresentano le strade del
complesso residenziale.
L'architetto
concepì questi spazi abitativi
applicando il proprio sistema
denominato Modulor,
ovvero «una gamma di misure
armoniose per soddisfare la
dimensione umana, applicabile
universalmente all'architettura e
alle cose meccaniche». Una
rappresentazione del Modulor è
raffigurata su una parete dei
locali presenti sul tetto
dell'edificio. L'ennesima
innovazione è rappresentata
infine anche dal tetto abitabile,
noto anche come «tetto giardino»,
secondo i celeberrimi Cinque
Punti.
Analogamente
a quanto accade nei grattacieli,
grazie all'impiego del calcestruzzo
armato, esso può diventare un
vasto giardino pensile o essere
adibito a funzioni complementari e
ricreative utili alla collettività.
Esso ospita infatti svariati
locali ad uso comune come la palestra,
una piccola piscina, l'asilo
nido, un solarium, un auditorium all'aperto
e un percorso ginnico di
circa trecento metri per
l'attività sportiva.
Couvent
Sainte Marie de la Tourette,
Evreux

Il convento
di Santa Maria de La Tourette è
un edificio religioso appartenente
all'Ordine
domenicano,
progettato da Le
Corbusier e
situato nel comune di Éveux situato
nella zona di L'Arbresle nei
pressi di Lione e
non nel territorio di La
Tourette.
Su
invito del padre Couturier
dell'Ordine domenicano, Le
Corbusier sviluppa
un progetto che unisse i principi
religiosi dell'Ordine e le idee
costruttive dell'architetto. Le
Corbusier ha
collaborato con il suo socio Andre
Wogenscky, mentre assieme al
progettista greco Iannis
Xenakis ha studiato
soluzioni armoniche per le vetrate
sia orizzontalmente sia
verticalmente. Il cantiere inizia
nel 1956,
pur avendo dei problemi economici,
viene consacrato nell'ottobre 1960.
Grazie a due mecenati, il convento
viene chiuso per lavori per 4 anni
su 3 delle 4 ali, nel 2010 viene
riaperto per ospitare monaci e per
visite guidate. Nel 2011 iniziano
i lavori di restauro
della chiesa e della sagrestia.
Il
complesso conventuale comprende
una chiesa, un chiostro, una sala
capitolare, aule, biblioteca, sala
da pranzo, varie sale, cucine e un
centinaio di singole celle. È
costruito in una valle in forte
discesa circondata da foreste e da
pianura; per dare un aspetto meno
massiccio alla struttura si è
scelto di appoggiare la massa del
convento su pilastri di
varia altezza data la pendenza del
terreno. Al suo interno vi sono
cento celle per i monaci.
Ancora sotto si trovano le sale
studio, più in basso i refettori e
infine, a contatto con il suolo,
le cucine. Nelle zone adiacenti si
trovano la chiesa e la sagrestia.
È presente un cortile interno
collegato direttamente con
l'esterno.
Il
terreno del convento si trova a
lato di una strada di crinale che
degrada verso valle; Le Corbusier
sfrutta la pendenza del terreno
per meglio organizzare la
distribuzione funzionale. L'impianto
utilizzato è molto formale,
difatti non è facilmente
riconoscibile come convento;
l'edificio è definibile come
appartenente al brutalismo,
il calcestruzzo è presente
ovunque, non sono presenti delle modanature e
nessun elemento decorativo, in
linea con i principi di povertà e
semplicità dell'Ordine. Gli
elementi sono articolati con
l'angolo retto, inoltre le
aperture sono studiate per essere
a nastro andando
ad occupare spesso la maggior
parte della parete.
L'edificio
è pensato principalmente per il
rapporto che chi è all'interno ha
verso l'esterno e non l'impatto
paesaggistico che ha l'edificio
con il contesto, questo i frati
appartenenti all'Ordine
dei Frati Predicatori devono
avere un'alta istruzione, ed il
convento è il posto dove questa
preparazione avviene.
Nella
sagrestia e nell'altare della
chiesa è stato studiato
principalmente il rapporto con la
luce, sono stati inseriti dei
"cannoni" di luce,
finestre appositamente modellate
per poter avere alle diverse ore
del giorno diversi comportamenti
interni della luce. Nella navata
della chiesa sono presenti due
finestre, una posizionata nel
centro della navata mentre una
posta alla sommità della parete
opposta all'altare; questo gioco
di luci da un diverso effetto
interno durante le diverse ore del
giorno.
Le
Corbusier fa variare l'altezza tra
il pavimento ed il soffitto a
seconda dell'importanza
dell'ambiente, la chiesa ha
l'altezza maggiore e il corridoi
con il quale vi si accede cambia
di altezza mentre lo si percorre,
per significare il fatto che si
entra in un ambiente importante.
L'ambiente d'entrata ha un'altezza
bassa, ma mentre ci si avvicina al
centro dell'edificio i solai
cambiano d'altezza.
Maison
de la culture

Simbolo
dell'architettura moderna, Le
Corbusier costruisce a Firminy (a
10 km da Saint-Etienne) 4 edifici:
la Maison de la Culture - La casa
della Cultura, le Stadio, l’unité
d’Habitation et la Chiesa.
Il
sito Le Corbusier di Firminy, il
più grande complesso europeo
ideato dall'architetto visionario,
rientra ormai tra i monumenti
classificati Patrimonio mondiale
dell'umanità. Tale
classificazione conferma
l'importanza di quest'opera come
modello imprescindibile, sia sul
piano teorico che sul piano
artistico, dell'architettura del
XX e XXI secolo.
La
Maison de la Culture di Firminy è
entrata a far parte persino della
rete internazionale dei siti
riconosciuti dall'ONU come Città
Creative Design, proprio come è
successo per la città di Saint-Étienne
già Patrimonio dell'UNESCO.
La
Maison de la Culture è il primo
edificio costruito
dall'architetto, tra il 1961 e il
1965, nel nuovo quartiere di
Firminy-Vert. Le sue sale
d'esposizione vi mostreranno la
storia del quartiere di
Firminy-Vert e delle opere di Le
Corbusier negli anni 60.
La
sua architettura contribuisce al
rinnovamento delle forme e della
concezione spaziale del movimento
moderno: la sua conformazione
rivela l'avanguardismo
dell'architettura, in particolare
nel modo di utilizzare le nuove
tecniche, nella sperimentazione di
materiali.
Proprio
a questo titolo La Maison de la
Culture è uno dei gioielli
imperdibili della Creazione di Le
Corbusier… Un luogo unico nel
dipartimento della Loira... Un
luogo di straordinaria fama al
servizio del territorio di
Saint-Etienne e di tutta la
regione Alvernia Rodano-Alpi.
Immeuble
locatif Molitor
L'Immeuble
Molitor è un edificio di Parigi situato
in rue Nungesser et Coli 24 (XVI
arrondissement),
opera di Le
Corbusier,
che all'ultimo piano aveva il suo
atelier per la pittura personale e
un'abitazione dove trascorse gli
ultimi anni della sua vita.
L'abitazione
è oggi aperta al pubblico e fa
parte degli edifici parigini del
grande architetto gestiti dalla Fondazione
Le Corbusier.
Fu
progettato nel 1931 e
concluso nel 1934 da
Le Corbusier e Pierre
Jeanneret.
L'edificio, in una posizione
panoramica tra il Parco
dei Principi e
il Bois
de Boulogne, venne scelto
da Le Corbusier per la propria
abitazione, creando all'ultimo
piano ed alla terrazza sul tetto
"il miglior appartamento
dell'intero edificio",
complessivamente ampio circa 240
metri quadrati. Il sistema delle
volte permise la creazione di ampi
spazi, senza il ricorso a supporti
intermedi e creando vari ambienti
funzionali che sono un tutt'uno,
senza i tradizionali mezzi di
separazione. Le porte ad esempio
sono veri e propri mobili
ruotanti, che permettevano di
isolare in maniera invisibile per
il visitatore i due nuclei
principali dell'appartamento: lo
studio di pittura e la parte
abitativa vera e propria.
Lo
studio è diviso in tre ambienti
principali:
La
grande sala per dipingere, con
ampie finestre, pareti lisce e con
una predominanza del colore
bianco, anche nel pavimento. La
volta misura circa 3x12 metri, con
un'altezza di 3,50 m; la grande
parete di fondo è composta da
pietre e mattoni a vista.
L'angolo
con la scrivania e lo scrittoio,
affacciato sul panorama
Il
ripostiglio e la camera di
servizio.
Grande
importanza rivestiva la luce, che
Le Corbusier cercò di far entrare
da ogni lato, ricreando
artificialmente la situazione di
un'abitazione sul Mediterraneo.
Pannelli di legno servivano per
controllare le aperture e impedire
una luce troppo abbagliante,
soprattutto al mattino.
La
parte dell'appartamento è
composta da un cucinotto,
disegnato da Charlotte
Perriand,
in legno scuro Okume dipinto
grigio chiaro e acquaio in peltro.
La camera da letto ha un altissimo
letto, così composto affinché si
potesse vedere il Bois de Boulogne
dalla finestra. Molto originale è
il bagno, ricavato in un ambiente
di per sé molto angusto, con
pareti non ortogonali. All'ultimo
piano, raggiungibile da una scala
a chiocciola senza ringhiera, si
trova una gabbia di vetro e
muratura dalla quale si accede
alla terrazza superiore.
Quasi
tutto il mobilio presente è
originale, mentre non ci sono più
le opere d'arte create da Le
Corbusier o da lui possedute.
L'appartamento
è stato dichiarato come
"Listed Building" nel 1972 e
confermato nel 1990.
Maisons
La Roche et Jeanneret

La maison
La Roche-Jeanneret è una
doppia villetta costruita da Le
Corbusier nel 1924,
ubicata presso i numeri 8-10 della
rue Doctor Blanche, a Parigi.
Il
progetto risale al 1923, quando
Raoul La Roche commissionò
all'architetto elvetico una casa
dove potesse anche essere esposta
la sua galleria d'arte. Il lotto,
molto stretto e penalizzato da
numerosi vincoli, oltre che da un
orientamento eliotermico
assolutamente sfavorevole, lambiva
la rue du Docteur Blanche, a
Parigi, in un quartiere borghese -
Auteuil - che, pur essendo stato
inglobato nei processi di
urbanizzazione, preservava
un'atmosfera villaggesca: quello
che poteva benissimo prospettarsi
come una mortificante operazione
di speculazione immobiliare,
tuttavia, viene trasformato da Le
Corbusier in un pregevole
intervento architettonico in grado
di captare le suggestioni
provenienti dalle sperimentazioni
neoplastiche di Theo
van Doesburg e Cornelis
van Eesteren, «architetti
del gruppo De Stijl», e di
segnare un nuovo punto di partenza
nella sua maturazione
architettonica.
Il
complesso La Roche-Jeanneret è
costituito da due abitazioni
distinte, contigue, ma
indissociabili: la prima, maison
Jeanneret, venne costruita in
collaborazione con l'architetto
Pierre Jeanneret nel 1925, mentre
la seconda fu destinata a monsieur
Raoul La Roche, economista
benestante e colto collezionista
di arte moderna (alla sua
collezione appartenevano tele di
Picasso, Braque, Lèger, Gris,
Lipchitz e dello stesso Le
Corbusier, noto pittore di matrice
purista). Dal cancello d'ingresso
si dipana un sentiero in pendenza
che, addentrandosi in profondità
nel lotto, consente l'accesso ad
ambedue le abitazioni, volumi
netti, candidi, dalle notevoli
qualità plastiche. Maison La
Roche, in particolare, è
particolarmente interessante dal
punto di vista planimetrico in
quanto dissocia completamente
l'area funzionale all'abitare in
senso stretto a quella destinata
alla fruizione delle varie opere
d'arte: in questo modo si scindono
in maniera efficace la parte
pubblica della casa da quella
privata, in modo tale da evitare
ogni conflittualità, ma si salda
al contempo un legame
indissolubile tra la pittura e
l'architettura, due universi che
presentano forti compenetrazioni,
anche nella biografia di Le
Corbusier.
Entrando
nell'abitazione si ha innanzitutto
accesso a una hall a tripla
altezza, priva di affacci diretti
verso l'esterno ma irrorata in
maniera costante ma delicata della
luce proveniente dagli ambienti
contigui: da questo spazio, vero e
proprio fulcro dell'intero sistema
architettonico, si innesta una
scala nera che dà accesso alla
galleria delle opere d'arte,
caratterizzata da uno sviluppo
orizzontale preminente,
enfatizzato dalla rettilineità
delle pareti (atta proprio per
appendervi i quadri). La galleria,
a sua volta, è connessa alla
soprastante biblioteca mediante
una rampa di risalita, strumento
di cui Le Corbusier si serve per
superare agevolmente il dislivello
presente tra i vari piani senza
per questo sacrificare la
continuità dei relativi ambienti:
si tratta di una sperimentazione
primitiva della cosiddetta promenade
architecturale («passeggiata
architettonica»), la quale verrà
poi perferzionata nelle successive villa
Stein e villa
Savoye.
La
rampa, in ogni caso, consente
l'accesso al piano più alto della
casa, dove - come già accennato -
è collocata la biblioteca, luogo
di studio e di contemplazione
prediletto da monsieur La Roche
che qui poteva rifugiarsi,
assorgersi nella lettura dei suoi
amati libri e dominare con lo
sguardo il resto degli ambienti
della casa, senza per questo
essere visto. Tra gli altri
ambienti della casa troviamo per
l'appunto la cucina, il garage e
la camera del guardiano, disposti
al piano terra, la sala da pranzo
(dove le lampadine «denudate»
denunciano la volontà di Le
Corbusier di sopprimere ogni
ornamentazione superflua), la chambre
puriste (camera da letto
dall'arredo minimalista) e il toit-terrasse.

Villa
Savoye et loge du jardinier
Villa
Savoye è una residenza
privata progettata da Le
Corbusier e da Pierre
Jeanneret, costruita tra il
1928 e il 1931 su commissione di
Pierre Savoye. Si tratta del
manifesto più conosciuto del movimento
moderno e in
particolare del cubismo architettonico.
Pierre
Savoye, broker
assicurativo, socio del
gruppo Gras-Savoye, marito di
Emilie Savoye e padre di Roger
Savoye, nel 1928 commissionò a
Charles-Eduard Jeanneret (noto
come Le
Corbusier) e Pierre
Jeanneret il progetto
di una residenza dove trascorrere
i fine settimana con la famiglia.
La costruzione iniziò nel
febbraio del 1929 e l'abitazione
venne conclusa nel 1931 con
l'aggiunta del sistema di riscaldamento,
diventando così la residenza
secondaria dei Savoye. L'iter
progettuale e costruttivo, come di
consueto in Le Corbusier, fu
abbastanza tortuoso, in quanto il
preventivo iniziale di 785.060
franchi si rivelò sin da subito
essere troppo esoso.
Le
diffocoltà e le tensioni sorte in
fase progettuale, tuttavia,
permasero anche una volta
terminata la costruzione di villa
Savoye, che iniziò ben presto ad
accusare difetti tecnici nefasti.
Quando la famiglia iniziò ad
abitare per brevi periodi la casa,
soprattutto d'autunno, nacquero
infatti diverse difficoltà,
dovute alle infiltrazioni dal
soffitto, agli spifferi causati
dallo scarso isolamento delle
grandi finestre e ai rumori dovuti
al tremolio dei vetri dei lucernari,
oltre che dalla formazione di
condensa, dovuta all'eccessiva
umidità e all'insufficienza
tecnica dell'impianto di
riscaldamento. Da alcune lettere
di Madame Savoye a Le Corbusier si
colgono chiare lamentele al
riguardo («[il ticchettio della
pioggia] è infernale e non ci
lascia dormire» o, in un'altra
lettera: «Piove nell'atrio, piove
sulla rampa e il muro del garage
è completamente impregnato
d'acqua. Quel che è peggio,
continua a piovere nella mia
stanza da bagno, che resta
allagata ogni volta che fa mal
tempo»). I Savoye continuarono ad
abitare la casa fino al 1940.
Dopo
l'abbandono dell'abitazione da
parte dei Savoye quest'ultima
iniziò a essere afflita da
un'inarrestabile serie di
deterioramenti e degradi. Durante
la seconda guerra mondiale i
tedeschi e in seguito gli alleati occuparono
l'edificio, che subì notevoli
danni; i primi addirittura
stabilirono i loro depositi per il
fieno all'interno dell'abitazione. Nel
1958 la città di Poissy
espropriò gli otto ettari
di terreno appartenenti alla
famiglia Savoye, utilizzandone una
parte, non occupata dalla casa
lecorbusierana ormai abbandonata,
per costruire un liceo. Dovettero
intervenire Le Corbusier e altri
architetti per impedire la
demolizione di casa Savoye negli
anni successivi, fino a quando lo
stato francese, nel 1963, acquisì
la proprietà dal municipio e provò
a recuperarla con un primo
tentativo firmato dall'architetto
Jean Debuisson.
Nel
1965 la Maison Savoye, quando Le
Corbusier era ancora in vita, fu
inserita nella lista dei monumenti
storici francesi in virtù del suo
valore architettonico. Nel 1985
ebbe invece inizio un secondo
restauro diretto dall'architetto
Jean-Louis Veret che terminò nel
1997 e vide una ripresa del calcestruzzo ormai
deteriorato dal tempo,
l'installazione di un nuovo
sistema d'illuminazione,
l'impianto di una serie di
telecamere di sorveglianza e il
ripristino di diversi infissi e
arredi interni.

La
Villa Savoye nasce da una maglia
strutturale di base rettangolare
formata da elementi verticali
cilindrici (pilotis) posti
ad un ritmo perimetrale di 4,75
metri l'uno dall'altro e disposti
verso l'interno quasi
simmetricamente secondo uno schema
che favorisce il percorso di
un'automobile e consenta
l'appoggio delle chiusure
orizzontali principali. Tutti gli
elementi principali, dalle
fondamenta ai pilastri ai solai,
sono in cemento
armato. Di particolare
interesse risultano le facciate
della villa Savoye, brano
architettonico tra i più riusciti
del cubismo architettonico: se
l'edilizia tradizionale, infatti,
concepiva un edificio in termini
di facciata principale, prospetti
laterali e retro, Le Corbusier
svuota tale prassi di qualsiasi
significato, rendendo quasi
identiche le facciate.
Partendo
dal basso si ha un portico
coperto, scandito dall'arioso
succedersi dei pilotis,
e il piano terra, dove troviamo la
hall di ingresso, il garage per le
automobili, un piccolo alloggio
riservato all'autista e alla
cameriera, l'appartamento per gli
ospiti e i servizi di lavanderia.
L'automobile, per la sua
formidabile perfezione
tecnico-industriale, era
particolarmente ammirata da Le
Corbusier, il quale la considerava
paradigmatica dello sviluppo
tecnologico del XX secolo: per
questo motivo, una volta giunto a
villa Savoye con la propria
autovettura, il visitatore può
quasi ritualisticamente entrare
nell'abitazione dal garage
mediante la porta d’ingresso in
metallo collocata nel vestibolo
del piano terra. La stessa villa
rimane influenzata dalle dinamiche
motorie dell'automobile,
presentando al piano terra dove vi
è l’ingresso una vetrata
industriale il cui arco curvo,
dalla notevole sensazione di
movimento, è determinato proprio
dal raggio di sterzata di
un'autovettura.
Il
vestibolo denuncia chiaramente i
due elementi di distribuzione
verticale che caratterizzano la
villa Savoye: la rampa, posta in
lieve pendenza, e le scale a
chiocciola. La prima, che con la
sua dolce inclinazione attraversa
e unisce tutti gli ambienti
dell'abitazione, garantisce al
visitatore un'esperienza spaziale
fluente, continua, dando vita se
percorsa a una vera e propria «passeggiata
architettonica», promenade
architecturale, che «offre
costantemente aspetti vari e
inattesi, a volte addirittura
stupefacenti».
La
rampa, insomma, rende l'ascesa
verticale dell'edificio quasi
impercettibile, a differenza della
scala, dove i cambiamenti di quota
sono decisamente più sentiti.
Quest'ultima, torcendosi come una spirale elicoidale,
è uno degli archetipi
fondamentali dell'architettura di
Le Corbusier ed è protetta da un
parapetto, anch'esso in cemento
armato.

La
rampa, dunque, prima di proseguire
la sua corsa verso la terrazza,
emerge presso il primo piano.
Quest'ultimo, come un heures
claires (una scatola sospesa),
così chiamato dai cugini Savoye,
è un prisma monocolore
stereometricamente ben definito,
dalla radicale elementarità,
avvolto da superfici candide,
diafane, e spezzato
longitudinalmente dai vuoti delle
finestre che, configurandosi come
«nastri continui, vitrei e
panoramici» (Zevi),
incidono a metà
ogni prospetto e incentivano
l'interazione tra esterno e
interno.
Il
parallelepipedo puro,
monoprismatico del primo piano,
infatti, comprende gli spazi più
formali e pubblici: la zona giorno
(soggiorno, cucina, salottino), la
zona notte (camera degli ospiti,
camera del figlio e camera dei
genitori) e i servizi (bagno
piccolo e bagno grande), e un
giardino pensile. La camera da
letto padronale ha dimensioni
notevoli, ma non eccessive (in
linea con la destinazione d'uso di
villa Savoye, non dimora stabile,
bensì rifugio per i fine
settimana estivi), ed è
comunicante sia con l'esterno -
con l'adozione di fenêtre
en longueur - che con il
bagno contiguo, dal quale risulta
separato solo per mezzo di
un'esigua tenda-membrana, la quale
non raggiunge neanche il soffitto,
a ribadire la continuità vigente
tra questi due ambienti. Notevoli,
nel bagno, il rivestimento con
tasselli ceramici smaltati di
azzurro, funzionali per il
raggiungimento di un'igiene
ottimale, e la presenza di una
carnale chaise longue,
progettata dallo stesso Le
Corbusier. La cucina, delimitata
da armadi a muro con ante
scorrevoli in alluminio, è
estremamente compatta, a
differenza del soggiorno, che si
presenta come l'ambiente più
ampio dell'abitazione: è
scarsamente arredato e si
arricchisce non tanto della
mobilia, quanto della visuale sul
panorama circostante offerta dalle
finestre a nastro, oltre che da un
caminetto centrale che conferisce
all'intero spazio un carattere
intimo, conviviale.
Il
piano superiore o terrazzo è il
coronamento dell'edificio oltreché
la conclusione del percorso della promenade
architecturale, senza alcuna
barriera architettonica, che parte
dal piano terra dove si trova il
garage, motore e idea del luogo
abitativo, fino a sbarcare tramite
una rampa sul solarium,
come sul ponte di una nave.
Sulla
copertura, infatti, le
fantasticherie nautiche di Le
Corbusier si fanno più vivide,
grazie all'impiego di balaustre di
tipo navale in tubolare di acciaio
tinto bianco e alla presenza del
vano-ciminiera dalla curiosa forma
imbutiforme in cui è alloggiata
la scala. La rigorosa disciplina
formale cui era sottoposto il
prisma del primo piano, inoltre,
qui si attenua con l'azione
dinamica di volumi basati su archi
di cerchio ed ellittici, i quali
operando una «danza di sagome
ondulate» (Zevi) richiamano
esplicitamente la rotondità di
alcuni dipinti puristi (come La
dame au chat et à la théière)
e sembrano anticipare la futura
tensione plastica delle tarde
opere lecorbusierane, come la
cappella di Ronchamp.
Il toit-terrasse (o
terrazzo giardino) qui presente
grazie ai solai in calcestruzzo
armato non pesa sulla struttura
sottostante, ma anzi funge da
coibente e garantisce agli
ambienti del primo piano, una
maggiore frescura d'estate e un
buon isolamento d'inverno. Il
terrazzo ospita oltre ad un
giardino coltivabile anche un
solarium protetto da una parete
tagliavento che riprende la forma
delle curve al piano terra.
Manufacture,
Saint-Dié des-Vosges

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